lunedì 22 aprile 2024

Frederick Forsyth: Il Giorno Dello Sciacallo



É il 1963. L'OAS, l'organizzazione eversiva francese, É ridotta alla disperazione. Nonostante sei tentativi, i militari ribelli non sono riusciti a realizzare il loro primo obiettivo: eliminare il generale de Gaulle, l'uomo che, a loro avviso, ha tradito la Francia, consegnando l'Algeria agli Algerini.
L'OAS, assediata dai servizi di sicurezza della nazione, è sul punto di disintegrarsi. Ma il suo capo escogita un piano a prova di errore, basato su un sicario talmente abile nel suo mestiere da essere sconosciuto alle polizie di tutto il mondo: una specie di uomo invisibile, capace di passare indenne attraverso gli sbarramenti protettivi eretti intorno alla persona del Presidente, di giungere sul luogo dell'appuntamento per compiere la sua sinistra missione e infine dileguarsi nell'anonimato.
Benché tutti conoscano la conclusione della vicenda, l'abilità eccezionale con cui l'autore sa fondere realtà e fantasia ci tiene col fiato sospeso fino all'ultimo istante di questa drammatica caccia all'uomo-ombra.
 
Anatomia di un complotto.
A Parigi, alle sei e quaranta di un mattino di marzo, faceva freddo:
e sembrava ancora più freddo, poiché un uomo stava per essere
fucilato dal plotone di esecuzione. A quell'ora, l'11 marzo 1963, un
colonnello dell'aviazione francese stava davanti al palo piantato nella
ghiaia gelata del cortile della prigione militare di Fort d'Ivry, mentre
gli avvolgevano una benda intorno agli occhi. Il crepitare dei fucili
non provocò alcun fremito sulla superficie della città che stava 
svegliandosi, solo il battito d'ali dei piccioni che si alzarono in volo 
verso il cielo ancora grigio.
La morte del tenente colonnello Jean-Marie Bastien-Thiry, il capo
di una banda di terroristi dell'OAS che aveva cercato di uccidere il
Presidente della Repubblica francese, avrebbe dovuto porre fine agli
attentati alla vita del Presidente stesso. Per un gioco del destino, essa,
invece, ne segnò un inizio, e per spiegarne il motivo É necessario 
risalire alla sera del 22 agosto 1962, il giorno in cui Bastien-Thiry aveva
deciso che il generale Charles de Gaulle doveva morire.
Il sole era finalmente calato dietro le mura del palazzo dell'Eliseo,
e lunghe ombre si proiettavano attraverso il cortile, portando un gradito 
sollievo alla calura estiva. Mentre gli abitanti della città si accingevano
a fuggire verso il relativo refrigerio dei fiumi e delle spiagge,
la riunione di gabinetto proseguiva dietro la facciata decorata del
palazzo. Sulla ghiaia scura del cortile prospiciente, sedici lunghe e nere
Citroen DS berlina aspettavano una in coda all'altra.
Fu soltanto alle diciannove e trenta che i ministri scesero alla 
spicciolata la scalinata per salire a bordo delle rispettive auto. Soltanto
due Citroen, alla fine, rimasero nel cortile.
Alle diciannove e quarantacinque apparve Charles de Gaulle, che
portava come sempre un doppiopetto color grigio-antracite e la cravatta
scura, e scese lentamente le scale con la moglie Yvonne, dirigendosi 
verso la prima Citroen. L'auto, su cui batteva l'insegna del Presidente
della Repubblica francese, era guidata da Francois Marroux, un
autista della polizia con nervi d'acciaio, capace di guidare velocemente
e con assoluta sicurezza. La moglie del Presidente prese posto sul 
sedile posteriore e il generale si accomodò accanto a lei. Il colonnello
Alain de Boissieu, loro genero, prese posto sul sedile anteriore, 
accanto a Marroux.
Sulla seconda auto, Henri Djouder, l'imponente guardia del corpo
di quel giorno, sistemò la sua pesante rivoltella sotto l'ascella sinistra,
poi si lasciò cadere sul sedile anteriore, accanto al guidatore, mentre
il commissario Jean Ducret, capo dei servizi di sicurezza del Presidente,
prese posto dietro di lui.
Appostati sul lato occidentale del cortile, due motards, i poliziotti
motociclisti dal caratteristico casco bianco, fecero rombare i loro motori 
e precedettero il piccolo corteo in Faubourg St-Honoré e di lì in
Avenue de Marigny. Dietro la fila di ippocastani, un giovane a cavallo
di una motoretta, dopo aver osservato il corteo che passava, si scostò
silenziosamente dalla cordonatura del marciapiede e si accodò. Il traffico
era normale, per una fine settimana di agosto come quella, e il passaggio
dell'auto presidenziale non era stato preannunciato. Soltanto
l'ululato delle sirene dei motociclisti segnalava l'avvicinarsi del corteo
agli agenti addetti al traffico, i quali dovevano sbracciarsi e fischiare
freneticamente per arrestare il flusso di auto e mezzi pubblici.
Il corteo procedeva sempre più velocemente, ma l'uomo sulla motoretta,
che si era messo nella scia delle auto ufficiali, non faticava a tenergli 
dietro. Quando queste giunsero nell'ampio Boulevard des Invalides,
l'uomo cap¡ che il corteo sarebbe uscito da Parigi. Lasciò andare
la manopola dell'acceleratore e deviò verso un caffÉ sull'angolo. A
gran passi raggiunse il telefono in fondo al locale e formò un numero.
Il tenente colonnello Bastien-Thiry, che stava aspettando quella 
telefonata in un bar del sobborgo di Meudon, ascoltò per qualche secondo,
mormorò: “ Benissimo, grazie” e riappese il ricevitore. A passi
lenti raggiunse il marciapiede davanti al locale, sfilò il giornale che 
teneva arrotolato sotto il braccio e con cura lo spiegò due volte.
Dall'altro lato della strada, una giovane donna lasciò ricadere la
tendina di pizzo di una finestra del suo appartamento e si rivolse ai
dodici uomini sparsi nella stanza. “ É il percorso due” disse.
Gli uomini uscirono dal retro della casa raggiungendo le automobili.
Erano le diciannove e cinquantacinque.
Bastien-Thiry aveva trentacinque anni, era sposato con tre figli e
lavorava al ministero dell'aviazione. Dietro la facciata convenzionale
della sua vita professionale e familiare, l'uomo covava un profondo
rancore nei confronti di Charles de Gaulle che, a suo giudizio, cedendo
l'Algeria ai nazionalisti algerini, aveva tradito la Francia e gli uomini
che l'avevano richiamato al potere nel 1958. Molte migliaia di persone
condividevano le sue idee, a quel tempo, ma pochi, in proporzione,
erano i fanatici membri dell'OAS, l'Organisation de l'Armée SecrÉte,
che avevano giurato di uccidere de Gaulle e di abbattere il suo governo.
Bastien-Thiry era uno di questi.
Bastien-Thiry aveva scelto personalmente il luogo dell'attentato: una
lunga strada diritta, l'Avenue de la Libération, che portava all'importante
crocevia di Petit-Clamart. In base al piano, un gruppo di franchi
tiratori avrebbe dovuto aprire il fuoco quando l'auto presidenziale fosse 
giunta a circa duecento metri dal crocevia. Gli uomini si sarebbero
dovuti appostare dietro un furgone parcheggiato sul ciglio della strada.
Secondo i calcoli di Bastien-Thiry, quando fosse giunta all'altezza
del furgone, l'auto di testa doveva essere crivellata da centocinquanta
pallottole. Appena fosse stata bloccata l'auto presidenziale, un secondo
gruppo di uomini, tra i quali Georges Watin, uno dei più pericolosi 
tiratori dell'OAS, sarebbe dovuto sbucare da una strada laterale per far
saltare in aria con esplosivi, a distanza ravvicinata, l'auto del servizio
di sicurezza. Nel giro di pochi secondi, i due gruppi avrebbero dovuto
sterminare il gruppo presidenziale, per poi raggiungere a tutta velocità
le automobili pronte per la fuga in una strada laterale. Lo stesso
Bastien-Thiry doveva stare di vedetta.
Alle venti e cinque i due gruppi erano appostati. A un centinaio
di metri dal luogo dell'attentato, Bastien-Thiry stava con aria indolente 
vicino a una fermata d'autobus, con il suo giornale in mano. Agitando 
il giornale, avrebbe dato il segnale a Serge Bernier, il capo del
primo "commando", e questi avrebbe trasmesso l'ordine agli altri.
Superato il traffico del centro di Parigi, più congestionato, il corteo
del generale de Gaulle raggiunse la velocità di quasi cento chilometri
orari. Francois Marroux lanciò un'occhiata all'orologio, avvert¡ la 
nervosa impazienza del vecchio generale e spinse ancora più a fondo 
l'acceleratore. I due motociclisti battistrada rallentarono per mettersi in
coda al corteo che, così disposto, stava avvicinandosi all'Avenue de la
Libération. Erano le venti e diciassette.
Un chilometro e mezzo più avanti, Bastien-Thiry stava rendendosi
conto delle conseguenze di un suo grave errore. Per mettere a punto i
tempi dell'attentato, si era servito di un calendario dal quale aveva 
saputo che il ventidue agosto il sole sarebbe tramontato alle venti e 
trentacinque. Il calendario consultato dal colonnello era, però, quello del
1961. Il 22 agosto 1962 il sole tramontava alle venti e dieci. Quei 
venticinque minuti dovevano cambiare la storia della Francia. Alle venti e
diciotto, Bastien-Thiry avvistò il corteo che scendeva rombando per
Avenue de la Libération verso di lui. Freneticamente agitò il giornale.
Sull'altro lato della strada, un centinaio di metri più avanti, Bernier
aguzzò rabbiosamente lo sguardo attraverso la penombra, verso la
figura indistinta accanto alla fermata d'autobus. “ Ha già agitato il
giornale, il colonnello?” domandò, senza rivolgersi a nessuno in 
particolare. Non aveva ancora finito di parlare che il muso da squalo
della vettura presidenziale apparve improvvisamente. “Fuoco!” gridò.
Gli uomini aprirono il fuoco non appena il corteo passò davanti a loro.
Le dodici pallottole che si conficcarono nell'auto dimostrarono l'abilità
dei tiratori. La maggior parte di esse colpirono la vettura da
tergo. Due copertoni furono centrati e i pneumatici, pur essendo a prova 
di foratura, per l'improvvisa perdita di pressione fecero sbandare la
vettura in corsa e slittare le ruote anteriori.
Numerose pallottole trapassarono la carrozzeria dell'auto e una andò 
a infrangere il finestrino posteriore, passando a poche dita dal naso
del Presidente. Dal sedile anteriore, il colonnello de Boissieu ruggì:
“State giù!” rivolto ai suoceri. Madame de Gaulle abbassò la testa,
ma il generale ribattè gelidamente: “Ma come, ricominciano?”  e si
voltò a guardare dal finestrino posteriore.

 

Nessun commento:

Posta un commento