Con l’elmetto in testa sono un essere come tutti gli altri, e il mondo ha un senso.La guerra non è una guerra senza fine, ma una necessaria azione difensiva nell’interessedella pace, e finirà presto.I Maestri non sono creature che ci mentono e ci tengono in schiavitù, ma signoridi grande saggezza e giustizia che, nelle sale di questo grande edificio, ci preparanobenevolmente per il mondo che un giorno toccherà a noi di governare. Gli altri chestanno con me nei corridoi e nelle aule non sono altrettante vittime, ma altrettanti studenti,e tra molto, o tra poco, tutto andrà per il meglio. Ecco perché mi è stato assegnatol’elmetto, e perché mi piace averlo in testa. Senza quell’elmetto non riesco asopportare il mondo com’è, per certe ragioni che hanno a che fare con la scienzamedica e che io non sono in grado di capire...I Maestri dicono che devo toglierlo ogni giorno per un paio d’ore, e riposare. Mihanno detto che questo riguarda i sensori, o l’esaurimento della guaina protettiva deinervi, ma la spiegazione mi confonde le idee, ed io trascorro i miei periodi senzaelmetto tenendo gli occhi chiusi il più a lungo possibile e contando i minuti chemancano al momento in cui potrò calzarlo di nuovo e rendere, di nuovo, il mondocomprensibile. È importante e necessario che io indossi l’elmetto, ed i Maestri hannopromesso che entro non molto, le protezioni dei nervi, o sensori, avranno completatoil necessario adattamento ed io sarò in grado di servirmene per settimane intere.Spero che sia così.Adesso è una delle mie ore senza elmetto. In piedi davanti alla finestra guardo daquesta grande altezza gli edifici della città. Conosco la paura dei macchinari sospesinella distanza, la paura nell’odore dell’aria pesante che aleggia in questo luogo.Ascoltando Serafino che parla delle meraviglie della nostra epoca, io chiudo gliocchi. Serafino è il mio più caro amico, forse il mio solo amico in questo momento,ma non gli sono più affezionato che a tutti gli altri. Quando ho l’elmetto lo trovointeressante e simpatico, quando sono senza mi pare stupido e insipido.Quanto lo invidio. Lui non ha bisogno dell’elmetto per gioire della vita che cihanno data!— Non è meraviglioso, Jonno? — chiede Serafino girando oziosamente le dita.Siamo in un periodo di tempo libero tra le ore di istruzioni, e siamo venuti allafinestra per guardare la città. — La razza umana ha faticato diecimila anni per creareuna civiltà come questa, e siamo noi che la erediteremo. Non è meraviglioso? La cittàci dà tutto, e noi non saremo mai costretti a lasciarla.A me non sembra che questo sia meraviglioso, senza elmetto, poi, l’idea di nondover mai lasciare la città mi riempie di disgusto. Ma io non voglio scoraggiareSerafino, spingerlo ad andarsene. Nei periodi in cui non porto l’elmetto, mi sentomolto solo, e mi spavento facilmente. — Sì, certo — dico. — Mi sembra una cosabellissima — e mi volto. Così vedo che, inaspettatamente, uno dei Maestri si è avvicinatoa noi. Loro si muovono così silenziosamente e con tale leggerezza, per le scale,che è quasi impossibile accorgersi del loro arrivo, quindi conviene che uno si attengacostantemente alle leggi di obbedienza. — Salve, Serafino dice il Maestro. — SalveJonno.Noi non conosciamo i loro nomi, ma loro i nostri, li sanno tutti. Per noi, loro sonosemplicemente Maestri. Alcuni sono alti, altri piccoli, certi sono vecchi, ed altri giovani,ma siamo stati informati che ciascuno di loro può adempiere le funzioni di tutti,e che sarebbe stato un grosso errore volerne personalizzare qualcuno. Questo è unavvertimento che vale la pena di prendere seriamente, perché i Maestri non fanno maiaffermazioni inutili. Tutto quello che dicono è denso di significato, e l’unica veradifficoltà sta nel non tenerne conto.— Salve, Maestro — dice il mio amico, e si inchina leggermente, nel mododovuto. Fa un ampio sorriso e torna a girarsi verso la finestra, perché è regola che, seil Maestro non vuole prolungare la conversazione, l’allievo non deve attirare su di séun’attenzione non necessaria ma limitarsi a continuare la sua attività regolare. —Salve, Jonno — dice il Maestro rivolgendosi a me, ed in tono un poco più secco.— Salve, Maestro — dico, e gli volto le spalle. Senza elmetto in testa vedo ilMaestro come una creatura spaventosa e sconosciuta, con la pelle verde, a squame,grandi occhi, artigli, e una brutta escrescenza sopra le squame, ma ricordo a me stessoche questa è semplicemente un’illusione dovuta alla mia incapacità di adattamento, eche in nessun modo, mai, devo dimostrare odio, paura, o disgusto. Nel passato, inmomenti in cui non portavo l’elmetto, mi ero lasciato prendere un paio di volte dalleallucinazioni, ed ero stato portato in una piccola stanza per essere educato. Ma questaè una faccenda di cui preferisco non parlare.— Come stai? — dice il Maestro, lasciando capire che intende proseguire laconversazione.— Bene. Sto bene.— Vedo che non porti l’elmetto. Perché?Deve essere un Maestro nuovo, uno che non conosce ancora le speciali regole eprocedure che disciplinano il mio caso.— Non posso portarlo continuamente — dico. — Lo devo togliere per una o dueore al giorno.— Non ho sentito niente del genere a proposito del tuo caso — dice il Maestro. —Gli scontenti hanno ricevuto istruzione di portare sempre l’elmetto. Mi spiace.— Ma è vero! — dice Serafino, prendendo le mie difese. — Lui non può portarlosempre. Ecco perché io gli tengo compagnia. Perché non venga preso dalla paura.— Nessuno ti ha chiesto di parlare — dice il Maestro in tono rabbioso. — Tu puoiparlare soltanto quando ti si rivolge la parola. Per questa tua mancanza subirai untrattamento. Ti ordino di andare immediatamente agli alloggi.Pallido e tremante, Serafino si allontana dalla finestra e attraversa rapidamente lasala. È inutile discutere con i Maestri. Facendolo si aggrava soltanto la situazione.Serafino esce senza dire una parola. Guardandolo, vedendo le spalle incurvate, ed illieve tremito delle gambe, intuisco che è terrorizzato. Anch’io sono molto spaventato.Distolgo gli occhi dalla città e cerco di guardare oltre la creatura, ma questa cattura ilmio sguardo, ed io sono costretto a fissarla. Vorrei andare via, di corsa, ma andarsenesenza una scusa è offesa gravissima, forse la più grave di tutte, e quindi resto. IlMaestro mi guarda, le squame si agitano nell’aria.— Vieni qui, Jonno — dice, e mi fa un cenno. Io mi muovo, poi mi fermo aqualche centimetro da lui. Nella faccia senza fisionomia della creatura gli occhi sonotondi e grandissimi. — Tu conosci i regolamenti — dice. — Devi portare semprel’elmetto.— Sì — dico. È inutile discutere con loro. Vero, o non vero, lui non conosce iluno caso, ma non c’e scopo a discutere con loro si peggiorano soltanto le cose —Sì—ripeto.— Hai infranto il regolamento.— Sì. Sì, è vero.— Quindi devi accettare la tua giusta punizione.— Lo farò.— La punizione è...Il Maestro fa una pausa, agita di nuovo le squame, sembra pensare. — L’unicapunizione adatta — dice — è questa tu non porterai più l’elmetto. Dovrai passaretutto il resto della tua vita senza elmetto. Per non aver saputo accettare i termini dellatua salvezza, non verrai salvato.Poi si allontana rapidamente da me, lasciandomi impietrito sul posto. Mi sentomale. Il corridoio diventa grigio, il vento che entra dalla finestra mi fa rabbrividire.Sento un freddo come non ho mai sentito prima, e mi rendo conto sino in fondo dellaraffinata crudeltà del Maestro. Mi rendo conto che dovrò trascorrere tutto il restodella mia vita vedendo ogni cosa esattamente com’è.
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venerdì 30 maggio 2025
Barry M. Malzberg: L'elmetto
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