lunedì 26 luglio 2021

Maresciallo Arnaudi

 Maresciallo Arnaudi Italia, 1967 / Mario Soldati

Personaggio di fantasia, protagonista dei racconti scritti da Mario Soldati nel 1967. È stato ristampato nel 2004 per i tipi della Sellerio Editore di Palermo. Alla raccolta originaria ne ha fatto seguito un'altra, nel 1984, pubblicata da Rizzoli Editore con il titolo Nuovi racconti del maresciallo.

Il maresciallo dei carabinieri Gigi Arnaudi è un investigatore le cui origini sono in Piemonte che vive e lavora in una località non precisata della Val Padana.

Protagonista di storie non molto diverse da quelle che ci capitano sotto gli occhi leggendo la cronaca nera dei quotidiani (anche se Mario Soldati non mette mai in primo piano il "fattaccio", preferendo cogliere la semplicità sfuggente dell'esistenza, gli umori dei vari personaggi, i dubbi e le certezze del "suo" maresciallo), l'umano e credibile Gigi Arnaudi è un semplice e modesto maresciallo dei carabinieri in servizio tra le campagne e i borghi della Val Padana.
E' miope (con gli occhi celesti e severi e gli occhiali d'oro) e ama la buona tavola, i sigari e il vino. Sotto la scorza dell'uomo di legge tutto d'un pezzo, nasconde un cuore sempre pronto a comprendere e compatire. Gli piace soprattutto conversare con l'autore, che lo definisce «mio vecchio amico, paesano e coscritto». Ma è anche un tipo molto riservato e raramente fa il vero nome delle persone di cui parla, anche se gli episodi che racconta sono avvenuti quindici
o venti anni prima. Arnaudi è una sorta di anti-eroe che procede all'arresto di un malvivente proprio quando non può farne a meno, e comunque sempre a malincuore.

Soldati conosceva bene l'Italia (anche per averla girata a lungo realizzando varie trasmissioni televisive), e conosceva gli Italiani, riuscendo a darne un'immagine garbata ma senza ammiccamenti. E a un maresciallo in carne ed ossa (che pare si chiamasse come il personaggio) si ispirò per offrirci un ritratto attento, al tempo stesso tenero e amaro, di un'Italia ancora incerta fra il suo passato analfabeta e contadino ed il futuro di magnifico progresso promesso proprio dalla televisione democristiana.

Le storie prendono avvio sempre allo stesso modo: Soldati e il suo ospite sono seduti a tavola in una trattoria (solitamente il Leon d'Oro o Le Tre Ganasce) o in un vagone ristorante ferroviario.

I racconti del maresciallo del 1984 è una nuova miniserie diretta da Giovanni Soldati; si tratta di un seguito basato sullo sceneggiato televisivo omonimo diretto da Mario Soldati (padre del regista Giovanni) nel 1968; la miniserie è tratta da alcuni racconti dello stesso Mario Soldati, come già accaduto per lo sceneggiato precedente.

La serie vede protagonista il maresciallo Gigi Arnaudi (lo stesso interprete dell'omonimo sceneggiato) interpretato da Arnoldo Foà, il personaggio, come già accaduto in precedenza, deve risolvere cinque casi differenti facendo appello alla sua astuzia e al suo fiuto per le indagini, pur rispecchiando una certa umanità e comprensione che spesso vede al primo posto i sentimenti dell'uomo anziché il dovere di poliziotto.



venerdì 23 luglio 2021

CSS 37: Roberto Roganti, Morte al volo

 

PREFAZIONE di Stefano Frigieri

Questa volta il mio amico l'ha fatta davvero grossa! Mi ha lasciato qui ad attenderlo in ansia e con la paura che gli potesse capitare qualcosa! 
Lui, che non è più un giovincello, si è buttato a corpo morto in questa avventura ai limiti dell'impossibile, con lo stesso vigore e la stessa incoscienza dei suoi vent'anni.
Ha deciso che il nostro tempo gli andava stretto e ha colto l'occasione per esplorare nuove epoche e nuove situazioni. Nuovi pericoli, direi io.
A me non resta che attenderlo nel nostro tempo; io al sicuro, lui chissà.
Mentre scrivo queste parole però, sento improvvisamente dentro di me nascere e crescere un'altra anima, come se i pensieri si raddoppiassero convergendo verso un unico fine.
Io sono Mauro oppure John? 
Anche lui ha un amico folle e imprevedibile che viaggia nel tempo alla ricerca di nuove emozioni. Magari si sono incontrati, si stanno vedendo proprio ora mentre penso e scrivo.
Io, John oppure Mauro: in fondo cosa importa Le nostre due vite sono accomunate dallo stesso sentimento di amicizia, ma anche di dipendenza.
Uno non potrebbe esistere senza l'altro.
Sherlock: lo ricordo quando lo vidi per la prima volta in quel laboratorio dove mi portò il mio collega Stamford, con uno sguardo febbrile che faceva trasparire un insaziabile bisogno di brivido e avventura; quello stesso sguardo che gli vidi negli occhi durante tutti gli anni in cui abbiamo condiviso gioie e dolori.
Grogghino: un'amicizia lunga come entrambe le nostre vite, accomunati dalla creatività, dalla passione per cibo e, soprattutto, dal desiderio di rivelare arcani misteri, impossibili enigmi, ingarbugliate vicende.
Sherlock e Grogghino: in fondo molto simili, nello spirito e nell'eccentricità.
Mauro e John: stessa pazienza, stesso indistruttibile affetto.
Nella mia testa ci confondiamo, io e John, come se avessimo deciso di attendere insieme, lontani nel tempo ma vicini nello spirito che non conosce la distanza, il ritorno dei nostri amici.
E nel frattempo di mettere su carta i nostri pensieri, le nostre ansie.
Quando torneranno faremo, come al solito, la nostra parte: racconteremo le loro avventure, ascolteremo i loro racconti, faremo sentire la nostra presenza che so, sappiamo, infonde sicurezza e dona tranquillità.
E i lettori, ne sono sicuro, come sempre apprezzeranno.
Mauro Sighicelli (detto Sighi); dott. John H. Watson


lunedì 19 luglio 2021

Gli Aristocratici

 Gli Aristocratici

Italia, 1973 l Alfredo Castelli e Ferdinando Tacconi

Alcune parti del testo sono tratte da un articolo di Lorenzo Barberis del 30 gennaio 2017

Il fumetto popolare italiano vanta ormai più di un secolo di storia e un ricchissimo album di famiglia. Spesso tendiamo a concentrare le nostre attenzioni soprattutto sulle ultime uscite, in un periodo storico che, per varie ragioni, ha visto un aumento quantitativo dell’offerta. Tuttavia può essere utile tornare talvolta ad approfondire anche serie del passato, apparentemente minori e qualche volta ingiustamente sottovalutate.
Il 1972 era stato un anno importante per il fumetto italiano popolare: era nato infatti il Corriere dei ragazzi, evoluzione del Corriere dei piccoli. Nell’intento del suo direttore Giancarlo Francesconi, la nuova testata avrebbe dovuto quasi preparare i giovani lettori al passaggio graduale sul Corriere della Sera.

In base a questo piano editoriale, le serie a fumetti sembrano qui godere di una maggiore libertà nel trattare temi leggermente più maturi, con un prevalere di nuovi fumetti avventurosi su quelli tipicamente umoristici. Gli Aristocratici ne diviene forse quello più emblematico. Creato nel 1973, si distingue per numerose scelte particolari. Innanzitutto, non segue la tradizione legalitaria tipica del fumetto per ragazzi, ma ha come protagonisti un gruppo di ladri gentiluomini.

Si schierano contro i veri malvagi, a partire dall’ex-membro e antagonista principale, il trasformista Derek Collins. Inoltre, si tratta di un fumetto corale, cosa abbastanza rara nel fumetto italiano. Un riferimento potrebbero essere state le scalcinate spie internazionali del Gruppo TNT di Alan Ford (1969), da cui Castelli avrebbe potuto trarre ispirazione per la struttura narrativa di massima, adattandola al diverso pubblico e formato; riprendendo invece uno stile opposto, quello british di alcune serie televisive inglesi in voga al periodo.

Il Conte è la mente e il leader degli Aristocratici, ed è il vero “aristocratico” per eccellenza, si esprime come un libro stampato e disprezza la modernità e la volgarità in ogni sua forma. Assieme all’avvenente e spigliata nipote Jean – l’unica ragazza del gruppo – con cui ha spesso garbati battibecchi, rappresenta il personaggio meglio caratterizzato, ed è il motore principale della narrazione e delle delicate situazioni comiche. Jean è anche innamorata dell’ispettore Michael Allen, nemico-amico degli aristocratici, secondo un comune topos del genere, che spesso è un altro motore narrativo. Il personaggio di Jean non è nemmeno privo qualche volta di un sottile erotismo, ovviamente appena accennato, grazie anche al raffinato equilibrio del tratto di Tacconi, molto moderno e sintetico.
Gli altri Aristocratici sono più personaggi funzionali: il tedesco Fritz rappresenta la tecnologia, e i suoi gadget alla James Bond appaiono spesso nelle storie come elemento meraviglioso che consente, oltretutto, soluzioni meno violente; il colosso irlandese Moose – ricorda il compianto Bud Spencer, che allora iniziava il suo grande successo – rappresenta la forza bruta, di solito trattenuta ma ogni tanto necessaria; il playboy e scassinatore italiano Alvaro è l’abilità ladresca, ovviamente indispensabile.

Una simpatica banda di ladri gentiluomini, nella migliore tradizione dell'Arsenio Lupin di Maurice Leblanc, è al centro di questa divertente serie ricca di incredibili "imprese" - nelle quali fanno spesso capolino famosi personaggi letterari o cinematografici come Sherlock Holmes (ritiratosi in Russia dopo la morte del dottor Watson), l'Ispettore Clouseau e James Bond - piene di invenzioni e di trovate, dove la suspense è sempre temperata da una notevole dose di humour. Gli Aristocratici impiegano le proprie molteplici attitudini per fini non propriamente edificanti, ma per loro il ricavato dei vari "colpi" ha poca importanza. Tanto è vero che lo devolvono quasi sempre in beneficenza, trattenendo solo il dieci per cento come rimborso spese.

Il limite maggiore degli Aristocratici sono le ristrette dimensioni narrative del racconto a fumetti breve, autoconclusivo per rivista: l’abilità citazionistica e giallistica di Castelli meriterebbe di dipanarsi su un arco narrativo più ampio, il segno di Tacconi avrebbe diritto a una griglia più mossa, più ampia, non sacrificata da una certa compressione degli eccessivi spunti narrativi messi in gioco.
Insomma, per quanto l’esperienza de Gli Aristocratici sia conclusa nel tempo, la sua importanza seminale nel fumetto popolare italiano è di sicuro da riscoprire, come primo embrione di una evoluzione che solo in seguito, con gli stessi autori, si sarebbe dispiegata completamente.

lunedì 12 luglio 2021

Antony Maitland

 Antony Maitland

Canada, 1962 / Sara Woods

Sempre pronto a superare i limiti delle sue funzioni pur di far trionfare la giustizia, questo avvocato simpatico e grintoso ha molti tratti in comune con Perry Mason ed è come lui un tenace difensore delle cause apparentemente disperate e irrisolvibili.
Contrariamente al personaggio creato da Erle Stanley Gardner, Antony Maitland ha una bella moglie, un simpatico zio titolare di un importante studio legale di Londra ed è dotato di maggiore umanità oltre che di uno humour tipicamente britannico. Bruno, «con l'aria scanzonata e l'espressione piena di umorismo», è disposto a tutto pur di dimostrare le sue teorie.

Molto amico del sovrintendente capo di Scotland Yard, Sykes, che pure non esita ad accusarlo, di tanto in tanto, di nascondere alla polizia importanti informazioni in casi in cui sarebbe meglio riferire immediatamente tutti i particolari, questo personaggio è un bravo avvocato, ma è soprattutto un bravissimo investigatore, dotato, come sanno tutti coloro che Io conoscono, di energie praticamente inesauribili. Alle quali aggiunge una mente analitica di prim'ordine e una notevole dose di intuito, caratteristica che di tanto in tanto si rivela indispensabile, tanto nelle sue indagini quanto nelle sue pirotecniche arringhe.

Lana Hutton Bowen-Judd (7 marzo 1922 – 6 novembre 1985) è stata una scrittrice di gialli britannica, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Sara Woods , ma ha usato anche gli pseudonimi di Anne Burton, Mary Challis e Margaret Leek.

Nata a Bradford, nello Yorkshire, la Woods è stata educata al Convento del Sacro Cuore a Filey, nello Yorkshire. Durante la seconda guerra mondiale ha lavorato in una banca e come impiegato di un avvocato a Londra, dove ha ottenuto molte delle informazioni utilizzate in seguito nei suoi romanzi. Come Eileen B. Hutton sposò Anthony George Bowen-Judd il 25 aprile 1946 e con lui diresse un allevamento di maiali dal 1948 al 1954. Nel 1957 si trasferirono in Nuova Scozia in Canada. Lì ha lavorato come cancelliere per la St. Mary's University fino al 1964. Nel 1961 ha scritto il suo primo romanzo, Bloody Instructions, presentando l'eroe di quarantanove dei suoi misteri, Antony Maitland, un avvocato inglese.

I suoi ultimi anni furono trascorsi con suo marito a Niagara-on-the-Lake, in Ontario. Come Lanna Judd è morta a Toronto il 6 novembre 1985.

«Scrivo polizieschi a sfondo legale - ha detto una volta l'autrice - perché la giurisprudenza mi ha sempre interessato. E devo dire che, con mia grande sorpresa, ho ricevuto spesso dei complimenti per le mie trame. Ho detto con sorpresa non per eccesso di modestia ma perché mi sembra strano, in quanto il mio sistema è di inventare una situazione, buttarvi dentro i personaggi e stare a vedere cosa succede».

lunedì 5 luglio 2021

Anthony Gillingham

an Bretagna, 1922 / A.A. Milne

«Viso regolare, sempre perfettamente rasato, occhi grigi che sembravano assorbire ogni minimo particolare di ciò che vedevano», Anthony Gillingham, detto Madman, è un tipo normale, che prova una grande curiosità per la psicologia umana e fa l'investigatore dilettante per amore dell'avventura.
«Secondo me - ha scritto l'autore - un requisito indispensabile per un detective è che sia dilettante. Nella vita reale, senza dubbio, i migliori detective sono i funzionari di polizia, ma nella vita reale anche i criminali sono professionisti». E ancora: «Il detective non deve avere più conoscenze del lettore medio. Il lettore deve avere la sensazione che, se avesse usato le stesse argomentazioni e la stessa logica, anche lui avrebbe potuto smascherare il colpevole».
Simpatico pasticcione (e anche Bill Beverley, il suo compagno-narratore, non gli è certo da meno), Anthony Gillingham è protagonista di un unico romanzo giallo, Il dramma di Corte
Rossa (The Red House mystery, 1922), che è stato però sufficiente ad assicurargli un posto di primo piano nel panorama della letteratura poliziesca.

Anthony Gillingham si trova coinvolto in uno strano caso allorché, durante una vacanza, decide di fare visita all’amico Bill, che è ospite di una grande villa, la Corte Rossa del titolo. Quando arriva, scopre che il fratello del padrone di casa, appena tornato da una lunga permanenza in Australia, giace sul pavimento dello studio con una pallottola in fronte. Poiché la polizia locale brancola nel buio, l’indagine viene presa in mano da Gillingham e da Bill, che funge da “Watson”.

A. A. Milne, all'anagrafe Alan Alexander Milne (Kilburn, 18 gennaio1882 – Hartfield, 31 gennaio1956), fra la fine della guerra e la metà degli anni venti Milne pubblicò parecchie opere di diversi generi, soprattutto romanzi, tra cui anche il giallo Il dramma di Corte Rossa (1922) - titolo originale The Red House Mistery.

Questo unico romanzo tradotto in Italia (a quanto pare ne scrisse anche un altro, con un ragazza amante dei libri polizieschi, che si trova a vivere una vera detective story) già ai tempi gloriosi della prima collana Mondadoriana (numero 26, anno 1930) è infatti diventato universalmente noto grazie soprattutto all’opera di demolizione di uno scrittore che, credo, sia l’esatto contraltare di Milne, ovvero quel Raymond Chandler, che nel suo celebre saggio “La semplice arte del delitto” prende Il dramma di Corte Rossa come il romanzo simbolo di ciò che si dovrebbe evitare nei polizieschi, di ciò che uno scrittore veramente bravo non dovrebbe fare, di quanto la detective story inglese sia ingenua e superata etc… etc… tutto giusto, in fin dei conti Corte Rossa è un romanzo assai imperfetto, con molte situazioni forzate e che, a rigor di logica, fa acqua da tutte le parti, ma Chandler, nella sua furia devastatrice, si dimentica di sottolineare un aspetto del libro che, fortunatamente, pensò a rilevare Rex Stout, autore finissimo e critico molto arguto, lo definì «semplicemente incantevole» ed ecco che, con due parole, Stout andò dritto al cuore, all’essenza di questo libro.

A qualcuno di voi che è stato bambino e se ne ricorda, il nome di Alan Alexander Milne non deve essere del tutto sconosciuto; infatti si tratta dell’autore che creava le storie del tenero orsetto Winnie the Pooh e dei suoi amici del bosco dei cento acri, una delle cose più deliziose che possano esistere per un piccolo lettore (e non solo).


Il nome di Milne, indissolubilmente legato ai libri per l’infanzia, è noto però anche tra i giallofili in virtù di un romanzo del 1922 che, quasi suo malgrado, è finito per diventare uno degli archetipi supremi del classicissimo giallo all'inglese della Golden Age, quello degli omicidi tra un tè e una partita di golf.

L’importanza di Milne risiede anche nell’avere inaugurato la serie di detective con un approccio “scanzonato” al crimine mediante il personaggio di Anthony Gillingham, investigatore dilettante faceto e bizzarro. La tortuosità dell’intreccio, il suo charme d'altri tempi, il suo essere, in ultima analisi, un capolavoro di artificio ne fanno un’opera, come la definì Rex Stout, «semplicemente incantevole».