martedì 18 marzo 2025

MONDADORI n.28 - Alessandro Varaldo: Le scarpette rosse



Fu in questo modo che le scarpette rosse entrarono di colpo, ma risolutamente, nella vita di Virgilio Morandi, giovane signore senza professione, quantunque dottore in legge. Ed anche di alcune altre persone.
Scendeva un giorno, soleggiato giorno autunnale, come ne conta Roma con prodiga letizia, la via Veneto, roteando il bastoncino di malacca, quando una magnifica automobile oltrepassandolo velocemente, gli tagliò la strada.
<Bel modo!> esclamò.
E, poiché la vettura s'era fermata dinanzi ad una pasticceria, affretto il passo per sapere chi fosse il malaccorto conducente. che s'infischiava con tanta spensieratezza del codice della strada.
E vide una bella gamba calzata di rosa e una scarpetta rossa apparire dallo sportello aperto, e poi, d'un tratto, una figuretta armoniosa restare un attimo immobile, quasi offrendosi all'ammirazione. C'era di che.
Immaginatevi una donna alta e sottile, tutta vestita di bianco, feltro e abito, calze d'un rosa leggero, scarpette e borsetta rosse. Si guardò intorno, con aria lontana e assonnata, e Virgilio scoprì due puri occhi celesti e una piccola bocca dal vivo carminio.
Il meccanico, berretto alla mano, l'aveva raggiunta e attendeva; ma quella non fiatò, entrando a passi decisi nella bottega, ove non si curò che di sgranocchiare pasticcini, che prendeva con le pinzette e portava alla bocca, senza nemmeno togliersi gli immacolati guanti alla moschettiera. C'era là dentro, dinanzi a un malinconico rabarbaro, Sulpicio Renzi, un piccolo colonnello d'aviazione, che si credette in dovere di sgranare gli occhi, e non ne aveva bisogno perché somigliava a un pechinese.
Virgilio Morandi lo urtò di gomito, ed egli si volto, assorbito ancora dall'ammirazione.
“La conosci?"
“Mai vista!"
“Carina”
“Puoi dire che è una bellezza."
Il dialogo non fu intrecciato a bassa voce, e quindi bella sconosciuta l'ascoltò senza dubbio. Ma restò
due, continuò a Sostenne incurante gli sguardi incendiari sgranocchiare pasticcini, e, finalmente, voltandosi di scatto fece un cenno al meccanico, il quale accorse mentre lei si avviava all’automobile.
Fu il servo che pagò, impassibile, e raggiunse la padrona e le aprì lo sportello, girando intorno al cofano, poi, per rimettersi al proprio posto. La donnina bianca dalle scarpette rosse afferrò il volante e la magnifica macchina riprese la sua corsa disinvolta. I due, sulla porta, la seguirono con eguale espressione, da cacciatori che vedono fuggire una grossa pernice.
E un terzo che faceva lo stesso, li interpellò:
“Troppo bella per essere sconosciuta. Sarà di certo una straniera!”
Chi parlava, un florido uomo di mezza età, impeccabile nella pelliccia castana, pareva come i due curioso, ma lo dimostrava meno. Rispondeva al pesante nome di Ottone e apparteneva ad una categoria di furbi arricchiti, quelli che non pretendono di imporre la propria personalità. Chiamarsi Luigi Ottone era già esagerare: bisognava farselo perdonare con quella garbata rassegnazione; che sa accettare le stoccate quasi fossero dei piaceri cercati.


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