giovedì 28 ottobre 2021

Mauro Sighicelli: Maciste contro i Proci, promo

 

Ho scritto “Maciste contro i proci” quando ho deciso di cimentarmi in un romanzo storico. Era un periodo in cui gli scrittori che frequentavo erano divisi da un mio collega e caro amico in ‘storici’ e ‘non storici’, mescolando in questa categoria indistintamente gli autori del genere giallo, del filone rosa, della narrativa per bambini, del romanzo contemporaneo. Non mi sembrava corretto. Avevo deciso di ‘passare’ nel gruppo degli ‘storici’. Però a modo mio, senza abbandonare il mio stile e, soprattutto, volendo in fondo dissacrare tale categoria, impegnandomi in un falso romanzo storico. Così è nato “Maciste contro i proci”.

Avevo tutto quello che mi occorreva, un bel quaderno dove scrivere la storia, una bella penna, la voglia di divertirmi. Ho cercato notizie sui proci, ho citato gli stessi elencati nell’Odissea. Originariamente erano 108, nessuno è sopravvissuto, solo quindici vengono nominati con il loro nome. Maciste, invece, è un personaggio cinematografico nato nel film storico “Cabiria” del 1918, la cui vita è ambientata nel terzo secolo avanti Cristo. Rappresenta un uomo mitologico di straordinaria forza e bontà. Mi serviva un protagonista, così ho rispolverato un mio vecchio commissario del 1971, Bertini, assieme al fido scudiero Peppino.

 Ho iniziato a scrivere la storia il 21 luglio 2018, l’ho terminata dopo appena 10 giorni scrivendo 10 capitoli, uno al giorno. Il racconto è ambientato proprio in quell’anno, la pandemia non ha ancora travolto il pianeta, la voglia di andare in villeggiatura è ancora presente. L’opera è surreale, ma a me è venuta proprio così. Spero che vi piaccia e che vi divertiate, così come mi sono divertito io. 



lunedì 25 ottobre 2021

Batman

Batman, Stati Uniti, 1939 / Bill Finger e Bob Kane


Apparso per la prima volta nel maggio del 1939 sulle pagine del comic book Detective Comics, il primissimo Batman (allora si faceva chiamare The Batman) era particolarmente sinistro: agiva quasi sempre di notte, avvolto in una calzamaglia viola, il simbolo del pipistrello sul petto, un cappuccio-maschera dalle lunghe orecchie e un gran mantello plissettato che proiettava paurose ombre su Gotham
City.
Protagonista di storie spesso cruente - d'altra parte, come altri eroi dei fumetti degli anni Trenta, ha scelto di combattere il crimine in seguito a un dramma personale: l'uccisione dei genitori da parte di un ladro quando era appena un ragazzo - questo personaggio si è dedicato anima e corpo a questa missione e soltanto in seguito, con l'apparizione del giovane Dick Grayson, un acrobata da circo, anch'egli orfano e vittima della delinquenza, che da quel momento lotterà a lungo al suo fianco come Robin, le avventure si faranno meno cupe.

A lungo piene di incredibili marchingegni - dalla bat-mobile (trasformatasi con il passare degli anni e con il mutare dei criteri estetici) al bat-plano, dal bat-cottero alla bat-cintura - oltre che di irriducibili avversari molto ben caratterizzati come il Joker, il Pinguino e la Donna gatto, con il passare del tempo le avventure di questo personaggio, portato più volte sullo schermo, sono state continuate da decine e decine di autori e hanno decisamente perso un po' di mordente.

Tanto che a metà degli anni Ottanta la DC Comics ha deciso di correre ai ripari affidando a Frank Miller, che ha avuto carta bianca nel suo lavoro, la realizzazione di un "nuovo" Batman. Miller ha così ricreato l'Uomo pipistrello riproponendolo in una chiave che si rifà all'atmosfera gotica delle primissime storie realizzate da Finger e Kane e accentuandone la violenza. Il film diretto da Tim Burton nel 1989 (che ha incassato, soltanto negli Stati Uniti, oltre duecento milioni di dollari nei primi tre mesi di programmazione) ha poi seguito questa strada, tanto è vero che è stato vietato ai minori in alcuni paesi.


Poi il resto è storia molto recente sulla quale evito di soffermarmi, ognuno di noi conosce Batman o ne ha sentito parlare. A me importava darvi una infarinatura diversa sulla nascita del personaggio.

Béla Bartók + Music for Strings, Percussion and Celesta


(Nagyszentmiklós, 25 marzo 1881 – New York, 26 settembre 1945)

Rivelatosi ottimo pianista fin da fanciullo, si perfeziona all'Accademia Musicale di Budapest, imponendosi all'attenzione del pubblico internazionale già nei primi anni del secolo. Nello stesso tempo incomincia con Kodàly a occuparsi del canto popolare del suo paese, svolgendo per un decennio un'attività intensa di raccoglitore e trascrittore del ricchissimo patrimonio musicale folclorico dei balcani e arabo. Dal 1907 insegnò pianoforte all'Accademia di Budapest, sempre tenendo ampie tournées concenistiche in patria e all'estero, anche in duo con la moglie e col violinista Szigeti.
Circondato dall'ammirazione e dalla stima dei suoi contemporanei, nel 1939 lasciò per ragioni politiche l'Ungheria stabilendosi negli Stati Uniti, dove tenne conferenze e si dedicò al concertismo e all'insegnamento, senza riuscire peraltro a inserirsi interamente in questo paese a lui estraneo, tanto che pochi anni dopo moriva in solitudine e nella miseria piu nera.
Influenzato all'epoca della sua formazione soprattutto dalle grandi correnti della musica centro-europea, da Brahms a Wagner, all'impressionismo, Bartok si volse gradualmente allo studio del patrimonio musicale popolare del suo paese, traendone suggerimenti decisivi per la sua produzione. Egli infatti seppe fondere le avanzate tecniche della musica colta europea, la conoscenza approfondita e spregiudicata delle piu moderne tendenze musicali dell'Europa dell'epoca, con la coscienza che solo attingendo in profondità al folclore musicale gli sarebbe stato possibile creare un'arte svincolata dall'influsso di altre civiltà, sprovincializzata e insieme aperta ai più attuali problemi di linguaggio. Il folclore balcanico, con la sua incredibile ricchezza di ritmi, di movenze melodiche e di inflessioni modali completamente estranee alla tonalità, gli fornì così una base solidissima su cui poté erigere un grandioso edificio musicale che lo qualifica come un compositore profondamente radicato nella civiltà del suo paese, iniziatore di un movimento nazionale da cui è possibile attendersi sviluppi assai ampi.
Ma Bartòk era musicista troppo avvertito per non servirsi di questo "materiale" popolare in senso modernamente critico.
Nella sua produzione è così possibile ravvisare il riflesso della grande cultura musicale centro-europea anche dopo l'introduzione dell'elemento popolare. Basti dire che egli sentì fortemente dopo il 1910 l'influsso dell'espressionismo di marca viennese, che in alcune opere posteriori è evidente l'inclinazione a una stilizzazione di tipo neoclassico, che infine, nelle ultime opere della maturità, egli sembra aspirare a una distesa semplicità di linguaggio, in cui fa appello decisamente a quella tonalità che in alcune opere del periodo di mezzo era quasi giunto a rinnegare o comunque a sottoporre a una critica severa.
Tutto questo è una testimonianza della mentalità estremamente aperta del musicista, che piega il materiale folclorico a un tipo di espressione ad alto livello d'arte: ciò che infatti costituisce in lui il momento della spinta in avanti è proprio questo rapporto non superficiale col canto e la danza popolare, questo rapporto dialettico che gli permette di superare le angustie di un materiale legato alla vita contadina trasfigurandolo in composizioni di grandiosi sviluppi senza tradirne lo spirito e pure modificando profondamente il dato immediato, in sé quasi naturalistico. Bartòk ha indicato quale via si deve seguire nell'impiego del canto popolare nella musica d'arte: è una via difficile e densa di problemi, ma è anche l'unica che permetta di rinnovare ampiamente i mezzi tecnici del musicista moderno senza cedere a una concezione superficiale e utilitaristica delle manifestazioni dell'arte popolare.
Oltre alla musica orchestrale Bartòk è anche autore dell'opera Il Castello di Barbablù (1918) e delle "azioni sceniche" Il Principe di legno (1917) e Il Mandarino meraviglioso (1919); ma nella sua produzione conserva un posto di primo piano anche la musica da camera, in particolare i sei grandiosi quartetti (1908-39), i pezzi per strumenti diversi e pianoforte e quelli per pianoforte solo (tra cui il Mikrokosmos, l'unico metodo d'insegnamento pianistico basato su criteri di spregiudicata modernità).

 
Scritto per l'orchestra di Basilea diretta da Paul Sacher, questo pezzo è stato ritenuto per lunghi anni il capolavoro orchestrale di Bartòk. Di fatto, la suggestione che se ne sprigiona è straordinaria e indimenticabile. L'assorbimento dell'esperienza etnica è giunto qui al suo massimo stadio di rarefazione: fattesi scarse le citazioni letterali di temi popolari, il fattore etnico è trasfigurato nella musica ma rimane nell'incessante mutare dei ritmi e in certe tipiche inflessioni melodiche. Il primo tempo "Andante tranquillo" confina, nel suo cromatismo, con l'atonalità: è una fuga "a ventaglio," basata su un tema proposto inizialmente dalle viole in pianissimo con sordina, un tema cromatico che si allarga a poco a poco con le successive entrate degli altri strumenti (sempre a distanza di quinta) fino ad esplodere in uno spasmodico accordo di mi bemolle maggiore, per dar luogo poco dopo a un sognante episodio con l'intervento della celesta.
L"'Allegro" successivo, in netta opposizione al primo tempo, presenta ritmi marcati, uno straordinario vigore di accenti melodici, uno strumentale cangiante in cui sono tipici i frequenti glissandi pizzicati. Se qui ritorna per un momento un preciso riferimento alla musica folclorica ungherese, nel terzo tempo, "Adagio", siamo nuovamente in un clima irreale, generato da un cromatismo irrequieto e da un sottofondo timbrico creato dalla celesta, dall'arpa e dal pianoforte oltre che dai timpani a pedale, che permettono un costante glissando. 

Solo il finale "Allegro molto" riporta un clima assai diverso, dove ritornano ritmi e melodie " ungheresi ": è un brano agile, rapido, marcato, in cui l'orchestra raggiunge effetti mirabili di sonorità in un discorso che sembra a volte zingarescamente improvvisato, prima di concludersi bruscamente su un accordo di la maggiore.

lunedì 18 ottobre 2021

Bart Hardin

 Bart Hardin, Stati Uniti, 1954 / David Alexander

Generalmente considerato «la persona più affabile di Broadway», Bart Hardin è un ex marine, eroe
della Seconda guerra mondiale e della guerra di Corea, che dirige un piccolo giornale, il Broadway Times,
ed è sempre a caccia di scottanti notizie in esclusiva. Logico, quindi, che prima o poi finisca per imbattersi in qualche delitto che in un modo o nell'altro risolve con l'aiuto del tenente Romano della squadra omicidi di New York.

Sui trent'anni, alto e snello, dalla carnagione scura e i capelli chiarissimi, Bart Hardin ha il naso aquilino e il mento volitivo. Non è bello in senso stretto ma ha indubbiamente un certo fascino, e il suo autore lo descrive come «un tipo d'uomo che attira l'attenzione».

Conosce Broadway come le proprie tasche - «era nato a Broadway, vicino a un teatrino di pulci ammaestrate e a un parco di divertimenti in Forty Times Street, dove abitava tuttora. Non aveva mai lasciato Times Square tranne che per servire due volte il paese nel corpo dei marines, e la conosceva come un baro conosce un mazzo di carte truccate.

La sua familiarità con quelli che vi abitavano aveva fatto di lui uno strano miscuglio di durezza e tenerezza, cinismo e ingenuità; inoltre poteva fiutare un imbroglio a cinquanta passi di distanza» - e dedica la maggior parte del proprio tempo libero al poker e alle scommesse sulle corse dei cavalli.

Bart Hardin era l'editore vagabondo e giocatore d'azzardo di The Broadway Times, presente in otto romanzi negli anni Cinquanta, ricordato con affetto per aver vissuto sopra un circo delle pulci in un appartamento di Times Square.

Il Broadway Times era essenzialmente uno straccio usa e getta, che copriva le corse dei cavalli, i combattimenti e il mondo dello spettacolo e, come tale, ha dato al suo editore combattivo e decisamente pratico un'ampia opportunità di girovagare e farsi coinvolgere in ogni sorta di jam e scrap.

Fortunatamente, l'ex-marine hard-boiled e bevitore, che per qualche ragione a quanto pare preferiva i giubbotti a fiori, era più che all'altezza del compito. Nel corso della serie, Bart è stato coinvolto in tutto, da un serial killer di nome "Whacko" che perseguita le donne nel quartiere dei teatri (Terrore a Broadway) al traffico di droga (Paint the Town Black). E i fan degli omicidi di Yuletide che si svolgono nei circhi delle pulci potrebbero fare di peggio che dare un'occhiata a Shoot a Sitting Duck.

I libri erano pieni di coloratissimi personaggi di strada e offrivano un ottimo aspetto della Great White Way dell'epoca. Tra i tanti personaggi ricorrenti c'era il rivale solitamente amichevole (ma non sempre) di Bart, il tenente Romano della polizia di New York, che era stato anche un personaggio occasionale nell'altra serie di Alexander, con Tommy "Twotoes" Tuthill e Terry Bob Rooke.

L'autore David Alexander (Shelbyville, 21 aprile 1907 – Louisville, 21 marzo 1973) è stato per dieci anni caporedattore del The Daily Telegraph di New York , un giornale che è servito come ovvia ispirazione per il Broadway Times . Scrisse anche per il New York Herald Tribune e il National Thoroughbred , ma ciò che voleva veramente era scrivere romanzi polizieschi, quindi si iscrisse all'Istituto di criminologia di New York e gli furono offerti diversi lavori nel campo.

Rimase fedele alla finzione e scrisse numerosi racconti per i pulp e digest dell'epoca, oltre a romanzi, tra cui l'oscuro stand-alone The Madhouse in Washington Square (1958), la serie Hardin e un altro con le gesta di Tuthill e Rooke, una squadra di detective simile a Nero Wolfe e Archie Goodwin.

I romanzi di David Alexander con Bart Hardin sono stati pubblicati in Italia da Mondadori.

Milij Alekseevič Balakirev + Symphony No.2 in D-minor (1908)


(Novgorod, 21 dicembre 1836 – San Pietroburgo, 16 maggio 1910)

Ottimo pianista fin da fanciullo, a quindici anni dirigeva l'orchestra di Alexandr Ulibiscev mentre continuava da autodidatta gli studi musicali. Nel 1855 era a Pietroburgo, dove si faceva notare come direttore d'orchestra e si iscriveva all'Università entrando in contatto con gli ambienti piu democratici e progressivi della città. Ammirato come compositore da Glinka, nel 1861 fondò il "Gruppo dei Cinque" che si sciolse dopo un anno anche a causa del carattere autoritario del Balakirev: ma i germi della nuova scuola russa erano ormai gettati. Nel 1862 fondò una scuola gratuita musicale, organizzando in seguito dei concerti popolari: ma anche questa iniziativa, come la prima, era destinata a naufragare, e allora Mily abbandonò ogni attività musicale, ritirandosi per qualche tempo a fare il capostazione in una località non distante da Pietroburgo. Solo nel 1877 riprese gradualmente a occuparsi di musica, per ricoprire dal 1883 al '95 la carica di maestro di cappella a corte. 
Balakirev fu il primo compositore russo ad essere conscio della necessità di un rinnovamento musicale in senso nazionale: mentre in Glinka questa esigenza si presenta in maniera incerta, e la sua musica è ancora impacciata dai legami formali della tradizione italiana e francese, in lui c'è una volontà precisa di rompere quelle barriere, sulla via di una definizione precisa dei caratteri della musica russa. Non per nulla Balakirev fu in contatto con i circoli progressivi della Russia zarista, non per nulla era considerato dall'ambiente ufficiale di Pietroburgo, da Serov, dalla Pavlova e dagli altri pontefici della vita musicale, un vero e proprio rivoluzionario: e il fallimento delle sue iniziative a carattere popolare (sia la scuola come i concerti) fu dovuto proprio all'ostilità di quell'ambiente, che vedeva in lui un pericoloso sovvertitore della situazione esistente. Non poteva dunque essere che Balakirev a intuire la necessità di unirsi con altri musicisti per dar vita a una vera e propria scuola nazionale. Ed ecco nascere il famoso "Gruppo dei Cinque," a cui aderirono Mussorgski, Cui, Borodin e RimskiKorsakov.
Anche se questo gruppo ebbe vita effimera, la sua importanza nella storia della musica russa fu enorme: erano cinque musicisti che avevano preso coscienza della necessità di un rinnovamento, e anche quando si separarono per ragioni di incomprensione personale, quest'aspirazione restò viva in loro e diede vita a una delle piu importanti scuole nazionali dell'800.
Se all'instancabile, originale attività di Balakirev si deve dunque la formazione in Russia di un ambiente pronto ad accogliere e a continuare la "rivoluzione" del "Gruppo dei Cinque," al suo genio di compositore si deve se la musica è stata arricchita da alcuni lavori vivi ed ispirati. La sua produzione non molto vasta comprende tra l'altro 2 sinfonie, 2 poemi sinfonici, 4 ouvertures, musiche di scena, 2 concerti per pianoforte e orchestra e il famoso pezzo per pianoforte solo Islamey.


Composta nel 1908, uno degli ultimi lavori di Mily Balakirev, la Sinfonia n. 2 in re minore viene eseguita per la prima volta il 17 marzo 1909 a San Pietroburgo sotto la direzione di Sergej Ljapunov, allievo di Balakirev; accolta con scarso interesse e raramente riproposta al pubblico, è riconosciuta, peraltro, come una delle ultime espressioni della Scuola Nazionalista Russa del XIX secolo.
A differenza del poema sinfonico Tamara, composto nell’arco di tre lustri, la Seconda Sinfonia viene scritta in poche settimane; non presenta collegamenti tra un movimento e l’altro, e quindi appare più vicina ad una suite per orchestra, l’organico strumentale, inoltre, è più snello rispetto all’orchestra tipica di Balakirev.

Il primo movimento, Allegro ma non troppo, si apre con due accordi veloci, come l’Eroica di Beethoven; sono presenti due temi contrastanti, il primo ricorda un movimento di danza. I due motivi, elaborati e trasformati, conducono a una coda tradizionale annunciata dalla riproposizione del tema iniziale.

Il secondo movimento, Scherzo alla cosacca: Allegro non troppo, ma con fuoco ed energia, è avviato da un colpo di rullante che introduce immediatamente l’atmosfera russa del Gruppo dei Cinque. Il ritmo e i ricchi colori orchestrali della marcia ricordano la “Processione dei Nobili” dell’Opéra-ballet Mlada di Rimskij-Korsakov.

Il terzo movimento, Romanza: Andante, la parte più lunga della sinfonia, è caratterizzato da materiale tematico non particolarmente importante; l’atmosfera orchestrale è ben realizzata ma le melodie ripetitive lo rendono alquanto noioso.

Il quarto movimento, Finale: Polonaise, inizia con una fanfara dalla quale si dipana una danza polacca sostenuta energicamente dagli archi. Balakirev arricchisce la melodia con figurazioni simili a colpi secchi, con brevi passaggi cromatici imitativi negli strumenti bassi, con interruzioni improvvise, rendendo l’ascolto piacevole e divertente.

giovedì 14 ottobre 2021

Il predicatore di Camilla Lackberg


È presto una mattina dell'estate del 2003 a Fjällbacka quando un ragazzino decide di uscire dalla sua abitazione per giocare e fingendosi cavaliere andare alla ricerca di draghi. Il suo gioco viene bruscamente interrotto dalla scoperta del cadavere nudo di una giovane donna. Le indagini della polizia porteranno subito a capire che si tratta di omicidio.
Il mistero si infittisce quando sotto il corpo del primo cadavere vengono rinvenuti i resti degli scheletri di altre due donne scomparse negli anni '70.
La trama, ricca di sorprese, si articola tra passato e presente con il coinvolgimento nelle indagini della famiglia Hult, conosciuta da oltre vent'anni a causa di Ephraim, il predicatore, che si narra avesse particolari poteri di guarigione.
Patrik Hedström, che presto avrà un bambino da Erica Falck, si ritrova a dover risolvere l'intricato caso nel più breve tempo possibile per evitare che la florida stagione turistica venga intaccata da questi tragici ritrovamenti.


Camilla Läckberg, nome completo Jean Edith Camilla Läckberg Eriksson (Fjällbacka, 30 agosto 1974).
Dopo gli studi e la laurea in Economia all'Università di Göteborg si trasferisce nella capitale Stoccolma dove lavora nel marketing, attività che abbandona per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura che già costituiva una sorta di hobby.
Läckberg si è sposata per la prima volta con Micke Eriksson; i due però hanno divorziato nel 2007. Secondo il diritto svedese, in qualità di ex marito di Läckberg, Eriksson aveva diritto alla metà delle entrate derivanti dai contratti firmati durante il loro matrimonio. Alla fine fu concordato che lei gli avrebbe pagato una somma forfettaria.
Läckberg si è sposata per la seconda volta nel 2010 con Martin Melin, poliziotto e vincitore della Expedition Robinson, e insieme hanno avuto un figlio nel 2009. I due si sono lasciati nel 2014.
Nel 2015, si è fidanzata con Simon Sköld, lottatore di MMA, e i due si sono sposati nel 2017. Insieme hanno avuto una bambina, nel 2016.
Camilla Läckberg vive a Enskede e ha quattro figli: Wille e Meja dal primo matrimonio, Charlie dal secondo e Polly dalla sua relazione con Sköld. Charlie è anche il soggetto del primo libro per bambini di sua madre, Super-Charlie.


lunedì 11 ottobre 2021

Il Barone

 Il Barone, Gran Bretagna, 1966 / Anthony Morton

Prima serie europea realizzata a colori.
Il Barone è a metà strada tra la spy story e il giallo. Ambientata a Londra, è incentrata sulle avventure di un elegante antiquario americano, John Mannering (Steve Forrest) alias il Barone, quasi sempre impelagato in complicati quanto improbabili intrighi internazionali insieme ai suoi assistenti Cordelia Winfield (Sue Lloyd) e David Marlowe (Paul Ferris). Fare l'antiquario, molto elegante e un po' snob nonostante le sue origini americane, non gli dispiace, ma il suo è soltanto un lavoro di copertura.

Può essere curioso ricordare che quattro dei trenta episodi da 50 minuti approntati non sono andati mai in onda, né in Gran Bretagna né negli Stati Uniti, dove la serie è stata trasmessa dal 20 gennaio al 14 luglio 1966.

Protagonista delle storie è John Mannering, un antiquario con negozi a Washington, Parigi e Londra; in realtà è un agente segreto che sta indagando su casi di spionaggio internazionale con l'aiuto del suo collaboratore David Marlowe. Mannering, soprannominato "il barone" a causa della corona posta all'ingresso del suo ranch in Texas, è di nazionalità statunitense, mentre nei romanzi risulta essere britannico.

Pur essendo al servizio della legge, questo personaggio ricorda non poco Simon Templar, l'affascinante avventuriero creato da Lesile Charteris, mentre atmosfere e situazioni sono in parte ispirate ai romanzi di John Creasey, vale a dire Gordon Ashe, uno dei piti prolifici autori del nostro secolo. D'altra parte Anthony Morton è proprio uno dei suoi pseudonimi!

John Creasey (Southfields, 17 settembre 1908 – New Hall, 9 giugno 1973) è stato uno scrittore inglese di gialli e fantascienza. Ha scritto nel corso della sua carriera, iniziata a vent'anni, circa seicento libri, firmati con ventotto diversi pseudonimi. Ha inventato molti personaggi famosi che appaiono in tutta una serie di romanzi. Probabilmente il più famoso di questi è George Gideon di Scotland Yard, la base per la serie televisiva L'ispettore Gideon, ma anche altri del Dipartimento Z, il dottor Palfrey, l'ispettore Roger West e il Barone (personaggio sul quale è basata una serie televisiva).

Nel 1962 vinse un Edgar Award per il miglior romanzo con Gideon's Fire, scritto con lo pseudonimo di J.J. Marric. Nel 1969 fu insignito del prestigioso premio alla carriera Grand Master Award della Mystery Writers of America (vinto da altri importanti autori di gialli quali Agatha Christie, Rex Stout, Ellery Queen, Georges Simenon e Daphne du Maurier).

Dopo aver pubblicato nel 1930 il romanzo poliziesco intitolato The Speacher, che vede per la prima volta come protagonista Patrich Dawlish e nel 1932 un crime-thriller è diventato uno scrittore di professione.

Fu il settimo di nove figli. Ebbe un figlio dal suo primo matrimonio. Si risposò una seconda volta e ne ebbe altri due. Si sposò complessivamente quattro volte. Oltre che scrittore, Creasey divenne un membro del partito. Al tempo delle elezioni del 1945 John era presidente della locale associazione dei Liberali a Bournemouth, dove approfittò per pubblicizzare le sue opere. Ha partecipato alle elezioni di cinque anni dopo, classificandosi terzo. Nel gennaio 1966 però, fondò l'All Party Alliance, un gruppo che ha cercato di portare le persone migliori da tutte le zone d'Inghilterra al governo. Morì il 9 giugno 1973, a 64 anni. Nel 2007, la sua famiglia trasferì tutti i diritti legali e il diritto d'autore di Creasey alla Owatonna Media.

Johann Sebastian Bach + Concerti Brandeburghesi


(Eisenach, 31 marzo 1685 – Lipsia, 28 luglio 1750)

Il massimo rappresentante del barocco musicale tedesco nacque in un paese della Turingia come discendente di una famiglia dedita alla musica da almeno quattro generazioni. Rimasto orfano di padre e di madre in età di dieci anni, frequentò il liceo di Ohrdruf, ospite del fratello Johann Christoph che gli apprese i rudimenti della musica. Ma Johann Sebastian fu essenzialmente autodidatta, e seppe far tesoro della sua esperienza come fanciullo cantore a Liineburg (dal 1700), dove trasse insegnamenti preziosi dallo studio nella fornita biblioteca di San Michele. Qui studiò le opere dei maestri stranieri - in particolare italiani -, qui venne in contatto con una vita musicale rigogliosa che gli fece conoscere esecutori tedeschi
e stranieri e lo indusse a recarsi sovente ad Amburgo dove era in piena fioritura la scuola tedesca del nord. Nel 1703 entra alla corte di Weimar in qualità di violinista, ma pochi mesi dopo lo troviamo ad Arnstadt come organista a San Bonifacio, dove resta per quattro anni. Ricopre la stessa carica a Miihlhausen nella chiesa di San Biagio, e a Dornheim sposa la cugina Maria Barbara, ma nel 1708, in seguito all'alterazione dei rapporti con l'ambiente musicale della cittadina, ritorna a Weimar in qualità di organista di corte. Qui diviene nel 1714 primo violino nell'orchestra,
ritorna allo studio degli italiani (Vivaldi e Frescobaldi in particolare), ma non riesce a ottenere nel 1716 il posto di maestro di cappella, si che un anno dopo entra con tale carica alla corte di Cothen, dove rimane sino al 1723 (passando dopo la morte di Maria Barbara a seconde nozze con Anna Magdalena Wiilcken nel 1721), e dove ha modo di dedicarsi in particolare alla musica profana (nascono qui i Sei Concerti brandeburghesi).
Nel 1723 si insedia infine in qualità di Cantor e direttore di musica a San Tommaso di Lipsia, dopo aver superato un difficile esame. Qui rimarrà per il resto dei suoi giorni, non senza spostarsi occasionalmente per inaugurare nuovi organi, per far visita ai figli, per tenere concerti, e nel 1747 per suonare a Potsdarn alla presenza di Federico il Grande.
A Lipsia gli impegni pratici (la scuola, la direzione del coro e dell'orchestra, la disciplina dei ragazzi affidatigli) lo assorbono moltissimo, gli attriti col consiglio comunale non gli rendono la vita facile, e anche l'ambiente familiare non è propriamente idillico; eppure Bach trova il modo di scrivere una nuova cantata per ogni settimana e di concepire alcune delle sue più colossali creazioni nel campo della musica sacra (la Grande Messa in si minore e altre quattro messe minori, le Passioni, l'Oratorio di Natale, oltre a una serie di composizioni minori). Nel 1749 si fa operare agli occhi da un celebre oculista inglese, ma perde interamente la vista
e le sue condizioni generali si aggravano, tanto che un anno dopo muore di apoplessia, mentre sta per portare a termine la colossale Arte della fuga.
Di lui resta per tutto il sec. XVIII un ricordo imponente più come organista che come compositore (la sua vedova finirà in miseria nella fossa comune). Solo nel 1802 lo storico Johann N. Forkel ne rivaluta in un saggio l'importanza di compositore, e nel 1829 Mendelssohn presenta a Berlino la Passione secondo S. Matteo: incomincia qui la parabola ascendente della fama di Bach, che resta incorrotta e altissima a oltre due secoli dalla sua morte.
Con la sua opera colossale Bach definisce e individualizza i caratteri specifici della musica germanica. A differenza dell'Italia e della Francia, la Germania manca ancora nel '600 di un chiaro indirizzo stilistico musicale; l'attività è dispersa nelle molteplici corti di città grandi e piccole, e imita senza assorbirli i fenomeni culturali più appariscenti di altri paesi: non si dimentichi che Schüz era venuto a studiare in Italia con Gabrieli, e che buona parte dei musicisti tedeschi del '600 si erano formati alla scuola dell'olandese Sweelinck. Con Bach la musica tedesca riceve un impulso decisivo. Il compositore di Eisenach individua nella musica sacra protestante uno degli elementi che possono dare maggiore individualità alla produzione nazionale, e concepisce le grandi Passioni e le cantate; nella musica strumentale si rifà a modelli italiani, ma rivivendoli dall'interno di una sapienza costruttiva che non dimentica quella degli antichi maestri dei Paesi Bassi; infine individua l'organo come strumento solistico di importanza capitale, e crea per esso una raccolta vastissima di opere di insuperato pregio. 
Bach seppe così evitare la moda corrente nelle corti, si rese conto che non sulla linea delle innovazioni salottiere dei francesi si potevano creare le premesse di un'arte autonoma in senso nazionale, e in un periodo in cui dominava l'opera italiana non a caso si astenne dalla produzione teatrale. Di qui l'accusa di conservatorismo che gli fu mossa in vita, di qui la sensazione diffusa che egli fosse un compositore sorpassato ancora prima di aver portato a termine la sua opera. La storia ha stabilito invece che il vero innovatore era Johann Sebastian, non ad esempio il suo contemporaneo Telemann, indubbiamente più "à la page" di lui eppure tanto meno moderno nello spirito.
Nelle opere strumentali Bach ha posto le premesse dell'orchestra di fine Settecento, ha fatto uso lungimirante degli strumenti più diversi, ha dato anche alle danze di origine italiana o francese un impianto formale che non permette più di confonderle con la musica funzionale dell'epoca: con lui incomincia un'evoluzione che porterà direttamente agli sviluppi più vari e più arditi della scuola tedesca, classica prima e romantica più tardi.

Nel 1720 Bach incontrò a Karlsbad il margravio Christian Ludwig von Brandenburg, che lo invitò a scrivere dei pezzi per la sua cappella. Nacquero cosi nel 1721, concepiti sul modello italiano di Corelli e Vivaldi, questi sei concerti che denotano un'approfondita elaborazione tematica e contrappuntistica, assai più ricca e anticipatrice di quanto non fosse mai avvenuto nelle opere degli italiani e dello stesso Handel. Secondo il modello del concerto grosso, questi pezzi sono caratterizzati dal gioco concertante di alcuni strumenti ("concertino") in contrapposizione con il blocco orchestrale, in una dialettica che trascina l'ascoltatore dalla prima all'ultima battuta. L'organico dell'orchestra e del "concertino" varia di pezzo in pezzo: si tenga presente che queste sei composizioni furono scritte per un'orchestra, quella del margravio del Brandeburgo, particolarmente ricca di possibilità, e che in esse l'autore tendeva a raggiungere la maggior varietà di combinazioni.



CONCERTO N. 1 IN FA MAGGIORE - Comprende tre oboi, due corni, un fagotto, violino piccolo, archi e clavicembalo. All' "Allegro" iniziale di carattere maestoso e dal ritmo instancabile, segue un "Adagio" che è da considerarsi tra i rari pezzi strumentali di Bach sul tipo della "melodia accompagnata," in cui l'oboe, il violino e i bassi si alternano nella slanciata condotta melodica, con l'intervento espressivo degli altri strumenti che punteggiano con armonie spesso dissonanti (a volte con sovrapposizione di tonalità diverse) il decorrere fiorito della parte principale. Il terzo tempo, "Allegro" in sei ottavi, riprende un carattere festosamente ritmico, mentre a conclusione del Concerto abbiamo un "Minuetto" (e relativo " trio") e una "Polacca" (pure con "trio") in cui predominano le sonorità corpose degli strumenti a fiato, quasi per dare alla composizione un carattere di Landler da eseguirsi all'aria aperta.


CONCERTO N. 2 IN FA MAGGIORE - Composto per tromba, flauto, oboe, violino, archi e cembalo, presenta una tipica diversità tra "tutti" e "concertino," che permette al compositore un giuoco di luci e di ombre, di contrasti dinamici veramente insoliti. Dopo l"'Allegro" iniziale in 2/2, l"'Andante" è affidato a flauto, oboe e violino soli, con accompagnamento dei violoncelli e del cembalo: è un movimento pacato in 3/4 nella tonalità di re minore, dove l'intreccio contrappuntistico dei tre "soli" si distende in un discorso che non perde per un istante le sue spiccate caratteristiche melodiche. E con un vero colpo di genio timbrico, l'ultimo tempo ("Allegro assai") attacca, in contrasto con tutta l'atmosfera del brano precedente, con un assolo della tromba, a cui subito dopo si aggiungono per imitazione l'oboe, poi il violino solo, il flauto e infine il "tutti," giungendo in varie alternanze di impasti a una conclusione festosa cui la tromba dà nuovamente un carattere esultante. Da notarsi l'impiego della tromba piccola in fa: è uno strumento oggi insolito, per cui si richiedono esecutori specializzati, e l'uso che ne fa qui Bach dà all'insieme un carattere di luminosità particolarissimo.


CONCERTO N. 3 IN SOL MAGGIORE - A differenza degli altri, l'organico del Terzo Concerto è costituito da soli archi e cembalo. II ruolo di "concertino" è assunto di volta in volta dal trio dei violini, delle viole e dei violoncelli, conseguendo in tal modo un'unità di timbro che permette pur sempre un'intesa dinamica e una costante varietà, data dai cambi di registro. Tutto il Concerto sta sotto il segno di un ritmo instancabile e trascinante, che specie nel primo tempo acquista un vigore inconsueto grazie all'intervento massiccio della piena orchestra nei punti salienti dello svolgimento tematico. Un'altra caratteristica di questa composizione è data dalla mancanza di tempi lenti: dopo un "Adagio" di una sola battuta che serve sostanzialmente a introdurre una momentanea variazione armonica (con un passaggio alla dominante di mi minore), il secondo tempo - "Allegro" - attacca con un movimento veloce di ottavi e di semicrome in 12/8, dove il giuoco delle imitazioni porta a culmini dinamici di rara intensità, pur nella fondamentale serenità di tutto il discorso.


CONCERTO N. 4 IN SOL MAGGIORE - Con il Quarto Concerto Bach contrappone al "tutti" due flauti e un "violino principale": anche qui il primo tempo, in 3/8, denota un andamento giocoso, direi quasi spensierato, nel rincorrersi e nel contrapporsi degli strumenti del "concertino" non solo con l'intera orchestra ma anche tra di loro. L'ascoltatore odierno, abituato alle normali esecuzioni con i flauti moderni (flauti traversi), perde indubbiamente una parte importante dell'efficacia di questo bel Concerto bachiano, concepito in origine per due flauti diritti. Il suono nutrito delle nostre orchestre e la vastità degli ambienti in cui si esegue la musica sinfonica non permetterebbero del resto di apprezzare a dovere il flebile suono di questi strumenti: ma è a questa dimensione cameristica che va ricondotto nell'ascolto tutto il Quarto Concerto. Il secondo tempo, "Andante" in mi minore, fa sfoggio di un ampio patetismo barocco, tipico per le legature delle crome a due a due e per la netta contrapposizione di piano e di forte: ma il "Presto" finale in tempo tagliato è una fuga vigorosa, dove la dialettica tra "soli" e "tutti" dà luogo a figurazioni sempre nuove e sempre imprevedibili, in un divertimento della fantasia che avvince ed entusiasma.


CONCERTO N. 5 IN RE MAGGIORE - Ed eccoci al Quinto Concerto, il più popolare e anche il più brillante, il più virtuosistico e immediato del maestro di Eisenach. Il ruolo di "concertino" è affidato a flauto, violino e clavicembalo, e qui davvero l'elemento solistico balza nettamente in primo piano in tutta la struttura dell'opera. Così avviene soprattutto nel primo tempo, che con i suoi ritmi elastici e insieme solidamente ancorati a un movimento costante, porta a una serie di episodi dei tre "soli" che si arricchiscono di modulazioni e disegni sempre nuovi fino alla grande cadenza finale del cembalo, il pezzo forse più virtuosistico che Bach abbia scritto per questo strumento.
Come già era avvenuto nel Secondo Concerto, il tempo lento centrale è affidato ai tre solisti: esso si basa interamente su un tenue inciso esposto dal violino, e anche qui l'intreccio dei soli serve solo a dare maggior risalto alla componente melodica di questo breve brano, che Bach non per nulla ha indicato con la soprascritta "Affettuoso." Nell'ultimo tempo infine ("Allegro" in 2/4) sono di nuovo i solisti a proporre inizialmente un tema nettamente scandito in terzine, mentre l'entrata dell'orchestra, pur senza introdurre elementi nuovi, riporta alle sonorità caratteristiche del concerto grosso, alternandosi fino al termine con i solisti in un intreccio vario e sempre elegante.


CONCERTO N. 6 IN S I BEMOLLE MAGGIORE - È l'unico dei sei che richieda uno strumentale fuori dal comune specialmente al giorno d'oggi: privo dei violini, esso ha in organico viole da braccio, viole da gamba, violoncello, vialone e cembalo. Sarebbero dunque necessari per l'esecuzione gli strumenti della famiglia dell'antica viola, che rispetto alla viola moderna ha non poche differenze ed è da tempo caduta in disuso. Comunque il Sesto Concerto, oggi eseguito anche con un'orchestra d'archi normale (si noti la mancanza, come nel Terzo, di strumenti a fiato), merita di essere considerato alla stregua dei migliori concerti bachiani.
Il primo tempo è basato su uno di quei tipici procedimenti in cui l'elemento tematico diventa anche principale fattore di propulsione ritmica: cosi il canone tra le due viole a distanza di due sole semicrome genera uno di quei discorsi in cui il flusso ritmico è sorretto da una profonda scienza contrappuntistica, dando vita a una delle pagine strumentali più intense che Bach abbia scritto. Se l'"Adagio ma non tanto" centrale può parere meno felice nell'invenzione, l"'Allegro" finale si richiama ai caratteri precipui dell'inizio, dando luogo, in un vigoroso tempo di 12/8, a un vasto affresco in cui ancora una volta l'elemento più sorprendente è dato dal singolare colorito timbrico dell'insieme.


martedì 5 ottobre 2021

I versi che uniscono 2


Associazione Culturale ARTINSIEME di Finale Emilia 

Per il secondo anno, per la dolorosa situazione che tutti conosciamo e purtroppo non ci siamo ancora lasciati alle spalle, poiché gli incontri in presenza sono ancora un miraggio, per continuare a socializzare poeticamente, abbiamo pensato di realizzare una seconda raccolta di poesie da condividere insieme su internet.
Tutti i poeti e le poetesse che hanno dato gentilmente il loro contributo per creare questa nuova opera, sono mie conoscenze: amici poeti/poetesse, che hanno avuto un ruolo importante nella mia attività poetica da più di venti anni.
Per questo lavoro mi sono impegnato nuovamente con serietà e dedizione, ma poiché ho il dono dell’imperfezione, chiedo venia per eventuali errori e omissioni.
Ogni autore è responsabile della paternità dei propri elaborati e rimane proprietario dei diritti d’autore delle stesse opere.

Luigi Golinelli


Io, Roberto Roganti, ringrazio Luigi Golinelli e Nerina Ardizzoni per avermi concesso l'onore di leggere e interpretare a voce alta le poesie di questa raccolta. Mi sono permesso di creare un video che spero sia gradito a tutti.

lunedì 4 ottobre 2021

Barney Miller

 Barney Miller, Stati Uniti, 1975 / Danny Arnold e Theodore J. Filcher

Incentrata sulla vita di tutti i giorni di un distretto di polizia multietnico, questa serie, realistica ma anche divertente, mescolava spunti polizieschi a dialoghi da situation comedy, con battute umoristiche anche nei momenti più drammatici. Tutto ruotava attorno al capitano Barney Miller (Hai Linden), al Detective Stan 'Wojo' Wojciehowicz (Max Gail), al Detective Ron Harris (Ron Glass), al Detective sergente Arthur Dietrich (Steve Landesberg), al Detective sergente Nick Yemana (Jack Soo) al Detective Phil Fish (Abe Vigoda), all'Ispettore Frank Luger (James Gregory), al Detective sergente Chano Amenguale (Gregory Sierra), e gli scontri buffi, tra loro piuttosto numerosi, nascevano non tanto dalla personalità dei singoli personaggi quanto dalla loro appartenenza etnica.


Andata in onda negli Stati Uniti dal 23 gennaio 1975 al 9 settembre 1982, questa serie è stata trasmessa anche in Italia da Rai 2 ma, nonostante il doppiaggio accurato, non ha ricevuto l'attenzione che avrebbe meritato.


La serie, una sitcom ambientata nel mondo della polizia, si svolge quasi interamente all'interno dell'ufficio della squadra di detective (e l'ufficio adiacente del capitano Barney Miller) di un immaginario distretto di polizia di New York, situato nel Greenwich Village. Di solito ci sono due o tre sottotrame separate in ogni episodio, con diversi ispettori che si occupano di reati diversi. Raramente, circa una volta all'anno, un episodio vedeva uno o più investigatori fuori dalle mura del distretto, in appostamento o nelle loro case.

Barney Miller mantiene un devoto seguito tra gli agenti di polizia della vita reale, che apprezzano l'enfasi dello show sul dialogo e sui personaggi bizzarri e credibili, e la sua rappresentazione di basso profilo dei poliziotti che svolgono il loro lavoro. In un editoriale del 2005 per il New York Times, il detective della polizia di New York nella vita reale Lucas Miller ha scritto: "I veri poliziotti di solito non sono fan degli spettacoli polizieschi. […] Molti agenti di polizia sostengono che lo spettacolo poliziesco più realistico nella storia della televisione sia stata la sitcom Barney Miller, […] L'azione era per lo più fuori dallo schermo, la stanza della squadra l'unico set, e i ragazzi erano un gruppo eterogeneo di caratteristi che non correvano il rischio di essere scelti dalla polizia di New York per un calendario pin up. Ma hanno lavorato sodo, hanno fatto battute, si sono fatti male e hanno risposto al loro comandante. Per i veri detective, la maggior parte dell'azione avviene fuori dallo schermo e passiamo molto tempo in ufficio a scrivere rapporti al riguardo. Come la squadra di Barney Miller, facciamo battute l'uno sull'altro, sui casi che arrivano e sul pazzo sospettato rinchiuso nella cella di detenzione a due metri dalla scrivania del nuovo arrivato. La vita è davvero più simile a Barney Miller che a NYPD Blue, ma le nostre battute non sono così divertenti. Un ufficiale ha definito Barney Miller lo spettacolo poliziesco più realistico mai visto in televisione.