lunedì 29 novembre 2021

Ernest Bloch + Israel Symphony (1912 - 1916)


(Ginevra, 24 luglio 1880 – Portland, 15 luglio 1959)

Allievo di Jacques Dalcroze, rivelò precocissime doti musicali e si perfezionò in seguito a Bruxelles, Francoforte e Monaco. Fu a Parigi, poi insegnò al Conservatorio di Ginevra, e nel 1916 si trasferì negli Stati Uniti, dove rimase tutta la vita (ad eccezione di un soggiorno in Svizzera dal 1930 al '38), come insegnante ricercato e compositore di fama internazionale.
Ebreo, sentì profondamente l'appartenenza alla sua razza, e si orientò gradualmente verso uno stile musicale aderente allo spirito, alla storia e alla religione del suo popolo. Per questo moltissime sue composizioni hanno un riferimento diretto, anche nel titolo, al mondo di Israele, mentre dal punto di vista musicale sono sovente caratterizzate da un arcaismo intenzionale, che si rifà alle fonti del più antico canto popolare e sacro degli ebrei. Ne deriva anche un certo colorito orientaleggiante ed esotico, che a suo tempo impressionò notevolmente gli auditori europei ed americani. Se oggi gran parte della sua produzione è caduta nell'oblio, alcuni pezzi restano vivi nel repertorio a testimonianza di un talento musicale di prim'ordine. Bloch coltivò anche la musica vocale, non solo con un'opera lirica (il Macbeth, del 1910) ma anche con diverse composizioni corali a carattere sacro (come la sinfonia Israel e altro) e con buon numero di liriche. È autore anche di pregevole musica da camera (soprattutto per quartetto d'archi), di vari pezzi per violino e pianoforte e per pianoforte solo.


La sinfonia Israel è la prima delle due parti di una vasta composizione che doveva essere intitolata Feste ebraiche: ma sta benissimo a sé, tanto più che la seconda parte non fu mai scritta.
Il termine «sinfonia» non deve, naturalmente, far pensare alla forma classica. Si tratta di una composizione piuttosto ampia composta di una introduzione e di due episodi, collegati senza interruzione. L'introduzione evoca, si direbbe, una preghiera nel deserto, interrotta a metà da richiami barbarici, da rauchi squilli di fantastici ottoni, da grida convulse, da invocazioni disperate: poi a poco a poco tutto si calma, si placa, si spegne nel silenzio. Segue senza interruzione il primo episodio (Allegro agitato) ispirato alla festa del Yom Kippur; il gran digiuno. Risuonano accenti d'angoscia e di disperazione; succede una calma dalla quale si leva come il mormorio di una preghiera che iniziata come un mormorio si innalza, si esalta ad una intensità quasi di fanatismo; poi anche questa si placa in un silenzio misterioso dal quale si levano sommessi richiami, appelli. Ancora come un'onda di disperazione, di angoscia, poi tutto si spegne. Un breve periodo di transizione conduce al secondo episodio, ispirato alla festa di Succoth, la festa dell'autunno come si compiva or son millenni in Palestina. Sul tessuto strumentale si innestano voci discrete ed espressive in un mormorio sognante. Una implorazione ardente echeggia ancora: poi canti pastorali, atmosfera d'un vespero d'Oriente: le voci si allontanano, si perdono nella notte imminente — ed è in queste ultime pagine che la musica offre veramente l'immagine della pace e della serenità alle quali aspira ogni anima credente.



sabato 27 novembre 2021

CSS 40: Roberto Roganti, Morte dei 5x1_6


Prefazione

Roberto Roganti (in arte Grog) si appresta in questo romanzo a rendere Modena la cornice di un Decameron con mantello giallo, ritmo da thriller e ingegno Scherlockiano. L'amore, nella scrittura così come nella vita, può portare ogni essere umano alla pazzia, pur di ottenere dagli altri ciò che si desidera.
Più che "Sei personaggi in cerca d'autore", Roganti racconta sei personaggi in cerca di uno spiraglio di sopravvivenza, in cambio della loro più profonda creatività, al servizio di un aberrante piano diabolico.
Esce così dai canoni che avevano tracciato la linea narrativa dei precedenti romanzi, regalando al lettore una dinamica più ricca della solita prosa e più controversa del giallo tradizionale.
Martin Luther King diceva che "La salvezza umana giace nelle mani dei creativi insoddisfatti", eppure questa volta i protagonisti dovranno essere convincenti e soddisfare il loro aggressore per sperare di essere liberati.
Sarà infatti la creatività l'unica arma a loro disposizione per sopravvivere, perché con le loro storie dovranno convincere non solo un pazzo squilibrato, ma il lettore stesso della bontà dei loro racconti.
Eppure non saranno soli innanzi a questa prova, perché sarà dato incarico di condurre le indagini al vice direttore di GattaCiCovaModena. 
Come in Angeli e Demoni di Dan Brown, il giornalista dovrà affrontare il nemico più avverso dell'uomo, il tempo, per trovare chi è stato rapito e liberarlo dall'oscura mano dell'assalitore.
Riuscirà a salvarli tutti prima che le lancette dell'orologio segnino la fine?

                                                                                         Francesco Folloni




Nota dell’autore

Mi sembra corretto dare alcune spiegazioni, per giustificare questo libercolo che giallo in fin dei conti non è, ma bensì una raccolta di racconti disconnessi fra di loro che abbisognavano di un collante per stare in piedi. Ed ecco che ho approntato una storiella, se vogliamo banale, per tenerli uniti e per permettermi di cambiare le carte in tavola, cioè l’eliminazione dei personaggi delle prime tre avventure e l’introduzione di altri, anche se con minor valenza. Siccome i cinqueperunosei nel tempo si sono avvalsi di un collaboratore nel nome di Francesco Folloni, e siccome il Folloni a Modena è il co-ideatore della caccia al tesoro ‘I predatori della tigella perduta’, ho ordito questo escamotage per renderlo protagonista dell’ultima storia dei 5x1_6. Ma qui partecipa a una caccia al tesoro dove in palio c’è la vita: una corsa contro il tempo e la morte.
Insomma, questa è un’antologia di racconti, dei miei racconti scritti a cavallo tra il 2010 e il 2017, legati fra loro da un raccontino con protagonisti i cinqueperunosei e altri amici già comparsi nei precedenti gialli.

                                                                                          Roberto Roganti


venerdì 26 novembre 2021

Bill Crane

Bill Crane, Stati Uniti, 1935 / Jonathan Latimer

Modesto, insignificante e spesso ubriaco, quando è sobrio Bill Crane, investigatore privato di Chicago, è ancora un tipo decisamente in gamba. Anche se non sembra proprio e se nessuno darebbe un soldo per lui. Sui trentacinque anni, è davvero intelligente e riesce a cavarsela molto bene pur vivendo in un mondo squallido pieno di piccoli delinquenti, di locali tristi e malfamati, di studi legali al di sotto di ogni sospetto ed essendo spesso costretto a occuparsi di affari non molto puliti. Anche se preferirebbe farne a meno. Ma non può, perché raramente gli offrono qualche incarico davvero "pulito" e ben retribuito.

Sempre sull'orlo della bancarotta, questo personaggio esordisce nel 1935 in Destinazione sedia elettrica (Headed for a hearse) ed è in seguito protagonista di altri quattro interessanti romanzi polizieschi, ricchi di un sense of humour cinico e grottesco, che risentono molto dell'influenza di Dashiell Hammett e della cosiddetta scuola dei duri, tanto che i romanzi di Jonathan Latimer possono senz'altro considerarsi di netta derivazione hammettiana, sia nello stile che nell'ambientazione e nel contenuto.

Bill Crane è stato portato sullo schermo nel 1937 da Preston Poster nel film The westland case, che dovrebbe essere inedito in Italia.

Jonathan Latimer (1906 - 1983) è stato uno degli autori più vivi e ironici, e misconosciuti, della vecchia scuola hard boiled. Nei primi anni '30 è giornalista a Chicago e si occupa di cronaca nera proprio negli anni ruggenti del gangsterismo, acquisendo una conoscenza diretta, e approfondita, delle vicende criminali e dei protagonisti, tra cui Al Capone. Questo, insieme alla sua abilità nello scrivere (sarà il ghost writer di esponenti di primo piano della politica statunitense), lo porterà a cimentarsi con la narrativa poliziesca.

Fu anche un brillante sceneggiatore cinematografico e partecipò alla realizzazione di una ventina di film (tra cui The Glass Key, La chiave di vetro, 1942, e The big clock, Il tempo si è fermato, 1948), ma nel 1958 abbandonò Hollywood dedicandosi solo a soggetti e sceneggiature per la televisione: lavorò a serie di grande successo come Scacco Matto , Perry Mason, e Colombo.

Il suo capolavoro è quel manuale di humour necrofilo che è La dama della Morgue.

 

giovedì 25 novembre 2021

La pietra di luna di Wilkie Collins

 

Nel Regno Unito Wilkie William Collins (1824-1889) è un monumento, insieme al suo grande amico Charles Dickens (tra parentesi: e c'hanno anche ragione questi spocchiosi inglesi: in Italia c'erano solo Manzoni e Nievo; per non parlare di Francia e Russia, coi loro Balzac, Flaubert, Gogol, Tolstoj, Dostoëvskij).

Chesterton scrisse che quei due «Erano due uomini che nessuno può superare nello scrivere storie di fantasmi».
E nell'olimpo dei padri fondatori del poliziesco Collins ha un posto di tutto riguardo: alcuni dei fondamentali del genere si devono a lui e alla sua capacità di traghettare la gothic novel in una zona letterariamente più plausibile.


La pietra di luna (The Moonstone, 1868), il suo romanzo più celebre, è ancora intriso di elementi gotici fra i più classici, ma già contiene i tratti del poliziesco a cui faranno riferimento generazioni di scrittori. Da notare che anche sul piano stilistico questo romanzo fu decisamente innovativo, perché la narrazione non è condotta in prima o in terza persona, ma in modo quasi corale, lasciando di volta in volta la parola ai personaggi principali.
Le opere di Collins segnano dunque la transizione verso il moderno poliziesco, e infatti numerosi lavori contengono sia decisivi spunti di innovazione sia elementi tipici della letteratura ottocentesca "a sensazione".

mercoledì 24 novembre 2021

Mauro Sighicelli: Maciste contro i Proci - Capitolo 4

 


Riassunto delle puntate precedenti:
 
1) Il commissario Bertini, assieme al fido scudiero Peppino, si recano a Itaca in vacanza e si trovano invischiati, loro malgrado, in una indagine poliziesca per risolvere un delitto. Scoprono infatti il cadavere di un procio morto sulla spiaggia di Itaca, in Grecia, mentre sono in vacanza. Bertini accetta di collaborare con l’ispettore greco Van Fakoulis per lo svolgimento delle indagini di rito.
2) Per identificare il Procio morto sulla spiaggia Bertini e Van Fakoulis si avvalgono della collaborazione del noto scrittore Roberto Roganti, in arte Grog, autore della trilogia di romanzi “Morte al Villaggio Giardino”, “Morte al Lido delle Nazioni”, “Morte al Palamolza” e in odore di premio Pulitzer 2018 in quanto esperto beccamorto. Quindi si recano alla reggia dove alloggiano i Proci per identificare il cadavere.
3) Grazie a una fotografia scattata con il nuovo cellulare del commissario Bertini, Penelope, regina di Itaca, risale all’identità del Procio morto, Ctisippo. Il nostro eroe e l’ispettore greco decidono di appostarsi per tutta la notte dietro a un divano nella sala della reggia per ricavare ulteriori elementi utili all’indagine. Nel frattempo, “Morte al Lido delle Nazioni” va a ruba in tutte le librerie greche.


4° CAPITOLO
Anfinomo, il più bel procio

Sopraggiunse la notte, buia e tenebrosa. L’ispettore Van Fakoulis e il commissario Bertini si erano nascosti dietro a un divano di stoffa gialla. Il divano era a due posti, molto invitante per dormirci sdraiati. Il commissario aveva l’aria imbronciata. L’ispettore chiese perché. “ … perché … perché … insomma, avrei dovuto dormire all’hotel Hellas, in fin dei conti ho pagato per una camera da letto fino alla fine della vacanza mentre non è certo piacevole stare nascosto qui dietro sveglio tutta la notte mentre gli altri clienti dormono beatamente in hotel.” “Preferisce che ci spostiamo da un’altra parte? Tanto fino ad ora non è ancora passato nessuno.” “E’ un buon nascondiglio, ma non è servito a niente. A questo punto sono davvero tentato di sdraiarmi sul divano per dormire almeno un po’; lei può continuare pure a stare nascosto.” Mentre i due poliziotti, stanchi per l’inutile e dispendioso appuntamento, continuavano a discutere sulla strategia investigativa, un’ombra furtiva apparve repente. Un uomo, vestito solo con una tunica, attraversò la buia stanza e si spostò in tutt’altra direzione. “Seguiamolo!” Bisbigliò l’ispettore. “Certo” confermò il commissario “ha visto com’è vestito?” “Sì. Con una tunica. Dall’abbigliamento presumo si tratti di un procio.” “Anch’io ho fatto lo stesso ragionamento. Inoltre, dato che è un procio che si sposta di notte, ho pensato anche che possa trattarsi del nostro uomo.” “Addirittura l’assassino?” “Sì. Se gira per le stanze stanotte, può essere stato sveglio anche ieri notte, quindi può avere ucciso Ctesippo per poi trasportarlo sulla spiaggia onde confondere le indagini. E’ già indiziato. Ma ora seguiamolo in silenzio per scoprire dove vuole andare.” Di soppiatto, senza fare alcun rumore, i due poliziotti seguirono il procio che furtivo attraversò alcune ali buie della reggia per raggiungere l’unica sala ancora illuminata seppur fiocamente e nascosta tra i meandri del maniero. Van Fakoulis fece segno a Bertini di muoversi con più circospezione e il commissario annuì alzando le braccia in segno di assenso, ma urtò inavvertitamente un comodino che dondolò pericolosamente. L’uomo riuscì per fortuna a fermarlo prima che si rovesciasse, cadde solo un libro al suolo che fece: ‘Toc!’ Il greco lanciò un’occhiata fulminante a Bertini che si affrettò a raccogliere il libro per rimetterlo in ordine. In quella breve frazione di secondi riuscì comunque a leggere il titolo, ‘Morte al Palamolza’, scritto da Roberto Roganti. Ancora un altro testo di quell’autore specializzato in autopsie, il mio intuito di commissario non sbaglia quando dice che tre indizi fanno una prova e che quindi sia opportuno domani sera partecipare alla presentazione del libro ‘Morte al lido delle Nazioni’ in programma nel castello di Penelope, per comprendere come mai ci siano così tanti testi di questo autore in giro per la reggia. Fortunatamente il procio non udì nulla, raggiunse l’unica sala illuminata da una fioca luce e entrò. Non visti, i due poliziotti spiarono all’interno e scorsero Penelope e le sue ancelle fidate impegnate a disfare la tela cucita durante il giorno. Udirono Penelope sospirare: “Finalmente sei arrivato, mio dolce Anfinomo” e si scambiarono subito uno sguardo d’intesa; forse avevano scoperto l’amante segreto della regina. Ma quale fu la loro sorpresa nello scorgere Anfinomo, il più bello, il più assennato, il più cortese e prudente dei proci sedersi vicino a Penelope e alle ancelle e, invece di corteggiare la regina, prendere ago e filo per aiutarle a disfare la tela. Quando poi Anfinomo sospirò raggiante quanto gli piacesse fare i lavori da femmina, i due poliziotti intuirono la verità e Van Fakoulis sbottò: “Ma allora è un procio frocio!” Bertini lo corresse in maniera garbata. “Procio frocio è un termine troppo volgare. Meglio dire gay, omosex.” “In Grecia diciamo pederastra.” “Beh, se è per questo a Napoli si dice ‘ricchione’ e a Milano ‘culattun’. Ma sono termini dispregiativi troppo scurrili che non fanno certo onore a chi li pronuncia.” “Comunque sia è un procio frocio.” “Senza dubbio. Non credo proprio che attenterà all’onore della regina e a questo punto dubito anche che possa trattarsi dell’assassino. Propongo di allontanarci in silenzio, per stanotte abbiamo già raccolto sufficienti indizi. Torneremo domani sera nella reggia quando il becchino Grog presenterà il suo libro. Il mio sesto senso mi dice che tra i presenti potrebbe celarsi l’assassino e quindi la nostra presenza è quanto mai opportuna.” “D’accordo, commissario Bertini. Appuntamento quindi a domani sera, sgattaioliamo via senza farci scoprire e buonanotte.” I due poliziotti uscirono dalla reggia di nascosto e il nostro eroe riuscì così a raggiungere la pensione Hellas prima dell’alba e si concesse un breve riposo prima del sorgere dell’alba.

lunedì 22 novembre 2021

Georges Bizet + Sinfonia in Do maggiore


nato Alexandre-César-Léopold Bizet
(Parigi, 25 ottobre 1838 – Bougival, 3 giugno 1875)

Di famiglia di musicisti, fu allievo di Halévy a Parigi e nel 1857 vinse l'ambito Prix de Rome del Conservatorio, trascorrendo poi fino al 1860 un periodo fecondo di risultati creativi a Roma, Napoli e Venezia. Rientrato a Parigi, lavora presso il Théàtre Lyrique, mentre la sua produzione operistica non riesce ad imporsi e viene duramente criticata. Nel 1869 sposa la figlia di Halévy e passa all'Opéra come maestro di canto, proseguendo instancabile l'opera di compositore nonostante le difficoltà e le incomprensioni. Nemmeno il suo capolavoro, Carmen, incontrò alla prima esecuzione il successo del pubblico: solo dopo la morte, avvenuta in circostanze finora non chiarite, doveva avere inizio la parabola ascendente della sua fortuna, nei teatri e nelle sale da concerto di tutto il mondo.
Tra il 1873 e il 1875 Bizet lavora alla Carmen, il suo capolavoro, opera affascinante per la ricchezza dell'invenzione musicale, il melodismo morbido e sensuale, la duttilità dell'armonia, la leggerezza delle danze e degli elementi folklorici. Un'opera che avrà fra i suoi più entusiastici ammiratori Friedrich Nietzsche, Pëtr Il'ič Čajkovskij, Giacomo Puccini, Johannes Brahms e più tardi il giovane Sigmund Freud.
Ma il soggetto, tratto da una novella di Prosper Mérimée e ambientato nella Spagna degli zingari e dei toreri, suscita un forte scandalo e all'esito deludente della "prima" fa seguito la reazione aspra e violenta della stampa. Il fragile sistema nervoso di Bizet ne è profondamente turbato. Ad aggravare la situazione sopravviene un violento attacco di angina con crisi di soffocamento, tanto che il trentasettenne compositore è costretto su una sedia a rotelle. Il 28 maggio 1875 parte con Geneviève per Bougival dove, rinfrancato da un paio di giorni di tranquille passeggiate, si concede un bagno nel fiume: un'imprudenza che gli provoca un accesso di febbre reumatica e una crisi cardiaca. Il 2 giugno la crisi pare superata. La sera all'Opéra-Comique va in scena la trentatreesima replica di Carmen; nella notte Bizet muore (3 giugno 1875). Sulle cause del decesso la famiglia fornisce versioni contrastanti: non è stato mai chiaro se Bizet sia morto di un attacco di cuore, di angina o se la grave depressione l'abbia portato al suicidio.
I funerali si svolgono il 5 giugno a Parigi, nella chiesa della Trinité a Montmartre, alla presenza di quattromila persone.

Le composizioni orchestrali di Bizet si distinguono per la clarté tutta francese, per l'eleganza e la leggerezza ma anche per la sclidità della loro struttura e la ricchezza inventiva. Se il suo nome resta legato soprattutto a Carmen, simbolo immortale dell'opera francese, anche la sua produzione orchestrale presenta quella vivezza di coloriti e quell'equilibrio luminoso che i pubblici di tutto il mondo lodano nel suo capolavoro.
I modelli del compositore sono classici - da Beethoven a Rossini -, ma egli ha molto di suo da dire, e lo dice con incisività, con pregnanza di discorso, va diretto allo scopo espressivo che si propone: Bizet è uno spirito quasi mozartiano nella sua limpidità, ma è fortemente colorito da una venatura romantica che fa di lui uno dei rappresentanti piu completi e significativi della musica francese. 


Composta a soli 17 anni d'età, questa Sinfonia rimase a lungo sconosciuta, e solo nel 1935 venne eseguita incontrando notevole successo di pubblico e di critica. Nonostante l'inesperienza del giovanissimo compositore, essa è un piccolo modello di eleganza, una pagina fluente e ben disegnata che emana una tenue aura romantica. A dimostrazione della lineare e tersa scorrevolezza di questa composizione diremo solo che essa fu utilizzata in tempi recenti da George Balanchine per farne un balletto puro, che è cioè astratta interpretazione dei disegni musicali della partitura bizetiana. 

L'impianto formale della Sinfonia, che potrebbe essere considerata un saggio di studio se non fosse per la freschezza e la già notevole personalità delle idee musicali, è agile e rapido.
All'Allegro vivo dell'inizio segue un Adagio culminante in un delizioso fugato, poi lo Scherzo in tempo Allegro vivace e un altrettanto rapido finale, sapido e mordente nella trasparenza delle sue linee. 

venerdì 19 novembre 2021

Big Sleeping

 Big Sleeping, Ita, 1976 / Daniele Panebarco

In parte ispirato al Philip Marlowe di Raymond Chandler - e certo non a caso il nome deriva dal titolo di un suo romanzo interpretato sullo schermo dal grande Humphrey Bogart, Il grande sonno -, Big Sleeping ha ereditato da questo famoso personaggio una certa malinconia e un pizzico di cinismo.

Ma Daniele Panebarco, grande appassionato di letteratura popolare - dal poliziesco alla fantascienza, dal feuilleton al rosa - oltre che di cinema, l'ha dotato anche di un simpatico senso dell'umorismo, impegnandolo nella soluzione di casi curiosi e strampalati che vanno dal furto della stella di Natale alla ricerca di Godot, dalla scoperta dell'America a storie nelle quali sono implicati gli dèi greci e romani.

Apparso inizialmente sulle pagine de Il Mago e successivamente su quelle di Orient Express, Linus e Comic Art, con il passare del tempo questo personaggio, che all'inizio era un piccoletto con il volto perennemente nascosto dal cappello, è mutato non poco graficamente, diventando alto e allampanato, mentre le storie hanno sempre mantenuto un tono vagamente surreale.

Daniele Panebarco (Ravenna, 4 ottobre 1946) esordisce su OffSide mentre ancora studia al Dams di Bologna. Nel 1973 vince il concorso annuale del quotidiano Paese Sera per la creazione di una nuova striscia e tre anni più tardi dà vita sulle pagine de il Mago al suo peronaggio più famoso, l'investigatore privato Big Sleeping, che in seguito apparirà anche su altre testate.

Abilissimo nel mescolare spunti e personaggi della cronaca quotidiana con i grandi miti della storia del cinema, Panebarco, che si occupa anche di animazione, ha in seguito dato vita a numerosi altri personaggi.

giovedì 18 novembre 2021

Jules Maigret vs Georges Simenon



Poche date contano nella storia della narrativa poliziesca tradizionale o no come il 1929. Quell'anno, infatti, mentre con Il falcone maltese l'americano Sam Spade di Dashiell Hammett diventò un vero e proprio eroe di romanzo, iniziò la sua carriera, con Pietr le Letton, un altro grande investigatore di carta: il francese commissario Maigret - concepito durante una crociera sul cutter Ostrogoth - di Georges Simenon.
È davvero una coincidenza straordinaria, ma le coincidenze in letteratura - perché di buona letteratura si tratta a proposito di Hammett o Simenon, letteratura superiore anche a quella di Chesterton, di Collins e persino del Poe, delle tre storie di Dupin - non sono mai troppo occasionali, troppo fortuite: il genere, pur logorandosi, aveva raggiunto una diffusione enorme, prima o poi, come in tutti i generi, doveva-imporsi il poeta, capace di riscattare gli schemi con il tocco della vita, di umiliare l'artificiosità davanti alla naturalezza.
Di naturalezza, appunto, non di naturalismo, si deve parlare per i libri polizieschi di Simenon: una naturalezza più naturale del naturale stesso, l'attrazione di un'opera che pare non voler conoscere costrizioni di misura ed entità, che ha continuato a espandersi, trionfo e insieme minaccia di fine per l'avventura d'una narrativa che i suoi stessi creatori avevano concepito meccanica e gli sfruttatori avevano fatto diventare assurda, una specie di vizio più o meno - più meno che più - intellettuale.

È anche uno dei rari investigatori della storia della narrativa poliziesca di cui si conosca a fondo la vita privata. È forse l'unico (fa eccezione Nero Wolfe, ma per ragioni tutte sue), che vediamo muoversi dentro le mura di casa sua, dove vive, opera, domina l'altro personaggio di Simenon, la signora Maigret. Inscindibile dal marito. Henriette Maigret, che donna è?
La signora Maigret non è un'aristocratica, è una donna semplice, dall'aria dimessa. È però dotata, e questo lo si deduce dalla lettura dei vari romanzi, di bontà d'animo eccezionale e di una altrettanto eccezionale pazienza. Inoltre è una cuoca perfetta, (e come se no, visto che per Maigret il cibo è una delle poche consolazioni della vita?), una encomiabile donna di casa, metodica ordinata, pulita. È insomma la moglie ideale, forse per qualsiasi tipo di uomo, ma soprattutto per Maigret, un uomo senza orari, disordinato, poco loquace, spesso con la luna per traverso, irritabile e nervoso quando non ha un lavoro che lo interessa, ancor più irritabile e nervoso quando ha per le mani un caso che non riesce a sbrogliare. Un uomo sempre immerso nel fumo, e nella cenere, della sua pipa, anzi delle sue pipe.
Povera signora Maigret! Appena sposata, ci racconta Simenon, rideva, rideva per ogni minima cosa. Col passare degli anni si limita a sorridere e prende la vita con quella infinita saggezza che poi è diventata una delle sue principali caratteristiche. Senza figli, ha riversato sul suo marito-orso tutto l'affetto di cui è capace. Lo aspetta paziente, lo accudisce, lo vizia (la birra fresca sempre pronta, mai un rimprovero), e ogni tanto, seduta in poltrona a sferruzzare gli parla mentre lui distratto armeggia con la pipa tra un sorso e l'altro di calvados. E infine lo aiuta. Sì, lo aiuta, a chiarirsi le idee, con qualche frase buttata lì a caso, con qualche intuizione geniale e con tanti pettegolezzi. Un po' alla Miss Marple, insomma.


Georges Joseph Christian Simenon (Liegi, 13 febbraio 1903 – Losanna, 4 settembre 1989).
Tra i più prolifici scrittori del XX secolo, Simenon era in grado di produrre fino a ottanta pagine al giorno. A lui si devono centinaia di romanzi e racconti, molti dei quali pubblicati sotto diversi pseudonimi. La tiratura complessiva delle sue opere, tradotte in oltre cinquanta lingue e pubblicate in più di quaranta Paesi, supera i settecento milioni di copie.
Lo stile di scrittura di Simenon è caratterizzato, nonostante il vocabolario scarno e la rinuncia a qualsiasi finezza letteraria, da atmosfere molto dense. Il suo lavoro arriva, nelle sue stesse parole, dal "popolo nudo", dall'uomo che viene alla luce dietro tutte le possibili maschere. 
La narrativa di Simenon è caratterizzata da storie nelle quali i personaggi, quasi sempre umili o appartenenti alla piccola borghesia, ma anche ricchi e rinomati, si trovano coinvolti in vicende drammatiche. Pur utilizzando uno stile narrativo asciutto e poco incline a estetismi letterari, le sue opere dimostrano una notevole capacità di ritrarre con arguta psicologia vicende dal sapore profondamente umano. Con Simenon si giunge alla borghesizzazione del racconto giallo: piccoli uomini spersi nelle traversie della vita passano sotto la lente di un osservatore attento e analitico, che nelle sue opere non si dilunga in descrizioni favolistiche di luoghi e persone, ma anzi ad esse dedica spesso poche e asciutte, anche se esaustive, righe. Tutto è crudo e brutalmente trasparente, tutto è nuda realtà.

mercoledì 17 novembre 2021

Mauro Sighicelli: Maciste contro i Proci - Capitolo 3


Riassunto: Il commissario Bertini e il suo fido agente Peppino scoprono il cadavere di un Procio morto sulla spiaggia di Itaca, in Grecia, mentre sono in vacanza. Bertini accetta di collaborare con l’ispettore greco Van Fakoulis per lo svolgimento delle indagini di rito.
Per identificare il Procio morto sulla spiaggia Bertini e Van Fakoulis si avvalgono della collaborazione del noto scrittore Roberto Roganti, in arte Grog, autore della trilogia di romanzi “Morte al Villaggio Giardino”, “Morte al Lido delle Nazioni”, “Morte al Palamolza” e in odore di premio Pulitzer 2018 in quanto esperto beccamorto. Quindi si recano alla reggia dove alloggiano i Proci per identificare il cadavere.


3°CAPITOLO
Alla reggia di Penelope

Durante il tragitto che li separava dagli appartamenti reali Van Fakoulis aggiornò Bertini sull’attuale situazione a casa dell’assente Ulisse. Dei 108 pretendenti iniziali molti proci avevano preferito abbandonare il maniero, stanchi di attendere che Penelope finisse di tessere la tela. Praticamente erano rimasti solo quattordici proci, quindi senz’altro uno di loro era il procio morto. L’ispettore suonò il campanello e un maggiordomo in livrea li fece accomodare. Percorsero il viottolo d’ingresso e Bertini notò che il giardino era ben curato e in ordine, segno di abbondanza di servitù. Due ancelle con il volto celato attraversarono furtivamente il cortile, dovevano essere state sorprese in un luogo proibito. Il commissario dubitò che fossero infedeli e che quindi avessero qualcosa da nascondere; riuscì solo a sbirciare il colore rosa della veste di una di loro, che contrastava con il verde delle piante. Se Ulisse fosse stato davvero in procinto di tornare le avrebbe senz’altro punite con la morte. Valicarono la porta d’ingresso e furono fatti accomodare in un’ampia sala, il maggiordomo li fece sedere su due divani e si allontanò per andare ad avvisare Penelope del loro arrivo. Per ingannare il tempo di attesa, Bertini cercò una rivista da sfogliare e trovò con un certo stupore un altro libro giallo di Roberto Roganti, ‘Morte al Lido delle Nazioni’, predisposto sul tavolino per gli ospiti. Che strana coincidenza, pensò il commissario, un libro in italiano fra tante riviste e proprio dell’autore presente in questi giorni sull’isola. Chissà se lo scrittore sarà ricevuto a corte. “Ottima scelta, commissario. L’autore di quel libro verrà a presentarlo proprio qui domani sera, nel mio castello, per allietare la serata ai proci, piuttosto provati dalla lunga attesa per la scelta del futuro re” la voce di Penelope risuonò calda e cordiale mentre la bellissima donna si avvicinava ai due poliziotti. “Piacere di conoscervi, sono Penelope, la regina di Itaca. A cosa devo l’onore della visita?” “Uno dei proci è stato trovato morto sulla spiaggia. Vorrei sapere chi sia!” Domandò l’ispettore greco alla padrona di casa. “Non lo so proprio. Me lo può descrivere?” “… ma… è un uomo … due gambe, due piedi, due braccia, due mani, due occhi, due orecchie ma un naso e una sola testa” rispose Van Fakoulis. “La descrizione non mi suggerisce nulla, non mi dice niente; sono rimasti quattordici proci, tutti con queste caratteristiche. Guardi, si potrebbe fare così: aspettiamo l’ora di cena e vediamo chi manca. Se un procio è morto ci sarà una sedia che rimarrà vuota e basterà per identificare il commensale assente.” L’ispettore approvò il piano di Penelope ma il commissario scosse il capo, in cenno di diniego. “Mi duole dissentire, collega, ma non posso proprio trattenermi fino all’ora di cena perchè usufruisco del trattamento di mezza pensione, quindi ho la cena gratis. Non potremmo anticipare all’ora di pranzo questo controllo?” “No” rispose Penelope “i proci sono andati a fare una gita e l’escursione dura fino a sera. Hanno portato con loro il pranzo al sacco.” “Questo complica ulteriormente il nostro lavoro” congetturò stizzito Van Fakoulis “potremmo tornare dopo cena e lei, signora Penelope, ci potrebbe dire il nome del procio morto.” “A dire la verità, una soluzione ci sarebbe per guadagnare tempo. Quando eravamo sulla spiaggia a ispezionare il cadavere, l’ho fotografato con il telefonino. Ora glielo mostro, signora Penelope, e vediamo se lei lo riconosce.” La regina si avvicinò  al commissario per scrutare meglio lo schermo e lui si sentì sfiorare le spalle dal corpo sinuoso della bellissima donna. In quell’istante avrebbe voluto essere anche lui un procio per poter ambire alle nozze con un donna così bella. Penelope trasalì: “Si tratta di Ctesippo, il più ricco di tutti i proci, ma anche il più arrogante e scortese. Non ci posso credere,  davvero è lui il procio morto?” “Sì, la sua testimonianza è più che attendibile, regina. Ora che il cadavere ha un nome, dobbiamo scoprire chi sia l’assassino. Per caso questo Ctesippo aveva dei nemici?” “Certo” rispose Penelope “senz’altro tutti gli altri tredici proci con cui era in competizione. Ma non posso escludere che possa avere litigato con altri abitanti dell’isola.” Bertini sembrò dubbioso, si consultò con il collega greco e entrambi convennero che fosse necessario vegliare nella reggia per notare qualcosa di anomalo. “Se il procio è morto di notte, è in quella fascia oraria che agisce l’assassino; se siamo fortunati lo coglieremo sul fatto, oppure acquisiremo altri elementi utili all’indagine.” Suggerì Van Fakoulis, ma il commissario mostrò segni d’impazienza perché l’ora della cena era prossima e l’uomo non voleva rinunciare al trattamento di mezza pensione. “Sa già quale sia il menù?” “Certo, è scritto sulla lavagna all’ingresso della sala da pranzo. Ci sono gli spaghetti al pomodoro con la possibilità di fare il bis, l’arrosto di vitello, il buffet di verdure e il budino come dessert. Inoltre ho diritto a un quarto di vino e a mezza di minerale.” “E allora non indugi, commissario, e appuntamento dopo cena per iniziare gli appostamenti dentro a questo edificio.” I due poliziotti si accomiatarono dalla bellissima Penelope e Bertini si affrettò a raggiungere la pensione Hellas.


lunedì 15 novembre 2021

Hector Berlioz + Fantasy Symphony Op.14


(La Côte-Saint-André, 11 dicembre 1803 – Parigi, 8 marzo 1869)

Figlio di un medico, era tanto dotato musicalmente che a dodici anni scriveva le prime composizioni. Recatosi nel 1822 a Parigi, dove per volontà del padre avrebbe dovuto seguire gli studi di medicina, si dedicò interamente alla musica, perfezionandosi dal 1826 al '28 con Reicha e Lesueur al Conservatorio.
Nel 1831 è a Roma, dove conosce Mendelssohn e forse Glinka, e nel 1832 è di nuovo a Parigi, dove deve lottare contro ristrettezze finanziarie e contro disavventure familiari. Inizia allora l'attività critica, e dal 1835 al '63 scrive per il "Journal cles débats"; intanto organizza concerti di proprie musiche e viene notato da Paganini. 
Nel 1838 entra al Conservatorio come vice-bibliotecario, e nel 1839 conosce il primo incontrastato successo di pubblico con Roméo et Juliette.
Nel 1854, morta la prima moglie, si risposa con una cantante, e con lei continua le tournées, già iniziate nel 1843, in tutti i paesi d'Europa come acclamato e conteso direttore d'orchestra. Ma le sue composizioni a Parigi non incontrano ancora uno stabile favore, mentre l'affezionato amico Liszt arriva a organizzargli a Weimar nel 1855 un "Festival Berlioz."
Negli ultimi anni è nuovamente perseguitato dalle sventure familiari: gli muoiono l'affezionata sorella e la seconda moglie, e nel '68 scompare il suo amico carissimo Humbert Ferrand. Si attenua così anche l'attività compositiva, proprio mentre il suo genio incomincia ad essere finalmente riconosciuto in Francia e fuori. Nel 1867-68 si reca in Russia (dov'era già stato nel 1847), e ancora una volta è accolto trionfalmente: ma la sua fibra è minata dalle fatiche e dal dolore, e tre mesi dopo il ritorno muore in un sonno letargico.

Genio multiforme, letterato di vaglia oltre che musicista nato, temperamento originale se non bizzarro, passionale ed estroso come pochi altri, battagliero e ottimista ma incline anche a subiti, improvvisi tracolli psichici, Berlioz è una delle figure piu pittoresche e anche uno dei talenti piu ammirevoli che abbia avuto la musica. I contemporanei lo giudicarono nei modi piu diversi e contrastanti: Mendelssohn, Saint-Saens e altri ancora negarono che egli avesse un valore come creatore; Schumann, Heine, Liszt, invece, lo esaltarono come un autentico genio, e qualcuno sostenne addirittura che egli fosse il più grande musicista mai esistito.
Questa disparità di giudizi trova in verità una sua giustificazione nella musica di Berlioz. Sinfonista nato, egli si ricollega da un lato a Beethoven e conserva della scuola classica il gusto, anzi il bisogno imperioso dello sviluppo tematico, del respiro sinfonico nel senso più vasto. Tuttavia la sua fantasia accesa, l'incostanza della personalità, il suo forte gusto letterario, lo portano a correggere sensibilmente questo indirizzo. Egli squassa la forma sinfonica con la passionale violenza delle idee, la rimpolpa e la fa rivivere attraverso l'esigenza programmatica, che in lui fu viva come in pochi altri musicisti e che ce lo indica addirittura come l'iniziatore di una tendenza che culminerà nella forma del poema sinfonico. Tuttavia resta musicista non descrittivo, e il suo esser saldamente radicato nella migliore tradizione classica dà alla sua produzione una sostanza espressiva che nelle pagine piu felici attinge notevoli altezze. La sua ispirazione resta disuguale, ed egli può, improvvisamente quanto inaspettatamente, passare da episodi di meravigliosa effusione lirica o drammatica a momenti di banalità che era comprensibile facessero storcere il naso a un compositore raffinato ed equilibrato come Mendelssohn (che definì "incredibilmente disgustosa" la Sinfonia fantastica).
Per poter dare degna veste musicale ai parti della sua fantasia, Berlioz si indusse ad ampliare, arricchire e insomma rivoluzionare l'orchestra, studiando di ogni singolo strumento le caratteristiche piu peculiari per sfruttarle al servizio delle sue idee: fu cosi il primo "strumentatore" nel senso virtuosistico e moderno del termine, diretto predecessore di Rimski e di Strauss e di tutto il sinfonismo descrittivo e coloristico del tardo Ottocento. Egli strappa agli strumenti i suoni più inconsueti e insospettati, li costringe a cantare in registri insoliti, li spinge ad evoluzioni tecniche inimmaginabili prima d'allora. Non solo, ma introduce strumenti poco usati, retaggio delle bande o di certe formazioni orchestrali particolari (come il clarinetto piccolo, le campane, i flicorni e il flauto contralto), raddoppia o moltiplica occasionalmente le sezioni dei corni, degli ottoni e della percussione, introduce e crea ex nova una serie di nuovi equilibri tra le varie parti dell'orchestra dando vita a un complesso di opere che per decenni diventeranno testi insostituibili per lo studio della strumentazione (del resto egli stesso sistematizzò la sua scienza di orchestratore in un trattato ancor oggi assai pregevole). Per dare una idea della singolarità della sua personalità di musicista, citiamo l'organico del "Tuba mirum" del Requiem: sono circa 60 strumenti a fiato (tra cui 8 fagotti, 8 corni e 16 tromboni), ben 16 timpani e una quantità stragrande di strumenti ad arco, tra cui 18 contrabbassi. 
Oltre a diverse opere teatrali e a una gran quantità di musica vocale (per lo più per coro e per soli e orchestra), Berlioz lasciò 6 ouvertures, pezzi per strumento solista e orchestra e la famosa Sinfonia fantastica, archetipo di tutta la moderna musica a programma.

Composta a soli 27 anni questa Sinfonia, che ha per sottotitolo "Episodi della vita d'un artista" ed è dedicata allo Zar Nicola I, spinse decisamente il suo autore alla ribalta musicale internazionale. Essa era nata come sfogo appassionato di un dolore profondo che all'artista aveva procurato la bionda attrice Harriett Smithson, sua futura moglie: senza rendersene conto, Berlioz dava vita al primo esempio di musica a programma che si conosca, prototipo di tanta parte del sinfonismo ottocentesco, in particolare dei "poemi sinfonici" degli autori posteriori. Riversando la sua passione in questa imponente partitura, Berlioz tracciò infatti un vero e proprio programma, attribuendo a ogni pezzo della composizione un preciso contenuto narrativo. Nonostante tutto siamo però dal punto di vista formale nel campo della sinfonia, e il modello di Berlioz è qui ancora Beethoven: rispetto allo schema della sinfonia classica vi è infatti solo l'aggiunta di un brano, mentre la disposizione dei tempi rimane più o meno ancora quella stabilita dal classicismo viennese.
L'organico, senza scostarsi eccessivamente da quello della grande orchestra beethoveniana, presenta alcune novità: tra l'altro il clarinetto piccolo (che compare qui probabilmente per la prima volta nell'orchestra sinfonica), due tube, campane, ben quattro timpani e una folta schiera di archi (almeno 60 in tutto). Ed ecco il "programma" del pezzo: un giovane musicista, avvelenatosi per amore con l'oppio, cade in un sonno profondo, in cui le sue sensazioni e i suoi ricordi si traducono in immagini musicali. La sua amata si trasforma in una melodia, che ritorna continuamente nel corso della Sinfonia: è la famosa "idée fixe" della Sinfonia.

Nel primo tempo - intitolato "Sogni, passioni" e costituito
da un 'Largo' introduttivo e da un 'Allegro agitato e appassionato assai' - il giovane ricorda la situazione del suo animo prima e dopo aver conosciuto la donna amata, con le sue melanconie e poi con le angosce deliranti e i furori di gelosia.
Il secondo tempo è "Un ballo" (valzer): il protagonista incontra l'amata durante una festa brillante, nel corso di un ballo.
La terza parte è una "Scena campestre" ('Adagio'): una dolce atmosfera pastorale acquieta l'animo esacerbato del giovane, interrotta solo per un momento dall'apparizione dell'amata, che ridesta nel suo cuore le apprensioni più disperate.
Ed ecco la "Marcia al supplizio" ('Allegretto non troppo'): il giovane sogna di aver ucciso l'amata, di essere condannato a morte e condotto al supplizio. Il brano descrive il corteo lugubre e solenne, e alla fine ricompare per un momento l'amata, in una breve visione.
L'ultimo tempo s'intitola "Sogno di una notte del Sabba"
('Larghetto-Allegro'). L'amante si trova in mezzo a una folla d'ombre e di stregoni; l'"idée fixe" ricompare, in veste ormai di una danza triviale e grottesca (si noti l'uso parodistico del clarinetto piccolo): è l'amata che viene al Sabba, mescolandosi all'orgia. Le campane rintoccano a morto parodiando il Dies irae e il Sabba si conclude con una ridda infernale.
Dopo aver letto questo programma l'ascoltatore può anche
dimenticarselo tranquillamente: la ricchezza della musica, la varietà delle atmosfere, la genialità di certe intuizioni melodiche e timbriche e la solidità della struttura formale è tale, che la Sinfonia fantastica resta un pezzo di musica pura, turgida ed espressiva come poche altre pagine del grande compositore francese.

venerdì 12 novembre 2021

Bertha Cool

Bertha Cool, Stati Uniti, 1939 / A. A. Fair

Titolare dell'Agenzia investigativa Cool, aperta dopo la morte del marito, Bertha Cool è sulla sessantina ed è descritta coi capelli grigi e gli occhi azzurri e vivaci. Specie di Nero Wolfe in gonnella, pesa oltre un quintale e cammina con passo sicuro e spedito. Apparentemente materna e bonaria, per via del fisico massiccio, ha in realtà un caratteraccio e ama esprimersi con un linguaggio da scaricatore di porto.

Nemica dei vestiti stretti, è molto tirchia e non sa neppure cosa sia il nervosismo. Il suo socio, l'ex avvocato Donald Lam, radiato dall'ordine professionale per una vecchia storia mai ben chiarita, l'ha definita una volta «maestosa come una montagna ammantata di neve, stabile e massiccia come un rullo compressore».
Lui è mingherlino e «ha un colorito che fa pensare alla pancia di un pesce, le guance incavate e gli occhi infossati». Nonostante le apparenze è molto intelligente e, anche se non ha un fisico prestante e non è particolarmente alto, piace molto alle donne.

Donald Lam è il braccio e non esita a buttarsi allo sbaraglio mentre Bertha Cool è la mente e preferisce starsene in ufficio a pensare, coi gomiti sulla scrivania, anche se non è così sedentaria come il mastodontico Nero Wolfe.
Iniziato con Donald Lam, investigatore (The bigger they come, 1939), il riuscito sodalizio tra i due è durato una trentina di romanzi.

Può essere curioso ricordare che in seguito alla pubblicazione di questo primo romanzo, nel quale Donald Lam insegna inconsapevolmente a una cliente come commettere un delitto perfetto grazie a una scappatoia legale, la Corte della California ha modificato una legge che dava realmente a un assassino la possibilità di sfuggire alla giustizia. Nessuno aveva mai rilevato né tantomeno utilizzato quella possibilità, ma non bisogna dimenticare che l'autore, meglio noto con il proprio nome - Erie Stanley Gardner, con il quale firma le avventure del popolarissimo avvocato Perry Mason - è proprio un avvocato e conosce in maniera approfondita le leggi e le varie sottigliezze giuridiche statunitensi.

Cool e Lam sono apparsi per la prima volta in televisione nell'episodio del 6 gennaio 1955 di Climax! basato sul romanzo d'esordio, The Bigger They Come (1939). Art Carney come Donald Lam e Jane Darwell come Bertha Cool ma questo episodio è considerato "perso".

Climax! "The Bigger They Come" on WJBK-TV, Channel 2 (Thursday, 1/8/55 ad, in The Toledo Blade Peach Section)

Un programma pilota di 30 minuti chiamato Cool and Lam è stato realizzato nel 1958 ma non è mai diventato una serie. Billy Pearson è stato scelto come Donald Lam e Benay Venuta come Bertha Cool. Il pilot era vagamente basato su Turn On the Heat. Una caratteristica interessante è che, pochi minuti dopo l'inizio del programma, Erle Stanley Gardner viene mostrato sul set dell'ufficio di Perry Mason. Parla direttamente allo spettatore, introducendo i personaggi e parlando del suo apprezzamento per il casting e delle sue speranze che il pilot diventi una serie. Non è chiaro se questo pilot sia mai stato trasmesso e, in tal caso, se questo segmento con Gardner sarebbe stato incluso, poiché ha spinto la durata del programma a 30 minuti e non ha consentito la pubblicità.



I romanzi con Bertha Cool sono stati pubblicati in Italia da Mondadori.

 

giovedì 11 novembre 2021

La saggezza di padre Brown di Gilbert K. Chesterton

 

La saggezza di padre Brown è la seconda antologia dedicata alle avventure spiritual-investigative dell'acuto Joseph Brown che, con le sue ironiche e talvolta assurde confutazioni, affronta ancora il crimine e la morte con socratica saggezza. Il suo scopo è di arrivare a conoscere il senso anche delle azioni più assurde compiute dagli uomini, per condurli ad un cammino verso la conoscenza che ognuno deve compiere da sé, per se stesso e la propria salvezza. I teatri in cui si muove questa volta l'acuto pretino dell'Essex, accompagnato dal fedelissimo Hercule Flambeau, investigatore con un passato da ladro, sono L'Italia, l'Inghilterra, la Germania e la Francia.


Scrittore inglese che dalla Chiesa anglicana passò a quella cattolica ("per amore della salute, dell'allegria e dell'immaginazione" disse, evidentemente equivocando assai), che creò questa singolarissima figura di detective proprio quando trionfavano tutt'altri personaggi: l'iperrazionalista S. H., l'infernale Fantômas, Lupin bon vivant, il vulcanico Vidocq, e tanti altri romantici avventurieri.
Scrittore estremamente prolifico e versatile, scrisse un centinaio di libri, contributi per altri duecento, centinaia di poesie, un poema epico, cinque drammi, cinque romanzi e circa duecento racconti, tra cui la popolare serie con protagonista la figura di padre Brown. Fu autore inoltre di più di quattromila saggi per giornali. Amò molto il paradosso e la polemica, contribuendo inoltre alla teoria economica del distributismo.


mercoledì 10 novembre 2021

Mauro Sighicelli: Maciste contro i Proci - Capitolo 2

 

Riassunto 1° capitolo: il commissario Bertini e il suo fido agente Peppino scoprono il cadavere di un Procio morto sulla spiaggia di Itaca, in Grecia, mentre sono in vacanza. Bertini accetta di collaborare con l’ispettore greco Van Fakoulis per lo svolgimento delle indagini di rito.


2° CAPITOLO
All’Hotel “Hellas”

L’hotel Hellas era un tre stelle. La clientela era per la maggior parte italiana. C’erano però due danesi, due dalmati, qualche russo, un macedone.  I clienti italiani stavano assediando uno scrittore di romanzi gialli che evidentemente doveva essere famoso. Pretendevano la firma dell’autore in cambio dell’acquisto di un libro, ‘Morte al villaggio Giardino’, desiderosi di andarlo a leggere in spiaggia. Bertini non conosceva l’autore, tale Roberto Roganti, ma comprese dai vari discorsi estrapolati che aveva uno pseudonimo, Grog; ‘è un soprannome bizzarro’, pensò, ‘chissà a cosa è collegato’. L’intuito lo indirizzò verso il nuovo personaggio perché in una indagine quando il colpevole non è certo tutti possono essere indiziati. Dovette pazientare almeno mezz’ora prima di presentarsi, c’era troppa fila per gli autografi di rito. Lo scrittore di professione aveva fatto il becchino e quindi era esperto in autopsie. “Nella mia carriera ne ho viste di tutti i colori, tanto che la mia teoria è che parlano più i morti che i vivi in una indagine che si rispetti. Commissario, posso regalarle una copia del mio romanzo ‘Morte al villaggio Giardino?’ Mi farebbe piacere se lei potesse leggerlo durante il soggiorno a Itaca.” Bertini si schernì. “Grazie, è un pensiero gentile ma non vorrei privarla di una copia. Mi consenta almeno di poter pagare il libro…” “Non se ne parla neanche! Ne ho scritti altri due di questa serie, ‘Morte al Lido delle Nazioni’ e ‘Morte al PalaMolza.’ Fanno parte della collana ‘Senza Scarpe’.” “Questa collana la conosco! E’ diffusa in tutto il nord Italia perché è specifica per i gialli e per i noir e a noi della giudiziaria è utile per trarre spunti a volte risolutivi nel corso delle nostre indagini.” “Ha letto ‘Evanishing’?” “Sì.” “E il numero due, ‘L’ombra del Signore?” “Sì, è il capolavoro di Mauro Sighicelli, è geniale. E’ un testo che utilizziamo alla scuola di polizia locale. Mi perdoni, signor Grog, ma potrei chiederle il favore di esaminare un cadavere greco?” Lo scrittore sembrò disponibile e Bertini lo accompagnò all’obitorio perché non era convinto delle argomentazioni edotte dall’ispettore locale. Grog fece un’accurata visita al corpo morto ma non eseguì l’autopsia non essendo autorizzato. “Comunque non occorre sezionare il cadavere. Ho abbastanza elementi per affermare con sicurezza che sia un procio morto.” “Perché?” Chiese Bertini. “Perché la pancia è piena. Quest’uomo ha mangiato tanto e i proci sono gli unici che mangiano a sazietà, mentre i greci si limitano nel desinare a causa della crisi. C’è un debito pubblico in questa nazione che fa paura. Un altro elemento che depone a favore della mia tesi è: ‘una faccia una razza’. Gli italiani e i greci infatti hanno la stessa faccia, quindi appartengono alla stessa razza.” “Questo non lo accetto!” ribadì stizzito Bertini “non esistono differenze di razza su questo pianeta, non siamo affatto divisi tra bianchi e neri! Al mondo esiste una sola razza, quella umana!” “Bravo commissario!” Lo incoraggiò Van Fakoulis “anch’io la penso così. Almeno, signor becchino, è in grado di risalire all’ora della morte?” Grog toccò il procio morto. “Il corpo è freddo. E’ morto stanotte, quando faceva freddo.” Bertini scrutò l’ispettore greco. “Quindi è presumibile ritenere che sia stato ucciso prima dell’alba. Dove alloggiano i proci?” “Al castello del re. Raggiungiamo quindi la reggia di Penelope e scopriremo l’identità del procio morto.” Il commissario annuì, si accomiatarono dal signor Grog e si avviarono senza indugi verso il maniero della regina dell’isola.

lunedì 8 novembre 2021

Alban Berg + Kammerkonzert for piano/violin and 13 winds


(Vienna, 9 febbraio 1885 – 24 dicembre 1935)

Inizialmente autodidatta, costretto per qualche anno a impiegarsi per vivere, solo dal 1904 poté dedicarsi intensamente allo studio della composizione sotto la guida di Schönberg, che gli fu amico e maestro venerato.
Assai vicino all'ambiente letterario e pittorico della Vienna dell'inizio del secolo, si impose ben presto come compositore, rivelandosi, insieme con Webern, come il più interessante musicista della giovane generazione austriaca formatosi alla scuola di Schönberg.
Compiuto il servizio militare poté dedicarsi nuovamente alla composizione, stabilendosi a Vienna e iniziando per vivere un'intensa attività di insegnante. Nonostante il successo che arrise a diversi suoi lavori (in primo luogo al Wozzeck) condusse una vita tutt'altro che agiata, e dopo il 1933, col venire meno delle esecuzioni nella Germania nazista, conobbe due anni di vera povertà, prima di morire a causa di un'infezione generata da un ascesso mal curato.

In tutta la sua produzione Berg risentì l'influsso del miglior romanticismo tedesco, in particolare di Brahms e di Mahler. Ma già nelle primissime composizioni la tensione cromatica lo sospinge oltre le barriere della tonalità, ed è appena venticinquenne quando scrive i primi pezzi atonali. La fedeltà alla tradizione romantica rimane attestata in lui dalla predilezione per sonorità dense e appassionate, per il ricorso a forme sinfoniche tipicamente tedesche (dalla "Marcia" dei 3 Pezzi per orchestra op. 6 al valzer del Concerto per violino), per la cantabilità accesa delle sue linee melodiche (in cui non v'è nulla della frantumazione weberniana o dell'esasperazione schönberghiana), infine per il non casuale ritorno di reminiscenze tonali. L'opera piu "spinta" nella direzione del rinnovamento del linguaggio fu indubbiamente la Suite lirica per quartetto d'archi, composizione paradigmatica per l'espressionismo della scuola di Vienna e per la concezione rivoluzionaria della tecnica dello strumento ad arco. Ma Berg resta nella storia della musica del nostro secolo soprattutto per le sue due opere teatrali (di cui la seconda lasciata purtroppo incompiuta), Wozzeck e Lulu, che additano vie nuove di incredibile ricchezza al compositore del nostro tempo. Peraltro anche nella musica strumentale Berg ha lasciato composizioni immortali: tipico rappresentante dell'espressionismo viennese, Berg dà respiro e valore universale a tutta un'epoca della civiltà moderna, cosi densa di insegnamenti e di germi vitali per il futuro.
Oggi la sua produzione è entrata nel repertorio operistico e sinfonico di tutto il mondo: accanto a Schönberg e a Webern egli è destinato a rimanere come uno dei massimi musicisti del nostro secolo.


Il Kammerkonzert era stato scritto e completato dieci anni prima. Il 9 febbraio 1925, Berg ne annunciò la conclusione a Schönberg con queste parole: «La composizione di questo concerto che ti ho dedicato in occasione del tuo cinquantesimo compleanno, è stata terminata soltanto oggi, nel mio quarantesimo. Consegnato in ritardo, ti prego di accoglierlo tuttavia con benevolenza; tanto più che esso - pensato fin dall'inizio per te - è divenuto anche un piccolo monumento ad un'amicizia ormai ventennale. In un motto musicale, premesso al primo tempo, le lettere del tuo nome, di quello di Anton Webern e del mio, sono fissate (per quanto è possibile fare con la scrittura musicale) in tre temi o motivi, ai quali spetta una parte importante nello sviluppo melodico di questa musica. Se con questo si è già accennato ad una trinità degli eventi, del pari una trinità (poiché si tratta del tuo compleanno e le cose belle che ti auguro sono tre) domina tutto l'opera». 
Questa celebre lettera contiene una completa analisi del Kammerkonzert. Già dalle prime parole si può desumere che una ricerca di unità nella molteplicità, analoga a quella di Webern, aveva animato Berg. In particolare i tre movimenti sono riuniti in uno solo. Gli strumenti impiegati sono di triplice ordine (tastiera, a corde, a fiato).

Dal punto di vista formale dominano sempre il tre e i suoi multipli: nel primo tempo, Tema scherzoso con variazioni, l'idea fondamentale è ripetuta sei volte ed è presentata «come tema tripartito di variazione in trenta battute». Le varie forme di canone che Berg vi adotta possono ricordare «i percorsi dell'aratro» di Webern. Il secondo movimento è un Lied tripartito, mentre il terzo, Rondò ritmico con Introduzione (l'introduzione è una cadenza per pianoforte e violino) è una contaminazione dei movimenti precedenti. La «trinità» si manifesta per Berg ancora in senso ritmico e nel campo armonico. Scherzosamente Berg commentava: «Rendendo di pubblica ragione questi procedimenti compositivi, la mia fama di matematico aumenterà nello stesso rapporto in cui la mia fama di compositore, al quadrato della distanza, diminuirà». Ma l'ultima parte della lettera rivendica proprio quello che vi è al di là delle perfette simmetrie: «Se si sapesse quanta amicizia, quanto amore e che mondo di relazioni umane e affettive io ho intessuto segretamente intorno a questi tre tempi, i sostenitori della musica a programma (se ve ne fossero ancora) avrebbero di che rallegrarsi e i partigiani e i rappresentanti del «neoclassimismo», del «nuovo oggettivismo», i «lineari» e i «fisiologi», i «contrappuntisti» e i «formali» si precipiterebbero su di me, scandalizzati per questa tendenza «romantica», se io contemporaneamente non rivelassi loro che anch'essi possono trovare ciò che desiderano, qualora siano disposti a cercare».

venerdì 5 novembre 2021

Ispettore Belot

 Ispettore Belot, Francia, 1932 / Claude Aveline

L'ispettore Frédéric Belot esordisce in un romanzo che curiosamente si intitola La doppia morte dell'ispettore Belot - La doublé mort de Frédéric Belot - e nel quale viene ucciso insieme a un suo sosia di cui si serviva ogni tanto per comodità e per motivi di servizio. Il vero protagonista del romanzo è in effetti il giovane ispettore Simon Rivière, ma tra le tante stranezze relative a questo personaggio bisogna ricordare che egli è protagonista di altri quattro romanzi, scritti successivamente dall'autore nell'arco di quarant'anni, che però precedono cronologicamente quello pubblicato per primo.

Si può dire che però, Aveline, ci mise molto di suo, passando molte settimane alla Prefettura di Parigi, ad impadronirsi di un mondo che rese in maniera mirabile. E lo rese talmente bene che il successo gli arrise. Anzi, esso fu talmente clamoroso, che il buon Aveline, che nel 1936 aveva pubblicato il suo “Le Prisonnier”, a cui si dice si fosse ispirato Albert Camus per il suo “L’Étranger”, pensò di scrivere dell’altro. Purtroppo egli aveva fatto morire Belot al primo colpo e persino due volte e perciò introdusse delle avventure che avevano avuto luogo prima che egli potesse morire Infatti come egli ebbe a dire in merito al suo primo romanzo … E così nel 1937, pubblicò il suo secondo scritto, Voiture 7 place 15, seguito da L’Abonné de la ligne U e infine da Le Jet d’eau. Da allora passò molto tempo prima che riprendesse a scrivere storie poliziesche: negli ultimi anni della sua vita scrisse l’ultimo capitolo della Suite, L’Œil-de-chat. Comunque il suo capolavoro è il primo dei suoi scritti, tanto che più tardi, in occasione della ripubblicazione della sua opera completa, in forma di “Suite poliziesca” presso Mercurie nel 1967, scrisse una “Doppia nota sul romanzo poliziesco in generale e sulla suite in particolare”.

La doppia morte dell'ispettore Belot, è un romanzo curioso sotto molti aspetti, come ricordano Stefano Benvenuti e Gianni Rizzoni. "In primo luogo perché era la prima volta in Francia che un autore di gran nome si dedicava apertamente al romanzo poliziesco; in secondo luogo perché, pur essendo cronologicamente il primo di una suite di cinque romanzi polizieschi diluita in quasi quarant'anni ( … ), ne costituiva idealmente l'ultimo anello ( … ). E infine perché era preceduto da una analisi del 'diritto di cittadinanza' del romanzo poliziesco nel mondo delle lettere, nonché del 'diritto all'evasione' che spetta sia ai lettori, sia agli scrittori di romanzi".
Nella celebre introduzione che egli stesso antepose a questo romanzo, Aveline si sforzò di dimostrare che non esistono differenze fra il romanzo psicologico e quello poliziesco, poiché anche in quest'ultimo si realizza alla perfezione il disegno di "dipingere le passioni e come esse dirigano le azioni degli uomini".


La doppia morte dell'ispellore Belot è l'unica che persegua con autentica originalità la traccia del romanzo enigma e in cui un tema "psicologico" per eccellenza, come quello dello sdoppiamento
di identità, è lasciato a lungo latitare col suo potenziale drammatico, per rivelarsi solo in un finale che viene a riempire tutti i vuoti e gli interrogativi del mistero.

Clande Aveline, psudonimo di Claude Avtzin, noto giornalista e saggista francese, oltre che scrittore di romanzi psicologici e drammatici nato nel 1901. Il suo esordio nel campo della narrativa avviene nel 1928 con Le point du jour e La merveilleuse légende du Bouddha, mentre fra le sue opere successive più impegnative dobbiamo ricordare almeno la trilogia di La vie de Philippe Denis, iniziata nel 1930 e conclusa nel 1955. Nel 1932 esordisce nella narrativa gialla (anche se rifiuta di fare distinzioni fra un genere letterario e l'altro) con La double mort de Frederic Belot.

Come scansione e suddivisione, i romanzi di Claude Aveline rispondono un po' allo schema dell'inchiesta, ciò che in qualche caso li fa avvicinare alle avventure del commissario Maigret. Il taglio espressivo tende in genere a una sdrammatizzazione che, per contro, può dare talvolta l'impressione di eccessiva freddezza.
I romanzi con l'ispettore Belot sono stati pubblicati in Italia da Mondadori e può essere curioso ricordare che, tranne che in quattro casi, Claude Aveline ha tratto i nomi dei personaggi dei suoi romanzi polizieschi dai nomi di coloro che seguirono Guglielmo il Bastardo alla conquista dell'Inghilterra, riportati da Michelet nella sua monumentale Storia di Francia.

giovedì 4 novembre 2021

Hans Barlach vs Friedrich Dürrenmatt



Friedrich Dürrenmatt (1921-1990) è il più importante romanziere svizzero e naturalmente non può essere considerato "semplicemente" uno scrittore di polizieschi: come per tanti altri autori (da Dickens a Stevenson, da Gadda a Sciascia), anche per lui vale il discorso su quanto sia priva di senso la distinzione tutta accademica fra scrittori polizieschi e scrittori tout court.
Ma fra tutti Dürrenmatt è "sicuramente quello che ha operato in termini di vera e propria interlocuzione, di autentica presa di posizione estetica ed etica. Scrittore caustico e moralista impietoso, il suo atteggiamento nei confronti della narrativa gialla è di denuncia e di smascheramento di un universo basato su un'ideologia disumanizzata, su procedure stereotipate, su una meccanica rappresentazione della realtà come elemento sempre "certo" e rassicurante.
La vena polemica di Dürrenmatt procede dall'interno, prendendo cioè a prestito proprio quei principi, quei materiali, quei procedimenti retorici di cui egli vuole fare giustizia (non a caso il suo La promessa reca il significativo sottotitolo Un requiem per il romanzo poliziesco)." 


Resta il fatto che Il giudice e il suo boia, II sospetto e La promessa sono degli autentici romanzi gialli, nella lettera se non nello spirito: nei primi due libri il protagonista è il commissario Hans Barlach, una delle figure di poliziotto più straordinarie di tutta la letteratura poliziesca, al quale non poteva non essere affibbiato il solito accostamento a Maigret, salvo che nel suo caso si è avuta l'accortezza intellettuale di precisare che sembra "una specie di Maigret che abbia letto Heidegger."
Barlach è un "individuo plasmato su una fede integerrima e tutta positiva, ma convinto nello stesso tempo della fondamentale impotenza di questa a sconfiggere il male," e quindi non esita a far ricorso lui stesso, spietatamente, alle regole di un gioco amorale per eliminare quei criminali che la giustizia non riesce a colpire. Così in II giudice e il suo boia, il più geniale dei suoi romanzi polizieschi, Barlach (attenzione: sveliamo il clou del libro!) finisce per incastrare e fare uccidere un suo vecchio nemico, colpevole di numerosi delitti rimasti impuniti, ma - paradosso rivelatore - per un crimine che in realtà non ha commesso.
Lo stile di Dürrenmatt è di una "esemplare secchezza e concisione: il linguaggio è fulminante ed esente da indulgenze formali, acceso anche se mai violento, e nutrito di echi filosofici meditati e assai pertinenti, che trovano adeguata collocazione in alcuni memorabili dialoghi fra Barlach e i suoi avversari.
Ma ragguardevole è soprattutto la capacità dello scrittore di calarsi e immedesimarsi con pari autorevolezza in strutture narrative sempre diverse: II giudice e il suo boia è infatti un mystery, II sospetto un magistrale thriller, mentre La promessa è l'ennesima variazione sul tema dell'inverted story."
A proposito del modo di sviluppare la trama, va detto che l'inverted story, cioè far vedere subito chi è il colpevole e puntare alla ricostruzione dei fatti da parte dell'investigatore, risale addirittura al 1912, quando venne scritto The singing bone da Austin Freeman, padre del giallo scientifico in senso moderno.

mercoledì 3 novembre 2021

Mauro Sighicelli: Maciste contro i Proci - Capitolo 1

 

Prima puntata

Il commissario Bertini, assieme al fido scudiero Peppino, si recano a Itaca in vacanza e si trovano invischiati, loro malgrado, in una indagine poliziesca per risolvere un delitto. Scoprono infatti il cadavere di un procio morto sulla spiaggia di Itaca, in Grecia, mentre sono in vacanza. Bertini accetta di collaborare con l’ispettore greco Van Fakoulis per lo svolgimento delle indagini di rito.

1° CAPITOLO
Un procio morto

Per le vacanze 2018 il commissario Bertini scelse l’isola di Itaca. “Non ci sono mai stato, sarà piacevole fare il bagno sulla spiaggia e poi potrò raccontare di essere stato all’estero.” Non aveva voglia però di viaggiare da solo, così chiese al suo aiutante, l’agente Peppino, di accompagnarlo. “Ognuno paga per sé, anche se poi dimezzeremo la spesa dividendo la camera.” Il buon Peppino non avrebbe mai abbandonato il commissario e fu onorato dell’invito. Così la vacanza ebbe inizio.
Giunti sull’isola, si recarono all’hotel, la pensione Hellas e andarono subito a dormire, stanchi del viaggio. Il primo giorno passeggiarono di buon’ora sulla spiaggia perché Bertini sosteneva che le ore del mattino hanno l’oro in bocca. “Quindi se un delinquente ha le ore in bocca, lo dobbiamo arrestare per furto d’oro?” chiese Peppino al commissario. “No, caro Peppi, è un modo di dire. Rilassati, siamo in vacanza e non dobbiamo arrestare nessuno. Ti piace il mare?” “No. Preferisco la montagna.” Bertini ebbe un moto di disappunto. “E allora perché sei venuto al mare?” “Per stare in sua compagnia, commissario.” “Grazie, è un pensiero gentile. Ora però rientriamo al nostro hotel, perché sono quasi le ore sette, il sole sta salendo e quindi verrà servita la colazione ai clienti.” “La dobbiamo pagare?” “No, è inclusa nel trattamento di mezza pensione. Anche la cena è già pagata. “Allora faccio volentieri colazione anch’io, e anche abbondante.”
Prima di tornare indietro sull’arenile, Bertini scorse un corpo accasciato a riva. “Guarda, Peppi, proprio davanti  a noi! Sembra svenuto.” “Potrebbe essere un ubriaco addormentato.” “Ma l’acqua lambisce le gambe. Si sarebbe svegliato. Temo che possa trattarsi di un migrante e potrebbe anche essere morto.” I due poliziotti per sicurezza preferirono controllare. I timori del commissario si rivelarono fondati, sembrava proprio un cadavere. “Ho controllato se respira, ma il cuore si è fermato. Quest’uomo è morto, dovremo avvisare le autorità locali.” “E la colazione?” “Dovrà aspettare. E’ nostro dovere fare intervenire la polizia greca.” Bertini di recente aveva acquistato un nuovo telefonino e compose il numero di pronto soccorso internazionale. Aveva dimestichezza con la lingua greca e riuscì ad attivare i soccorsi. Oltre a una ambulanza per il trasporto della salma, si presentò anche una pattuglia locale di agenti. “Buongiorno, sono l’ispettore Van Fakoulis. E’ lei che ha scoperto il cadavere?” “Sì, sono io. Permetta che mi presenti perché siamo colleghi. Sono il commissario Bertini, della polizia italiana.” “… Bertini … Bertini … questo cognome non mi giunge nuovo. Aspetti, non sarà per caso quel Bertini famoso per aver risolto il caso Inpronti?” Bertini si schernì. “Beh, sì, modestamente sono io!” “Ma è l’unico caso in grammatica italiana dove una enne precede una p! Sono onorato della conoscenza! A questo punto mi permetta di avvalermi della sua consulenza.” “Veramente sono in vacanza, in ferie.” “Allora risulterà in incognito, diciamo in maniera non formale.” “Ma io e il mio aiutante non abbiamo ancora fatto colazione, mi dispiace ma dobbiamo proprio andare.” “Solo qualche istante per esaminare insieme il cadavere, poi non la disturberò più.” Van  Fakoulis toccò il corpo. “E’ freddo. Significa che è morto nel cuore della notte.” “Perché?” “Perché di notte fa freddo e di giorno fa caldo. Se il corpo è freddo vuol dire che è morto stanotte.” “Veramente la polizia scientifica si basa su altri parametri per stabilire l’ora del decesso, quali la causa o la perdita di sangue. Comunque sarebbe importante ora risalire all’identità. Chi sarà mai costui?” “Un procio. E’ senz’altro un procio morto.” “Un procio?” chiese Bertini, stupito. “E chi sarebbe un procio?” “Sono pretendenti al ruolo di re dell’isola. Vivono  a corte della regina Penelope, la vedova del re Ulisse, mai più tornato da Troia. Mangiano e bevono fino a scoppiare in attesa che lei tessa una tela che servirà per il matrimonio. Fino a quando la tela non sarà ultimata, Penelope non sceglierà il successore e i proci devono aspettare. Vede commissario, quest’uomo è coperto solo da una tunica che è proprio l’abbigliamento caratteristico dei proci. Solo loro indossano ancora un vestito così fuori moda. Per me non ci sono dubbi, è un procio morto.” L’agente Peppino interruppe la conversazione.  “Mi scusi, commissario, ma dobbiamo ancora andare a fare colazione.” “Hai ragione. Scusi lei, ispettore, caso mai ci aggiorniamo più tardi.” “Grazie, commissario Bertini. Caricheremo il cadavere del procio morto sull’ambulanza e lo porteremo all’obitorio dove procederemo all’identificazione. Mi dia una mano in quest’indagine, per favore.” Bertini acconsentì, si congedò e si avviò rapidamente verso l’hotel Hellas. Ma all’arrivo notò con disappunto che i cornetti erano finiti e a loro non rimase che fare colazione con le fette biscottate con la marmellata di ciliegie.