Sono una donna anziana, ora; ma avevo solo tredici anni la notte in cui arrivai ad Applewale House. Mia zia faceva la governante in quella casa e venne una carrozza trainata da un cavallo a Lexhoe, per portare me e il mio bagaglio ad Applewale.
Ero spaventata quando arrivai a Lexhoe, e quando vidi quella carrozza con il cavallo desiderai tornare da mia madre, ad Hazelden. Stavo piangendo mentre salivo sul biroccino (così eravamo soliti chiamare quel tipo di carrozza) e il vecchio John Mulbery, il conducente, un uomo allegro e gentile, giunti al Golden Lion mi diede una manciata di mele, per cercare di rallegrarmi. Mi disse che c’era una torta di ribes, del tè e della carne di maiale che mi aspettavano, in camera di mia zia, in quella grande casa. Era una deliziosa notte di luna piena e io mangiai le mele, continuando a guardare fuori dal finestrino.
È una vergogna per dei gentiluomini spaventare una povera bambina sciocca com’ero io. A volte penso che sia una vera mania. Accanto a me, sul biroccio, c’erano due uomini. Dopo mezzanotte, quando si alzò la luna, cominciarono a farmi domande a proposito della mia destinazione. Dissi loro che stavo andando dalla signora Arabella Crowl, di Applewale House, vicino a Lexhoe.
— Oh, allora — disse uno dei due — non ci resterai per molto!
Io lo guardai come a dire: “Perché no?” Avevo risposto ad alta voce alla loro prima domanda e mi sembrava di aver detto una cosa intelligente.
— Perché — disse lui — ... e, ne va della tua vita, non dirlo a nessuno, ma resta solo a guardarla... lei è posseduta dal demonio, è uno spettro. Hai una Bibbia?
— Sì, signore — risposi io. Mia madre mi aveva infilato la Bibbia in valigia e sapevo che era lì. E ce l’ho ancora, sebbene la stampa sia troppo piccola per i miei occhi.
Lo guardai ripetendo: — Sì, signore. — Mi sembrò che ammiccasse al suo amico, ma non posso esserne certa.
— Bene — disse lui — assicurati che ogni sera sia sotto il tuo cuscino: terrà lontani da te gli artigli dello spettro.
Provai una tale paura sentendo quelle parola, non ne avete idea! Avrei tanto desiderato fare a quell’uomo delle domande sulla vecchia signora, ma ero troppo timida; poi lui e il suo amico cominciarono a parlare tra di loro e poi in seguito io scesi, come ho già detto, a Lexhoe. Sentii un tuffo al cuore mentre la carrozza percorreva il viale. Gli alberi erano grossi e fitti, vecchi quanto la casa, immagino. Se quattro persone avessero cercato di abbracciarne uno toccandosi le mani con la punta delle dita, dubito che ci sarebbero riusciti.
Bene, ero lì con il collo fuori dal finestrino, fissando la grande casa. All’improvviso me la trovai davanti!
Era una grande casa bianca e nera, con grosse travi scure che l’attraversavano e dei grossi frontoni bianchi sporgenti che sembravano guardare verso la luna, con incise delle figure di alberi, dei quali si potevano contare le foglie. I vetri smerigliati davano sulla grande anticamera, e tutte le finestre avevano delle persiane vecchio stile. Solo poche persiane erano aperte perché, nella casa, oltre alla vecchia signora, c’erano solo tre o quattro servitori e così la maggior parte delle stanza restava chiusa.
Il mio cuore era pieno di paura ora che il viaggio era finito e mi trovavo davanti a quella casa, con una zia che non avevo mai visto prima e la prospettiva di dover servire come cameriera la signora Crowl.
La zia mi baciò in anticamera e mi portò in camera sua. Era una donna alta e magra, con il viso bianco e due occhi neri e mani lunghe, coperte da guanti scuri. Aveva passato la cinquantina ed era di poche parole; ma quelle sue poche parole erano legge. Non posso lamentarmi di lei, ma era una donna dura, e credo che mi avrebbe trattato con più gentilezza se fossi stata la figlia di sua sorella e non quella di suo fratello. Ma questo ora non ha importanza.
Il signore della casa si chiamava Chevenix Crowl, ed era il nipote della signora Crowl e veniva, due o tre volte all’anno, per controllare che la zia fosse trattata con ogni riguardo. Lo vidi solo due volte in tutto il tempo che trascorsi ad Applewale House.
Non si può dire che la vecchia signora non fosse ben curata ed era tutto merito di mia zia e di Meg Wyvern, la sua cameriera personale, che avevano una coscienza e facevano il loro dovere nei confronti della signora.
La signora Wyvern (la zia la chiamava Meg Wyvern se parlava tra sé e signora Wyvern se parlava di lei con me) era una grassa e allegra cinquantenne, alta e con delle belle spalle larghe, sempre di buon umore, ma molto lenta nel camminare. Doveva essere ben pagata, ma era avara e teneva sotto chiave i suoi vestiti migliori. Indossava sempre un vestito di cotone color cioccolato, con dei disegni rossi, gialli e verdi, la cui durata era davvero eccezionale.
Non mi regalò mai nulla finché rimasi lì, ma era sempre di buon umore e rideva in continuazione, raccontando senza smettere mai aneddoti mentre beveva il tè e, vedendomi triste o abbattuta, mi tirava su il morale con le sue risate e le sue storie. Credo che mi piacesse più lei di mia zia (i bambini sono subito incantati da qualcuno che racconta delle storie e che ride sempre), anche se mia zia era sempre molto buona con me. Ma restava sempre dura per molti aspetti e non parlava mai.
Quella sera, dunque, mia zia mi portò in camera sua, dove mi riposai mentre lei preparava del tè. Ma prima mi diede una pacca sulle spalle, dicendomi che ero una ragazzina alta per la mia età, che ero cresciuta bene e chiedendomi se sapevo fare dei lavoretti e cucire. Poi mi guardò in faccia e dichiarò che ero identica a mio padre, cioè suo fratello, che era morto e sepolto, e che sperava che io fossi una cristiana migliore di quello che era stato lui.
Pensai che non era un bel discorso da fare la prima volta che mettevo piede in camera sua.
Quando entrai nell’altra stanza (era quella della governante, tutta pannellata con
legno di quercia), vidi che c’era un bel fuoco scoppiettante, fatto con legna e carbone insieme, e che il tè era già pronto sul tavolo, con una torta calda e della carne fumante. E c’era anche la grassa e allegra signora Wyvern, che in un’ora parlava più di quanto mia zia facesse in un anno.
Mentre stavo ancora prendendo il tè, la zia salì al piano di sopra per vedere la signora Crowl.
— È andata di sopra per vedere se la vecchia Judith Squailes è sveglia — mi disse la signora Wyvern. — Judith rimane con la vecchia signora Crowl quando io e la signora Shutters (il nome di mia zia) siamo via. La signora è una vecchia brontolona. Devi essere decisa con lei, altrimenti rischia di cadere nel fuoco o dalla finestra. Ha degli attacchi a volte, vecchia com’è.
— Quanti anni ha, signora? — chiesi io.
— Lo scorso compleanno ne ha fatti novantatré e sono già passati otto mesi — disse ridendo. — E non fare domande su di lei davanti a tua zia. Ricordatelo; prendila come è e basta.
— E cosa dovrò fare io con la signora? Vi prego di dirmelo. — domandai io.
— Con la vecchia? Bene — disse lei — tua zia, la signora Shutters, te lo dirà. Ma suppongo che dovrai sederti in camera sua e fare il tuo lavoro; controllare che stia bene e lasciarla divertire con gli oggetti che tiene sparsi sul tavolo; portarle da mangiare e da bere quando te lo chiede e tenerla lontano dai guai, chiamando se crea problemi.
— È sorda, signora?
— No, e nemmeno cieca — disse lei. — È dritta come un fuso, ma è uscita di senno, non ricorda molto bene le cose. I racconti di Jack l’Assassino o di Goody Due Scarpe le piacciono come i pettegolezzi della corte del re e gli affari dello stato.
— Cos’ha fatto la ragazza che se n’è andata lo scorso venerdì, signora? Mia zia ha scritto a mia madre che se n’è dovuta andare. — Sì, è andata via.
— Perché? — chiesi di nuovo.
— Non ha risposto alla signora Shutters, immagino — rispose lei — ma non so con precisione. Non parlare troppo. Tua zia non sopporta le ragazzine che parlano troppo.
— E la vecchia signora è bene in salute? — dissi.
— Non c’è nulla di male a fare questa domanda — rispose lei. — È stata poco bene di recente, ma la settimana scorsa stava meglio e credo che camperà fino a cent’anni. Zitta! Ecco tua zia che scende le scale.
La zia arrivò e cominciò a parlare con la signora Wyvern, e io, cominciando a sentirmi più a mio agio e a casa mia, presi a vagabondare per la stanza, osservando questo e quello. C’erano begli oggetti cinesi antichi sulla dispensa e quadri alle pareti. C’era anche una porta che conduceva a un guardaroba in cui vidi appesa una strana giacca di pelle, molto vecchia, con delle frange e delle maniche molto lunghe.
— Cosa stai facendo, bambina? — chiese mia zia con voce severa, rivolgendomi la parola proprio quando meno me l’aspettavo. — Cos’hai in mano?
— Questo, signora — dissi, voltandomi con la giacca di pelle in mano. — Non so cos’è, signora.
Il suo viso, da pallido che era, divenne paonazzo per la rabbia e i suoi occhi
cominciarono a mandare bagliori irati. Credo che se le fossi stata più vicina, mi avrebbe dato una bella strigliata. Invece mi prese per le spalle e, afferrando la giacca che avevo in mano, disse: — Fino a quando stai qui, non ti immischiare e non toccare cose che non sono tue. — Poi riappese la giacca al chiodo e chiuse la porta con violenza.
La signora Wyvern stava ridendo con le mani alzate al cielo, restando seduta sulla sua sedia, limitandosi a girare leggermente su se stessa, come faceva sempre quando rideva di gusto.
Io avevo le lacrime agli occhi e lei, facendo un cenno a mia zia, disse asciugandosi lei stessa gli occhi che le lacrimavano per il gran ridere: — La bambina non intendeva far male... vieni qui da me, bambina mia. Serve solo per metterci le anatre zoppe. Tu non farci domande e noi non ti diremo bugie. Vieni qui a sederti e a bere un bicchiere di birra prima di andartene a letto.
La mia stanza, notate bene, era al piano di sopra, accanto a quella della vecchia signora, e il letto della signora Wyvern era accanto a quello della padrona di casa. Io dovevo restare pronta, in caso mi avessero chiamato.
La vecchia signora ebbe una delle sue crisi quella notte e anche il giorno dopo. A volte le capitavano queste manie. Qualche volta non voleva che la vestissero, altre volte si rifiutava di farsi spogliare. Dicevano che in gioventù era stata una vera bellezza. Ma non c’era nessuno ad Applewale House che se la ricordasse giovane. Era terribilmente affascinata dai vestiti. Aveva sete preziose, abiti di satin, velluti e pizzi di tutti i tipi, abbastanza per allestire almeno sette negozi. Tutti i suoi abiti erano antichi e bizzarri, ma dovevano valere una fortuna.
Bene, quella sera me ne andai a letto. Per un po’ rimasi sveglia: tutto era nuovo per me e credo che il tè facesse il suo effetto, perché non ero abituata a berlo, se non in vacanza o in occasioni particolari. Poi sentii la signora Wyvern che parlava e misi una mano intorno all’orecchio per sentire meglio. Ma non sentii la signora Crowl, anzi credo che non parlasse nemmeno.
Tutti si prendevano una gran cura di lei. I membri della servitù di Applewale House sapevano bene che, morta la padrona, si sarebbero trovati in mezzo a una strada; ora la loro situazione era ottimale e le loro paghe molto alte.
Il dottore veniva due volte la settimana a visitare la vecchia dama e potete stare certi che tutti seguivano con scrupolo le sue prescrizioni. Un ordine non variava mai: nessuno doveva irritarla o metterla di cattivo umore, ma tutti dovevano rallegrarla e compiacerla in tutto.
E così quella notte dormì vestita e il giorno dopo non disse nemmeno una parola. Io rimasi in camera mia a cucire tutto il tempo, tranne quando scesi per mangiare.
Mi sarebbe piaciuto vedere la vecchia dama, o almeno sentirla parlare. Ma, per quanto mi riguardava, lei poteva anche abitare in un’altra città.
Dopo mangiato, mia zia mi mandò a fare una passeggiata di un’ora. Fui felice di tornare, perché gli alberi erano così alti e il posto così buio e solitario, ed era un giorno nuvoloso in cui piansi molto pensando a casa, mentre camminavo da sola. Quella sera rimasi in camera mia, con tutte le candele accese. C’era la porta aperta nella stanza della signora Crowl e mia zia era da lei. Fu allora che sentii quella che immaginavo essere la voce della vecchia dama.
Era un suono strano, come il verso, non saprei bene come definirlo, di un uccello o di un animale, ma era molto sottile e strascicato.
Tesi l’orecchio per sentire quello che diceva, ma non capii nemmeno una parola. Poi mia zia rispose.
— Il malvagio non può far male a nessuno, se il Signore non lo permette.
Poi la strana voce dal letto disse qualcosa che non capii nemmeno questa volta.
E di nuovo mia zia rispose: — Lasciamoli venire fuori, signora, e dire quello che vogliono; infatti, se il Signore è con noi, chi potrà essere contro di noi?
Io rimasi ad ascoltare con l’orecchio contro la porta, trattenendo il fiato, ma dalla stanza non arrivarono altri rumori. Venti minuti dopo, mentre ero seduta al tavolo a guardare le figure del libro delle favole di Esopo, mi accorsi che la porta si stava muovendo e, sollevando lo sguardo, vidi la faccia di mia zia che mi guardava. Sollevò la mano.
— Zitta! — mormorò molto piano venendo verso di me in punta di piedi e sussurrandomi: — Grazie a Dio si è addormentata. Non fare rumore fino a quando tomo. Vado a prendermi una tazza di tè, ma torno subito. Salirò con la signor Wyvern... lei dormirà nella stanza e poi, quando noi due saremo salite, tu puoi scendere e Judith ti darà la cena in camera mia.
E così se ne andò.
Io rimasi a guardare i libro, ascoltando ogni minimo rumore, ma non sentii nulla, nemmeno respirare. Allora cominciai a parlare con le figure e con me stessa per farmi coraggio, perché la mia paura cresceva in quella grande stanza.
Decisi di alzarmi, cominciando a camminare per la camera, guardando questo e quello, per distrarre la mente, capirete. E alla fine, decisi di spiare nella stanza della signora Crowl.
Era una grande stanza con un letto con quattro colonnine, dalle quali pendevano delle tende di seta a fiori alte fino al soffitto, ben chiuse. C’era uno specchio, il più grosso che avessi mai visto, e moltissima luce. Contai ventidue candele, tutte accese. Era una sua mania e nessuno osava dirle di no.
Rimasi sulla porta, sbalordita, a osservare tutto intorno. Quando fui sicura che non c’era nessun rumore e che nemmeno un alito di vento muoveva le tende, mi feci coraggio ed entrai nella stanza in punta di piedi, continuando a guardarmi intorno. Mi diedi un’occhiata nel grande specchio. E poi alla fine, mi venne un’idea e mi dissi: — Perché non posso dare un’occhiata anche alla vecchia dama nel letto?
Voi penserete che sono stata una matta, ma non sapete il desiderio che avevo di vedere l’anziana donna, e poi pensai che se buttavo via quell’occasione, sarebbero potuti passare dei giorni prima di riuscire a conoscerla.
Bene, miei cari, andai alla sponda del letto, e le tende erano così ben chiuse che quasi mi mancò il coraggio. Ma poi raccolsi il coraggio e infilai le dita tra le tende e poi la mano. Aspettai un po’, ma era tutto immobile. Così, piano piano, scostai le tende e, ve lo garantisco, mi trovai distesa davanti, come la dama sulla tomba che avevo visto nella chiesa di Lexhoe, la famosa signora Crowl di Applewale House! Era lì sdraiata, vestita. Non si vedono più abiti così ai nostri giorni. L’abito era di seta e di satin, scarlatto, verde e dorato, ornato con pizzi. Santo Cielo, che spettacolo! In testa aveva una grossa parrucca, alta la metà di lei, e, cielo... si sono mai viste delle rughe
simili?... Il suo vecchio collo cadente era incipriato di bianco, il viso era colorato di rosso e le sopracciglia erano di un colore grigio-topo. Giaceva così; maestosa e immobile, con calze di seta e le scarpe con i tacchi alti. Ma il suo naso era curvo e sottile e gli occhi semichiusi, tanto che se ne intravedeva il bianco. Era sua abitudine restare, così vestita, davanti allo specchio a guardarsi, con un ventaglio in mano e un mazzolino di fiori appuntato alla vita. Le sue mani grinzose erano allungate contro i fianchi, e unghie più lunghe io non ne vidi mai in tutta la vita. Era forse la moda dei suoi giorni portare le unghie così lunghe?
Bene, credo che sareste rimasti impressionati anche voi nel vedere una cosa simile. Non riuscii a richiudere la tenda perché non potevo nemmeno muovermi e non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Perfino il mio cuore sembrava fermo. Poi, all’improvviso, aprì gli occhi e si mise seduta, come spinta da una molla; posò i piedi sul pavimento facendo rumore con i tacchi, fissandomi con i suoi grandi occhi vitrei e una smorfia sulle vecchie labbra rugose che lasciavano vedere i denti finti.
Ebbene, un cadavere è una cosa naturale, ma quello fu lo spettacolo più terrificante che io avessi mai visto. Tese le sue dita verso di me. Aveva la schiena curva, carica di anni. Disse: — Tu, agnellino! perché hai detto che io ho ucciso il ragazzo? Ti batterò fino alla morte!
Se fossi stata in grado di pensare, mi sarei voltata e sarei fuggita subito. Ma non potevo smettere di guardarla e mi allontanai, arretrando più in fretta che potei. Lei mi venne dietro, come mossa da misteriosi fili, sempre puntandomi le unghie alla gola e facendo un suono strano con la lingua... zizz-zizz-zizz.
Io continuai ad arretrare più in fretta possibile, ma le sue dita erano solo a pochi centimetri dalla mia gola e io sentivo che sarei morta se mi avesse toccato.
Continuai a camminare verso un angolo della stanza e diedi un grido perché ero convinta che la mia anima se ne stesse andando dal corpo. Un minuto più tardi mia zia gridò qualcosa da fuori e la vecchia si voltò verso di lei. Io mi voltai e corsi in camera mia e poi giù per le scale, con tutta la velocità che le gambe mi permettevano.
Stavo gridando forte, ve lo posso assicurare, quando entrai nella stanza della governante. La signora Wyvern rise moltissimo quando le raccontai l’accaduto. Ma poi cambiò atteggiamento quando le riferii le parole della signora.
— Ripetilo! — disse.
Io ripetei quello che la vecchia aveva detto.
— Tu, agnellino! perché hai detto che io ho ucciso il ragazzo? Ti batterò fino alla morte!
— E tu avevi detto che lei ha ucciso un ragazzo? — chiese lei.
— Certo che no, signora — risposi io.
Dopo questo episodio, Judith fu sempre terribile con me, quando le altre due donne non c’erano. Avrei preferito saltare dalla finestra piuttosto che restare da sola con lei nella stessa stanza.
Una settimana dopo la signora Wyvern, una volta che eravamo sole io e lei, mi raccontò una storia sulla signora Crowl che io non sapevo. Quando era giovane e molto bella, circa settant’anni fa, aveva sposato il signor Crowl di Applewale House. Lui era vedovo e aveva un figlio di circa nove anni.
Una mattina non si seppe più nulla del ragazzo. Nessuno scoprì dove poteva essere
finito. Aveva sempre goduto di troppa libertà; era solito stare fuori casa dalla mattina; andava a fare colazione al cottage del guardiano e poi stava in giro, occupandosi della conigliera per tutto il giorno. Altre volte andava al lago a fare il bagno e trascorreva tutto il giorno sulla riva a pescare, oppure in barca. Bene, nessuno può dire cosa gli fosse successo. Il suo cappello venne trovato vicino al lago, sotto un cespuglio che vi cresceva in quei tempi e si pensò che fosse annegato. E l’altro figlio del padrone, avuto da questa longeva signora Crowl, entrò in possesso della tenuta. Suo figlio, il nipote della vecchia signora, Chevenix Crowl era il padrone di Applewale House quando io arrivai in quei luogo.
Si fece un gran parlare di questa vicenda prima ancora che mia zia prendesse servizio. Si diceva che la matrigna del ragazzo sapesse più di quanto diceva. Ma con le sue smancerie e lusinghe ingannò il vecchio padrone, suo marito, e visto che il ragazzo non tornò più, non si parlò più della vicenda.
Ma ora vi racconterò quello che vidi con i miei occhi.
Ero in quella casa da sei mesi ed era inverno, quando la vecchia signora ebbe il suo ultimo attacco.
Il dottore temeva che potesse avere un attacco di pazzia, come era accaduto quindici anni prima, quando l’avevano dovuta legare con quella giacca di pelle che avevo trovato nel guardaroba accanto alla stanza di mia zia.
Ebbene, non ebbe nessun attacco.
Sì struggeva, si sollevava e poi ricadeva; tossì piano per circa due giorni e poi cominciò a gemere e a contorcersi nel letto, come se avesse un coltello piantato nella gola; cercava di uscire dal letto e, non avendo la forza di camminare e nemmeno di stare in piedi, ricadeva sui cuscini, con le vecchie mani grinzose sulla faccia, gridando pietà.
Potete stare certi che non entrai mai in quella stanza. Me ne stavo nel mio letto a tremare per la paura, mentre lei continuava a gridare, sibilando parole che avrebbero fatto venire a chiunque la pelle d’oca.
Mia zia, la signora Wyvern, Judith Squailes e un’altra donna di Lexhoe erano sempre indaffarate intorno a lei. Alla fine ebbe un colpo e la spogliarono.
C’era anche il parroco, a pregare per lei. Ma era inutile pregare. Cioè, immagino che fosse una cosa buona, ma non sarebbe servita a nulla, e alla fine la vecchia dama esalò l’ultimo respiro e morì. Venne chiusa in una bara e il signor Chevenix venne avvisato con una lettera; ma era lontano, in Francia, e il parroco e il dottore dissero che non si poteva aspettare il suo ritorno; e poi a nessuno, tranne che a loro due, a mia zia e a noi della casa, interessava andare al cimitero. E così la signora di Applewale venne sepolta nella volta della chiesa di Lexhoe e noi continuammo a vivere in quella grande casa, aspettando che il proprietario venisse a dirci cosa intendeva fare con noi e, a pagarci i salari, in caso decidesse di mandarci via.
Io venni sistemata in un’altra camera, a due porte di distanza da quella che la signora Crowl aveva abitato. Accadde tutto la sera prima che il signore di Applewale tornasse a casa.
La mia nuova stanza era quadrata, pannellata di legno, ma senza mobilio, ad eccezione del letto, che non aveva tendine intorno, una sedia e un tavolo che si perdevano in una stanza così grossa. L’enorme specchio davanti a cui la vecchia
signora era solita sedersi per rimirarsi dalla testa ai piedi, ora che non serviva più era stato portato fuori dalla sua camera e sistemato nella mia. La sua stanza era stracolma di oggetti quando venne seppellita.
Quel giorno era arrivata la notizia che il padrone di casa sarebbe arrivato ad Applewale la mattina dopo; e io non ero certo dispiaciuta, perché ero sicura che sarei stata rimandata a casa da mia madre. Anzi, ero proprio felice perché pensavo sempre a casa mia, a mia sorella Janet, al gattino e al cane, Trimmer, e a tutti, ed ero così triste che quella notte non riuscii a dormire. Quando l’orologio batté la mezzanotte ero ancora sveglia e la stanza era buia come l’inchiostro. Avevo la schiena voltata verso la porta e fissavo con gli occhi il muro.
Bene, non poteva essere passato più di un quarto d’ora dopo mezzanotte quando vidi una luce sul muro davanti a me, come se qualcuno avesse acceso un fuoco alle mie spalle; le ombre del letto e della sedia e della mia gonna ondeggiavano sulla parete, danzavano su e giù sulle travi del soffitto e sui pannelli di legno. Mi voltai di scatto, pensando che qualcosa stesse bruciando.
E quello che vidi... mio Dio! Non fu altro che l’immagine della vecchia, con i suoi pizzi e le sue sete che le coprivano il corpo morto. Aveva gli occhi spalancati e feroci, e il suo viso sembrava quello del demonio in persona. C’era una luce rossa che brillava intorno a lei, come se i suoi abiti stessero bruciando. Si dirigeva proprio verso di me, con le vecchie mani adunche tese per afferrarmi. Io non riuscivo a muovermi, ma la figura mi passò accanto lasciando una scia d’aria fredda, e io la vidi vicino al muro, nell’alcova, come la chiamava la zia, il recesso dove nei tempi antichi c’era il letto degli ospiti. Vidi una porta aperta e la figura che sembrava afferrare qualcosa. Non avevo mai notato la porta prima. E poi si voltò ancora verso di me, come se stesse girando su un perno, digrignando i denti; tutta la stanza era buia, io mi trovai dall’altra parte del letto senza sapere come ci ero arrivata. Alla fine ritrovai l’uso della lingua e lanciai un lungo grido, precipitandomi giù dalle scale e spalancando la porta della signora Wyvern, spaventandola a morte.
Potete ben immaginare che quella notte non dormii. Quando si fece giorno andai da mia zia, anche se facevo fatica a reggermi in piedi.
Ebbene, mia zia non mi sgridò e non urlò, come avevo temuto, ma mi prese la mano e mi guardò dritto negli occhi, dicendomi di non aver paura e poi disse: — L’apparizione aveva in mano una chiave?
— Sì — dissi io perché me ne ricordavo — una grossa chiave con il manico d’ottone.
— Ferma un attimo — disse lei lasciandomi la mano per aprire un cassetto della credenza. — Era una chiave come questa? — disse prendendo una chiave per mostrarmela. Aveva una faccia tesa e preoccupata.
— Proprio così — risposi io con certezza.
— Sei sicura? — chiese lei voltando la chiave.
— Sicura — dissi io e mi sentii svenire mentre le rispondevo.
— Va bene, basta così, bambina mia — disse lei rimettendo la chiave al proprio posto. — Il padrone tornerà a casa oggi stesso, prima di mezzogiorno e dovrai raccontargli tutto — mi disse pensierosa. — Io credo che me ne andrò subito e perciò la cosa migliore per il momento è che tu te ne vada a casa questo pomeriggio.
Cercherò un altro posto per te appena potrò.
Potete ben immaginare la mia felicità a quelle parole.
La zia preparò le mie cose e mi diede le tre sterline che mi spettavano di salario, da portare a casa. Poi il signor Crowl in persona arrivò ad Applewale House; era un bell’uomo sulla trentina. Era la seconda volta che lo vedevo, ma questa fu la prima volta che parlò con me.
Mia zia parlò con lui nella stanza della governante e non so quello che si dissero. Io avevo un po’ paura di quell’uomo, perché era un grande signore di Lexhoe e non osai avvicinarmi fino a quando non fu lui a chiamarmi. E poi mi disse, sorridendo: — Cos’hai visto, bambina? Dev’essere stato un sogno, perché tu sai che a questo mondo non succedono queste cose. Ma, qualsiasi cosa fosse, mia piccola cameriera, siediti qui e raccontaci tutto dall’inizio alla fine.
Bene, quando finii lui, mordendosi le labbra, si rivolse a mia zia.
— Mi ricordo bene di quel luogo. Ai tempi di Sir Oliver, Wyndel lo zoppo mi disse che c’era una porta in quel recesso, proprio quella che la ragazza dice di aver visto aperta dal fantasma di mia nonna. Avevo solo otto anni quando me lo raccontò ed ero solo un ragazzo. Sono passati vent’anni da allora. Si tenevano i piatti e i gioielli laggiù, prima di costruire la cassaforte di ferro nella stanza degli arazzi, e Wyndel mi disse anche che la chiave per aprire il recesso aveva un manico d’ottone: è quella che avete trovato tra le vecchie cose di mia nonna. Ora, non sarebbe strano se trovassimo dei cucchiai antichi o dei diamanti dimenticati laggiù? Vieni con noi, ragazzina, a farci vedere il punto esatto.
Io avevo molta paura, mi sentivo il cuore in gela e strinsi forte la mano di mia zia mentre entravamo in quella stanza spaventosa; mostrai loro come l’immagine era entrata, mi era passata davanti e il posto in cui si era fermata e dove si era aperta quella misteriosa porta.
C’era un vecchio armadio vuoto contro il muro e, spostandolo di lato, scoprimmo i contorni di una porta, tappati con del legno dello stesso colore, e anche la serratura era chiusa da un pannello di legno. Se non fosse stato per i cardini, che vennero alla luce spostando l’armadio, nessuno avrebbe detto che quella era stata una porta in passato.
— Ah! — esclamò il padrone di casa con uno strano sorriso — sembra proprio questa.
Ci vollero alcuni minuti per togliere il pannello di legno dalla serratura, e il signor Crowl si aiutò con un martello e un piccolo scalpello. La chiave entrò benissimo e, con una strana contorsione e un lungo stridore, il chiavistello si alzò e la porta si aprì.
All’interno c’era un’altra porta, ancora più strana della prima, ma non aveva serratura e quindi l’aprimmo subito. L’interno era costituito da una piccola stanza con la volta e le pareti di mattoni. Non riuscimmo a vedere cosa conteneva perché era tutto buio.
Poi mia zia accese una candela e il signore la prese ed entrò.
Mia zia gli stava dietro in punta di piedi, cercando di guardare oltre le spalle di lui, mentre io non vedevo niente.
— Ah! ah! — urlò Crowl arretrando. — Che cos’è? Datemi il bastone, presto! — disse a mia zia. Mentre lei andava a prendere il bastone, io spiai da dietro il braccio di lui e vidi, in un angolo della stanza, una scimmia o una pelle o qualcosa che mi fece rabbrividire, perché mi sembrò la donna più raggrinzita che avessi mai visto sulla terra.
— Santo Cielo! — esclamò mia zia mettendo il bastone nelle mani del signor Crowl e afferrandolo per le spalle vedendo la cosa che giaceva per terra. — State attento, signore, a quello che fate. Tornate indietro e chiudete la porta.
Ma invece lui entrò con calma, con il bastone puntato come una spada, e colpì il mucchio che giaceva nell’angolo della stanza da cui si alzarono della polvere e dei pezzi di stoffa.
— È stata tutta immaginazione della ragazzina. — Tutto si dissolse in polvere al primo colpo. Nessuno disse nulla per un po’ e poi lui si voltò verso il teschio che giaceva sul pavimento.
Giovane com’ero, mi resi conto di capire ciò a cui lui stava pensando.
— Un gatto morto — disse uscendo dalla stanza e spegnendo la candela prima di chiudere la porta. — Voi e io, signora Shutter, torneremo indietro e controlleremo tutti gli scaffali. Prima devo parlarvi di altre cose. Mi avete detto che questa ragazzina sta per tornare a casa. Ha già avuto il suo salario, ma voglio arche farle un regalo — disse battendomi una mano sulla spalla.
Mi diede un’altra moneta e io partii da Lexhoe circa un’ora dopo, e vidi la mia casa, dalla carrozza e mi sentii svenire quando mi resi conto di essere di nuovo a casa mia. E fu così che non vidi mai Lady Crowl di Applewale House, Dio sia ringraziato, se non quella volta in camera sua e poi in quell’apparizione. Ma quando crebbi e diventai adulta, mia zia venne a passare un giorno e una notte con me a Littleham e mi raccontò che non c’erano dubbi che fosse quel povero ragazzino che era sparito ad essere stato chiuso dentro quell’alcova e lasciato morire lì dalla malvagia matrigna. Nessuno poteva sentire le sue urla, le sue preghiere, i suoi pianti, e il suo cappello era stato lasciato vicino al lago per far credere che fosse annegato. I vestiti si erano trasformati in polvere al primo tocco quando era stato trovato lo scheletro. Ma erano stati trovati dei bottoni, un coltello con il manico verde e anche un paio di centesimi, che il poverino aveva in tasca, immagino, quando venne catturato e gettato in quella stanza buia. E tra le carte del vecchio proprietario della casa venne trovato un rapporto steso dal padre del ragazzo dopo la sua scomparsa, quando il vecchio credeva che il figliolo fosse scappato o fosse stato rapito dagli zingari. Diceva che il ragazzo aveva in tasca un coltello con il manico verde e descriveva i bottoni della giacca. E questo è ciò che io scoprii di Lady Crowl, di Applewale House.
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