Il mio amico Joaco Migueles, amante del vino e filosofo, mi guardò e ammiccò,
mentre mandava giù un altro sorso di La Rioja.
— Guarda qui, — disse. Posò il bicchiere ed estrasse di tasca un ben ripiegato pezzo di stagnola, del tipo in cui vengono avvolte le sigarette e le tavolette di cioccolato.
— È a prova d’acqua, per il tetto, — disse, sorridendo orgogliosamente. — L’ho trovato stamane lungo la strada. È l’ideale per coprire i buchi.
Alzai gli occhi alle travature della piccola capanna che Joaco divideva con la sua seconda moglie, tra le dune di sabbia argentine di La Magdalena. L’azzurro cielo lucente del pomeriggio afoso occhieggiava qua e là, fra le travi, con aste di sole che sembravano bruciare fori sempre più larghi intanto che io guardavo.
— Non c’è tempo da perdere, amico mio, — dissi, rannuvolando il suo sorriso soddisfatto. — Ho sentito tuonare in lontananza, mentre venivo qui. Tra poco avremo la pioggia, ed è meglio che me ne vada.
— Oh, no, no! — esclamò lui. — Resta qui a chiacchierare ancora un po’. È un’esistenza solitaria, la mia, qua in mezzo al deserto. E quando mia moglie è fuori... — Mi fissava rattristato, accarezzando il bicchiere di vino come se anche quello fosse un amico caro. I bicchieri da vino di Joaco sono grandi come vasi, dato che lui può versarci, in una sola volta, l’intero contenuto di una bottiglia.
— Be’, — dissi, esitando, — mi tratterrò un’altra mezz’ora.
Sospirò di contentezza e si appoggiò all’indietro nella poltroncina di vimini, dall’altro lato della tavola...
Una delle qualità del mio compagno, che rendevano tollerabile la sua compagnia in quelle insopportabili giornate torride, era il suo poco forbito ma infallibile talento per la conversazione: o, diciamo meglio, per il soliloquio. Sapevo perciò che la ragione per cui voleva che mi trattenessi più a lungo, prima di far ritorno in città, non era il desiderio di ascoltare la mia voce. Al contrario...
— Questo pezzetto di stagnola, amico, — cominciò a dire, — contiene una grande lezione. — Joaco mi fissava da sotto le grosse sopracciglia irsute, per vedere se mi mostravo interessato. Assentii, senza compromettermi.
— Dimostra che, per quanto povera sia l’esistenza di un uomo... — con un gesto indicò il suo abituro, — egli può migliorarla, facendo tesoro di ogni piccolezza che venga a trovarsi sul suo cammino.
— Già, forse hai ragione, — commentai, allungandomi a riempire il mio bicchiere; avevo la gola secca per l’aria asciutta e torrida.
Joaco restò qualche istante in silenzio, tirandosi penosamente il labbro inferiore. Poco dopo, si schiarì la gola e riprese: — Mi ricorda qualcosa, vedi. Una volta, vivevo in Patagonia... tanti anni fa, quand’ero giovane. Conducevo una vita miserabile, laggiù, ma imparai ad essere soddisfatto di quella che conduco ora.
— Be’, è una bella cosa, — dissi.
— Ero povero come un mendicante, allora. Stavo a Rio Negro: El Nireco, per essere esatti. Per mesi e mesi vissi in una vecchia cisterna asciutta, che avevo trasformato in una camera da letto. Tutti gli altri guadagnavano bene facendo gli sterratori. Ma io no.
«Non ero tagliato per lavorare dall’alba al tramonto, come un cavallo da tiro. Così, tiravo avanti nella mia esistenza da povero. Quanto ti ho detto della mia modesta abitazione basterà a spiegarti perché, quando cominciò la neve, non trovai difficile scegliere tra la mia gelida cisterna e una branda nel retrobottega di un erborista di Viedma, che m’aveva offerto un posto di commesso.
«Così ero là, unico residente del negozio, quando un giorno chi ti capita in bottega se non il ricco Don Hellmuth, il più infame prepotente e picchiatore di mogli della provincia. Un tipo losco e subdolo, anche, come mai ce n’è stato uno! Bene, quel giorno chiacchierammo di mille cose e, alla fine, venimmo a parlare di prodotti vegetali e di erbe.
«Al momento opportuno, io gli accennai come per caso la mia teoria che, se era vero che il diabete consisteva in un eccesso di zucchero nel sangue, sembrava a me che il mangiare funghi velenosi – che uccidono appunto privando il sangue di quella stessa sostanza – poteva riuscire efficace, in dosi accuratamente calcolate, a guarire il diabete. Era una semplice questione di logica.
«Don Hellmuth ci pensò su un momento, poi mi domandò: “Avete dei funghi velenosi, in bottega?”.
«Per tutta risposta mi chinai sotto il banco, tirai fuori due sacchi, e li misi davanti a Hellmuth.
«“Questi sono i mangerecci”, dissi indicando uno dei sacchi. “Gli altri sono velenosi. Sembrano identici, vero?”
«Don Hellmuth disse di sì, meravigliato dall’identico aspetto delle varietà velenose e non velenose.
«“Pensate un po’” continuai. “Se venissero serviti separatamente, su due piatti, nessuno potrebbe distinguere quelli velenosi da quelli mangerecci. Naturalmente sarebbe saggio tenere sempre a portata di mano un antidoto... Non si sa mai.”
«“E quale antidoto?” domandò Don Hellmuth, rivelando un grande interesse per quella questione di funghi velenosi. Non mi ero sbagliato, nel giudicarlo.
«“Quello stesso zucchero di cui si parlava prima. Una soluzione molto concentrata di glucosio. Basterebbe iniettarla o inghiottirla.”
«“Datemi un po’ di tutt’e due quelle qualità di funghi”, disse impetuosamente lui. “E l’antidoto!”
«Mentre intascavo il denaro per i funghi e la bottiglia di antidoto, osservai: “Naturalmente, se l’antidoto fosse a portata di mano di... ehm... di un nemico che
avesse mangiato, mettiamo, i funghi velenosi, sarebbe meglio forse truccare la bottiglia, così il nemico non riconoscerebbe l’antidoto e non lo prenderebbe.”
«“Come si potrebbe fare? Per truccarla, voglio dire”, domandò Don Hellmuth, fissandomi attraverso le palpebre socchiuse.
«Aprii un cassetto, tirai fuori una etichetta con su un teschio e due ossa incrociate e, sotto, la scritta VELENO. La incollai alla bottiglia di antidoto.
«“Là!” dissi. “Ora soltanto voi e io sappiamo che questo non è quello che indica l’etichetta. Cercate di non dimenticare questo fatto importante, amico mio!”
«Ora, per caso, quella stessa sera, la moglie di Don Hellmuth venne a rifugiarsi nel mio negozio. Era una indigena giovane e molto bella, che Don Hellmuth, tutti lo sapevano, picchiava senza misericordia.
«Mi raccontò come, dopo aver cenato con zuppa di funghi, lui l’avesse scaraventata fuori di casa, rincorrendola con una frusta. Don Hellmuth, crudele quanto era ricco e avaro, aveva spesso simili accessi di collera. Ah, se ci penso! Quella figliola piangeva come un bambino! E le donne erano talmente scarse, da quelle parti.
«Così, mi attaccai al telefono, chiesi di Don Hellmuth e, come sentii la sua voce, gridai eccitatissimo: “Ascoltatemi bene! Ho fatto un errore con quei funghi. Presto! Quelli innocui sono i velenosi e quelli...”
«Seppi, il giorno dopo, che l’avevano trovato morto: ucciso da una dose di cianuro. Il dottore analizzò il contenuto della bottiglia che Don Hellmuth aveva vuotato fino in fondo e sentenziò: “Veleno... proprio come c’è scritto sull’etichetta. Evidentemente, Don Hellmuth si è suicidato.”
«In seguito, naturalmente, ci furono quelli che mi guardavano con sospetto. Sai com’è, avevo sposato la vedova. Ah, che terno al lotto di donna! Così bella e... così ricca!»
Il cielo si era oscurato, nel frattempo, e il tuono si faceva udire di nuovo, rimbombando sopra le aride pianure che si stendevano a perdita d’occhio. Joaco guardò i buchi nel tetto della capanna, poi abbassò lo sguardo sul pezzo di stagnola posato sul tavolo. Sorrise.
— Era il mio pezzetto di stagnola, proprio come quello che ho trovato oggi... qualcosa che mi aiutava a migliorare la mia umile esistenza. — Ridacchiò tra sé e sé. — Mah! Puoi bene immaginare che causa di pettegolezzi fu il nostro matrimonio. Una fonte di chiacchiere senza fine tra tutti gli invidiosi, si capisce. Be’, quelli vedono l’impronta del denaro su qualsiasi cosa. E pensare che lei era così bella... così amabile!
Scossi lentamente la testa e mi alzai, per andarmene. Ma Joaco mi mise una mano sul braccio.
— Subito dopo, a Don Hellmuth, fecero tanto di regolamentare autopsia. E fu così che dimostrarono, tra parentesi, che i funghi da lui mangiati erano innocui, perfettamente innocui!
Joaco tornò ad ammiccare, sollevò il bicchiere contro luce e l’osservò, da intenditore. — Ma che cosa credevano, eh? Figuriamoci se io avrei venduto dei funghi velenosi!
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