lunedì 26 maggio 2025

Shizuko Natsuki: Le scale



Pensai per la prima volta alla possibilità di un incidente sulle scale il mattino in cui mia figlia Yukiko inciampò nello scendere di corsa dalla sua stanza.
Yukiko fa la quinta elementare ed esce di casa verso le otto, proprio quando anch’io esco per andare alla boutique. Quella particolare mattina ero vicino alla porta d’entrata e stavo infilandomi le scarpe quando lei uscì di corsa dalla sua camera, trascinando una pesante cartella e una sacca di tela. Verso la metà della scala, la fibbia della cartella s’impigliò nella passatoia, lei inciampò e per poco non cadde.
— Attenta! — gridammo all’unisono Kimie, che stava passando l’aspirapolvere sul tappeto, e io, ma Yukiko, con l’agilità di una bambina, era già riuscita ad afferrarsi alla parete e a ritrovare l’equilibrio. Il contenuto della cartella era sparpagliato un po’ dappertutto, ma lei era sana e salva. Tuttavia, non potei fare a meno di pensare a quanto fosse pericolosa quella scala. In origine, avevo fatto mettere quella passatoia nel tentativo di rendere più sicuri i gradini, ma ormai la trama era lisa in più punti, per cui la scala era probabilmente più pericolosa che mai. Non solo i gradini sono molto ripidi, ma un lato è aperto verso il soggiorno, senza neppure un corrimano, e l’area, al di sotto, è pavimentata in pietra.
Non era la prima volta, quella, che mi preoccupavo del pericolo rappresentato da quella scala e, lì per lì, decisi di telefonare a un falegname per far rivestire i gradini di gomma e per far mettere una solida ringhiera lungo il lato aperto. Il falegname acconsentì a eseguire il lavoro, ma disse che aveva molto lavoro e che non se ne sarebbe potuto occupare prima di due o tre giorni.
Il tempo per metterci d’accordo e concludere la telefonata e Kimie, la nostra governante, aveva ormai finito di passare l’aspirapolvere. Vive con noi e, sebbene abbia passato da un pezzo la cinquantina, è solida come una quercia ed è una gran lavoratrice. È lei, in pratica, che manda avanti la casa, e si occupa così bene di Yukiko e di me che io posso badare alla mia boutique a Roppongi senza altre preoccupazioni. Le cose erano davvero difficili per me quando mio marito morì, cinque anni or sono, ma ora, grazie a Kimie, Yukiko ed io conduciamo un’esistenza del tutto normale.
Con questo, naturalmente, non voglio dire che Kimie sia perfetta. Tutti hanno almeno un difetto e quello di Kimie, a quanto pare, è che, ogni volta che apre la bocca, si mette a tessere le lodi del suo defunto consorte. Era impiegato comunale in una città della Prefettura di Nagano ed era morto in un incendio scoppiato in quello stesso Municipio dove lui prestava servizio.
— Non solo era un gran lavoratore con un altissimo senso di responsabilità, — ama ripeterci Kimie, — ma era anche molto ben visto dai suoi superiori, oltre che dal personale più giovane. E sebbene fosse poco al di sopra della quarantina, tutti dicevano che sarebbe stato il futuro vice-sindaco. Purtroppo, quando scoppiò l’incendio, il suo senso di responsabilità prese il sopravvento in lui. Non soltanto riuscì a salvare tutti i documenti importanti, ma cercò anche di dare una mano a fare uscire tutti... e alla fine non fu più in grado lui, di salvarsi.
Dio solo sa quante volte l’ho udita, questa storia. E sarebbe ancora il meno, ma il guaio è che lei insiste nel raccontarla a tutti quelli che vengono per casa, anche se si tratta di persone che non ha mai visto in vita sua. Mi sento morire, quando lei attacca con la solita solfa, e d’altra parte è la sola soddisfazione della sua vita, quella, e devo riconoscere che, se mi trovassi in una situazione come la sua, forse anch’io non farei che vantarmi del mio povero marito.
Ad ogni modo, mentre Yukiko e io uscivamo di casa, quel mattino, mi sforzavo di ripetere a me stessa che non c’era niente di cui preoccuparsi, ma in realtà non era una giornata come tutte le altre, poiché per la prima volta Tetsuo aveva passato la notte in casa nostra. Yukiko era molto matura per essere una bambina di quell’età e mi pareva strano che fosse inciampata in quel modo, a meno che non fosse distratta perché c’era qualcosa che la preoccupava. Mi domandavo se non fosse passata davanti alla camera degli ospiti, durante la notte, e avesse udito qualcosa.
Quello che è certo è che mi sentii nervosa per tutta la giornata. E poi, arrivò la telefonata di Kimie.
— È bianca come un lenzuolo. Ha ricevuto una cattiva notizia? — s’informò la ragazza che mi dà una mano in negozio.
Mi girai a fissarla, mezzo inebetita. — C’è stato un incidente sulle scale di casa.
— Un incidente?
— Un ospite. È caduto giù dalla scala e si è rotto l’osso del collo.
Sebbene avessi preso un taxi, il tragitto richiese più di un’ora, ed erano quasi le cinque quando finalmente arrivai a casa.
Non c’era traccia del dottore che Kimie aveva chiamato, ma in compenso c’era un investigatore di nome Ueda e tre agenti del vicino posto di polizia. Tetsuo, m’informò Ueda, era già morto quand’era arrivato il dottore, e Kimie mi mise al corrente dell’accaduto.
— Lei mi aveva detto di non disturbarlo, così l’ho lasciato dormire. — Il suo volto olivastro era lucido di sudore. — Alla fine è sceso, verso le undici e mezzo, e gli ho servito la colazione in cucina.
Facevo uno sforzo per mantenere il controllo di me stessa, ma tutto quello che riuscivo a pensare era: Se non lo avessi invitato a venire qui! Il motivo per cui l’avevo fatto era che non eravamo riusciti a chiudere i conti del mese in negozio e, siccome lui abitava anche più lontano di me dalla boutique, l’avevo invitato a finirli qui da me, tanto, il mattino dopo, avrebbe potuto dormire fino a ora tarda.
— Ha finito di far colazione, — stava dicendo intanto Kimie, — più o meno verso la una, poi è tornato di sopra, dicendo che aveva ancora del lavoro da sbrigare. Ho riordinato in cucina, dopo di che sono uscita a far la spesa. — Immaginavo che, se Tetsuo aveva impiegato circa un’ora e mezzo per finire il suo pasto, era perché Kimie l’aveva trattenuto in cucina con le sue storie sul defunto marito. — Sono andata al supermarket all’altro capo della città e sono tornata che erano quasi le tre. Quando ho aperto la porta di casa...
Come c’era da aspettarsi, nel descrivere come aveva trovato Tetsuo, a Kimie quasi mancò la voce per l’emozione. L’aveva visto là, disteso supino ma con la testa piegata da un lato in modo innaturale e un rivolo di sangue che, dal naso, scorreva attraverso la guancia cerea. Era vestito come se stesse per uscire e le lunghe gambe erano scompostamente allargate sugli ultimi gradini della scala. Una pianella gli era volata via e giaceva a una certa distanza in fondo all’atrio.
— Tremavo come una foglia, ma ho telefonato immediatamente al dottor Yamano. Il mio povero marito diceva sempre che, se si ha a che fare con una persona che sta male o con qualcuno che ha avuto un incidente, è sempre meglio chiamare il dottore senza cercar di fare qualcosa per dare aiuto. Chi non se ne intende rischia di fare più male che bene, se tenta di portare soccorso senza sapere cos’è che non va.
Kimie aveva telefonato a me, al negozio, subito dopo avere parlato con il dottore. Il dottore era arrivato una decina di minuti più tardi, ma Tetsuo era già morto. Era stato il medico stesso a telefonare alla polizia.
— E Tetsuo dov’è, ora?
— Il dottor Yamano e gli agenti lo hanno trasportato nella stanza sul retro.
— E Yukiko non è tornata da scuola?
— Sì, è tornata verso le quattro. La polizia stava ancora esaminando il cadavere e lei ha avuto un terribile choc. È corsa a chiudersi in camera sua. Le ho portato una tazza di tè, ma mi ha detto che non la voleva.
Mi avviai per salire, ma cambiai idea e mi diressi invece verso la stanza sul retro.
Tetsuo era disteso davanti al reliquiario di famiglia, con la testa rivolta verso il nord come detta l’usanza buddhista. Era ancora tutto vestito ma aveva la testa e le spalle avvolte in un lenzuolo bianco.
Mi lasciai cadere in ginocchio accanto a lui. Mi sentivo debole e il cuore mi batteva sempre più forte, ma nonostante tutto ero sorpresa di non essere, poi, particolarmente sconvolta. Per la prima volta, mi rendevo conto della distanza che c’era stata tra noi.
Era più giovane di me di una decina d’anni: ne aveva soltanto ventisette o ventotto, lui. L’avevo visto per la prima volta circa un anno prima, quando era venuto in negozio per acquistare una camicia sportiva: vendo anche roba da uomo, nel mio negozio.
In seguito, era tornato regolarmente ogni quattro o cinque giorni, e mi ero resa conto che s’interessava a me. Infine, circa sei mesi fa, c’eravamo incontrati per caso nel caffè a due passi dalla mia boutique e avevamo parlato un po’. Avevo appreso, così, che era un aspirante attore e che il suo agente aveva l’ufficio nei pressi. Come lui aveva accennato al fatto, mi ero resa conto d’averlo visto interpretare piccole parti alla televisione. Era alto e bello e aveva un che di vagamente occidentale, nell’aspetto, che avrebbe dovuto contribuire a farne un divo di successo; ma aveva una personalità piuttosto debole e questo traspariva, dallo schermo, e rovinava l’immagine.
Poco dopo quell’incontro, era riuscito ad adescarmi fino a portarmi a letto con lui, e quando avevo scoperto che, terminati gli studi, aveva lavorato come contabile, gli avevo proposto di aiutarmi a far quadrare i conti alla fine di ogni mese.
Kimie, Yukiko, la ragazza in negozio, tutte sapevano di Tetsuo, ma naturalmente ignoravano che fossimo amanti. Yukiko era uscita a pranzo con noi alcune volte e gli dimostrava una grande simpatia. Ma... e se per caso ci avesse sentiti, la notte prima? Un pensiero orribile mi balenò nella mente e, rialzatami, mi allontanai dalla salma. Non avevo il coraggio di togliere il lenzuolo e guardare quel volto, e scoprivo che i miei sentimenti per lui, tutto sommato, non erano stati molto profondi.
Nell’aprire la porta, ebbi un altro choc. Yukiko era ferma là, nell’anticamera buia. Si era tolta l’uniforme della scuola e aveva indossato un vestito color panna a ricami floreali. I capelli, che a scuola portava sempre legati in due trecce, le ricadevano sciolti sulle spalle, facendola apparire anche più giovane del solito. Aveva gli occhi rossi e si vedeva benissimo che aveva pianto.
— Perché te ne stai lì al buio, Yukiko?
Aggrappandosi a me, singhiozzò: — Povero Zio Tetsuo.
La tenni stretta, battendole dolcemente sulla spalla, per calmarla, e intanto ripensavo ai miei sospetti di qualche momento fa e quasi mi pareva impossibile averli anche lontanamente concepiti. Yukiko era una ragazzina tranquilla, innocente, che piangeva la morte di un giovane amico della sua mamma. Mi vergognavo di me per avere creduto, sia pure per un istante, che potesse avere avuto qualcosa a che fare con quella morte. E, via via che i minuti passavano, mi sentii coinvolgere da quelle lacrime e piansi, finalmente, a mia volta.
Dopo un po’, riaccompagnai Yukiko nella sua cameretta e tornai da basso per affrontare Ueda, l’investigatore, che di là in soggiorno veniva intrattenuto da Kimie con tè e conversazione.
— Si direbbe che sia ruzzolato, nello scendere, e che si sia rotto il collo quando ha battuto la testa sul pavimento, — mi riferì Ueda mentre Kimie se ne tornava in cucina. — Accadono più incidenti di questo genere di quanto si possa immaginare. Soltanto l’anno scorso, più di seicento persone hanno perso la vita per essere ruzzolati sulle scale, e non tutti erano anziani o bambini, gliel’assicuro. Più di due terzi delle vittime erano uomini.
Infilatosi una sigaretta tra le labbra, l’investigatore Ueda si girò a guardare le scale al di là della porta aperta. — E non solo, ma più di metà di quegli incidenti sono avvenuti in casa e neppure dai gradini più alti, anzi: pare che il secondo o il terzo scalino siano i più pericolosi.
— Sono certa che anche qui è accaduta la stessa cosa. Tetsuo non era mai stato qui. Non era pratico della casa.
Riportata di nuovo l’attenzione su Tetsuo, l’investigatore Ueda mi domandò che cosa sapessi di lui.
— Non molto, in verità. Mi aveva detto d’essere il secondogenito di un ricco agricoltore della Prefettura di Nagano e di avere cominciato a lavorare come contabile in un ufficio, dopo avere frequentato l’università a Tokyo. Ma aveva sempre desiderato diventare attore e così un giorno si era deciso al grande passo e si era iscritto a un’agenzia teatrale. Lo conoscevo ormai da qualche tempo e mi era
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sembrato una persona per bene, così gli avevo chiesto di darmi una mano nel tenere i conti del mio negozio.
— Era scapolo?
— Scapolo, sì. Viveva solo, in un appartamento a Shibuya. Di tanto in tanto, durante il tempo libero, capitava in negozio e aggiornava un po’ la contabilità, ma ieri dovevamo chiudere il bilancio di fine mese e avevamo ancora parecchio da fare, così l’ho invitato a venire a lavorare qui e a fermarsi per la notte.
Ueda mi fece alcune domande su Kimie, ma non insistette a lungo sull’argomento. Intuii che doveva aver sentito più di quanto gli interessasse sapere dalla stessa Kimie. — Lei ha anche una figlia, vero?
— Sì.
— Non so se eseguiremo l’autopsia oppure no: lo deciderà il mio superiore. Ma non appena saprò qualcosa mi metterò subito in contatto con lei.
All’atto pratico, non vi fu alcuna autopsia. Un esame esterno confermò che tutte le fratture erano perfettamente spiegabili con la caduta, e poiché non esisteva alcun indizio del contrario, venne emesso un verdetto di morte accidentale.
La salma di Tetsuo venne cremata a Tokyo e le ceneri vennero portate via dai genitori, arrivati dalla provincia per le esequie. Come attore, lui non era stato abbastanza noto perché i rotocalchi se ne occupassero, e tutto faceva pensare che la storia fosse finita lì; ma, senza sapere perché, nel mio intimo il sospetto che non tutto fosse così chiaro andava crescendo di giorno in giorno.
La ragione era di nuovo Yukiko. Sebbene il giorno della morte di Tetsuo fosse corsa da me con gli occhi gonfi di lacrime, nel giro di due o tre giorni sembrò dimenticarsi completamente di lui. Il suo atteggiamento verso di me non era cambiato, ma in compenso era cambiato il suo modo di comportarsi con Kimie. Yukiko sembrava evitarla. Non la guardava mai bene in faccia e aveva preso a fare da sé tutte quelle cose per le quali prima si rivolgeva a lei. Due giorni dopo l’incidente, era andata dal parrucchiere di sua iniziativa e si era fatta tagliare i capelli che stava facendosi crescere con tanto entusiasmo fin dall’estate precedente. Disse d’averlo fatto perché, con la nuova estate in arrivo, avrebbe sentito troppo caldo, ma avevo il dubbio che fosse perché trovava sgradevole farseli intrecciare da Kimie ogni mattina, prima di andare a scuola.
Ancora una volta, i timori cominciarono a ingigantirsi dentro di me. Yukiko era molto matura per la sua età e non era da escludere che avesse preso ad odiare Tetsuo perché si era accorta della relazione tra lui e me. Poteva darsi che, quel giorno, fosse tornata più presto dalla scuola e fosse salita in camera sua. Poi, sentendo Tetsuo scendere le scale, poteva averlo rincorso e avergli dato una spinta. Spingere qualcuno per farlo morire rotolando giù per le scale è un metodo che può senz’altro venire in mente a una bambina di undici anni.
Ma supponiamo, mi dicevo, che nel momento in cui Yukiko gli ha dato la spinta, Kimie sia entrata, tornando dalla spesa. Kimie avrebbe sicuramente serbato il silenzio, in questo caso, per proteggere Yukiko, ma ugualmente Yukiko si sarebbe sentita a disagio in sua presenza.
Una decina di giorni dopo l’incidente, decisi di andare a trovare una delle amiche di mia figlia che abitava a poche centinaia di metri da noi.
Quando quella ragazzina, Sachiko, rispose alle mie domande, mancò poco che non svenissi, tanto mi sentivo male. Subito dopo, però, presi la mia decisione.
Il giorno successivo era domenica, e poiché il tempo era bello domandai a Yukiko se sarebbe venuta volentieri un po’ a passeggio con me.
Il quartiere in cui abitiamo è molto tranquillo e per la strada non incontrammo quasi nessuno. Il piccolo parco della zona era deserto e un bel sole primaverile inondava l’ampio spazio destinato ai giochi infantili.
Finsi d’essere stanca e mi misi a sedere su una delle altalene. Yukiko, seguendo il mio esempio, prese posto su quella accanto.
— Yukiko, perché non mi racconti che cosa accadde esattamente il giorno in cui è morto Tetsuo? Qualsiasi cosa tu abbia da dirmi, sono pronta ad ascoltarti.
Avevo riflettuto molto su dove convenisse sederci a parlare. Se ci fossimo sedute entrambe sulle altalene, Yukiko non sarebbe stata costretta a guardarmi in faccia e speravo che questo avrebbe contribuito ad alleviare l’eventuale tensione. E non solo, ma pensavo che il lieve dondolio dell’altalena l’avrebbe aiutata a rilassarsi.
— Hai detto d’essere tornata a casa alle quattro, quel giorno, ma ieri ho visto Sachiko e m’ha detto d’averti salutata alla fermata dell’autobus poco prima delle due. Ha detto che la vostra insegnante doveva andare a una riunione e che vi avevano fatto uscire di scuola un po’ più presto. In realtà sei arrivata a casa alle due, vero?
Yukiko non rispondeva, ma le catene della sua altalena avevano smesso di cigolare e io mi ritrovai a immaginare la sua faccia mentre, serrando le palpebre, lei guardava in su, verso il sole.
— Sei arrivata a casa verso le due. Cos’è successo, poi? Racconta tutto alla mamma, proprio così com’è andata.
Yukiko taceva sempre e io dovevo lottare contro l’istinto di stringerla a me. Poi lei mandò un gran sospiro e, con una vocina esile esile, raccontò: — Quando ho aperto la porta di casa, ho sentito che Kimie e Zio Tetsuo stavano urlando, in cucina. Sembrava che stessero litigando terribilmente.
Sorpresa, mi ero girata di scatto verso mia figlia. — Stavano litigando? Perché?
— Non lo so di preciso. Credo si trattasse del fatto che il padre di Tetsuo un tempo aveva conosciuto il marito di Kimie. Diceva che, quando il marito di Kimie lavorava in Comune, aveva accettato di farsi corrompere da un costruttore, accettando dei soldi, e che quando la cosa si era saputa lui aveva avuto un esaurimento nervoso e si era suicidato, dando fuoco al Municipio. E diceva anche che il marito di Kimie era un semplice impiegato, che non avrebbe mai avuto la possibilità di diventare vice-sindaco.
Ascoltavo, allibita.
— Kimie era livida. Gli dava del bugiardo. Non l’avevo mai sentita urlare in quel modo.
— E tu che cos’hai fatto?
— Sono rimasta un po’ in anticamera ad ascoltare, ma la lite stava diventando talmente tremenda che sono uscita di nuovo e ho preso l’autobus per andare fino a
casa di Masako. Anche la sua mamma lavora, nel pomeriggio. Sono tornata a casa di nuovo verso le quattro e mi è venuto incontro uno dei poliziotti, che mi ha detto che c’era stato un incidente.
Mandai un sospiro di sollievo. Yukiko era innocente. Ma il mio sollievo era temperato dalla sorpresa. Fino a quel momento non vi avevo mai fatto caso, ma Tetsuo mi aveva detto di venire da una città della Prefettura di Nagano e Kimie aveva vissuto nella Prefettura di Nagano fino alla morte del marito, una quindicina d’anni prima. Sebbene non sapessi esattamente in quale città avessero vissuto l’uno e l’altra, non si poteva certo escludere che si trattasse proprio della stessa e, se così era, il marito di lei sarebbe stato proprio dell’età giusta per avere conosciuto il padre di Tetsuo.
Quel giorno, Tetsuo doveva essere sceso tardi per fare colazione e Kimie, immancabilmente, doveva averlo intrattenuto con discorsi sul defunto marito. Tetsuo, però, aveva già sentito tutto sul marito di lei da suo padre, e sapeva che erano tutte frottole. Lungi dall’essere il futuro vice-sindaco, era stato un semplice impiegato che, colto sul fatto per avere accettato la classica bustarella, aveva appiccato fuoco al Municipio e si era suicidato. Tetsuo, probabilmente, dapprima aveva accennato al fatto solo in tono scherzoso, ma Kimie era andata subito su tutte le furie, c’era da scommetterci. Non c’era motivo di dubitare che la versione di Tetsuo fosse quella vera: Tetsuo non avrebbe avuto alcun motivo per fare arrabbiare la donna. Anche Kimie doveva sapere benissimo che il giovane diceva la verità, ma naturalmente era decisa a difendere la leggenda del marito-eroe dato che, grazie a quella, aveva l’impressione d’essere diventata una persona degna di grande rispetto.
Kimie, non sapendo che Yukiko li aveva sentiti azzuffarsi in quel modo, più tardi aveva spinto Tetsuo giù per le scale. Non è verosimile che avesse davvero intenzione di ucciderlo, ma era come sopraffatta dalla collera e doveva averlo spinto così, senza riflettere.
Ma prove non ce n’erano. Chissà, forse era tutto un prodotto della mia fantasia. Fino a quel momento non ci avevo mai pensato, ma il fatto che non esistano prove può anche essere un’ottima cosa.
— Perché non me l’hai detto prima, tutto questo? — domandai. — Perché non l’hai raccontato al poliziotto, quando è venuto a indagare sull’incidente?
Prima di rispondere, Yukiko distolse lo sguardo da me e riprese lentamente a dondolarsi. — Se Kimie fosse stata arrestata, non avrebbe potuto più occuparsi della casa, e tu come avresti fatto, per poter andare al negozio?
Quando arrivammo a casa, Kimie stava passando l’aspirapolvere sulle scale. — Bentornate, — ci gridò dall’alto, con voce tanto più giovane dei suoi anni, — finalmente è venuto di nuovo il bel tempo, eh? Da quando lei ha fatto rivestire di gomma questi gradini, è tanto più facile andare su e giù. Però mi torna in mente una cosa che aveva detto una volta il mio povero marito. Quando avevano messo questo stesso tipo di guarnizioni sulle scale del Municipio, lui aveva detto che sì, impedivano che qualcuno scivolasse, però le ragazze dovevano stare attente che i loro tacchi alti non vi rimanessero impigliati. Pensava sempre prima agli altri, poverino. Quando il Municipio prese fuoco, lui continuò a prodigarsi fino alla fine.

 

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