lunedì 5 luglio 2021

Anthony Gillingham

an Bretagna, 1922 / A.A. Milne

«Viso regolare, sempre perfettamente rasato, occhi grigi che sembravano assorbire ogni minimo particolare di ciò che vedevano», Anthony Gillingham, detto Madman, è un tipo normale, che prova una grande curiosità per la psicologia umana e fa l'investigatore dilettante per amore dell'avventura.
«Secondo me - ha scritto l'autore - un requisito indispensabile per un detective è che sia dilettante. Nella vita reale, senza dubbio, i migliori detective sono i funzionari di polizia, ma nella vita reale anche i criminali sono professionisti». E ancora: «Il detective non deve avere più conoscenze del lettore medio. Il lettore deve avere la sensazione che, se avesse usato le stesse argomentazioni e la stessa logica, anche lui avrebbe potuto smascherare il colpevole».
Simpatico pasticcione (e anche Bill Beverley, il suo compagno-narratore, non gli è certo da meno), Anthony Gillingham è protagonista di un unico romanzo giallo, Il dramma di Corte
Rossa (The Red House mystery, 1922), che è stato però sufficiente ad assicurargli un posto di primo piano nel panorama della letteratura poliziesca.

Anthony Gillingham si trova coinvolto in uno strano caso allorché, durante una vacanza, decide di fare visita all’amico Bill, che è ospite di una grande villa, la Corte Rossa del titolo. Quando arriva, scopre che il fratello del padrone di casa, appena tornato da una lunga permanenza in Australia, giace sul pavimento dello studio con una pallottola in fronte. Poiché la polizia locale brancola nel buio, l’indagine viene presa in mano da Gillingham e da Bill, che funge da “Watson”.

A. A. Milne, all'anagrafe Alan Alexander Milne (Kilburn, 18 gennaio1882 – Hartfield, 31 gennaio1956), fra la fine della guerra e la metà degli anni venti Milne pubblicò parecchie opere di diversi generi, soprattutto romanzi, tra cui anche il giallo Il dramma di Corte Rossa (1922) - titolo originale The Red House Mistery.

Questo unico romanzo tradotto in Italia (a quanto pare ne scrisse anche un altro, con un ragazza amante dei libri polizieschi, che si trova a vivere una vera detective story) già ai tempi gloriosi della prima collana Mondadoriana (numero 26, anno 1930) è infatti diventato universalmente noto grazie soprattutto all’opera di demolizione di uno scrittore che, credo, sia l’esatto contraltare di Milne, ovvero quel Raymond Chandler, che nel suo celebre saggio “La semplice arte del delitto” prende Il dramma di Corte Rossa come il romanzo simbolo di ciò che si dovrebbe evitare nei polizieschi, di ciò che uno scrittore veramente bravo non dovrebbe fare, di quanto la detective story inglese sia ingenua e superata etc… etc… tutto giusto, in fin dei conti Corte Rossa è un romanzo assai imperfetto, con molte situazioni forzate e che, a rigor di logica, fa acqua da tutte le parti, ma Chandler, nella sua furia devastatrice, si dimentica di sottolineare un aspetto del libro che, fortunatamente, pensò a rilevare Rex Stout, autore finissimo e critico molto arguto, lo definì «semplicemente incantevole» ed ecco che, con due parole, Stout andò dritto al cuore, all’essenza di questo libro.

A qualcuno di voi che è stato bambino e se ne ricorda, il nome di Alan Alexander Milne non deve essere del tutto sconosciuto; infatti si tratta dell’autore che creava le storie del tenero orsetto Winnie the Pooh e dei suoi amici del bosco dei cento acri, una delle cose più deliziose che possano esistere per un piccolo lettore (e non solo).


Il nome di Milne, indissolubilmente legato ai libri per l’infanzia, è noto però anche tra i giallofili in virtù di un romanzo del 1922 che, quasi suo malgrado, è finito per diventare uno degli archetipi supremi del classicissimo giallo all'inglese della Golden Age, quello degli omicidi tra un tè e una partita di golf.

L’importanza di Milne risiede anche nell’avere inaugurato la serie di detective con un approccio “scanzonato” al crimine mediante il personaggio di Anthony Gillingham, investigatore dilettante faceto e bizzarro. La tortuosità dell’intreccio, il suo charme d'altri tempi, il suo essere, in ultima analisi, un capolavoro di artificio ne fanno un’opera, come la definì Rex Stout, «semplicemente incantevole».

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