giovedì 6 marzo 2025

URANIA N.26 - Leigh Brackett: La legge dei Vardda



Michael Trehearne doveva ricordare quella sera come la fine del mondo.
La fine di una vita familiare in una Terra conosciuta e la prima lampeggiante
visione dell'incredibile. Tutto cominciò quando l'uomo gli rivolse la parola
sulle colline dietro Saint-Malo, al bagliore dei fuochi di mezza estate.
Vi era una gran folla di turisti, venuti a vedere l'antica festa bretone del falò
sacro. Trehearne si trovava semplicemente tra loro, non era uno di loro. Se ne
stava solo. Era sempre solo. In quel momento pensava che i riti che si
compivano nell'ampio spazio di terriccio pietroso erano troppo singolari
perché una persona normale li potesse sopportare fino alla fine, e si chiedeva
perché mai si fosse preso la briga di assistervi, quando qualcuno gli disse in
una forma di strana confidenza: «Fra quattro giorni sarà tutto finito e ce ne
andremo a casa. È un pensiero che fa bene, non è vero?»
Trehearne volse il capo e si trovò di fronte a un volto così simile al suo che
trasalì.
Si trattava di una somiglianza evidente in una vigorosa impronta di razza
piuttosto che di una affinità di consanguinei. Se due Moaawaks dovessero
incontrarsi inaspettatamente sulle colline dell'Afghanistan, si
riconoscerebbero, e così era per Trehearne e lo straniero. Avevano in comune
la stessa struttura da dominatori, la stessa bellezza strana e impressionante di
forme e di colori che sembrava non avere radici in alcuna razza terrestre,
lunghi occhi gialli, lievemente obliqui, screziati di piccole macchie dalla luce
verde. E in ambedue era la stessa fierezza. Poiché Trehearne lo fissava
stupito, lo straniero osservò: «Non mi ricordo di avervi visto sull'ultima nave.
Da quanto tempo siete qui?»
«Da ieri» rispose Trehearne e pronunciando quelle parole si rese conto che
non erano quelle che lo straniero si aspettava da lui. Un violento brivido di
eccitazione lo percorse. Impulsivamente disse: «Sentite, voi mi avete confuso
con qualcun altro; ma ne sono lieto!» Nella sua ansia afferrò il braccio
dell'uomo. «Devo parlarvi.»
Qualcosa era mutato nell'espressione dello straniero. I suoi occhi
esprimevano ora diffidenza e sorpresa insieme. «E di che cosa?»
«Della vostra; della mia famiglia. Perdonatemi se vi sembro importuno, ma
per me è molto importante. Ho fatto un lungo viaggio, dall'America fino in
Cornovaglia e ora in Bretagna nel tentativo di scoprire le mie origini...» Si
interruppe, esaminando di nuovo quello strano volto fisso nel suo, bello di
una bellezza tenebrosa, che lo scrutava al bagliore del falò. «Volete dirmi il
vostro nome?»
«Kerrel» rispose l'uomo lentamente. «Vi chiedo scusa. La somiglianza è
davvero impressionante. Vi ho preso per uno della mia famiglia.»
Trehearne corrugò le sopracciglia. «Kerrel?» ripeté, e scosse il capo. «I
miei si chiamavano Cahusac prima di trasferirsi in Comovaglia.»
«Senza dubbio esisteva una parentela» disse Kerrel con noncuranza.
Improvvisamente fece un cenno a indicare la radura che si stendeva davanti a
loro: «Guardate, danno inizio alla cerimonia finale.»
Il grande falò andava spegnendosi. I contadini e i pescatori, un centinaio
circa, si stringevano in cerchi intorno all'ondeggiante bagliore delle fiamme.
Un vecchio dalla barba bianca incominciò a pregare nel rozzo gaelico
bretone.
Trehearne volse appena il capo. La sua mente era assorta nel pensiero dello
straniero e di tutte le cose che l'avevano oppresso e turbato e perseguitato fin
dall'infanzia, gli inquietanti piccoli misteri intorno alla sua persona dei quali
ora forse avrebbe trovato la chiave.
Guardò solo per un secondo, seguendo il gesto del braccio di Kerrel. Ma
quando si rigirò, Kerrel se n'era andato.
Trehearne si mosse di qualche passo senza una meta, in cerca dello
straniero ma egli si era dileguato nel buio e tra la folla, e Trehearne si fermò,
sentendosi giocato e furibondo.
La sua indole provata dalle dure vicende di un'esistenza infelice si rivoltava
scoprendo gli artigli. Era sempre stato sensibile alle offese come un fanciullo.
Se avesse potuto mettere le mani su quell'insolente di Kerrel l'avrebbe
percosso a morte. Rivolse di nuovo l'attenzione allo svolgersi della
cerimonia, cercando di controllarsi come aveva faticosamente imparato,
rendendosi conto di essere ridicolo. Ma il suo viso, così simile a quello dello
straniero scomparso si piegava agli angoli della bocca in una smorfia crudele.
I bretoni avevano incominciato a sfilare in processione intorno al fuoco che
andava estinguendosi. Bassi uomini tarchiati dalle giubbe variopinte e dai
cappelli dall'ampia tesa, donne vigorose in grembiule e lunghe gonne, le
inverosimili cuffie inamidate fluttuanti di nastri e trine. Gli zoccoli
calpestavano pesantemente il terreno pietroso. Avrebbero girato tre volte
intorno alle braci in direzione del sole e poi, solennemente, ciascuno avrebbe
raccolto una pietra e altrettanto solennemente l'avrebbe gettata fra i carboni
ardenti. E quindi sarebbero corsi a raccogliere i tizzoni carbonizzati e li
avrebbero portati a casa come talismani contro la febbre, il fulmine e le
malattie del bestiame fino alla prossima vigilia di mezza estate.
Trehearne fu colpito dal fatto che la maggior parte di essi, fatta eccezione
dei più vecchi, appariva penosamente consapevole dei propri atti. Vinto dal
cattivo umore, era sul punto di andarsene. Fu allora che vide la ragazza.


 

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