Su Phobos il tempo si calcolava come sulla Terra, perché gli antichiconquistatori della piccola luna di Marte ne avevano modificato la rotazionein modo da adattarla alle esigenze imperiali. Non solo: ne avevano coperto laroccia con erba verde, l’avevano dotata di un’atmosfera artificiale e da lìavevano comandato sui pianeti come se fossero isole prigioniere.Ma le orgogliose navi imperiali erano state sconfitte e dimenticate moltoprima della metà del trentesimo secolo, che è l’epoca in cui comincia questoracconto: le isole intorno al sole erano tornate libere e l’ultimo erede dellevaghe memorie imperiali non era altro che un prigioniero inquieto nell’ormaideclassato Palazzo di Porpora.La notte cedeva il posto a un’alba minacciosa, e la lunga mezzaluna diMarte si alzò come una scimitarra chiazzata di sangue davanti al sole. Sotto lasua luce rossastra, una porta scorrevole si aprì e il giovane signore delpalazzo uscì dalla gigantesca torre centrale per incamminarsi nel giardinopensile dell’ala ovest.Era un uomo snello, con indosso la divisa verde della Legione dellospazio, ma senza gradi e senza onorificenze. La faccia era ancora quella di unragazzo, ed era corrucciata; aggrottando le sopracciglia, scrutò il cielo buio aoccidente. Un altro uomo in verde sbucò dalla porta dietro a lui.«Bob Star, dove…? Ah, eccoti, ragazzo!» Il più anziano soldato dellospazio era basso, calvo e grasso, la tunica coperta di decorazioni accumulatedurante una lunga carriera ma ora sbottonata per la fretta. «Non puoiaspettare un momento il povero Giles Habibula?»«Mi dispiace, Giles.» Bob Star si girò rapidamente e la faccia abbronzatadal sole si rilassò mentre sorrideva con affetto alla sua guardia del corpo.«Sono uscito solo per dare un’occhiata al cielo. Devi seguirmi a ogni passoche faccio?»«Sai che devo» ansimò il grassone. «Hal e io abbiamo l’ordine di badarealla tua vita e di difenderla con la nostra, se è il caso. È tuo padre che lovuole, e il grande John Star è un ufficiale che merita obbedienza.»«Il grande John Star!» Per un momento l’amarezza soffocò la voce delgiovanotto, ma si riprese quando vide l’espressione offesa del volto del fedelelegionario. «Sì, immagino che mio padre sia veramente grande.» Annuìsemplicemente. «So che è l’eroe di una terribile guerra, il proprietario diPhobos e il marito di mia madre.«Ma perché mi fa sorvegliare come un criminale?»«Per piacere, ragazzo!» Giles Habibula arrancò faticosamente al suofianco, nel giardino trapiantato che spandeva i profumi della lontana Terra.«Forse tuo padre è più severo del vecchio Giles, ma sta solo cercando di faredi te un soldato.Inoltre, sai perché devi essere sorvegliato.»«Per la mia sicurezza.» Il giovane alzò con impazienza le spalle esili. «Ocosì dice mio padre. Ma io sono un diplomato dell’Accademia della Legione,e con lode, mi hanno insegnato come difendermi. Perché mio padre nonlascia che sia io a pensare alla mia sicurezza, come chiunque altro?»«Perché c’è in ballo qualcosa di più importante della tua vita, ragazzo.»Giles Habibula lanciò un’occhiata sospettosa ai viali deserti e allontanò ilgiovane dalla porta. «Sei in pericolo più di quanto credi. Non è un segreto,per Hal e me, che il Consiglio abbia deciso di nominarti erede all’ufficio ditua madre.»La faccia abbronzata di Bob Star sembrò all’improvviso più sottile per lapreoccupazione.«Stai parlando dell’…AKKA?» La voce gli mancò quandodovette pronunciare l’acrostico che nascondeva il misterioso segreto. Erala risorsa più preziosa dei pianeti uniti, un’arma così potente che il suocustode doveva giurare di rivelarne il principio solo al suo successore.«Infatti, ragazzo: sarà questo il tuo compito» disse con solennità ilvecchio legionario. «Il compito più nobile che essere umano possa sognare:essere l’unico depositario della grande arma, come oggi lo è tua madre. Èstato il Consiglio a dare l’ordine di guardarti a vista fin dal giorno che seistato scelto. Hal e io siamo fieri di servirti: allora, perché fare tante storie?»«Perché ora come ora non custodisco alcun segreto» protestò il giovane.«So soltanto che mia madre me lo rivelerà quando i medici diranno che in leinon è più al sicuro… e spero che quel giorno non venga per altri cent’annialmeno. Devo considerarmi prigioniero per tutto questo tempo?»«Forse gli ordini ti sembrano un po’ troppo severi.» Il vecchio fece uncenno di simpatia con la testa calva. «Ma perché te la prendi tanto? Siamoconfinati su Phobos, è vero, ma è un piccolo paradiso. Viviamo nel comfortdel più grande palazzo del sistema solare, per non dire della magnificacantina piena dei vini più pregiati. Dimmi, che male c’è in tutto questo ben diDio?»
giovedì 27 marzo 2025
URANIA n.29 - Jack Williamson: Gli uomini della cometa
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