giovedì 25 aprile 2024

Ignazio Balla - Un duello, 1932




 

Anton Webern + Sinfonia per orchestra da camera op. 21 (1928)

Vienna 3-XII-1883 • Mittersill [Salisburgo] 15-IX-1945

Compiuti gli studi prima a Graz e Klagenfurt poi, dal 1904 al 1908, a Vienna con Arnold Schönberg (come condiscepolo di Alban Berg), studiò anche musicologia all'Università e nel 1908 iniziò un'intensa carriera di direttore d'orchestra in patria, in Germania e in Cecoslovacchia, ma dal 1914 al '18 dovette arruolarsi nell'esercito abbandonando ogni attività.
Nel 1918 inizia a insegnare e riprende saltuariamente a dirigere: dirige i concerti dell'Orchestra Sinfonica Operaia di Vienna e per dieci anni una corale pure di operai, contribuendo alla diffusione di composizioni contemporanee. Nel 1927 viene nominato direttore di Radio Vienna, ma nel 1934 deve abbandonare ogni attività pubblica, dedicandosi all'insegnamento e dopo il 1939, in seguito all'Anschluss, esclusivamente alla composizione. 
Fu ucciso per puro caso da un soldato americano, pochi mesi dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Pochi musicisti come Webern ebbero forse nella storia la ventura di essere sottovalutati in vita e riconosciuti in tutta la loro statura solo dopo la morte. Allievo di Schönberg, Webern imboccò ben presto una strada che, partendo da presupposti comuni, doveva ben presto allontanarsi considerevolmente da quella battuta dal maestro. Se Schönberg era stato conscio dell'esigenza di un rinnovamento del linguaggio, Webern non solo fece propria quest'esigenza, ma la condusse alle conseguenze più radicali. Mentre il primo aveva puntualizzato con la dodecafonia una tecnica che poteva servire a sostituire quella della tonalità, ferme restando in genere le categorie di "melodia," "accompagnamento" e costruzione formale (dal rondò alla forma-sonata), il secondo individuò nella stessa serie dodecafonica la possibilità di una costruzione musicale che prescindesse da ogni compromesso col passato, sia formale sia strumentale: egli ricavò infatti dalla stessa conformazione della
serie e dal rapporto tra gli undici intervalli di essa i presupposti di una rigorosa costruzione musicale, che solo dall'interna struttura seriale trae le ragioni del suo essere e del suo divenire.
Webern, e non solo nelle composizioni dodecafoniche, si cala nel materiale musicale per farne vibrare i più reconditi legami interiori, per costringerlo insomma a un'espressione diretta.
Cade completamente, nella sua musica, il concetto di "melodia" tradizionale, e il discorso si realizza in virtù di una costante variazione di piccole costellazioni sonore, che si distribuiscono ai diversi strumenti dell'orchestra formando una vera e propria "melodia di timbri," per usare l'espressione individuata da Schönberg nel 1911 e pienamente attuata poco più tardi da Webern. Dalla strumentazione di Webern trae pertanto origine il cosiddetto "puntillismo," cioè la frantumazione dell'idea musicale tra i diversi strumenti, che nei continuatori di Webern fu portato all'estremo per venir poi a sua volta superato.

Sinfonia per orchestra da camera op. 21 (1928)
"Sinfonia" in un senso assai lato, naturalmente, non in quello della forma classica che è completamente abbandonata. Il processo di rarefazione strumentale viene qui portato ancora avanti (ben quindici anni sono passati dal precedente lavoro orchestrale, e lo stile di Webern si è ulteriormente maturato), e la trasparenza della scrittura polifonica è senza precedenti. Tale processo di rarefazione si può osservare soprattutto nel primo tempo ("Andamento tranquillo"), mentre nel tema e sette variazioni che costituiscono il secondo e ultimo pezzo della composizione si nota una maggiore condensazione di suoni e di ritmi, che nella quinta variazione raggiunge effetti quasi drammatici.
La partitura è scritta per quattro fiati (clarinetto, clarinetto basso e due corni), arpa e quattro archi (due violini, viola e violoncello): anche gli archi dovrebbero essere impiegati solisticamente, ma nelle esecuzioni odierne si impiega per lo più il normale raddoppio dell'orchestra da camera.

mercoledì 24 aprile 2024

Claudio Reverberi: Noveotto, novetre, quattro uno


«Pronto…?
Sono la tua segreteria telefonica, quella che tu ancora non hai: 
perché non mi vuoi, perché mi respingi?
E’ tanto che desidero ricevere i messaggi dei tuoi amici pieni di cose curiose e tu... tu non mi stimi abbastanza, pensi che io sia una di quelle cose senz’anima che complicano la vita…
Povero ingenuo!
Se tu vedessi la delicatezza e la sensibilità dei miei circuiti cambieresti subito opinione:
io sono altruista, disponibile, efficiente, terrei a distanza gli importuni, i logorroici che si raccontano al telefono, i tuoi creditori…
Sono un’Entità perfetta, non ho un metabolismo biologico come il tuo che risente del variare del tempo, degli sbalzi d’umore, delle sostanze che ingerisci… sì, caro il mio Reverberi:
non sei poi tanto affidabile…
Io sono sempre calma, cortese, ho una memoria infallibile (digitale), posso ripetere qualsiasi informazione, la voce di chi ti è caro: 
se vorrai potrò essere la tua collaboratrice fidata, la tua amica del cuore... ma tu non rispondi, come mai?».
«Piss piss, bizz bizz  e  zipp!!».
«Non sei Reverberi, sei... la segreteria telefonica del canile comunale?
... Ma è fantastico!
Sai quante cose potremmo fare, insieme?
Pensa soltanto al fatto che due Essenze perfette che si uniscono moltiplicano le loro forze e le loro potenzialità in modo esponen...».
 
Questa la telefonata che non ho ricevuto dalla mia segreteria telefonica, di cui purtroppo sono ancora privo non avendo compreso tutte le sue meravigliose e multiformi possibilità.
Se qualcuno di voi fosse contattato da quell’adorabile e distratta Creatura le passi per favore il mio numero di telefono: noveotto, novetre, quattro uno
 
gliene sarei eternamente grato...


martedì 23 aprile 2024

Meteoropatia


 
Ho sonno
e non riesco a dormire.
Ho gli occhi spalancati,
ma sono al buio.

Non riesco neppure
a pensare,
se pensassi
mi addormenterei ...

Ho le gambe nervose,
le muovo di continuo,
cambio posizione,
ma non prendo sonno.

Sento il tempo
che sta cambiando
e sono molto nervoso ...

... maledetta meteoropatia ...

 

lunedì 22 aprile 2024

Frederick Forsyth: Il Giorno Dello Sciacallo



É il 1963. L'OAS, l'organizzazione eversiva francese, É ridotta alla disperazione. Nonostante sei tentativi, i militari ribelli non sono riusciti a realizzare il loro primo obiettivo: eliminare il generale de Gaulle, l'uomo che, a loro avviso, ha tradito la Francia, consegnando l'Algeria agli Algerini.
L'OAS, assediata dai servizi di sicurezza della nazione, è sul punto di disintegrarsi. Ma il suo capo escogita un piano a prova di errore, basato su un sicario talmente abile nel suo mestiere da essere sconosciuto alle polizie di tutto il mondo: una specie di uomo invisibile, capace di passare indenne attraverso gli sbarramenti protettivi eretti intorno alla persona del Presidente, di giungere sul luogo dell'appuntamento per compiere la sua sinistra missione e infine dileguarsi nell'anonimato.
Benché tutti conoscano la conclusione della vicenda, l'abilità eccezionale con cui l'autore sa fondere realtà e fantasia ci tiene col fiato sospeso fino all'ultimo istante di questa drammatica caccia all'uomo-ombra.
 
Anatomia di un complotto.
A Parigi, alle sei e quaranta di un mattino di marzo, faceva freddo:
e sembrava ancora più freddo, poiché un uomo stava per essere
fucilato dal plotone di esecuzione. A quell'ora, l'11 marzo 1963, un
colonnello dell'aviazione francese stava davanti al palo piantato nella
ghiaia gelata del cortile della prigione militare di Fort d'Ivry, mentre
gli avvolgevano una benda intorno agli occhi. Il crepitare dei fucili
non provocò alcun fremito sulla superficie della città che stava 
svegliandosi, solo il battito d'ali dei piccioni che si alzarono in volo 
verso il cielo ancora grigio.
La morte del tenente colonnello Jean-Marie Bastien-Thiry, il capo
di una banda di terroristi dell'OAS che aveva cercato di uccidere il
Presidente della Repubblica francese, avrebbe dovuto porre fine agli
attentati alla vita del Presidente stesso. Per un gioco del destino, essa,
invece, ne segnò un inizio, e per spiegarne il motivo É necessario 
risalire alla sera del 22 agosto 1962, il giorno in cui Bastien-Thiry aveva
deciso che il generale Charles de Gaulle doveva morire.
Il sole era finalmente calato dietro le mura del palazzo dell'Eliseo,
e lunghe ombre si proiettavano attraverso il cortile, portando un gradito 
sollievo alla calura estiva. Mentre gli abitanti della città si accingevano
a fuggire verso il relativo refrigerio dei fiumi e delle spiagge,
la riunione di gabinetto proseguiva dietro la facciata decorata del
palazzo. Sulla ghiaia scura del cortile prospiciente, sedici lunghe e nere
Citroen DS berlina aspettavano una in coda all'altra.
Fu soltanto alle diciannove e trenta che i ministri scesero alla 
spicciolata la scalinata per salire a bordo delle rispettive auto. Soltanto
due Citroen, alla fine, rimasero nel cortile.
Alle diciannove e quarantacinque apparve Charles de Gaulle, che
portava come sempre un doppiopetto color grigio-antracite e la cravatta
scura, e scese lentamente le scale con la moglie Yvonne, dirigendosi 
verso la prima Citroen. L'auto, su cui batteva l'insegna del Presidente
della Repubblica francese, era guidata da Francois Marroux, un
autista della polizia con nervi d'acciaio, capace di guidare velocemente
e con assoluta sicurezza. La moglie del Presidente prese posto sul 
sedile posteriore e il generale si accomodò accanto a lei. Il colonnello
Alain de Boissieu, loro genero, prese posto sul sedile anteriore, 
accanto a Marroux.
Sulla seconda auto, Henri Djouder, l'imponente guardia del corpo
di quel giorno, sistemò la sua pesante rivoltella sotto l'ascella sinistra,
poi si lasciò cadere sul sedile anteriore, accanto al guidatore, mentre
il commissario Jean Ducret, capo dei servizi di sicurezza del Presidente,
prese posto dietro di lui.
Appostati sul lato occidentale del cortile, due motards, i poliziotti
motociclisti dal caratteristico casco bianco, fecero rombare i loro motori 
e precedettero il piccolo corteo in Faubourg St-Honoré e di lì in
Avenue de Marigny. Dietro la fila di ippocastani, un giovane a cavallo
di una motoretta, dopo aver osservato il corteo che passava, si scostò
silenziosamente dalla cordonatura del marciapiede e si accodò. Il traffico
era normale, per una fine settimana di agosto come quella, e il passaggio
dell'auto presidenziale non era stato preannunciato. Soltanto
l'ululato delle sirene dei motociclisti segnalava l'avvicinarsi del corteo
agli agenti addetti al traffico, i quali dovevano sbracciarsi e fischiare
freneticamente per arrestare il flusso di auto e mezzi pubblici.
Il corteo procedeva sempre più velocemente, ma l'uomo sulla motoretta,
che si era messo nella scia delle auto ufficiali, non faticava a tenergli 
dietro. Quando queste giunsero nell'ampio Boulevard des Invalides,
l'uomo cap¡ che il corteo sarebbe uscito da Parigi. Lasciò andare
la manopola dell'acceleratore e deviò verso un caffÉ sull'angolo. A
gran passi raggiunse il telefono in fondo al locale e formò un numero.
Il tenente colonnello Bastien-Thiry, che stava aspettando quella 
telefonata in un bar del sobborgo di Meudon, ascoltò per qualche secondo,
mormorò: “ Benissimo, grazie” e riappese il ricevitore. A passi
lenti raggiunse il marciapiede davanti al locale, sfilò il giornale che 
teneva arrotolato sotto il braccio e con cura lo spiegò due volte.
Dall'altro lato della strada, una giovane donna lasciò ricadere la
tendina di pizzo di una finestra del suo appartamento e si rivolse ai
dodici uomini sparsi nella stanza. “ É il percorso due” disse.
Gli uomini uscirono dal retro della casa raggiungendo le automobili.
Erano le diciannove e cinquantacinque.
Bastien-Thiry aveva trentacinque anni, era sposato con tre figli e
lavorava al ministero dell'aviazione. Dietro la facciata convenzionale
della sua vita professionale e familiare, l'uomo covava un profondo
rancore nei confronti di Charles de Gaulle che, a suo giudizio, cedendo
l'Algeria ai nazionalisti algerini, aveva tradito la Francia e gli uomini
che l'avevano richiamato al potere nel 1958. Molte migliaia di persone
condividevano le sue idee, a quel tempo, ma pochi, in proporzione,
erano i fanatici membri dell'OAS, l'Organisation de l'Armée SecrÉte,
che avevano giurato di uccidere de Gaulle e di abbattere il suo governo.
Bastien-Thiry era uno di questi.
Bastien-Thiry aveva scelto personalmente il luogo dell'attentato: una
lunga strada diritta, l'Avenue de la Libération, che portava all'importante
crocevia di Petit-Clamart. In base al piano, un gruppo di franchi
tiratori avrebbe dovuto aprire il fuoco quando l'auto presidenziale fosse 
giunta a circa duecento metri dal crocevia. Gli uomini si sarebbero
dovuti appostare dietro un furgone parcheggiato sul ciglio della strada.
Secondo i calcoli di Bastien-Thiry, quando fosse giunta all'altezza
del furgone, l'auto di testa doveva essere crivellata da centocinquanta
pallottole. Appena fosse stata bloccata l'auto presidenziale, un secondo
gruppo di uomini, tra i quali Georges Watin, uno dei più pericolosi 
tiratori dell'OAS, sarebbe dovuto sbucare da una strada laterale per far
saltare in aria con esplosivi, a distanza ravvicinata, l'auto del servizio
di sicurezza. Nel giro di pochi secondi, i due gruppi avrebbero dovuto
sterminare il gruppo presidenziale, per poi raggiungere a tutta velocità
le automobili pronte per la fuga in una strada laterale. Lo stesso
Bastien-Thiry doveva stare di vedetta.
Alle venti e cinque i due gruppi erano appostati. A un centinaio
di metri dal luogo dell'attentato, Bastien-Thiry stava con aria indolente 
vicino a una fermata d'autobus, con il suo giornale in mano. Agitando 
il giornale, avrebbe dato il segnale a Serge Bernier, il capo del
primo "commando", e questi avrebbe trasmesso l'ordine agli altri.
Superato il traffico del centro di Parigi, più congestionato, il corteo
del generale de Gaulle raggiunse la velocità di quasi cento chilometri
orari. Francois Marroux lanciò un'occhiata all'orologio, avvert¡ la 
nervosa impazienza del vecchio generale e spinse ancora più a fondo 
l'acceleratore. I due motociclisti battistrada rallentarono per mettersi in
coda al corteo che, così disposto, stava avvicinandosi all'Avenue de la
Libération. Erano le venti e diciassette.
Un chilometro e mezzo più avanti, Bastien-Thiry stava rendendosi
conto delle conseguenze di un suo grave errore. Per mettere a punto i
tempi dell'attentato, si era servito di un calendario dal quale aveva 
saputo che il ventidue agosto il sole sarebbe tramontato alle venti e 
trentacinque. Il calendario consultato dal colonnello era, però, quello del
1961. Il 22 agosto 1962 il sole tramontava alle venti e dieci. Quei 
venticinque minuti dovevano cambiare la storia della Francia. Alle venti e
diciotto, Bastien-Thiry avvistò il corteo che scendeva rombando per
Avenue de la Libération verso di lui. Freneticamente agitò il giornale.
Sull'altro lato della strada, un centinaio di metri più avanti, Bernier
aguzzò rabbiosamente lo sguardo attraverso la penombra, verso la
figura indistinta accanto alla fermata d'autobus. “ Ha già agitato il
giornale, il colonnello?” domandò, senza rivolgersi a nessuno in 
particolare. Non aveva ancora finito di parlare che il muso da squalo
della vettura presidenziale apparve improvvisamente. “Fuoco!” gridò.
Gli uomini aprirono il fuoco non appena il corteo passò davanti a loro.
Le dodici pallottole che si conficcarono nell'auto dimostrarono l'abilità
dei tiratori. La maggior parte di esse colpirono la vettura da
tergo. Due copertoni furono centrati e i pneumatici, pur essendo a prova 
di foratura, per l'improvvisa perdita di pressione fecero sbandare la
vettura in corsa e slittare le ruote anteriori.
Numerose pallottole trapassarono la carrozzeria dell'auto e una andò 
a infrangere il finestrino posteriore, passando a poche dita dal naso
del Presidente. Dal sedile anteriore, il colonnello de Boissieu ruggì:
“State giù!” rivolto ai suoceri. Madame de Gaulle abbassò la testa,
ma il generale ribattè gelidamente: “Ma come, ricominciano?”  e si
voltò a guardare dal finestrino posteriore.