venerdì 23 maggio 2025

Russell Bates: Visione indiana



La terza settimana di digiuno, Gufo Grigio scoprì gli uomini bianchi.
Quel giorno il giovane Kiowa si svegliò al dolce canto degli uccelli. Durante la
notte era piovuto. La sua coperta di bisonte era inzuppata e puzzolente. La camicia di
renna e i mocassini erano fradici. Si sentiva infelice. Il vento soffiava gelido
infilandosi sotto le rocce sporgenti. Gufo Grigio rabbrividì; quasi dimenticando gli
stimoli della fame. Quasi...
Alla fine il sole scaldò le rocce. Gufo Grigio si mise stancamente a sedere,
sperando che il nuovo giorno gli portasse finalmente la visione. Si asciugò i lunghi
capelli neri e li annodò facendoli ricadere sul lato sinistro. Poi rimase a guardare a
lungo verso il basso da una spaccatura della roccia. Il fianco della collina era
immutato: gruppi sparsi di piccole querce, massi ricoperti di muschio, prati di erba
gialloverde, e terra nera. Le colline più lontane avevano gli stessi colori e le stesse
caratteristiche.
Poco prima dell’alba Gufo Grigio aveva sognato. Di cervi, e nuvole, e pesci, e
neve... Ma il sogno non gli aveva portato la visione che lui stava aspettando. Quando
avesse avuto la visione, avrebbe parlato con gli spiriti, e ne avrebbe assimilato la saggezza
e la conoscenza. Sarebbe stata la sua forza di guerriero e d’uomo.
Almeno, così lo stregone gli aveva promesso. Ma quanto tempo ancora doveva
aspettare? Quando Gufo Grigio aveva cominciato il digiuno la luna era piena da
poco. Presto sarebbe stata di nuovo piena.
Gufo Grigio pensò allo stregone che aveva certo dormito al caldo sotto la tenda, e
che non era a corto né di cibo né di vestiti.
Maledetto vecchio, sdentato e semicieco! Spero che abbia fatto un’indigestione,
con tutta la carne che gli ho dato!
Al pensiero del cibo i morsi della fame tornarono con violenza. Gufo Grigio si protese
in avanti e da una spaccatura nella roccia prese una piccola sacca di pelle. Dentro
c’era una manciata di pezzi di carne affumicata mescolati con sugna. Li annusò a
lungo, poi chiuse gli occhi e si illuse di inghiottire. Poi rimise la carne nella sacca,
sentendosi molto colpevole.
Alla fine si costrinse a lasciare la spaccatura nella roccia. Quando si alzò i capogiri
e la nausea lo fecero barcollare. Si appoggiò con la schiena a un masso e per qualche
istante ebbe la vista annebbiata. Le braccia e le gambe gli formicolavano. Venne
preso da un crampo ai muscoli del fianco. Alla fine le scintille bianche smisero di
danzargli davanti agli occhi.
Acqua. Doveva trovare acqua.
Gufo Grigio scese prudentemente la collina. Procedeva molto più faticosamente
del giorno prima. Non riusciva più a saltare da un masso all’altro. Oggi doveva
strisciarvi in mezzo. I sassi appuntiti gli ferivano i piedi attraverso i mocassini
bagnati.
Il pendio finì, e Gufo Grigio si sedette per terra, a riprendere fiato. Guardò verso la
cima della collina. Non gli sembrava tanto alta quanto ricordava. Comunque adesso
rimpiangeva di non avere affrontato altri pendii meno ripidi.
Ho scelto bene il mio posto di sofferenza. Ma sarò capace di salire di nuovo lassù?
Seguì la pista di un cervo, e avanzò stancamente tra gli alberi. Inciampò due volte
in radici sporgenti dal terreno. Un’altra volta urtò un albero, e vi ci si aggrappò disperatamente
per non cadere. Si fermò guardandosi attorno.
Era quello il sentiero che portava al fiume? È lunghissimo. Mi sono perso!
Gufo Grigio abbandonò il sentiero e si mise a camminare nella radura. L’erba alta
gli rallentò il passo. Poi sentì l’odore dell’acqua. Il fiume era vicino.
Alla fine raggiunse la riva fangosa e si lasciò cadere sulle ginocchia e si piegò in
avanti per bere. L’acqua era fredda e leggermente torbida. Ma quando ebbe bevuto si
sentì meglio. Si lavò la faccia, poi si tolse la casacca per lavare le numerose graffiature
che aveva sulle braccia, sul petto, e sulla schiena. Il suo frenetico agitarsi sulle
rocce la notte prima era servito soltanto ad affaticarlo. Le autotorture non lo avevano
reso meritevole della visione. Alla fine Gufo Grigio scese in acqua e si lavò massaggiandosi
con forza. Parte della fatica, il dolore ai muscoli, e il leggero mal di testa se
ne andarono via con la sabbia del fiume usata per strofinare la pelle.
Poi si distese su una pietra vicina alla riva. La corrente del fiume gli accarezzò il
corpo. Era una fatica restare sveglio.
Un cane abbaiò. Gufo Grigio si mise a sedere, in ascolto. Il cane abbaiò di nuovo.
Era vicino. Più a monte.
Gufo Grigio uscì dall’acqua, prese gli abiti di pelle, e tornò ad ascoltare.
L’abbaiare si trasformò in ululato. Curioso ed impaurito insieme, abbandonò la riva
per entrare nella boscaglia e dirigersi verso il latrato.
In quelle terre isolate non vivevano altre tribù. Un cane significava uomini bianchi.
Gufo Grigio si fermò per infilare la casacca. Poi riprese ad avanzare nella boscaglia,
con cautela, con calma, in silenzio. Poco dopo raggiunse i margini di una radura
e vide il campo, il cane, e gli uomini bianchi.
Il cane era legato ad un albero. Un uomo bianco era disteso accanto a un falò ormai
spento da tempo. Un altro stava seduto ai piedi di un albero, con le braccia penzoloni,
la testa piegata in avanti, il mento appoggiato al petto. Un terzo era allungato sulla
riva del fiume, con un braccio e la testa nell’acqua. Indossavano tutti abiti grigio e
marrone, molto sporchi, e calzavano stivali logori e coperti di fango.
Un soffio di vento scosse le foglie degli alberi del cotone che circondavano la
radura, e portò a Gufo Grigio un tanfo di putrefazione. Gli uomini erano morti.
Il cane sentì la presenza di Gufo Grigio e si mise ad abbaiare più forte, tirando la
corda che lo teneva legato. Gufo Grigio avanzò lentamente e raggiunse l’accampamento.
Il cane fece qualche passo indietro, ma continuò ad abbaiare. Gufo Grigio
notò i tronconi di una corda pendere da due alberi: i cavalli si erano liberati ed erano
fuggiti ormai da tempo.
Si fermò accanto all’uomo disteso vicino ai resti del fuoco. Il cadavere, a faccia in
giù, aveva una coperta sulle gambe. Gufo Grigio si chinò e raccolse una bellissima
pistola. Era carica, e aveva delle decorazioni circolari sulla canna.
Gufo Grigio si girò verso il cane. Era marrone a chiazze bianche. Il pelo era arruffato,
e la bocca era sporca. Affamata, e assetata, la bestia aveva mangiato il fango.
Gufo Grigio infilò la pistola sotto la casacca, e si mise a frugare nelle sacche degli
uomini. Trovò gallette e carne affumicata. Trovò anche alcune scatole di metallo, ma
le scartò perché avevano dei segni per lui privi di senso. Guardò con desiderio il cibo.
Poi un senso di colpa lo indusse a gettarlo al cane.
L’animale annusò i bocconi con sospetto, poi li divorò avidamente.
Gufo Grigio sospirò e prese una ciotola per andare ad attingere acqua. Passando
accanto all’uomo seduto ai piedi dell’albero ebbe un brivido. Al fiume, nel piegarsi
per riempire la ciotola, notò qualcosa di strano: l’uomo morto sulla riva era coperto di
piaghe.
Guardò attentamente. La mano che rimaneva fuori dall’acqua era quasi scorticata.
Intorno alla poca pelle rimasta sul dorso c’era una striscia di crosta giallastra. Guardò
la faccia. Così, le ferite erano state medicate con bende che adesso ondeggiavano
nell’acqua. Gufo Grigio riempì in fretta la ciotola, e si allontanò.
Il cane bevve e agitò la coda, poi guardò l’uomo, come aspettando qualcosa. Gufo
Grigio si abbassò con cautela, e lo slegò. Il cane gli si sfregò addosso.
— Cos’ha ucciso i tuoi padroni, cane? — disse Gufo Grigio. Rivolgendosi al cane
non infrangeva l’imposizione di non parlare a nessuno, gli parve.
Il cane mosse la testa e abbaiò. La coda sbatté contro le gambe di Gufo Grigio.
— È stato un brutto modo di morire. Forse non mi conviene fermarmi qui ancora
molto. — Girò alla larga dall’uomo accanto all’albero. Anche lui aveva le piaghe.
Gufo Grigio non si preoccupò di rivoltare l’uomo morto accanto al fuoco.
Poi si ricordò della pistola. La sfilò con mano tremante da sotto la casacca e la
gettò lontano. Il cane gli camminò accanto fino al limite del campo, poi si fermò.
Gufo Grigio girò la testa. — Vuoi restare qui, vero? Io d’altra parte non saprei
come tenerti. Spero che tu possa trovare qualcosa da mangiare... — Respinse il pensiero
ovvio e terribile sul destino della bestia, e tornò verso le colline.
Quando fu sera, Gufo Grigio accese un piccolo falò e cominciò a cantilenare le sue
preghiere. Il vento che soffiava sul pendio roccioso era caldo. Nel cielo del tramonto
cominciavano a brillare le stelle. Gli strani avvenimenti della giornata erano certamente
un segno che la visione stava per arrivare. I veli si sarebbero sollevati e...
Gufo Grigio si scoprì a ripetere le parole dello stregone, e se ne irritò. Attese.
Niente. L’aria diventò più fredda, e il fuoco si spense lentamente.
Dov’è? Lo stregone è un bugiardo! Ma cosa dire di tutti gli altri guerrieri che affermano
di avere ottenuto la forza da una visione?
Rimase seduto in silenzio, poi decise di digiunare solo per qualche giorno ancora.
Se la visione non fosse arrivata se ne sarebbe tornato dai Kiowa. Avrebbe dovuto dir
loro qualcosa. Ma non sapeva ancora esattamente cosa.
Comunque avrebbe fatto pagare allo stregone tutti quei giorni di disagio. Era imbronciato,
ma poi un sorriso gli distese la faccia. Bene. La sua reputazione di burlone,
la sua fama di saper mettere nel sacco i compagni della tribù avrebbe guadagnato
qualche altro punto. Non avrebbe fatto niente di pericoloso, solo qualche piccolo
scherzo per mandare sulle furie il vecchio. Ad esempio, dargli ossa di moffetta se
chiedeva quelle di donnola, o carne di falco se chiedeva quella di uccelli della prateria,
o infilargli rami di legno verde nel falò. Gufo Grigio ebbe voglia di ridere, ma
non poteva.
Si accorse che il fuoco si stava spegnendo e aggiunse qualche pezzo di legno. Ma
sentiva comunque abbastanza caldo, anzi. fin troppo caldo. Si toccò la faccia.
Scottava.
Forse sono stanco. Sì, certo, Sono stanco.
Si sdraiò per dormire. Ripensò agli uomini bianchi e alle loro piaghe, anche se non
voleva ricordarsene. Qualcosa li aveva uccisi. Rapidamente. In silenzio. Tentò di
pensare ad altro. Alla visione. Agli scherzi che aveva fatto. Alle figlie di Orso Grigio.
Alla caccia al cervo.
Ma niente cancellava l’immagine degli uomini morti. Alla fine si addormentò, sentendo
molto più caldo di prima.
Gufo Grigio aprì gli occhi. Il sole era già alto sulle colline. Rimase sdraiato e cercò
di capire come stava. Bene, gli parve. Si mise a sedere, soddisfatto, e si stirò, sbadigliando.
Scostò la coperta di bisonte, e fece per alzarsi.
La cosa era a poca distanza da lui, e lo guardava. Gufo Grigio rimase a fissarla,
senza riuscire a muoversi. La cosa aveva la forma di un uomo. Ma non era un uomo.
Era una massa di carne viva. Con un corpo, e braccia, e gambe, e una testa. Ma non
aveva pelle, né peli. Solo una superficie di piaghe. Sembrava che lo stesse guardando,
ma la sua faccia di carne viva non aveva lineamenti. Da tutto il corpo scendeva un
liquido giallastro che colava sulla roccia dove l’apparizione stava seduta.
Gufo Grigio strisciò all’indietro, gli occhi sbarrati, ed andò ad appiattirsi contro la
roccia.
Era un fantasma? Era il fantasma di un uomo bianco? O era... la visione?
Riuscì a pronunciare le parole: — Siete uno degli spiriti? Siete... siete venuto perché
sono meritevole?
La cosa si mosse, sollevò un braccio, e si toccò il petto. Poi con voce lamentosa
disse: — Io sono il Vaiolo Nero. E voglio venire con te.
Gufo Grigio si sentì quasi svenire. Guardò la cosa, e cercò di parlare.
Ma fu la creatura a parlare per prima. — Non avere paura. Non ti voglio fare del
male. Desidero soltanto venire con te dai Kiowa. — Si alzò, e il liquido giallastro
colò lungo le gambe.
— Sì, noi ce ne andremo insieme dalla tua gente.
Gufo Grigio cercò di pensare in fretta. Quella non era certamente la visione. O
forse, dopo tutto, non poteva essere la visione di qualcosa rovinata dalla malvagità
degli uomini bianchi? Sì, gli uomini bianchi. Le loro piaghe. La Morte.
— No! — disse, cercando una pietra. — Tu sei venuta con gli uomini bianchi! Tu
li hai uccisi! E adesso vuoi uccidere... — Trovò una pietra e la scagliò. Vaiolo
ondeggiò come un riflesso nell’acqua, poi ricomparve un poco più lontano. La pietra
rimbalzò sul terreno.
Vaiolo gli andò più vicino. — Vieni.
Gufo Grigio fece un balzo indietro, e si lanciò giù dal pendio. Corse, inciampò,
cadde, strisciò, scivolò sulle rocce, riprese a correre. Quando raggiunse il terreno
pianeggiante si mise a correre all’impazzata senza mai guardarsi indietro. Inciampò, e
diverse volte fu sul punto di cadere. Attraversò boschi, superò colline, percorse gole,
prati e terra nuda.
Alla fine entrò di corsa in una piccola valle. Cadde, e si mise ad ansimare e a piangere.
Era finito con la faccia e le mani sull’orlo di una pozza di acqua piovana. Poco
lontano c’erano un masso e un boschetto. Cercò di strisciare in quella direzione, ma
non ce la fece. Il corpo era scosso da brividi per quanto lui fosse ricoperto di sudore.
Poi il respiro divenne meno affannoso, e Gufo Grigio si sollevò su un braccio.
Sentì piangere e gemere, ma molto debolmente. Poi vide della gente riflessa nella
pozzanghera. Erano Kiowa, laceri, con le braccia e le facce ricoperte di piaghe. I
riflessi gli si stavano avvicinando, piangendo più forte.
Gufo Grigio si tirò indietro e con i piedi spinse della terra nell’acqua. Qualcosa si
era eretta al limite del suo campo visivo. Si girò, e vide Vaiolo fermo ai margini del
bosco.
Vaiolo avanzò verso di lui. — Perché ti sei fermato? Dobbiamo andare dai Kiowa.
Prima li raggiungeremo e più sarò contento.
Gufo Grigio si mise in piedi faticosamente e indietreggiò. — No! Non vi ci porto.
Questo non è il posto per voi! Andatevene!
Vaiolo Nero alzò una mano. — Dobbiamo andare. Le giornate diventano più
lunghe.
Gufo Grigio si alzò e riprese a scappare.
Salì una collina. Vaiolo gli comparve di fronte prima ancora che lui avesse
raggiunto la cima.
Attraversò l’altopiano e si tuffò nel lago da un’altezza superiore alla cima degli
alberi. Quando Gufo Grigio si mise a nuotare verso la diga dei castori vide che
Vaiolo l’aveva già raggiunta.
Si nascose in un piccolo canyon. Vaiolo gli era alle spalle appoggiato alla liscia
parete di roccia. Gufo Grigio diede fuoco all’erba secca battendo insieme due pietre
focaie. Le fiamme si allargarono nel canyon, sollevando fumo, ed intrappolando
Vaiolo. Ma quando Gufo Grigio entrò di corsa in una foresta vide Vaiolo sbucare da
dietro un albero e andargli incontro.
Per tutto il resto della giornata Gufo Grigio corse, dispose trappole, e corse ancora.
Ma non riuscì mai a distaccare o ingannare Vaiolo. Tutte le volte che si fermava, lui
gli era sempre vicino. Scese la notte, e Gufo Grigio si rese conto di non farcela più a
correre. Si sedette in cima a una collina erbosa e rimase a guardare Vaiolo che gli si
stava avvicinando lentamente. La luce della luna quasi piena si rifletteva sul liquido
che gli colava dal corpo.
Ho perso. Non so più cosa fare. Eppure...
Gufo Grigio pensò rapidamente, fece un piano, poi, quando Vaiolo gli si fermò
accanto, disse: — Va bene. Andiamo dai Kiowa.
Le tende erano avvolte dal silenzio. La luce della luna ne illuminava le file ai piedi
di una collina ricoperta d’alberi. Il falò del campo era quasi spento. I cani vagavano
tra le tende. Le sentinelle stavano ai loro posti, distanziate l’una dall’altra.
Gufo Grigio compì silenziosamente il giro del campo. Vaiolo gli camminò
accanto.
In fondo all’accampamento una donna uscì dalla tenda e buttò alcune ossa. I cani si
lanciarono, presero a litigare per accaparrarsi qualche boccone.
Gufo Grigio vide l’occasione propizia, ed entrò coraggiosamente nel villaggio,
passando dove non c’erano sentinelle. Poi si fermò per girarsi verso Vaiolo. — Siamo
arrivati. Vuoi lasciarmi andare, adesso?
L’altro fece qualche passo avanti e guardò il cerchio delle tende. — Non subito.
C’è ancora una cosa che devi fare. Vieni.
Gufo Grigio lo seguì guardandosi attorno nervosamente. Vaiolo lo guidò fino ad
un grosso otre di pelle appeso a dei pali incrociati.
— Quella è acqua — disse, standogli vicino ed indicando l’otre. — Sputaci dentro.
Gufo Grigio lo guardò senza capire.
— Ti ho detto di sputare in quell’acqua.
Gufo Grigio si avvicinò, tolse il tappo all’otre, e sputò dentro.
— Ancora... Così va bene. Sei libero.
Gufo Grigio fece un passo indietro. — Libero?
Vaiolo gli girò le spalle. — Il tuo compito è finito. — Si mise a sedere per terra. La
sua carne senza pelle luccicava sotto i raggi della luna. — Tu non puoi capire, ma voglio
dirtelo lo stesso. Ci sono persone che io non posso uccidere. Tu sei una di queste.
Io comunque vivevo dentro di te, e tu sei servito al mio scopo. Vattene.
Gufo Grigio finse d’incamminarsi verso una grande tenda quasi nascosta dall’ombra
delle piante. — Sì — disse, guardandosi indietro — devo andare alla mia tenda. I
miei saranno felici di vedermi.
Ma quando Vaiolo non fu più in vista, Gufo Grigio si lanciò di corsa verso gli
alberi. Due cani gli corsero dietro abbaiando. Una sentinella gridò, e altri cani si
misero a inseguirlo. Gufo Grigio raggiunse la zona d’ombra e uscì dal villaggio. Poi
fece perdere rapidamente le sue tracce.
Sono libero. Sono libero! E i Pawnee non sono amici dei Kiowa!
L’alba trovò Gufo Grigio molto lontano dal villaggio dei Pawnee. Quando fu
sicuro che nessuno lo seguiva cacciò un coniglio e mangiò il suo primo pasto dopo
venti giorni. Lo stomaco gli diede delle fitte nel rimettersi di nuovo in funzione, ma
lui era felice per avere finalmente sconfitto Vaiolo.
Rise. Quale racconto avrebbe fatto della sua visione una volta raggiunti i Kiowa!
Quando fu quasi arrivato sentì gemere. Si fermò per guardarsi ansiosamente
attorno. Nella pianura non c’era altro da vedere oltre le erbe mosse dal vento. Poi i
gemiti sparirono sostituiti da una risata beffarda. Era quella di Vaiolo.
— Dove sei? — disse Gufo Grigio girando in cerchio. — Non puoi essere qui! Ti
ho messo nel sacco!
— Io te lo avevo detto, ma tu non hai capito. Noi siamo ancora insieme. Io sono
parte di te. Io sarò con te per sempre. Non ti puoi liberare di me.
E la risata riprese.
Allora Gufo Grigio si accorse che la risata gli veniva da dentro. Si graffiò, si strappò
la carne, ed urlò.
La risata non smetteva.
Le rocce sporgenti gli offrivano poca protezione contro la furia del temporale.
Gufo Grigio si rannicchiò sotto la coperta di bisonte e guardò la bufera. Un fulmine
colpì gli alberi su una collina lontana e per un breve attimo cancellò la notte. I tuoni
esplodevano dalle nuvole e facevano tremare il terreno. La pioggia batteva la faccia
di Gufo Grigio e gli formava pozzanghere sotto il corpo.
Pregò, chiese pietà agli spiriti. Gli tornarono ricordi lontani. Di quando, ragazzo,
giocava coi cerchietti, dei racconti di sua madre, delle sue canzoni, e delle sue sgridate.
Delle autotorture che si era inflitto per diventare uomo, del sorriso della figlia
di Orso Grigio. Del grasso che schizzava dalla quaglia quando veniva arrostita...
Per giorni interi Gufo Grigio aveva pensato all’esilio o al suicidio. Ma sapeva che
nel primo avrebbe avuto la tentazione continua di rivedere i suoi cari. Nel secondo
non c’era onore.
Adesso Vaiolo sarebbe stato definitivamente messo nel sacco. Gufo Grigio aveva
ripreso il digiuno. Ma questa volta, sarebbe continuato fino alla fine, fino a quando di
lui non sarebbe rimasto più niente.
Sorrise debolmente, e si strinse addosso la coperta di bisonte. Almeno, pensò, la
risata era scomparsa. 

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