Caro Ellery Queen,
non ho mai scritto una lettera ad un giornale, prima d’ora, né intendevo farlo, senonché James, mio marito, ritiene che io debba farlo. Legge ogni mese la vostra rivista ed è sicuro che saprete come usare quello che ora vi dirò.
Devo premettere che arrivai qui dall’Inghilterra nel 1940, quando avevo quindici anni. I miei genitori volevano sapermi al sicuro e mi mandarono a stare presso una zia, nel Connecticut. Rimasi là cinque anni, durante i quali conobbi e sposai James. Da allora sono tornata in Inghilterra due volte soltanto, e sono ormai cittadina americana.
Il mese scorso è morta mia madre, a Londra, e tra i suoi effetti inviatimi dai legali c’era questo diario che era appartenuto a mia nonna. La sorella di mia nonna, la pro-zia Martha, l’aveva conservato dal 1883 fino al 1926, data della sua morte. Avevo sentito parlare del diario – era una specie di tesoro di famiglia – ma finora non l’avevo mai visto. James mi, ha consigliato di copiare il primo episodio e di mandarvelo. Mi farete sapere che cosa ne pensate.
Ve l’accludo, ringraziandovi fin d’ora. Distinti saluti,
Erica Barry
7 aprile 1883
I due signori sono usciti di nuovo, senza nemmeno salutare, ma la povera ragazza che accompagnavano aveva un’ aria talmente stravolta che io, mentalmente, ho augurato loro un rapido successo.
Quasi non riesco a crederlo che, già da due anni, ormai, occupano le stanze al piano superiore della mia casa. Ma devo confessare che, alla morte prematura del mio povero Alberto, hanno molto rallegrato la mia triste esistenza. Poiché la buon’anima non m’aveva lasciato altro che questa casa in Baker Street, nessuna assicurazione e pochissimi risparmi, decisi un giorno di affittare delle stanze.
Le mie prime pensionanti erano due mature signorine, per la decenza, dato che sono una signora sola, e che seccatura rappresentavano! Il tè non era mai abbastanza caldo, i biscotti mai abbastanza morbidi, le stanze mai abbastanza calde o abbastanza pulite! Non mi dispiacque affatto vederle andar via, quando ereditarono da una zia di 94 anni e partirono per andare a installarsi nella villetta di lei, nel Surrey.
Quando il dottor Watson e il suo amico signor Holmes vennero a vedere le stanze e manifestarono l’intenzione di fissarle, gettai le convenienze al vento. Gli uomini sono meno meticolosi, pensai, e che i vicini pensino quello che vogliono.
Confesso che gli orari strani dei due signori, i visitatori dall’aria poco rassicurante che bazzicavano per casa; gli occasionali colpi di revolver che udivo, e gli odori di sostanze chimiche che emanavano le loro stanze, al principio mi sconvolgevano. Ma pagavano un congruo affitto, erano entrambi gentili e riguardosi, e quando poi scoprii che il signor Holmes era un genio, più che un investigatore, mi convinsi d’essere una padrona di casa fortunatissima.
In ogni caso, come stavo dicendo, in data 7 aprile i due signori erano usciti in fretta e furia, e io mi disponevo, nelle mie stanze, a godere un po’ di pace e di silenzio. Mi coricai presto e mi addormentai quasi subito, finché un energico bussare non mi svegliò. Non erano i miei pensionanti, ne ero sicura; piuttosto, qualche anima in pena che aveva bisogno di loro. Infilai le pantofole e una veste da camera e, con una candela in mano, andai ad aprire.
Un giovane alto e magro, con un naso aquilino e occhi azzurri un po’ slavati, stava là sulla soglia.
«Il signor Holmes, per favore, devo vedere subito il signor Holmes!» mi gridò.
«Il signor Holmes non c’è», risposi, tranquillamente.
«Sono perduto, se non mi aiuta lui», sospirò il giovanotto. Quando ritorna? Dov’è? Andrò in capo al mondo, pur di parlargli.»
Sembrava in uno stato tale che m’impietosii e lo invitai ad entrare e a seguirmi in cucina. Lo convinsi a sedere e misi a bollire l’acqua per il tè. Mentre aspettavo che bollisse, mi misi a sedere di fronte a lui.
«E se provaste ad esporre a me i vostri problemi?» azzardai.
«Sta per verificarsi una grossa ingiustizia. Un assassino la farà franca e trarrà beneficio dal suo crimine.»
«Perché non cominciate da principio, signor...?»
«Perdonate, signora.» Si asciugava la fronte con un fazzoletto candido. «Mi chiamo Jeremy Coggins. Sono impiegato presso Wembly e Wembly, Agenti Assicurativi, in New Cavendish Street, a pochi passi da qui.» Abbozzò un sorriso. «Mi sono sempre sentito... onorato, ecco, d’essere nei paraggi della casa del grande Sherlock Holmes.» Si prese la faccia tra le mani e appoggiò, gomiti sulla tavola. «Non avrei mai immaginato di poter avere, un giorno, tanto bisogno dl lui.» L’acqua stava per bollire ed io mi alzai per preparare il tè. Tirai fuori le tazze e anche qualche focaccina. Un buon tè caldo e qualcosa di solido aiutano di solito a calmare i nervi.
Dopo averlo convinto a bere il tè e ad assaggiare qualche focaccina, dissi: «Allora, perché non mi raccontate tutto dal principio?»
Sospirò di nuovo. «Sono con i signori John ed Alfred Wembly da ben nove anni, ormai. Mi hanno assunto che ne avevo appena sedici, e sono stati molto buoni con me. Via via che il tempo passava, facevano sempre più affidamento sul mio aiuto. Sono entrambi ultrasettantenni, capite? Un giorno, mentre i due signori erano assenti, vennero un tale e la moglie per contrarre entrambi una polizza d’assicurazione sulla vita. Si chiamavano Beggs.
«Lui non mi piacque affatto. Era troppo bello, troppo manierato, vestito in modo troppo vistoso, ma lei gli si aggrappava al braccio come se fosse l’unico uomo al mondo. Sui moduli che riempirono c’era scritto che lui aveva trentotto anni e lei quarantacinque, sebbene penso che lei se ne togliesse almeno dieci... sia come sia, era affar suo. Mi sentivo inquieto sull’intera faccenda, ma si erano assicurati per somme notevoli e mi diedero un assegno per un anno su ciascuna polizza. Era un importo considerevole e, per essere sinceri, i signori Wembly non se la cavavano molto bene, da un po’ di tempo. Sapevo che quel premio significava molto per foro, e in effetti si mostrarono contentissimi quando seppero delle due polizze.»
Tacque per finire il suo tè, e io gli riempii di nuovo la tazza. Erano le undici passate, ma non ero stanca, ero soltanto esasperata perché volevo che lui arrivasse al sodo. Invidiavo al signor Holmes la sua abilità nello scoprire tutto su una persona e sui suoi problemi, basandosi unicamente sulle dita, le scarpe, il vestito, l’accento, e sa il Cielo cos’altro ancora.
«Forse mi lasciavo trasportare dalla fantasia», continuò il signor Coggins, «ma a me il signor Beggs sembrava il genere d’uomo che ama il denaro e che non indietreggerebbe certo davanti a un omicidio pur di procurarselo. Gli avevo stipulato io la polizza, che poteva essere un incentivo, così mi misi in pace la coscienza col non perdere di vista i coniugi Beggs. Due mesi fa, seppi che la signora Beggs era ammalata e costretta a letto. Andai a parlare con il suo medico curante, spiegandogli che eravamo gli agenti assicurativi della signora e informandomi sulla natura del male. II dottore mi disse che si trattava di una grave forma d’anemia, ma che sicuramente la signora si sarebbe ristabilita.»
«Mentre voi avevate il sospetto che il marito stesse avvelenandola?» domandai.
Assentì. «Decisi di seguire attentamente le condizioni della signora e, nel caso fosse morta, avremmo richiesto un’autopsia. Ma... ma...» La voce gli mancava. «Se soltanto l’avessi messa in guardia! »
Non trovai niente di meglio da fare che battergli sulla mano, per confortarlo. L’avevo già riempito di tè e di focaccine.
Si ricompose. «Ieri, verso le tre del mattino, la signora Beggs è morta bruciata in un incendio che ha distrutto la sua stanza da letto e buona parte di quella del signor Beggs, che dormiva nella camera attigua a quella di lei, comunicante per mezzo di una porta sempre aperta.»
«Non c’era un’infermiera?»
«Soltanto di giorno. Di notte era il signor Beggs ad avere cura della moglie. Secondo la logica, l’intera casa sarebbe dovuta andare a fuoco; ma un passante aveva visto le fiamme e si era affrettato a chiamare i pompieri.»
«Insomma, pensate che avesse drogato la moglie e che avesse appiccato lui l’incendio per ucciderla? Scotland Yard è al corrente della cosa?»
«Oh, sì. Sempre, quando c’è un cadavere o un sospetto di incendio doloso, un funzionario di Yard va a controllare.»
«E allora?»
Fece una smorfia. «Morte accidentale, causata probabilmente dall’avere la signora cercato di prendere un bicchiere d’acqua o una pillola e urtato la lampada a petrolio sul tavolino accanto al letto. Il signor Beggs ha dichiarato che, quando si è svegliato, le fiamme erano talmente alte che non ha potuto entrare nella camera di lei ed è stato costretto a precipitarsi in strada perché anche la sua camera, ormai, stava cominciando ad ardere.»
«Potrebb’essere vero», dissi.
«Ma non lo è, non lo è!» protestò lui, violentemente. «Se il signor Holmes desse un’occhiata a quelle stanze, se interrogasse il signor Beggs, scoprirebbe subito la verità.»
L’orologio batteva la mezzanotte. Improvvisamente, mi sentii molto stanca. «Signor Coggins, tornate a casa e fatevi una buona notte di sonno. Tornate domani mattina verso le nove, e se il signor Holmes non sarà rientrato, vi accompagnerò io sul luogo dell’incendio. Posso riferire le mie osservazioni al signor Holmes, quando lui ritorna, e forse fui sarà in grado di aiutarvi.»
«Sì, sì. Ma non potrei rimanere qui ad aspettarlo?»
Mi alzai, scuotendo la testa. «Temo proprio di no. Ritornate domani mattine.»
Dopo che lui se n’era andato e dopo che io me n’ero tornata a letto, scoprii che non potevo più riaddormentarmi. Se davvero fossi andata sul luogo dell’incendio, che cos’avrei dovuto cercare? Che cosa avrebbe cercato, il signor Holmes? L’orologio batteva le due, quando finalmente cominciai a riappisolarmi.
Mi svegliai alle otto, come sempre. Mi lavai, mi vestii, e misi a bollire l’acqua del tè. Poi andai di sopra per vedere se i due signori erano tornati. Non erano tornati.
Alle nove in punto, il signor Coggins bussava alla porta.
Non potei fare altro che accompagnarlo. Aveva una carrozza che aspettava, fuori, e una mezz’ora dopo ci fermavamo davanti alla residenza dei Beggs. Era una casa non molto diversa dalla mia, di uno stile comune, a Londra, salvo che le finestre del primo piano avevano i vetri rotti, e che c’erano nere tracce di bruciato all’esterno.
C’era un agente di guardia sulla soglia. Il signor Coggins si presentò, dicendo d’essere l’agente assicurativo, e ricevemmo l’autorizzazione ad entrare. L’anticamera era indenne, salvo alcune pozze d’acqua sul pavimento. Salimmo nelle stanze da letto.
La camera della signora Beggs non era molto grande, forse cinque metri per cinque. Il Ietto era totalmente distrutto; sul pavimento, quello che doveva essere stato un bel tappeto persiano era adesso un miscuglio di brandelli e di cenere bagnata. Tutti gli altri mobili – un tavolino da notte, una pettiniera e un grosso armadio in mogano massiccio – erano bruciati lentamente, ma non sarebbe stato possibile ripararli. Una delle ante dell’armadio pendeva mezzo divelta. Gettai un’occhiata nell’interno: gli abiti della povera donna erano bruciati appesi alle grucce e, sul fondo, tra i resti bruciacchiati, non rimaneva altro che qualche bottone e qualche gancio di metallo di quelli per allacciare i mantelli.
«Che odore di petrolio», dissi, annusando.
«Probabilmente Beggs l’ha versato un po’ dappertutto, per essere sicuro che l’incendio dilagasse», disse il signor Coggins.
Ci facemmo strada attraverso la porta di comunicazione che immetteva nella stanza del signor Beggs. Anche quella camera era stata malamente danneggiata. Un po’ più piccola dell’altra, aveva contenuto un letto, un tavolino da notte e un armadio. Tornai a fiutare l’aria.
C’era puzzo di petrolio anche lì. Qui non dovrebbe esserci, pensai. Ma poiché Coggins era già convinto che Beggs avesse versato petrolio su tutto il pavimento, preferii non dire niente, per non agitarlo ancora di più. E se Scotland Yard non aveva sospetti, quale contributo potevo mai dare io? Bramavo la presenza del signor Holmes anche più di quanto la bramasse il signor Coggins.
Mi guardai intorno, sbirciai dentro l’armadio parzialmente carbonizzato, notai i vetri rotti, il disastro quasi completo.
«Possiamo andarcene, signor Coggins», dissi, «Riferirò al signor Holmes tutto quello che ho visto, fiutato e pensato. Ho anch’io l’impressione, come voi, di qualcosa che non va, ma non riesco a individuare cosa sia.»
Avvilito, il signor Coggins mi seguì giù per la scala. E, a un tratto, mi resi conto di qualcosa che avevo visto e alla quale, lì per lì, non avevo dato importanza. Nel passare accanto all’agente di guardia sulla porta, domandai: «è tornato qui il signor Beggs dopo l’incendio?»
Si portò la mano all’elmetto. «No, signora. Sono qui soltanto per impedire atti di vandalismo, ma non è venuto nessuno.»
Quando risalimmo nella vettura da nolo rimasta in attesa, il signor Coggins si accasciò sul sedile.
«Portateci a Scotland Yard, per favore», ordinai io al conducente, e mi appoggiai allo schienale, incredibilmente soddisfatta di me stessa.
Il signor Coggins mi guardò, meravigliato. «A Scotland Yard, signora? E a che fare?»
«Penso d’avere visto qualcosa che potrebbe mandare il signor Beggs al patibolo e far risparmiare ai fratelli Wembly una forte somma di denaro», risposi.
«Ho visto tutto quello che avete visto voi, e non ho trovato niente contro quell’assassino.»
Conservai il silenzio. Arrivati a Scotland Yard, chiesi dell’ispettore Lestrade. Ci eravamo visti soltanto un momento, di sfuggita, al 221B di Baker Street, lui mi aveva ringraziato quando avevo portato delle bibite dissetanti su nelle stanze dei miei inquilini; non era molto, ma pensavo che, sapendo chi ero, e sapendo dei miei rapporti con il signor Holmes e il dottor Watson, m’avrebbe se non altro ascoltata educatamente.
E fu così. Non mi addentrerò nei preliminari. Basterà dire che gli spiegai il problema Coggins-Beggs e quello che avevo scoperto.
«C’era una cosa sola alla quale sul momento non avevo badato, Ispettore. Nel guardaroba della signora Beggs c’erano frammenti d’abiti bruciacchiati, bottoni e ganci metallici, ma in quello del signor Beggs non c’era niente. Se le grucce erano spoglie, e se non c’erano bottoni o resti metallici di alcun genere, non significa che il fatuo signor Beggs aveva rimosso il contenuto del suo armadio prima che si sviluppasse l’incendio? E non significa ch’egli sapeva che vi sarebbe stato un incendio, probabilmente perché sarebbe stato lui ad appiccarlo?»
Il signor Coggins era addirittura sorridente, ora, e l’ispettore accennava di sì con la testa.
«Vedo che vivere vicino al signor Holmes vi ha insegnato molte cose, signora. Siete una vera osservatrice ed io mi congratulo con voi.»
Compiaciuta, dissi: «E non dimenticate il tanfo di petrolio, anche dove non doveva esserci».
Sul giornale del 9 aprile, tra le notizie di cronaca, si parlava dell’arresto di Courtney Beggs per incendio doloso e per uxoricidio.
Nel pomeriggio, venne un fattorino a portarmi uno splendido mazzo di fiori e una bellissima scatola di cioccolatini da parte di un mio “grato ammiratore”, il signor Jeremy Coggins.
Più tardi rincasarono i miei due pensionanti, soddisfattissimi, come sempre, per avere risolto un problema difficile.
Continuai per un pezzo a domandarmi se dovevo raccontare la mia avventura al signor Holmes.
Ma non ne feci niente. Loro si “assentano” talmente spesso che potrebbe capitarmi un’altra occasione di aiutare qualcuno. E potete star sicuri che, se non ci riuscirò io, ci riuscirà “lui”!
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