giovedì 30 settembre 2021

Duca Lamberti vs Giorgio Scerbanenco


Duca Lamberti è figlio di un poliziotto di origini romagnole che, dopo aver prestato servizio in Sicilia (dove fu accoltellato in servizio, da uomini della mafia), venne trasferito a Milano, presso la Questura di via Fatebenefratelli. Grazie ai sacrifici del padre, e dietro la sua spinta, Duca consegue la laurea in medicina e inizia ad esercitare la professione medica presso una rinomata clinica gestita da un cinico primario. Il giovane medico ha in cura un'anziana signora, ormai allo stadio terminale e, dietro sua esplicita richiesta, le somministra un'iniezione letale. Duca viene processato per aver praticato l'eutanasia e condannato a tre anni di carcere. Il padre di Duca non riesce a sostenere gli eventi e muore a pochi giorni dalla sentenza. Durante la prigionia, Càrrua, amico e collega del padre, si occuperà del sostentamento della sorella di Duca, Lorenza, e della piccola Sara (nata da una relazione illegittima di Lorenza). Appena Duca esce dal carcere viene aiutato da Càrrua che gli procura un incarico molto confidenziale. Duca trasforma la particolare situazioneche gli viene affidata in una vera e propria indagine poliziesca andando contro ogni superficialità e perbenismo. Durante questa indagine viene affiancato dall'agente Mascaranti che, d'ora in poi, sarà al suo fianco in ogni indagine. Duca incontra anche la giovane laureata Livia Ussaro che viene coinvolta tragicamente nell'indagine e che diventerà la sua compagna. Questa prima indagine viene descritta nel primo romanzo, Venere privata. Nel successivo Traditori di tutti Duca viene coinvolto nell'indagine sulla morte dell'avvocato Sompani, suo compagno di carcere, e riesce a smascherare una banda dedita al traffico d'armi e droga. Durante questa indagine Duca acquista la consapevolezza di essere tagliato per fare l'investigatore e decide di accettare la proposta di Càrrua e di diventare poliziotto presso la Questura di Milano.


Nato a Kiev, nell'allora Russia imperiale, da padre ucraino, che era venuto in Italia per studi, e madre italiana, Scerbanenco all'età di sei mesi si trasferì in Italia, dapprima a Roma, poi a 16 anni a Milano al seguito della madre. Il padre, professore di latino e greco, fu ucciso durante la rivoluzione russa, mentre la madre morì pochi anni più tardi. Fu costretto per motivi economici ad abbandonare gli studi e non completò nemmeno le elementari. La scrittura fu da subito una passione. Lo stesso Scerbanenco racconta che la madre "all'ospedale era molto felice che io scrivessi, non doveva avere alcun senso pratico e non si preoccupava che io non avessi in mano nessun mestiere". Scerbanenco praticò molti mestieri, dall'operaio al conducente di ambulanze, prima di arrivare al mondo dell'editoria.
Dopo un periodo alla Rizzoli come redattore, nel 1937 assunse l'incarico di caporedattore dei periodici Mondadori, incarico che mantenne fino al 1939. Su Grazia teneva la rubrica della "posta del cuore" con lo pseudonimo di Luciano. Per Mondadori pubblicò anche la serie di romanzi di Arthur Jelling. In questo periodo collaborò anche con importanti quotidiani: L'Ambrosiano, la Gazzetta del Popolo, il Resto del Carlino e con il Corriere della Sera. Nel settembre 1943 fuggì in Svizzera, insieme a buona parte della redazione del Corriere, dove rimase fino alla fine della guerra.

Tornato in Italia, Scerbanenco rientrò alla Rizzoli come direttore del periodico letterario femminile "Novella", su cui curò una rubrica di "posta del cuore". Sempre per Rizzoli fondò la rivista Bella, su cui teneva la rubrica "La posta di Valentino". Ma la rubrica più famosa fu quella per Annabella, intitolata "La posta di Adrian". Leggendo la posta diretta a tutte queste rubriche, in cui le lettrici raccontavano i propri casi personali e spesso difficili, Scerbanenco venne a contatto con le angosce e le rabbie della gente comune. Questa esperienza di storie vissute e dolorose ha avuto una importanza decisiva nella maturazione dello stile noir di Scerbanenco, particolarmente crudo e amaro.

Sempre ritenendosi di madrelingua italiano, l'essere considerato "straniero" fu un grave cruccio che lo accompagnò durante tutta la sua esistenza. Di questa esperienza parla diffusamente nel saggio autobiografico Io, Vladimir Scerbanenco. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Lignano Sabbiadoro, dove scrisse e ambientò alcuni romanzi (La sabbia non ricorda, Al mare con la ragazza) e moltissimi racconti. La figlia Cecilia ha donato alla biblioteca comunale della città friulana l'archivio dello scrittore. Morì nell'ottobre del 1969, all'apice del suo successo, in seguito ad un arresto cardiaco. Venne sepolto al cimitero maggiore di Milano.

Nel 2018 viene pubblicato L'isola degli idealisti, per l'editore La nave di Teseo, scritto in gioventù e conservato per cinquant'anni dalla moglie Teresa Bandini, prima di entrare in possesso del figlio Alan Scerbanenko che lo passerà alla sorella Cecilia Scerbanenco, figlia di Nunzia Monnanni, ultima donna dello scrittore. Alla sua memoria è dedicato il più importante premio italiano per la letteratura poliziesca e noir: il premio Scerbanenco.

lunedì 27 settembre 2021

Barnaby Jones

 Barnaby Jones, Stati Uniti, 1973 / Calvin Clements

Andata in onda per sette anni, dal 28 gennaio 1973 al 4 settembre 1980, per complessivi 175 episodi da 50 minuti, questa serie della CBS è incentrata su un ex investigatore delle assicurazioni in pensione, Barnaby Jones (Buddy Ebsen, che era stato uno degli interpreti di The Beverly Hillihillies, una serie di telefilm umoristici di grande successo negli Stati Uniti), che torna in pista quando suo figlio viene ucciso.

Tranquillo e pacato, gran bevitore di latte, dopo aver risolto il suo caso personale Barnaby Jones continuerà a indagare con successo con l'aiuto della nuora rimasta vedova (Lee Meriwether) e del giovane cugino Jedediah (Mark Shera), e la saltuaria collaborazione del tenente Biddle (John Carter).

Dopo aver lavorato per molti anni come investigatore privato, decide di ritirarsi e lascia l'attività a suo figlio Hal. Quando Hal viene ucciso mentre indaga su un caso, Barnaby decide di rimettersi in gioco per trovare l'assassino. La nuora Betty Jones, vedova di Hal, si unisce alle indagini del suocero per risolvere l'omicidio. I due decidono poi di tenere aperta l'agenzia investigativa e di dedicarsi alla risoluzione di altri casi. Nel 1976, il personaggio di Jedediah JR Romano, figlio del cugino di Barnaby, si unisce al cast. Arrivato per risolvere l'omicidio di suo padre, JR resta per aiutare Barnaby e Betty, ma anche per frequentare la facoltà di legge.

Simile per certi aspetti all'ispettore Derrick della televisione tedesca, questo personaggio punta sulla propria umanità per conquistare testimoni e possibili colpevoli.
Può essere curioso ricordare che nel primo episodio della serie Barnaby Jones viene presentato ai telespettatori da Cannon, un ex poliziotto diventato investigatore privato, come il suo successore, o comunque come colui che avrebbe preso possesso del suo ufficio.

Forse la CBS, che in quel periodo produceva anche Cannon, intendeva chiudere quella serie; comunque ci ripensò, perché le avventure del grasso poliziotto privato di Los Angeles continuarono per altri tre anni.

Verso l'ultima parte della serie, con l'avanzare degli anni, Buddy Ebsen esprime l'interesse a rallentare le sue partecipazioni, e i personaggi di Betty Jones e Jedediah Romano diventano più preminenti, permettendo a Ebsen di ridurre progressivamente il suo ruolo. Durante le ultime due stagioni, lo spazio a disposizione negli episodi è diviso equamente tra i tre attori.


Barnaby Jones
 è stato nominato due volte per uno globo dorato, vale a dire per la migliore attrice protagonista in una serie drammatica sia nel 1975 che nel 1976 (in entrambi i casi Lee Meriwether). La serie è stata anche nominata due volte per uno Primetime Emmy Award: una volta per il ruolo di Meriwether nel 1977 e per la migliore cinematografia in una serie televisiva nel 1979 (per l'episodio "Memory of a Nightmare").

sabato 25 settembre 2021

Premiazione concorso Sherlock Holmes contro tutti !



Ieri nella sede della biblioteca di quartiere della Polisportiva Virtus Modena di Via Nicoli 162, Stefano Frigieri, con la collaborazione della Collana Senza Scarpe, ha curato la premiazione del concorso "Sherlock Holmes contro tutti!" alla presenza degli autori che hanno potuto presenziare, consegnando loro il Diploma di partecipazione e invitandoli a parlare del loro testo, con il quale è stata assemblata una antologia dal medesimo titolo.
Il libro consiste in una serie di racconti che vedono il famoso personaggio di A. Conan Doyle protagonista di storie grottesche e surreali che si svolgono a Modena nel 2020.
L’idea è di realizzare un pastiche che, pur rispettando le caratteristiche del personaggio e il classico intreccio giallo in cui normalmente si muove, lo proietti in situazioni impossibili durante le quali gli capiti di incontrare personaggi altrettanto famosi, reali o di fantasia, con i quali condividere le sue avventure.
Per fare ciò abbiamo organizzato un concorso, completamente gratuito.
Partecipare è stato facile, bastava attenersi a tre semplici regole: il protagonista: Holmes; il luogo: Modena; il tempo: il 2020.

La classifica finale

1°   Lucia Artioli: Sherlock Holmes e il mistero della superluna
2°   Claudio Balboni: Il furto della figurina
3°   Laura Artioli: Sherlock Holmes 2.0
4°   Cristiano Venturelli: L’anello debole
5°   Marco Giorgini: Sherlock Holmes e i piccoli tesori di latta
6°   Christine Caroline Seibuchner: Sherlock in love
7°   Greta Brunacci: Delitto in quarantena
8°   Nicolò Arcamone: Mè a cant al corp eletric
9°   Federica Di Luca: Il figlio
10° Maria Cristina Buoso: Il filo rosso del delitto
11° Carmen Rita Gullotto: Il mistero delle 61 lettere di Ludovico Ariosto
12° Silvia Zoncheddu: Sherlock Holmes e la macchina del tempo
13° Giuseppe Fiengo: S.H. e le orme bianche ai piedi della Ghirlandina

Fuori concorso
Roberto Roganti: Morte nel passato
Stefano Frigieri e Roberto Roganti: Interludio
Mauro Sighicelli: La grande infilata
Stefano Frigieri: Sherlock Holmes contro Sherlock Holmes
Mauro Sighicelli: Bertini e Sherlock Holmes contro Tecs e Rombo
Mauro Sighicelli: Rombo 6: La vendemmia
Mauro Sighicelli: Nessuno Nessuno
Stefano Frigieri, Mauro Sighicelli e Roberto Roganti: Holmes contro Sandrone
Stefano Frigieri: Caccia al pettirosso

Johann Christian Bach + Piano Concertos 4-6, Op. 13 (1777)


(Lipsia, 5 settembre 1735 – Londra, 1º gennaio 1782)

Allievo del padre (fu il terzultimo figlio di Johann Sebastian, e l'undicesimo nato dal suo secondo matrimonio), poi del fratellastro Cari Philipp Emanuel a Berlino, qui si appassionò per l'opera italiana al punto che ben presto lo troviamo a Milano, dove verso il 1755 entra nell'orchestra del conte Litta e viene da questi mandato a Bologna per perfezionarsi col celebre Padre Martini. Convertitosi al cattolicesimo, nel 1760 ottenne il posto di organista al duomo di Milano, iniziando nel 1761 la carriera di compositore d'opera. I successi di Torino e eli Napoli gli valsero la
nomina a compositore del King's Theatre di Londra: dal 1762 visse a Londra, dove fu anche maestro di musica della regina Sofia Carlotta e dove ebbe contatti col Mozart fanciullo, che dalla sua musica ricevette stimoli non trascurabili. Fu assai ricercato come insegnante e molto applaudito come esecutore e direttore d'orchestra: ma la sua fama venne meno col mutare del gusto, e anche le sorti finanziarie eli un'impresa concertistica da lui fondata mutarono al punto che egli fini in condizioni eco­ nomiche tutt'altro che floride.
Johann Christian è il maggior sinfonista tra i figli di Johann Sebastian, ed è anche, dei figli del grande Bach, quello che piu si scostò come compositore dalla via battuta dal genitore. Padre Martini, Jommelli e tutti gli altri operisti italiani lasciarono su di lui un'impronta decisiva, tanto che egli coltivò con particolar cura, a differenza degli altri Bach, la produzione teatrale.
Nella musica strumentale, anche per il fatto di far parte di una generazione ormai proiettata verso 1'800, egli tende a plasmare l'orchestra con maggior eleganza, con un tocco di ro­cocò corretto da un assorbimento cosciente dei nuovi principi
introdotti dalla scuola di Mannheim: di qui una cura tutta particolare per il timbro e per il chiaroscuro, un ricorrere all'omofonia abbandonando la tradizione polifonica paterna che era ormai considerata, dalle nuove generazioni, un inutile peso morto. Si spiega cosf il suo influsso su Mozart - che egli del resto fu tra i primi ad apprezzare, - nel senso di un affinamento del gusto melodico piu che di un perfezionamento della forma-sonata che resta un apporto tipico del fratellastro Cari
Philipp Emanuel. 
La sua produzione strumentale comprende una cinquantina di sinfonie, una trentina di sinfonie concertanti, 13 ouvertures e 37 concerti per clavicembalo (o piano­ forte) e orchestra.

La capacità di Johann Christian di fare suo il nuovo fortepiano guadagnò ancora più favore negli ambienti pubblici. Infatti, mentre Clementi suonava ancora il vecchio clavicembalo a Londra, Johann Christian affascinava il suo pubblico con la nuova tastiera. Composti negli anni 1770, i suoi concerti per tastiera rappresentano alcuni dei migliori esempi di tutte le sue opere per tastiera e incorporano tutto ciò che era ammirato ai loro tempi. Tutti in tre movimenti, il tradizionale veloce – lento – veloce, sono stilosi ed eleganti, aggraziati e galanti. Johann Christian ha corteggiato il suo pubblico usando la grazia e il fascino dello stile italiano, coinvolgendo e intrecciando gli elementi folk del suo paese adottivo. Come meglio accontentare la Regina! 


Il Concerto in si bemolle, op.13, n.4, è il quarto dello stesso gruppo. A suo tempo era il preferito del set ed è stato reso ancora più speciale quando Haydn lo ha arrangiato per pianoforte solo, dieci anni dopo la morte di Bach. Questo pezzo ha avuto un grande appeal pubblico; non era solo il fascino del galante e la tenerezza simile a una canzone del movimento lento, ma l'insieme di variazioni che Johann Christian compose per il terzo movimento basato sulla canzone scozzese, The Yellow-haired Laddie. 


Gli altri due i concerti su questo disco sono stati attribuiti a Johann Christian Bach e si è sempre creduto che fossero stati da lui composti intorno agli anni 1770/1771 come parte del set di concerti per tastiera dell'Opus 7. Hanno entrambi un carattere molto diverso dai concerti dell'Opus 13, e durante le prove di questi pezzi, abbiamo cercato a turno di decidere chi potesse essere il compositore, perché non si sentivano né suonavano come Johann Christian. Entrambi i concerti suonano come il lavoro di C.P.E. Bach o come le Sinfonie di Johann Christoph Friedrich, con una brillantezza e una galleggiabilità melodica che prevale. Semplice, se non un po' antiquato, sono certamente concerti divertenti. Mi ha fatto capire che, mentre, per gli standard di pianoforte moderni di oggi, il lavoro di Johann Christian può sembrare troppo semplice, ai suoi tempi era piuttosto lungimirante. Le differenze tra l'Opus 13 e questi concerti divennero sempre più evidenti. Un'altra differenza che mi viene in mente è il punteggio. Questi concerti includono una viola come parte dell'orchestra, mentre l'Opus 13 è composto solo per due violini e violoncello, con vento opzionale. Dopo un po' di ricerche, ho scoperto che ora si pensa che entrambi questi concerti siano considerati composti da Johann Christoph Friedrich Bach, che fece carriera presso la colta corte del conte Guglielmo di Schaumburg-Lippe a Bückeburg, svelando così il mistero per noi (vedi Collected Works of JC Bach, ed. Ernest Warburton). Questi concerti furono pubblicati da Hartknoch di Riga negli anni 1770. Nel suo catalogo Warburton ci informa che “Ulrich Leisinger ha ormai dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il vero compositore del Concerto in mi bemolle è J.C.F. Bach", e il Concerto in la, il secondo dei due concerti di Hartknoch, è ora noto anche per essere di Johann Christoph Friedrich. Ciò che si è evoluto dall'esercizio è stato quanto fosse innovativa la musica di Johann Christian e quanto chiaramente si potesse vedere perché egli ha continuato a guadagnare il favore come compositore. La sua musica ha segnato il legame tra barocco e classico; stabilì le basi su cui sarebbe fiorito il classicismo e, di notevole importanza, era la musica particolarmente adatta al suo scopo sociale. Questa, nel Settecento, era una ricetta per il successo.

giovedì 23 settembre 2021

Il ragno di Michael Connelly

 

Nella cabina della funicolare di Los Angeles un uomo in un elegante abito grigio scuro giace faccia a terra, freddato da un colpo di pistola. E Howard Elias, importante avvocato di colore specializzato in diritti civili. I suoi clienti non si distinguono di certo per onestà e rettitudine, trattandosi perlopiù di farabutti o autentici criminali, ma Elias ha sposato una causa ben precisa: intentare azioni legali contro il Dipartimento di Polizia, facendo leva sul nervo scoperto del razzismo diffuso in città e sui metodi non sempre ortodossi usati dalle forze dell'ordine. Le sue invettive gli hanno procurato grande fama e, inevitabilmente, l'odio feroce di quasi tutti gli agenti. Sullo sfondo di una Los Angeles sconvolta dalla difficile convivenza tra bianchi e neri, le indagini di un caso dì cui nessuno vorrebbe occuparsi sono affidate al detective Harry Bosch, uomo duro e tormentato, solitario per dovere e per necessità. Alle prese con un'umanità cinica ed egoista, è lui che deve scandagliare la vita privata di Elias, addentrarsi nei recessi più sordidi di Internet, alla ricerca di una giustizia "che vede soltanto il colore del sangue".


Michael Connelly (Filadelfia, 21 luglio 1956), all'età di 12 anni si trasferisce in Florida con la sua famiglia e, proprio nel periodo degli studi tecnici di Construction management all'Università della Florida, matura l'idea di diventare un autore thriller grazie all'appassionata lettura dei romanzi di Raymond Chandler. Passato a Giornalismo con indirizzo scrittura creativa e laureatosi nel 1980, comincia a lavorare presso la redazione di alcuni giornali a Daytona Beach e Fort Lauderdale, dedicandosi principalmente alla cronaca nera. Nel 1986 produce un reportage insieme ad altri due giornalisti intervistando i sopravvissuti di un disastro aereo. Il loro lavoro viene candidato per il Premio Pulitzer. In seguito a questa esperienza, Connelly trova impiego come giornalista criminologo al Los Angeles Times.

L'opera dello scrittore è stata molto influenzata dalla figura letteraria del detective Philip Marlowe: trasferitosi a Los Angeles Connelly riesce a prendere in affitto l'appartamento in cui Raymond Chandler e successivamente Robert Altman avevano ambientato l'azione del detective tra gli anni '40 e '50. Dal 1992 Connelly si interessa sempre più di fatti di cronaca e, sfruttando la sua esperienza giornalistica, studia da vicino il lavoro della polizia e lo svilupparsi delle indagini che seguono i delitti. La maggior parte dei suoi libri riguarda le indagini di Hieronymus "Harry" Bosch, un detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, il cui nome è lo stesso del famoso pittore olandese, da cui la madre del detective era affascinata. Anche a detta dello stesso Connelly, Bosch condivide con l'autore diversi tratti del proprio carattere. Nel succedersi dei numerosi romanzi il detective Bosch deve spesso combattere anche contro l'ostilità presente all'interno del suo stesso Dipartimento: una volta andato in pensione, lavorerà su diversi casi come detective privato per poi tornare in Dipartimento per risolvere i cosiddetti cold case ("casi irrisolti" in italiano).

Al di là degli stereotipi narrativi del genere hard boiled, Connelly, i cui libri in Italia sono editi da Piemme, è particolarmente attento a far emergere l'evoluzione psicologica del suo protagonista. Quasi tutti i libri di Connelly sono ambientati a Los Angeles. Dal libro Debito di sangue è stato tratto l'omonimo film diretto da Clint Eastwood. Con molta ironia lo scrittore nel successivo romanzo Il poeta è tornato ha fatto commentare causticamente il film ai suoi stessi personaggi in un piacevole intreccio tra realtà e finzione.

lunedì 20 settembre 2021

Baretta

 Baretta, Stati Uniti, 1975 / JoSwerling jr.

Solitario, abilissimo nei travestimenti, dalla vita piuttosto movimentata oltre che perennemente in rotta con i suoi superiori, Tony Baretta (Robert Blake) è un poliziotto italoamericano decisamente fuori dagli schemi.

Poco ortodosso e dotato di un personalissimo sense of humour, dall'aspetto trasandato e lontano dai classici prototipi di detective e poliziotti proposti sul piccolo e grande schermo, gira in t-shirt e jeans, spesso con uno stuzzicadenti in bocca. Il mondo che frequenta è quella della criminalità di strada: spacciatori, prostitute, informatori (come il detective Toma, protagonista della serie a cui s'ispira Baretta), fa del travestimento uno dei suoi punti di forza nella lotta al crimine. Vive in un alberghetto con un pappagallino bianco di nome Fred. Forse un po' troppo personaggio (un po' come il tenente Colombo, l'ispettore Derrick o il Maigret interpretato da Gino Cervi; tanto che talvolta la soluzione del singolo caso passa decisamente in secondo piano di fronte a tic, manie e pittoreschi personaggi di contomo), Tony Baretta piaceva molto soprattutto ai giovani per il suo anticonformismo oltre che per la sua ironia.
Può essere curioso ricordare che questa serie venne messa in cantiere in fretta e furia dopo che Tony Musante comunicò ai produttori che non avrebbe continuato Toma per un'altra stagione. Non potendo affidare il ruolo del protagonista a un altro attore, la ABC Universal decise quindi di dar vita a un'altra serie poliziesca affidando il ruolo del protagonista a Robert Blake (pseudonimo di Mickey Gubitosi), un attore sulla cinquantina noto soprattutto per il ruolo dell'assassino psicopatico in A sangue freddo (In cold blood, 1967). Ottantadue episodi da 50 minuti sono stati trasmessi negli Stati Uniti dal 17 gennaio 1975 al primo giugno 1978. In
seguito Robert Blake interpretò il detective marlowiano Joe Dancer nell'omonima serie di telefilm, senza però riuscire a conquistare il grande pubblico.

Robert Blake ha vinto un Golden Globe per il miglior attore in una serie drammatica nel 1976 e un Emmy Award nel 1975.
Famoso il tema musicale che accompagna i titoli, Keep your eye on the sparrow, dapprima solo strumentale poi cantato da Sammy Davis Jr.


Nell'arco delle quattro stagioni sono state molte le guest star che si sono avvicendate: Tom Atkins, Neville Brand, Joan Collins, Gary Busey, Erik Estrada, Shelley Duvall, Michael V. Gazzo, Tommy Lee Jones, Dennis Quaid, Joe Santos, Tom Skerritt, Madeleine Stowe, Burt Young.

Arresto in diretta tv per l'attore Robert Blake
(19 aprile 2002)

LOS ANGELES - L'hanno arrestato tra i flash dei fotografi e la diretta delle reti televisive. Così come era già successo a O.J. Simpson. Gli hanno fatto vivere, stavolta sul serio, una scena che aveva tante volte già simulato in tv. Robert Blake, protagonista del celebre serial televisivo degli anni '70 dove interpretava la parte dell' investigatore Tony Baretta, è stato arrestato ieri a Los Angeles per l'uccisione della moglie Bonny Lee Bakley avvenuta il 4 maggio del 2001. L'attore, che era in compagnia della sua guardia del corpo, è stato fermato dalla polizia a casa della figlia. Con un'accusa, quella di omicidio premeditato, per la quale rischia la pena di morte.

Questi i fatti: un anno fa Bonny Bakley venne uccisa a rivoltellate mentre sedeva nella macchina di Blake parcheggiata in un vicolo poco illuminato vicino ad un ristorante italiano dove i due avevano cenato a Los Angeles. Blake raccontò alla polizia di essere tornato al ristorante dicendo di avere dimenticato la propria pistola. Una volta riguadagnata la macchina disse di avere trovato la moglie riversa sul sedile del passeggero. Uccisa con una serie di colpi di pistola. Dopo un anno di indagini, la polizia, avrebbe ricostruito un'altra verità.
A quanto raccontano gli amici più stretti, la situzione della coppia non era idilliaca. Blake aveva accettato di sposare la donna nel novembre 2000 dopo che i test del Dna avevano provato che era il padre di sua figlia Rose. Una scelta forzata che, secondo il capitano della polizia Jim Tatreau, può aver fatto scattare nella testa dell'uomo una spirale d'odio. "Crediamo - dice l'investigatore - che la disprezzasse e che si sentisse intrappolato in un matrimonio di cui non voleva far parte".

Blake, il cui vero nome è Michael James Vijencio Gubitosi, ha sempore negato di essere l'omicida e ha descritto la moglie come una cacciatrice di celebrità che non disdegnava incontri con altri uomini rimediati tramite le inserzioni per cuori solitari. Harland Braun, avvocato dell'attore, ha detto che Blake "è calmo ed è preoccuapto solo per i figli, soprattutto Rosie" (tre anni, avuta dalla vittima). "Sono convinto - ha concluso il legale - che il vero assassino sia ancora in libertà".

L'arresto di Blake ha avuto un lato spettacolare. Gli elicotteri delle tv hanno seguito l'auto della polizia senza contrassegni che ha portato l'attore lungo le autostrade di Los Angeles fino alla centrale nel centro della città californiana. Una scena praticamente identica a quella che videro i telespettatori il 17 giugno del '94, data dell'inseguimento e dell'arresto di O.J. cinque giorni dopo l'omicidio della moglie. Insieme all'attore sessantottenne, portato via in manette con addosso una t-shirt bianca e un cappello verde, è stata arrestata la sua guardia del corpo, Earle Caldwell, accusato di complicità nel delitto, anche se la sera della morte di Bonny Lee Bakley si trovava fuori città.

La svolta delle indagini per il LAPD era avvenuta quando un ex stuntman, Ronald "Duffy" Hambleton, aveva accettato di testimoniare contro l'attore (supportato da un socio, Gary McLarty), dicendo che Blake aveva tentato di convincerlo ad assassinare la Bakley. Durante il processo, la difesa di Blake scoprì che le parole dello stuntman nascondevano una promessa di assoluzione per i suoi precedenti reati in cambio di una testimonianza contro l'attore. Di conseguenza l'attore fu assolto.

sabato 18 settembre 2021

Carl Philipp Emanuel Bach + Symphony in D major, H.663 / Wq.183/1


(Weimar, 8 marzo 1714 – Amburgo, 14 dicembre 1788)

Secondo figlio di J. S. Bach, fu allievo del padre e dell'Universita di Lipsia, poi studiò a Francoforte sull'Oder tenendovi concerti come cembalista.
Dal 1738 al 1768 fu primo clavicembalista alla corte di Federico II, prima a Ruppin e ben presto a Berlino. Qui venne in contatto con i musicisti della scuola berlinese (Krause, Marpurg, Graun e altri) e con gli intellettuali della capitale. Da questi stimoli culturali nacque in lui il desiderio di stendere un trattato sul clavicembalo, che gli valse per lungo tempo grande notorietà. Ma i rapporti con il re non erano dei più soddisfacenti, e finalmente nel 1767 Carl vinse un concorso diventando
dall'anno successivo direttore di musica nelle principali chiese di Amburgo, come successore del Telemann. Qui rimase fino alla morte, attivissimo come direttore d'orchestra, clavicembalista e compositore, entrando nella rosa dei piu eminenti personaggi della città e diventando amico di Klopstock, il grande poeta, e di Claudius, mentre stringeva proficui contatti anche con gli artisti dei principali centri europei (Lipsia, Parigi e Vienna).

Ritenuto un eccezionale clavicembalista e improvvisatore, questo giudizio fu confermato dal Burney che lo definì «non solo il piu grande compositore per strumenti a tastiera che sia mai esistito, ma anche il miglior suonatore per quanto riguarda l'espressione.» Egli è però molto importante nella storia della musica anche per il contributo che recò all'individuazione definitiva della forma-sonata. Senza esserne stato l'inventore, come qualcuno ha ritenuto, fu indubbiamente tra i primi a dare il dovuto rilievo allo sviluppo dei temi nel primo tempo della sonata, e a gettare le basi di quello svolgimento dialettico di prima e seconda idea che sarà poi fondamentale per tutta la musica della scuola classica di Vienna (Haydn, Mozart, Beethoven).
Introdusse nella sua produzione una forte dose di emotività, al punto da anticipare in qualche pagina i romantici: e vale la pena di osservare che raggiunse i migliori risultati nella produzione strumentale, mentre la musica vocale è a questa nettamente inferiore. Oltre a una gran quantità di lavori vocali sacri e profani, compose 18 sinfonie, circa 50 concerti per clavicembalo, concerti per due clavicembali e per strumenti a fiato e orchestra. La sua produzione da camera comprende qualche centinaio di sonate e pezzi vari per clavicembalo.

Fa parte di una serie di quattro sinfonie dedicate a Federico di Prussia, serie che costituisce una delle ultime fatiche del compositore. Accanto agli archi esse comprendono sette strumenti a fiato, e rappresentano quanto di meglio Cari Philipp abbia lasciato in campo sinfonico.
In questa prima Sinfonia si nota la ricerca di un linguaggio individuale, anche se l'impostazione ricorda sovente il concerto grosso, specie nella contrapposizione di "soli" e "tutti." Va notato soprattutto il disteso arco lirico del "Largo" centrale, interessante anticipazione dello stile della scuola di Vienna.


giovedì 16 settembre 2021

Auguste Dupin vs Edgar Allan Poe



Edgar Allan Poe viene trovato a Baltimora il 3 ottobre del 1849, delirante e in fin di vita, dopo diversi giorni in cui se ne sono perse le tracce. Il 7 ottobre muore senza aver mai riacquistato pienamente coscienza: ha solo quarant’anni e nella sua vita ha sperimentato una serie di dolori capaci di piegare anche l’uomo più forte. Dolori che, forse, hanno anche condizionato la sua scrittura.
Al funerale di Edgar Allan Poe partecipano meno di dieci persone: lo scrittore, nonostante avesse appena quarant’anni, era completamente solo, al punto che non si riescono a chiarire neppure le circostanze della sua morte. L’unica cosa certa è che viene ritrovato in una città che non è quella dove avrebbe dovuto trovarsi (stava andando a Philadelphia per una questione editoriale), nei pressi di un seggio durante le elezioni, e che nel delirio continua a ripetere ossessivamente “Reynolds”: non si è mai potuto scoprire a cosa si riferisse. Edgar Allan Poe è morto per abuso di alcol? Rabbia? Epilessia? Colera? Tutte ipotesi possibili, ma la più accreditata, al momento, è che si sia trattato di un caso di cooping, una pratica elettorale fraudolenta per cui un povero malcapitato veniva sequestrato, drogato e costretto a bere per piegarne la volontà, e infine mandato a votare per un determinato candidato più e più volte sotto mentite spoglie.

La vita di Poe invece, contrariamente alla sua morte, non è un mistero, ma una serie di avvenimenti perlopiù drammatici intervallati da sporadiche gioie e un grande talento letterario. Nato nel gennaio del 1809, Edgar Allan Poe è figlio di due teatranti; quando solo due anni dopo muoiono entrambi, il suo destino sarà legato alla generosità dei tutori. Il piccolo viene cresciuto dalla famiglia del mercante John Allan, che sceglie di non adottarlo formalmente e con cui ha fin da subito un rapporto segnato da alti e bassi, nonostante l’uomo continui a prendersi cura di lui fino alla definitiva rottura – il secondo, grande, disastro familiare di Poe – quando Edgar ha una ventina d’anni. Seguendo gli affari del tutore, Edgar passa anche un lungo periodo in Gran Bretagna, la cui influenza si farà sentire nella sua produzione letteraria (basti pensare che studia in una scuola adiacente a un cimitero, presso cui vengono svolte anche alcune lezioni).


Tornato negli Stati Uniti, Poe segue in maniera discontinua dei corsi universitari, sperperando nel gioco i soldi che Allan gli manda per il mantenimento. Quando la situazione si fa insostenibile lascia definitivamente l’accademia, preferendole la vita militare che, almeno, gli garantisce uno stipendio fisso. Qui, nonostante una serie di veloci avanzamenti di carriera, non è felice, e il suo unico conforto sembra essere la scrittura: del 1827 è Tamerlano, un poema epico pubblicato con uno pseudonimo, a cui seguono due raccolte poetiche. Quando, dopo l’università, sceglie di abbandonare anche l’esercito, il suo destino è segnato: Edgar Allan Poe sarà il primo scrittore statunitense a cercare di vivere unicamente grazie al proprio talento, senza, quindi, affiancare la scrittura a un più remunerativo lavoro primario.
Poe, in difficoltà economiche e con una moglie bambina, inaugura gli anni Quaranta con alcune delle sue opere migliori. A inizio decennio viene pubblicata La caduta della casa degli Usher (1840), e del 1841 è I delitti della Rue Morgue, considerato il primo racconto poliziesco della storia, in cui, attraverso l’analisi degli indizi e degli ambienti, un complicato caso di omicidio viene risolto dal protagonista Dupin, personaggio di straordinarie doti analitiche che influenzerà Arthur Conan Doyle nella creazione del suo Sherlock Holmes.
Poe conosceva bene le imprese di Vidocq ma non si è certo ispirato a quella figura pittoresca e vulcanica (a cui invece attingeranno molti altri, da Balzac a Gaboriau a Hugo), perchè il suo investigatore basa tutto sul ragionamento, sulla lucida visione d'assieme. Si è sì ispirato a Vidocq, ma per giustapposizione, e infatti fa dire a Dupin:
"La polizia parigina, tanto decantata per il suo acume, è astuta e nulla più. Talvolta ottiene risultati sorprendenti, ma questi sono raggiunti di solito semplicemente grazie alla diligenza e all'operosità dei suoi funzionari. Quando queste doti non servono, tutti i disegni falliscono. Vidocq a esempio, era un abile deduttore e un individuo perseverante, ma non avendo educato il proprio pensiero, sbagliava continuamente per l'ardore stesso delle sue ricerche. Infirmava la sua visione delle cose tenendo l'oggetto troppo vicino, riusciva a vedere magari un punto o due con perspicacia non comune, ma nel far questo perdeva naturalmente l'effetto insieme..."
Dupin si contrappone dunque alla polizia (in ciò assomigliando a Vidocq, che coi suoi metodi poco ortodossi disprezzava l'ottusità burocratica dei poliziotti tradizionali), facendo della logica - allenata anche con l'enigmistica, la dama, la matematica - il perno dell'investigazione.
Poe in realtà non opera chissà quali alchimie, come invece farà, per fortuna, nell'altra sua produzione letteraria: del poliziotto tradizionale ci offre caratteristiche e capacità deduttive "normali", che tuttavia paiono ridicolmente deboli di fronte a quelle geniali del protagonista (e ci saranno Holmes - Watson, Poirot - Hastings, Wolfe - Goodwin, ecc.). Anticipazione di quella che sarà una situazione classica del poliziesco, alla quale si aggiungono praticamente tutti gli altri elementi chiave del genere, tra cui alcuni rimasti in ombra per molto tempo, ma che ultimamente sono riemersi prepotentemente, e anche con forzature al limite del ridicolo: l'analisi del comportamento delittuoso, il processo di indentificazione col criminale che talvolta l'investigatore deve compiere per poter risolvere un caso. 
"In quei momenti i modi di Dupin erano freddi, astratti: gli occhi assumevano una espressione vacua, mentre la voce, di solito generosamente tenorile, si elevava a un tono acuto che sarebbe potuto apparire irritante se non fosse stato per la determinazione e l'assoluta chiarezza di quanto veniva da lui enunciato."

Da lì è nato tutto: lo schema del poliziesco, le sue regole e le sue eccezioni, le procedure investigative, il ruolo "eroico" del detective, la tensione narrativa, la simbiosi autore - lettore, la liberazione finale.


lunedì 13 settembre 2021

Bara & Beccamorto

Bara & Beccamorto, Stati Uniti, 1958 / Chester Himes

Ed Johnson detto Coffin (Bara) e Jones detto Grave-digger (Beccamorto) sono due poliziotti di colore della squadra omicidi di New York, protagonisti di una serie di romanzi gialli ambientati nel quartiere nero di Harlem. Si muovono in un ambiente degradato oltre ogni dire, pieno di violenza, miseria e corruzione, dal quale sono tassativamente esclusi i bianchi. E loro si comportano di conseguenza, brutalizzando i sospetti e utilizzando una violenza certo non inferiore a quella usata dai criminali che devono combattere e che indubbiamente va bene al di là di quella che ha reso famosi gli eroi creati da Mickey Spillane.
Bara ha il volto sfigurato dall'acido lanciatogli contro da un fuorilegge e si infiamma subito, prende ogni cosa come un affronto personale ed è sempre pronto a menar le mani, mentre l'altro è più tranquillo e ironico.

Rissosi e violenti, perennemente in contrasto con i superiori (che contestano i loro metodi sbrigativi, anche se talvolta non possono non apprezzare i risultati raggiunti nel corso delle loro missioni), sono entrambi spietati e compiono autentici blitz nel mondo del crimine di Harlem e dintorni, senza risparmiare pallottole e provocando ogni volta decine di morti e feriti. Il loro comportamento è spesso talmente esagitato da diventare quasi grottesco. Tanto che il critico francese Francis Lacassin ha potuto addirittura scrivere che spesso le loro inchieste hanno il ritmo indiavolato delle comiche di Mack Sennett.

Le descrizioni di Harlem, dei suoi abitanti e di ciò che accade nelle sue strade sono sempre a forti tinte e un po' sopra le righe. Ecco un esempio: «Sotto questa mobile superficie, nelle acque torbide, una densa popolazione negra si agita di una convulsa frenesia di vita, come un branco di pesci carnivori che a volte, nella loro cieca voracità, divorano le loro stesse interiora. Si tuffa la mano in questo gorgo e se ne tira fuori al massimo un moncherino. Questa è Harlem!»

Può comunque essere curioso ricordare che Chester Himes, l'autore, non è mai stato nel quartiere che così fantasiosamente e nello stesso tempo realisticamente descrive. L'ha semplicemente reinventato ambientandovi le sue storie cruente.
«Quel che mi riempie di gioia - ha detto in più di un'occasione - è che gli abitanti di Harlem riconoscano, leggendo i miei libri, ogni angolo della loro città e si ritrovino immediatamente in questo o in quel personaggio…» Senza dimenticare che, sempre secondo Himes, i suoi romanzi non piacciono soltanto ai lettori che amano le forti emozioni e che non hanno mai avuto modo di mettere piede nel povero e malfamato quartiere nero di New York (e che probabilmente mai ce lo metteranno) ma anche ai suoi stessi abitanti, che spesso gli scrivono facendogli mille complimenti per il suo realismo oltre che suggerendogli spunti e situazioni.

Due film sono stati tratti da altrettanti romanzi di Chester Himes (pubblicati in Italia da Longanesi):

Pupe calde e mafia nera, nel 1970

Harlem detectives, nel 1972

Raymond St. Jacques (Bara) e Godfrey Cambridge (Beccamorto) erano così adatti a interpretare i personaggi creati dallo scrittore statunitense che l'improvvisa scomparsa di Cambridge ha costretto i produttori a interrompere la serie, vista l'impossibilità di trovare un altro attore altrettanto convincente nel certo non facile ruolo di Beccamorto.

Chester Himes (1909 - 1984), uno dei rari scrittori di colore della letteratura poliziesca, si arrabbiava moltissimo quando lo classificavano come uno dei più veri, e duri, continuatori dell'hard boiled: non che negasse il debito profondo contratto con quel tipo di narrativa, e in particolare con Hammett, ma non ha mai nascosto di sentirsi assai più vicino a Richard Wright e agli esponenti della letteratura afroamericana.

Originario del Missouri, Himes venne condannato a vent'anni per rapina a mano armata, e fu proprio nella biblioteca del carcere che scoprì Black Mask, Hammett; e in cella scrisse i suoi primi racconti.
Libero dopo avere scontato sette anni e mezzo cercò, inutilmente, di intraprendere quella che aveva capito essere la sua strada, la letteratura. Fu quando vinse una borsa di studio che potè dedicarsi alla scrittura e nel giro di dieci anni scrisse cinque romanzi che ebbero una discreta accoglienza; ma solo l'insistenza del suo agente lo convinse a impegnarsi nel poliziesco, un ambito in cui vide subito l'opportunità di dare sfogo a tutta la sua rabbia esistenziale e creativa. Le situazioni criminose erano ovviamente l'ideale per rappresentare la violenza e la sopraffazione che dominavano la società americana, e, anche per mezzo di un linguaggio crudo, volgare (che gli costò anche qualche grana con la censura) diede ai suoi lavori un'impronta del tutto originale.

Lo studioso della letteratura poliziesca Francis Lacassin è arrivato addirittura ad affermare che l'Harlem di Himes è molto vicina all'inferno dantesco: un luogo, un non-luogo, senza uscita, senza possibilità di redenzione, in cui domina selvaggiamente l'annullamento di ogni distinzione fra bene e male, e i suoi stessi personaggi positivi, due poliziotti neri, non sono esenti da drammatiche contraddizioni.

È un vero peccato che Longanesi non abbia ristampato i romanzi di Himes, ormai esauriti. Aluni titoli sono stati ripubblicati, ma non tutti sono reperibili:

  • E se grida, lascialo andare (If he hollers let him go, 1945), Sellerio 1996
  • Fesso d'oro (The 5 cornered square o For Love of Imabelle, 1957), Liocorno, 1966
  • La forza in nero (A Rage in Harlem, 1957), Longanesi, 1969; o Rabbia a Harlem, Demetra, 1996; Marcos y Marcos, 2004, 2011
  • Come è strano (The Real Cool Killers, 1959), Longanesi, 1968
  • Uccidere da matti (The Crazy Kill, 1959); Longanesi, 1969; o Non metterci il naso, Ellisse (?)
  • Corri, uomo, corri! (Run Man Run, 1960), Meridiano Zero, 2010
  • Il sogno d'oro (The big gold dream, 1960), Longanesi, 1969; o Il grande sogno d'oro, Marcos y Marcos, 1994
  • Harlem, Longanesi, 1968 (Cotton comes to Harlem, 1965), o Soldi neri & ladri bianchi, Marcos y Marcos, 2000
  • La notte delle vendette (The Heats on, 1966), Longanesi, 1971; o Caccia al tesoro, Marcos y Marcos, 1995
  • Uomo cieco con pistola (Blind man with a Pistol, 1969), Longanesi, 1971; o Cieco, con la pistola, Marcos y Marcos, 1993; Rizzoli, 2010

sabato 11 settembre 2021

Tomaso Albinoni + Concerto in do maggiore per due oboi, archi e continuo op. 9 n. 9


(Venezia, 8 giugno 1671 – Venezia, 17 gennaio 1751)

Figlio di un cartaio, aveva studiato la musica da dilettante ma dovette ben presto dedicarvisi come professionista essendo mutate le condizioni economiche della ditta patema. Fu a Firenze nel 1703 e poi ancora nel 1722, a Monaco nel 1722, ma passò la maggior parte della vita a Venezia, dove per qualche tempo suonò il violino in orchestra di teatro, entrò in amicizia con Vivaldi e in campo operistico fu considerato un temibile rivale di Francesco Gasparini. Fu compositore fecondissimo (scrisse fino al 1740 una cinquantina di opere teatrali, di cui oggi ci rimangono solo poche arie, e gran copia di sinfonie, concerti, sonate e altra musica strumentale), ma dal 1740 circa aveva abbandonato ogni attività.
Albinoni fu violinista provetto e, come tale, entra con una funzione precisa nella storia della fiorente scuola violinistica italiana del Settecento. Egli "sente" profondamente lo spirito degli strumenti ad arco ed è per questo forse che le sue piu ispirate e significative composizioni sono appunto quelle strumentali, dove ebbe modo di profondere le sue ricche doti musicali. 
Tipico rappresentante del barocco italiano, ha un gusto preciso e sottile per l'ampio arco melodico, per l'armonia raffinata, per una strumentazione accurata. I suoi ritmi sono elastici e leggeri, il discorso è sempre nobile ed espressivo, l'orchestra si fonde in un corpo unico capace di coloriti diversissimi, preludendo in qualche punto agli sviluppi della scuola di Mannheim, al crescendo e a una cura minuziosa della dinamica.
Con l'introduzione nelle op. 7 e 9 di strumenti a fiato (oboi) egli getta le basi per un ampliamento dell'orchestra, insegnando a fondere la sonorità dei fiati con quella degli archi. Inoltre individua con chiarezza superiore a quella dei suoi predecessori
e contemporanei il concetto di "sinfonia", intesa come brano strumentale in cui tutti gli strumenti dell'orchestra concorrono in ugual misura a dar vita al discorso musicale, a differenza del concerto dove si accentuava lo spezzettamento del discorso tra i "soli" e il "tutti" orchestrale. È sintomatico che Bach abbia studiato a fondo, insieme a quelle di Vivaldi, le composizioni di Albinoni, musicista che egli poneva sullo stesso piano del " Prete Rosso": ed è dalle composizioni di Albinoni che Bach apprese molti accorgimenti rimasti poi tipici in tutta la sua più importante produzione.
Non è possibile per Albinoni, come non lo è per molti altri autori barocchi italiani e stranieri, entrare nei dettagli delle singole composizioni. La sua produzione è vastissima e non si può dire che esistano finora dei pezzi che si siano imposti
in modo particolare all'attenzione del pubblico; né tra le raccolte di musiche da lui pubblicate ve n'è qualcuna che eccella in modo particolare sulle altre. Per tutta la sua produzione valgono le caratteristiche stilistiche di cui si è detto nella parte introduttiva. Si tenga presente che molte composizioni di Albinoni sono rimaste manoscritte, e vengono riesumate gradualmente dall'amore di alcuni musicologi appassionati dell'antica produzione italiana.

L'oboe, introdotto in Italia dalla Francia verso la fine del XVII secolo, fu dapprima usato come rinforzo degli archi. Àlbinoni fu tra i primi compositori italiani, assieme all'oboista virtuoso Giuseppe Sammartini, ad Alessandro Marcello e a Vivaldi, a scrivere dei concerti solistici per questo strumento, che a quell'epoca era dotato solo di due o tre chiavi. Del «dilettante veneto, musico di violino», come Albinoni stesso amava definirsi, ci rimangono 16 composizioni originali per oboe, equamente distribuite nell'op. 7 e nell'op. 9. Le due raccolte, pubblicate ad Amsterdam rispettivamente da Roger nel 1715 e da Le Cene nel 1722, sono simmetricamente divise in quattro concerti per violino (per archi nell'op. 7), quattro per oboe e quattro per due oboi. In questi lavori l'autore dimostra di conoscere a fondo le possibilità tecniche ed espressive dello strumento, che fu introdotto a San Marco nel 1698 e alla Pietà intorno al 1706, e di non essersi limitato a sostituire semplicemente il violino con l'oboe.

Albinoni decise di dedicare l'op. 9 a Maximilian Emmanuel II di Baviera perché probabilmente aveva sentito parlare della bravura degli oboisti attivi in quella corte. I concerti furono verosimilmente ben accolti dal momento che il «dilettante veneto» fu successivamente invitato a Monaco per organizzare le feste musicali in occasione delle nozze del principe elettore Carlo Alberto di Baviera con Maria Amalia, figlia più giovane di Giuseppe I.


Il Concerto in do maggiore per due oboi, archi e continuo op. 9 n. 9 è il penultimo dei concerti "doppi" presenti nella raccolta, che generalmente comprende composizioni più elaborate rispetto ai modelli offerti dall'op. 7. La tonalità di do maggiore è presente in quattro degli otto concerti per due oboi di Albinoni (dei rimanenti quattro, due sono in re maggiore e due in fa e sol maggiore). Ciò deriva dal fatto che spesso nel Settecento l'oboe veniva assimilato per funzioni e sonorità alla tromba, le cui tonalità naturali erano appunto quelle di do e re maggiore.

Nel primo movimento (Allegro, 4/4), gli interventi dell'orchestra sono articolati in tre-quattro motivi, variamente ricomposti ed elaborati nelle riproposizioni del tutti. I soli non hanno valore tematico ma si limitano ad un formulario melodico, prevalentemente per terze parallele, fatto di scalette, arpeggi, rapidi passaggi in semicrome, oppure di brevi incisi ripetuti o separati da una pausa di croma. 

Nel movimento centrale (Adagio, la minore) l'ampio respiro lirico del canto degli oboi viene impreziosito dalle imitazioni tra i solisti e gli archi. È importante notare che qui, come negli altri tempi lenti dell'op. 9, Albinoni preferisce servirsi di una tessitura musicale più elaborata, diversamente dalla moda dell'epoca di semplificare questo movimento per permettere la libera improvvisazione dell'esecutore. 

La struttura a ritornelli si ripresenta nell'ultimo tempo (Allegro, 3/8) che con quello iniziale condivide non solo la stessa struttura formale ma anche un identico percorso armonico: do maggiore - sol maggiore - la minore - mi minore - do maggiore. La diversità più evidente tra i due movimenti è costituita, oltre che dal ritmo, dal comportamento dei soli che, a differenza del primo movimento, hanno carattere tematico e sviluppano frequenti imitazioni.

Organico: 2 oboi, 2 violini, violetta, violoncello, basso continuo
Composizione: 1721 - 1722 circa
Edizione: Michel Charles Le Cene, Amsterdam, 1722
Dedica: Massimiliano Emanuele, duca di Baviera

giovedì 9 settembre 2021

Il corpo che affiora di Viveca Sten


L'atmosfera idilliaca dell'isola di Sandhamn, nell'arcipelago di Stoccolma, viene turbata dall'ombra della morte e del delitto. Il corpo di un uomo di mezza età affiora accanto a uno scoglio, avvolto in una rete da pesca. L'uomo è Krister Berggren, viveva da solo in uno squallido appartamento della periferia di Stoccolma, e a casa sua le uniche tracce di un qualche rapporto con altri esseri umani sono una foto della madre e una cartolina della cugina Kicki. E anche quest'ultima, Kicki, viene trovata uccisa, avvelenata. Le indagini sono affidate all'ispettore Thomas Andreasson, che può contare sull'aiuto di una sua amica d'infanzia, Nora Linde, avvocato. La scia di delitti è finita o continuerà? E le due vittime sono state eliminate dallo stesso assassino? Per scoprirlo, Thomas e Nora dovranno portare alla luce inconfessabili segreti.

Da questi romanzi è stata tratta una serie televisiva: Omicidi a Sandhamn (in svedese Morden i Sandhamn) prodotta dal 2010 dalla Filmlance International AB. Interpreti principali sono Jakob Cedergren, Alexandra Rapaport e Jonas Malmsjö.
La serie si compone di 23 episodi che in Svezia sono raccolti in 7 stagioni (3 episodi di 45' per ognuna delle prime 5 stagioni, 4 episodi di 90' per la sesta e la settima). In Italia invece i medesimi episodi sono raccolti in 13 stagioni ( 3 episodi di 45' per ognuna delle prime 5 stagioni, e poi un episodio di 90' per ognuna delle seguenti 8 stagioni.
Le prime tre stagioni sono interamente basate sui romanzi di Viveca Sten.
La prima stagione è basata sul ritrovamento di un cadavere a Sandhamn nel 2006.
La quarta stagione è basata su un romanzo di Viveca Sten, ma rispetto al libro la trama è stata modificata.


Viveca Sten (nata Bergstedt) (Stoccolma, 18 giugno 1959) lavora come scrittrice, consigliere giuridico, membro del consiglio d'amministrazione e docente universitario. Ha conseguito una laurea in Giurisprudenza all'Università di Stoccolma ed è anche economista presso la scuola di economia di Stoccolma. Precedentemente ha lavorato tra l'altro come consulente generale presso la compagnia di viaggi Amadeus Scandinavia e la società di commercio elettronico Letsbuyit.com e successivamente presso l'operatore postale PostNord.
È stata ospite nel programma radiofonico Sommar della radio svedese Sveriges Radio P1.
Viveca attualmente vive a Djursholm, nella contea di Stoccolma, con il marito Lennart e i tre figli e trascorre lunghi periodi sull'isola di Sandhamn dove la sua famiglia possiede una casa da generazioni.


lunedì 6 settembre 2021

Automan

 Automan, Stati Uniti, 1983/ Glen A. Larson

Addetto al computer del dipartimento di polizia di Los Angeles oltre che grande appassionato di videogiochi, l'agente Walter Nebicher (Desi Amaz jr.) vede prender vita sotto ai suoi occhi un essere pseudo-umano, dagli incredibili poteri fisici e mentali dato che ha assorbito tutte le informazioni via via inserite nel maxicalcolatore, che battezza Automan (Chuck Wagner)
e che vive in un mondo «di spazio e di energia, non di sostanza». Tutta queste attività in tempo reale viene svolta da un PDP-11/23

Trama:
La serie racconta le avventure di Walter Nebicher, un programmatore impiegato al dipartimento di polizia di Los Angeles poco stimato per il suo lavoro d'ufficio dai superiori. Egli decide quindi di programmare un videogioco in cui compaia un compagno perfetto per la lotta al crimine ma, in seguito a un sovraccarico di corrente, il videogioco prende vita e nasce Automan, interfaccia fisica simile a un'intelligenza artificiale, una specie di ologramma che vive al di fuori dello schermo. Purtroppo Automan consuma molta elettricità e spesso non è in grado di comparire quando Walter richiede il suo aiuto. Anche per questo il programma è in grado di funzionare soltanto di notte, quando cioè c'è una minore richiesta di energia.

In aggiunta il programma crea Cursore, il compagno di Automan fatto soltanto a forma appunto di cursore luminoso. Cursore è in grado di disegnare, e quindi creare, nel mondo reale qualsiasi cosa Automan richieda, come ad esempio automobili ed elicotteri.

Automan è conosciuto dai personaggi umani della serie come "Otto J. Mann" (in inglese la pronuncia è molto simile ad Automan) un agente governativo che aiuta Walter nelle sue indagini; l'unica oltre Walter a conoscere la sua vera identità è Roxanne, la collega di Nebicher che spesso interviene nelle indagini e di cui il poliziotto è innamorato.

Il costume di Automan sembrava brillare sullo schermo grazie al suo tessuto riflettente disegnato da 3M. Il tessuto era costituito da minuscole sfere riflettenti ed era in grado di riflettere quasi il 100 percento della luce che brillava su di essa (la tecnica era stata utilizzata diversi anni prima per i costumi kryptoniani di Superman). Il costume aveva anche piastre altamente lucidate attaccate ad esso per fornire l'aspetto olografico, il tutto migliorato nella post-produzione attraverso effetti di cromakey.

L'Autocar e l'Autochopper erano i veicoli più comuni creati per il trasporto. Ogni veicolo appariva o scompariva come una sequenza di wireframe disegnata da Cursor ed era nera con strisce di nastro riflettente attaccate su di essi. L'Autocar era una Lamborghini Countach LP400 che era in grado di compiere curve di 90 gradi senza perdere il controllo e sorpassare semplicemente stringendosi, piuttosto che girare. Tuttavia, i passeggeri umani non adeguatamente fissati nei loro sedili, venivano spesso gettati all'interno con lo slancio dall'improvviso cambio di posizione.

L'Autochopper era un Bell Jetranger in grado di atterrare ovunque. Lo spettacolo presentava anche un aereo e una moto futuristici, mentre altri episodi presentavano una pistola e una chitarra distintive.

Un'altra caratteristica di spicco di Automan è la capacità di "avvolgersi" attorno a Walter come mezzo per proteggerlo. Sembrerebbero una sola persona, ma poiché Walter è 'dentro' Automan, finisce inavvertitamente per parlare con due voci.

Curioso poliziesco-fantasy, Automan non è però riuscito a conquistare il grande pubblico ed è stato sospeso dopo una dozzina di episodi da 50 minuti andati in onda negli Stati Uniti dal 15 dicembre 1983 al 2 aprile 1984.

domenica 5 settembre 2021

Isaac Albéniz + Suite Española Op. 47 (1886)

 


(Camprodon, 29 maggio 1860 – Cambo-les-Bains, 18 maggio 1909)

Isaac Manuel Francisco Albéniz (Camprodon, 29 maggio 1860 – Cambo-les-Bains, 18 maggio 1909) è stato un pianista e compositore spagnolo.
Formatosi al Conservatorio di Madrid, incominciò in giovanissima età la carriera di concertista di pianoforte, che lo condusse in diversi paesi europei e americani, ma nel 1874 riprese gli studi di composizione al Conservatorio di Lipsia, e piu tardi li continuò a Bruxelles, finché nel 1878 poté diventare allievo di Liszt, che seguì a Roma e Budapest. Riprese ben presto la brillante attività concertistica, coltivando in pari tempo la composizione e dedicandosi anche all'insegnamento. Nel 1893 si stabili a Parigi, entrando in contatto con l'ambiente musicale locale (D'Indy, Fauré, Dukas, Debussy): qui scrisse le sue opere migliori, prima che un vizio
cardiaco lo conducesse a morte prematura.

Albéniz è giustamente considerato l'iniziatore della moderna scuola musicale spagnola. Al pari dei "Cinque" in Russia, e dei compositori romantici dei paesi slavi e scandinavi, egli comprese che era necessario ribellarsi all'internazionalismo di marca italiana, che ancora dominava nella Spagna dell'Ottocento, per poter dire una parola nuova e personale in musica. Cosi fu tra i primissimi a rivolgersi coscientemente al patrimonio popolare, ad ascoltarne i ritmi e le inflessioni e ad introdurli nella sua produzione, che di conseguenza acquista un colorito tutto particolare e un significato ben definito nell'ambito della cultura iberica.
Se nella produzione teatrale Albéniz spezzò la preminenza del gusto italiano, in quella strumentale seppe uscire dalla convenzionalità del gusto salottiero, che era allora caratteristico in Spagna soprattutto nella musica da camera: e la sua opera piu proficua la svolse forse proprio nel campo della musica da camera, specie pianistica, dove seppe mettere la sua brillante tecnica al servizio di una necessità di espressione che sapeva tener conto dei valori culturali specificamente nazionali.
Egli resta noto essenzialmente come compositore per il pianoforte (ma scrisse anche numerose opere e non poca musica vocale ): e tuttavia, nell'esigua produzione orchestrale non è difficile osservare quei germi di novità che sono tipici per la sua posizione in seno alla musica iberica della fine del sec. XIX.


La Suite spagnola Op. 47 del compositore spagnolo Isaac Albéniz è composta principalmente da opere scritte nel 1886 che furono raggruppate nel 1887, in onore della regina di Spagna. Come molte delle opere per pianoforte di Albéniz, questi pezzi sono dipinti di diverse regioni e musiche della Spagna. Quest'opera fa parte della corrente nazionalista legata al Romanticismo. Albéniz fu allora sotto l'influenza di Felipe Pedrell, che lo separò dalla musica estetica da salotto europea e lo attirò al nazionalismo, in questo caso spagnolo. Ma, d'altra parte, il suo è un nazionalismo passato al setaccio della raffinatezza e della stilizzazione.

I titoli originali della raccolta sono quattro: Granada, Catalogna, Siviglia e Cuba. Gli altri pezzi, Cadice, Asturie, Aragona e Castiglia, furono pubblicati in edizioni successive e spesso con titoli diversi. L'editore Hofmeister pubblicò gli otto titoli della Suite spagnola nel 1912, dopo la morte di Albéniz. Lo ha fatto prendendo altri pezzi per i restanti quattro titoli, poiché quei pezzi non riflettono molto accuratamente la regione geografica a cui si riferiscono. Un caso molto chiaro è quello delle Asturie (Leyenda), i cui ritmi di flamenco andaluso hanno poco a che fare con la musica della regione atlantica delle Asturie. Op. 47, numero assegnato da Hofmeister, non è legato ad alcun tipo di ordine cronologico nell'opera di Albéniz, in cui i numeri d'opera erano dati casualmente dagli editori o dallo stesso Albéniz. Alcune opere compaiono anche in più di una collezione.

Nelle opere che compongono la Suite Spagnola, il primo titolo si riferisce alla regione che rappresentano e il sottotitolo tra parentesi indica la forma musicale del brano o la danza della regione ritratta. I sottotitoli delle opere sono i seguenti: Granada, serenata; Catalogna, curranda; Siviglia, sivigliane; Cadice, saeta; Asturie, leggenda; Aragona, fantasia; Castilla, Seguidillas e Cuba, notturno. Il notturno ha lo stile di una habanera (Cuba ha fatto parte della Spagna fino al 1898). La fantasia di Aragon ha la forma di un jack. Asturie (Legend) e Cadice (Saeta) non sono molto precise riguardo al rapporto tra l'opera e la regione. Nonostante il carattere artificiale della Suite spagnola op.47, nel tempo è diventata una delle opere per pianoforte di Albéniz più eseguite e conosciute sia dai pianisti che dal pubblico.

1. Granada (00:00)
2. Cataluña (5:02)
3. Sevilla (7:38)
4. Cádiz (12:19)
5. Asturias (16:53)
6. Aragón (22:52)
7. Castilla (27:17)
8. Cuba (30:10)




giovedì 2 settembre 2021

Adam Dalgliesh vs PD James



Phyllis Dorothy James White (Oxford, 1920 - 2014), già membro permanente della Camera dei Lord per il Partito Conservatore, è naturalmente stata salutata come l'erede della Christie, ma di Dame Agatha ha preso soprattutto i lati negativi - scrittura non particolarmente brillante, riferimenti culturali piuttosto convenzionali - senza tuttavia quella straordinaria capacità di Christie di tessere trame aggrovigliate e avvincenti.
P. D. James ripropone i glialli "all'inglese" quando questa impostazione era stata ormai superata da decenni: certo, lo fa più che dignitosamente, e anche con alcuni guizzi di originalità (il thriller fantascientifico I figli degli uomini), ma i suoi romanzi lasciano come una sensazione di déja vu ed è difficile trovarvi le situazioni memorabili create sia dalla vecchia scuola sia da scrittrici come F. Vargas, E. George, A. Holt, C. O' Connell, A. Gimenez Bartlett.


Dai suoi libri (molti dei quali premiati dalla critica) sono stati tratti numerosi film per la tv (anni '80) ed il grande schermo (inediti in Italia, tranne I figli degli uomini, 2006, di Alfonso Cuaròn, notevole film di fantascienza).

Serie dell'ispettore Adam Dalgliesh:
  • Copritele il volto (Cover Her Face. 1962), Mondadori, 1980, 2008
  • Una mente per uccidere (A Mind to Murder, 1963), Mondadori, 1993, 2009
  • Per cause innaturali (Unnatural Causes, 1967), Rusconi, 1979; Rizzoli, 1985; Mondadori, 1992
  • Un'amica troppo fedele (Shroud for a Nightingale, 1971), Rizzoli, 1976; o Scuola per infermiere, Rusconi, 1994; Mondadori, 2001
  • La torre nera (The Black Tower, 1975), Rusconi, 1981; Rizzoli, 1987; Mondadori 1992, 2004
  • Morte di un medico legale (Death of an Expert Witness, 1977), Rusconi 1984, 2009; Mondadori, 2004, 2016
  • Un gusto per la morte (A Taste for Death, 1986), Mondadori, 1987, 2009
  • Una notte di luna per l'ispettore Dalgliesh (Devices and Desires, 1989), Mondadori, 1990, 2009, 2016
  • Morte sul fiume (Original Sin, 1994), Mondadori, 1995
  • Una certa giustizia (A Certain Justice, 1997), Mondadori, 1998, 2008
  • Morte in seminario (Death in Holy Orders, 2001), Mondadori, 2002
  • La stanza dei delitti (The Murder Room, 2003), Mondadori, 2003
  • Brividi di morte per l'ispettore Dalgliesh (The Lighthouse, 2005), Mondadori, 2006
  • La paziente privata (The Private Patient, 2008), Mondadori, 2009, 2016
  • La trilogia Dalgliesh: Una mente per uccidere, Un gusto per la morte, Una notte di luna per l'ispettore Dalgliesh, Mondadori, 2014
  • La seconda trilogia Dalgliesh: Copritele il volto, Per cause innaturali, Brividi di morte per l'ispettore Dalgliesh, Mondadori, 2015
Serie di Cordelia Gray:
  • Un lavoro inconsueto per una donna (An Unsuitable Job for a Woman, 1972), Rizzoli, 1975; o Un lavoro inadatto a una donna, Mondadori, 1988, 2009
  • Un indizio per Cordelia Gray (The Skull Beneath the Skin, 1982), Mondadori 1991, 2009
Altri romanzi:
  • Sangue innocente (Innocent Blood, 1980), Rusconi, 1981; Mondadori 1981, 2009; Rizzoli, 1988
  • I figli degli uomini (The Children of Men, 1992), Mondadori, 1993
  • Morte a Pemberley (Death Comes to Pemberley, 2013), Mondadori 2013