lunedì 19 luglio 2021

Gli Aristocratici

 Gli Aristocratici

Italia, 1973 l Alfredo Castelli e Ferdinando Tacconi

Alcune parti del testo sono tratte da un articolo di Lorenzo Barberis del 30 gennaio 2017

Il fumetto popolare italiano vanta ormai più di un secolo di storia e un ricchissimo album di famiglia. Spesso tendiamo a concentrare le nostre attenzioni soprattutto sulle ultime uscite, in un periodo storico che, per varie ragioni, ha visto un aumento quantitativo dell’offerta. Tuttavia può essere utile tornare talvolta ad approfondire anche serie del passato, apparentemente minori e qualche volta ingiustamente sottovalutate.
Il 1972 era stato un anno importante per il fumetto italiano popolare: era nato infatti il Corriere dei ragazzi, evoluzione del Corriere dei piccoli. Nell’intento del suo direttore Giancarlo Francesconi, la nuova testata avrebbe dovuto quasi preparare i giovani lettori al passaggio graduale sul Corriere della Sera.

In base a questo piano editoriale, le serie a fumetti sembrano qui godere di una maggiore libertà nel trattare temi leggermente più maturi, con un prevalere di nuovi fumetti avventurosi su quelli tipicamente umoristici. Gli Aristocratici ne diviene forse quello più emblematico. Creato nel 1973, si distingue per numerose scelte particolari. Innanzitutto, non segue la tradizione legalitaria tipica del fumetto per ragazzi, ma ha come protagonisti un gruppo di ladri gentiluomini.

Si schierano contro i veri malvagi, a partire dall’ex-membro e antagonista principale, il trasformista Derek Collins. Inoltre, si tratta di un fumetto corale, cosa abbastanza rara nel fumetto italiano. Un riferimento potrebbero essere state le scalcinate spie internazionali del Gruppo TNT di Alan Ford (1969), da cui Castelli avrebbe potuto trarre ispirazione per la struttura narrativa di massima, adattandola al diverso pubblico e formato; riprendendo invece uno stile opposto, quello british di alcune serie televisive inglesi in voga al periodo.

Il Conte è la mente e il leader degli Aristocratici, ed è il vero “aristocratico” per eccellenza, si esprime come un libro stampato e disprezza la modernità e la volgarità in ogni sua forma. Assieme all’avvenente e spigliata nipote Jean – l’unica ragazza del gruppo – con cui ha spesso garbati battibecchi, rappresenta il personaggio meglio caratterizzato, ed è il motore principale della narrazione e delle delicate situazioni comiche. Jean è anche innamorata dell’ispettore Michael Allen, nemico-amico degli aristocratici, secondo un comune topos del genere, che spesso è un altro motore narrativo. Il personaggio di Jean non è nemmeno privo qualche volta di un sottile erotismo, ovviamente appena accennato, grazie anche al raffinato equilibrio del tratto di Tacconi, molto moderno e sintetico.
Gli altri Aristocratici sono più personaggi funzionali: il tedesco Fritz rappresenta la tecnologia, e i suoi gadget alla James Bond appaiono spesso nelle storie come elemento meraviglioso che consente, oltretutto, soluzioni meno violente; il colosso irlandese Moose – ricorda il compianto Bud Spencer, che allora iniziava il suo grande successo – rappresenta la forza bruta, di solito trattenuta ma ogni tanto necessaria; il playboy e scassinatore italiano Alvaro è l’abilità ladresca, ovviamente indispensabile.

Una simpatica banda di ladri gentiluomini, nella migliore tradizione dell'Arsenio Lupin di Maurice Leblanc, è al centro di questa divertente serie ricca di incredibili "imprese" - nelle quali fanno spesso capolino famosi personaggi letterari o cinematografici come Sherlock Holmes (ritiratosi in Russia dopo la morte del dottor Watson), l'Ispettore Clouseau e James Bond - piene di invenzioni e di trovate, dove la suspense è sempre temperata da una notevole dose di humour. Gli Aristocratici impiegano le proprie molteplici attitudini per fini non propriamente edificanti, ma per loro il ricavato dei vari "colpi" ha poca importanza. Tanto è vero che lo devolvono quasi sempre in beneficenza, trattenendo solo il dieci per cento come rimborso spese.

Il limite maggiore degli Aristocratici sono le ristrette dimensioni narrative del racconto a fumetti breve, autoconclusivo per rivista: l’abilità citazionistica e giallistica di Castelli meriterebbe di dipanarsi su un arco narrativo più ampio, il segno di Tacconi avrebbe diritto a una griglia più mossa, più ampia, non sacrificata da una certa compressione degli eccessivi spunti narrativi messi in gioco.
Insomma, per quanto l’esperienza de Gli Aristocratici sia conclusa nel tempo, la sua importanza seminale nel fumetto popolare italiano è di sicuro da riscoprire, come primo embrione di una evoluzione che solo in seguito, con gli stessi autori, si sarebbe dispiegata completamente.

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