Quella sera avevamo parlato di parecchi argomenti. Era stato uno di queiricevimenti in cui tutti hanno un parere da esprimere su questo, su quello, o su tutto.E, cosa alquanto sorprendente, quasi tutti i presenti sapevano con esattezza di checosa stessimo parlando. Bingham, per esempio. Quando Croucher dichiarò congrande fiducia che la vecchia madre natura avrebbe provveduto in un modo tutto suoa controllare l’aumento della popolazione, Bingham scoppiò in una risata che perònon aveva niente di allegro.— Quello — mi bisbigliò mia moglie — è uno che sa troppe cose. Ma perché saràcosì spaventato?Bingham riuscì a sentirla. E si rivolse, a noi.— Sono spaventato, infatti, e non mi importa che lo si sappia. Sareste spaventatianche voi se...— Se cosa? — chiese Croucher, reinserendosi nella conversazione.— Se vi capitasse di assistere agli esperimenti che faccio. Che faccio? In realtà sieffettuano da soli. Secondo me bisognerebbe mostrarli ogni sera su tutti gli schermiTV di questo mondo. Allora la gente si renderebbe conto... — Bingham vuotò ilbicchiere, si allontanò barcollando per andare al bar a farselo riempire di nuovo, poitornò da noi. — Perché domani non venite all’università? Dovreste vederel’esperimento...Croucher disse che non aveva tempo. Anche sua moglie aveva altri impegni.Sandra ed io, invece, eravamo liberi. La vita di uno scrittore, libero professionista,presenta anche qualche vantaggio. Ci mettemmo d’accordo, poi ci trovammocoinvolti in una conversazione sulla contestazione studentesca, e finimmo coldiscutere il problema della droga. Tutti ebbero qualcosa da dire, nessuno ascoltò, etutti trascorsero una serata piacevole.Il mattino seguente mi chiesi se Bingham si fosse ricordato di averci dato appuntamento.Telefonai all’università. Se ne era ricordato. Ci disse che l’avremmo trovatonella palazzina delle Ricerche Biologiche. La suddetta palazzina risultò una scatolarettangolare di cemento in assoluta disarmonia con lo pseudogotico degli altriedifici. Ci presentammo alla ragazza seduta dietro la scrivania del primo ufficioaccanto all’ingresso. Lei ci disse che il dottor Bingham ci stava aspettando, e ci feceaccompagnare fino al suo laboratorio da un fattorino in divisa.Seguimmo l’uomo per corridoi spogli, fortemente illuminati, che ci sembraronoparete dello stesso colore. Era, lo ricordo, la porta numero 13. Se questo avesse o noun significato, non lo posso dire.La nostra guida bussò alla porta, e Bingham venne ad aprire. Indossava un camicebianco costellato di macchie ed un abito gualcito. L’espressione era la sua solita:preoccupata. Cercò dentro di sé una scusa per sorridere, e disse:— Entrate. Benvenuti nella Città del Futuro.Città del Futuro?La prima cosa che notai fu l’odore. Come molti, anch’io da ragazzino avevoposseduto dei topolini bianchi, e durante la seconda guerra mondiale avevo prestatoservizio per diversi mesi su una vecchia nave da carico infestata dai topi. Perciòconosco, e so riconoscere il puzzo di quei roditori. Ma quel fetore era addiritturaessenza concentrata di topo.— Ci farete l’abitudine — mi disse Bingham. — Col tempo ci si abitua a tutto.Fece una risata rauca. — Questo è il nostro guaio. Ci si abitua alle condizioni piùspaventose, e non facciamo niente per eliminarle.— Spaventose, è la parola esatta — disse Sandra attraverso il fazzoletto che si eraportata al naso.— Ma non avete ancora visto niente — disse Bingham.— Se è spaventoso quanto il puzzo — gli disse mia moglie — non credo di avernemolta voglia.Era proprio spaventoso quanto il puzzo.Si trattava di un’enorme gabbia dalle pareti di vetro che permettevano di osservarei interno. C’erano ventiquattro piani, in origine trasparenti come i lati della gabbia,ma ora orribilmente sudici. Su ogni piano c’erano strade fatte di piccole case a formadi scatola. Ogni piano era collegato all’altro da scale attaccate alle pareti interne dellagabbia. Mi ricordai dei topolini che avevo posseduto da bambino. Avrebberoconsiderato una gabbia simile una specie di paradiso dei topi... però io non ho maiposseduto più di sei piccoli animaletti alla volta. Quello che avevo di fronte, siachiaro, non era il paradiso dei topi. Somigliava più all’inferno dipinto da HieronymusBosch, solo che non era popolato da esseri umani, ma da una massa in agitazione dipiccoli roditori dal pelo bianco.— Quanti... quanti sono? — chiese Sandra con voce soffocata.— Troppi — rispose Bingham. — Sono troppi, signora Whitley. Cinquemilacento,per la precisione. Diciassette volte più numerosi di quanti ne potrebbero vivere inquesto spazio in condizioni normali.— E... per il cibo?— Sono ben nutriti. Una dieta bilanciata, ricca di tutto quello che serve loro per lasalute fisica. Hanno possibilità di fare molto moto grazie alle scale che uniscono unpiano all’altro...— E combattono tra loro, anche, immagino — dissi, guardando con un misto diorrore e fascino un povero animaletto, un pezzato, acquattato ai piedi di una scala.Aveva perso quasi tutta la coda, ed il mozzicone che gli era rimasto sanguinavaancora.— Non certo per il cibo. Una volta stabilita la gerarchia per attingere al nutrimento,tutti quanti la rispettano. Osservate con attenzione. Come potete vedere, i topi ai pianisuperiori sono tutti ben nutriti e con il pelo lucido. Quelli delle classi inferiori sonoscarni e arruffati... Ma il fenomeno che spaventa è l’apatia generale. Nemmeno ilsesso sembra più interessarli. In un primo momento abbiamo pensato che il superaffollamento avrebbe raggiunto limiti insostenibili dato che madre natura, come diceCroucher, segue sempre il suo corso. Invece abbiamo dovuto introdurre topi nuoviper rimpiazzare quelli morti...— Capisco — dissi, del tutto a sproposito. Quella gabbia di vetro aveva un suofascino mostruoso. Mi ricordava lontanamente le città viste in Oriente. Ma gli abitantidi quelle città erano ancora troppo fecondi. Forse in quel ambiente artificialepotevano aver trascurato qualche fattore. Ricordai i negozi di droghe viste neiquartieri più poveri di Calcutta. Cosa c’era scritto sulle insegne? “Autorizzati avendere Charas, Bhang e Ganja”... Poteva esserci una relazione? L’animale umanoche vive in città superaffollate ha forse bisogno di qualche droga che lo metta ingrado lui di copulare, e la compagna di concepire?— A cosa stai pensando? — chiese Sandra. Teneva ancora il fazzoletto premuto sulnaso, ma non poteva staccare gli occhi dalla brulicante città di topi.— Mi è venuta una piccola idea...— Quale sarebbe?Scoppiai a ridere. — Lascia perdere. Io sono soltanto un povero profano.— L’etologia è una scienza giovanissima — disse Bingham con serietà. — Leconoscenze di tutti noi sono di poco superiori, se poi lo sono, a quelle di un profano.— Come volete, allora. Mi è venuto in mente che non avete riprodotto una dellecaratteristiche di una città sovraffollata. Il fumo della droga.Bingham si mise a ridere.— I topi sono animali intelligenti, però non credo che siano in grado di arrotolarsisigarette di un certo tipo, anche se i nostri tecnici potrebbero magari rifornirli dipiccoli accendini in miniatura.— Eliminiamo quindi la marijuana. Però ci sono altri sistemi per fare un “viaggio”,come si dice in gergo. Che ne direste dell’hashish?Bingham mostrò un maggiore interesse. — È un punto da tenere in considerazione,Whitley. Ma come ottenere la droga, anche se a scopo di ricerca scientifica? Sapetebene quali siano le consuetudini?— Troppo giusto. Però... possibile che qualche vostro studente?...— Voi mi state ficcando in testa idee molto illegali.— Oppure, quelli del vostro laboratorio di chimica potrebbero prepararvi qualchedose di LSD...— Preferirei lasciarli fuori da una faccenda del genere. — Poi, parlando più a sestesso che a noi, borbottò: — Hashish... Charas... Cannabis Indica... Si possonoprendere in modi diversi... come cibo, o come bevanda...— Vogliamo andare, George? — disse Sandra, in tono di supplica. — C’è troppo...puzzo. Scusate, dottor Bingham, ma mi sento svenire.Così ce ne andammo, ed il dottor Bingham, mentre ci accompagnava fino alla portadell’edificio, ci promise di tenerci informati e di farci sapere quando sarebbe statointeressante per noi tornare all’università. Mentre tornavano a casa in macchina,Sandra, mi disse che sarebbe stato bello se lui si fosse dimenticato le sue promesse.Quella mattina aveva già visto topi a sufficienza, in numero tale da bastarleabbondantemente per tutto il resto della vita. Mi trovai propenso a darle ragione.Rimasi alquanto sorpreso quando Bingham mi telefonò, circa una settimana dopo.Per esperienza sapevo che le promesse di chi vuole tenere informato qualcuno nonvengono mai mantenute.— Potete venire? — mi disse.— Sì — risposi. Sandra mi fece subito sapere che io potevo fare come volevo, malei sarebbe rimasta a casa. A lei non piacevano, assolutamente non piacevano i topi, epiù ne vedeva più ne provava disgusto.Bingham mi stava aspettando davanti alla palazzina delle Ricerche Biologiche, esenza preamboli disse:— Avete messo in moto qualcosa di importante.Avevo messo in moto qualcosa? Cercai di mettermi sulla difensiva.— È stata soltanto un’idea.— Ma un’idea vostra, Whitley. Non temete, farò in modo che ve ne vengaattribuito il merito in pieno.Ci avviammo al laboratorio, e lui non disse altro.L’enorme gabbia con le pareti di vetro era ancora al suo posto. Il puzzo era terribilecome la volta precedente. Alla prima occhiata mi parve che la città dei topi non fossecambiata. Le masse pelose continuavano a brulicare, una sopra l’altra, con apatia,dipingendoci la possibilissima fine dell’umanità.— Non mi sembra di vedere niente di nuovo — dissi.— Guardate attentamente. Ed ascoltate quello che vi dico. Sono riuscito ad ottenereun pezzo di hashish... non importa come. L’ho ridotto in briciole e l’ho mescolato alcibo. Ma i topi sono animali molto sospettosi. Forse lo sapete, se vi è mai capitato divoler distruggere col veleno quelli di razza dannosa. Le “classi superiori” hanno fattola parte del leone, come sempre, e si sono mangiata la maggior parte del cibo,trascurando tutti i pezzi con la droga. Anche le “classi medie” non sono affamate, ehanno lasciato tutto l’hashish. Alle “classi inferiori” è rimasta una quantità di cibosufficiente al sostentamento, così non si sono trovate nell’obbligo di adottare nuovisistemi di nutrizione. Tutti, tranne uno. Proprio così. Lo vedete? Guardai verso ilpiano inferiore della gabbia... anche senza sapere con esattezza cosa cercare. E vidi ipiccoli animaletti scarni, arruffati, che giravano senza soste in mezzo al lorosudiciume. Nessuno mi parve diverso dai compagni in miseria.— Non lì — mi disse Bingham. — Più in alto, a metà. Lo vedete? È quel piccolopezzato...Lo vidi. E lo riconobbi. Non per il suo colore, anche se era uno dei pochissimianimali non interamente bianco. Era quello che aveva avuta mangiata la coda. Adessoperò il moncherino si era cicatrizzato. Il topo si era ingrassato, ed il pelo, per quantonon ancora perfettamente liscio, era già più lucido. Uscì dalla piccola scatola in cuiaveva preso alloggio (chi aveva sfrattato, e come?) e venne con decisione verso laparete di vetro, guardandoci. Lui non era un vero albino, come la maggioranza deisuoi compagni, quindi aveva gli occhi marroni, e non rossi. Ed erano... strani.Accidenti, uno non si aspetta di essere guardato dall’alto in basso da un topo, unanimaletto al cui confronto l’uomo diventa una torre gigantesca, sia per intelligenzasia per statura. Invece fu proprio quella la netta impressione che ne ebbi.— È lui — disse Bingham,— È salito di grado — dissi io.— Infatti. — Bingham girò le spalle alla gabbia, e lentamente si avviò verso la suascrivania, dove c’erano due poltrone. Si accomodò in una, e mi fece cenno di sedere.— Le droghe non sono materia mia, Whitley. Cosa ne sapete voi?— Pochissimo. Solo quello che si legge.— Ah... Pensavo che voi, come scrittore, ne aveste fatto qualche esperienzapersonale. Pensavo che aveste provato gli allucinogeni, gli ampliatori di conoscenza...— No.— Peccato. Speravo proprio che foste in grado di spiegarmi quali sono gli effetti.— Perché non li provate di persona?Rise, a disagio. — Intellettualmente non vedo niente di sbagliato in questa idea.Emotivamente... è diverso. Per la mia educazione, immagino. Sento che alcune cosenon devono essere fatte, e drogarsi è una di queste. — Riempì con cura una vecchiapipa e l’accese. — Cosa può succedere quando si aumenta la conoscenza di un topo?— chiese a un tratto.— Cos’è successo fino a questo momento?— Ve l’ho detto. Il nostro piccolo amico pezzato ha preso del cibo con l’hashish.Ha morsicato una delle pastiglie che avevo preparato. Non aveva altro da metteresotto i denti, e probabilmente gli è piaciuta. Ne ha mangiato diverse... ma non lohanno messo fuori combattimento, come pensavo. Né lo hanno intontito. Ha raccoltole palline di cibo che erano rimaste, e le ha fatte rotolare in un angolo, nascondendolesotto un mucchio di rifiuti. Non interessavano a nessuno... per la verità, agli altri noninteressavano affatto.«Durante la successiva ora di cibo fece valere i suoi diritti. Si fece avanti perottenere la sua parte, più della sua parte, di cibo normale. E tutte le palline di hashish.Poco dopo mi sono accorto che si era costituito un harem con femmine delle classiinferiori. Queste femmine, come forse avete notato, sono molto più aggressive deimaschi... ma in qualche modo lui è riuscito ad acquistare ascendente su di loro. Unadi queste femmine, tra l’altro, è la piccola disgraziata che poco tempo fa gli hastaccato la coda con un morso.—Gli è andata bene.— Mmm. Sì, molto bene. Ieri la sua... banda ha fatto una scorreria nelle scatole deilivelli medi, si è sbarazzata di quelli che le occupavano, e ha preso per sé i nuovialloggi.— Una specie di “Re della Montagna” dei roditori.Mi guardò. — Già. Forse avete ragione. Non avevo mai considerato la cosa sottoquesto punto di vista. Degli assassini, ricompensati con hashish...— Immagino che adesso smetterete di darglielo — dissi.— Perché?— Non pensate che l’esperimento vi sia ormai sfuggito di mano?— Si sta sviluppando in una direzione imprevista, ecco tutto. — Guardò l’orologio.— È quasi ora di dar da mangiare ai piccoli mostri.Lo squittio che si era levato nella gabbia era perfettamente udibile.— Lo sanno anche loro — dissi.— Fanno sempre così. Ma non sono mai stati tanto rumorosi, anche quandodiventavano impazienti.Lo guardai con interesse dare il cibo ai topi. Questa operazione veniva fattaattraverso una specie di presa d’aria che si trovava sul tetto della gabbia. Lepallottoline di cibo, gialle quelle di nutrimento normale, e verdi quelle fatte conl’hashish, cadevano nel serbatoio. Poi veniva premuto un pulsante, e le due porteinferiori si aprivano lasciando cadere il cibo sul pavimento dell’ultimo piano.Fino a quel momento, mi disse Bingham, le “classi superiori” avevanomangiucchiato a volontà tutto quello che era a disposizione, poi venivano le “classimedie”, ed alla fine le “classi inferiori” che si dovevano accontentare di quello cheera rimasto e tornavano poi rapidamente alloro piano, come se si sentissero colpevolidi essere saliti tra i migliori.Però adesso la linea di comportamento era cambiata.Le pallottoline caddero. I grassi, lucidi topi si adunarono aristocraticamente attornoal cibo, senza nessuna fretta, e cominciarono a mangiare. Improvvisamente la lorocompostezza si ruppe.Sulla scena era comparso il piccolo animale pezzato, seguito da una mezza dozzinadi quelli della sua tribù. Erano tipi violenti, segnati di cicatrici, dall’aspettominaccioso. Facevano sentire alto il loro squittio. Gli abitanti dei piani superiorifecero largo, comicamente goffi nella loro fretta dovuta alla paura. Uno o due nonfurono veloci abbastanza, e strillarono, anziché squittire, nel momento in cui gliintrusi cominciarono ad usare i denti. Macchie di sangue spuntarono sul lucido pelobianco.Il pezzato cominciò a frugare nel mucchio di mangime ed i suoi amici si misero diguardia. Il topo lavorava con intelligenza, separando le pallottoline verdi dalle gialle,e usando le zampe per raccoglierle in un mucchio ordinato. Nel frattempo avevaavuto inizio uno sfratto. Tre delle sue guardie del corpo erano entrate in una dellescatolecasa... e poco dopo i due vecchi occupanti balzarono fuori, sbigottiti, con ilpelo arruffato e insanguinato. Uno dei due aveva perso mezza coda.Le pallottoline di hashish vennero fatte rotolare nella casa evacuata. Solo a questopunto gli invasori cominciarono a mangiare, lentamente, con la massima calma,mentre l’impaurita popolazione della gabbia guardava timidamente. Finito dimangiare, i gangster (perché tali cominciavo a considerarli) defecarono di propositosul cibo rimasto.— Che carini — dissi.— Lo erano, relativamente parlando, fino a quando non ho messo in atto la“vostra” idea. Comunque è un fenomeno affascinante, vero?— Mmm. — Guardai l’orologio. — Ho detto a Sandra che sarei tornato a casa perl’ora di pranzo. Mi conviene andare.— Vi ringrazio di essere venuto — disse Bingham. —Vi farò sapere come procedequesta storia.— Fatelo, dottore mi incuriosisce estremamente. Comunque secondo me dovrestefare un altro esperimento... passare dall’hashish al cianuro.Non vidi più Bingham, però ci parlammo per telefono. La sua voce sembravaterrorizzata, quasi isterica. Mi disse: — Sono scappati. Non tutti però. Solo il pezzatoe una dozzina dei suoi compagni...— Pensavo che la gabbia fosse a prova di fuga.— Lo è infatti... per i topi normali. Ma quei bastardi dei vostri... Hanno fatto unascala. Devono aver lavorato di notte, quando non c’è nessuno in giro. Hanno tagliatocoi denti le pareti di una delle scatole, e hanno unito tutti i pezzi. Uno dei portellidella botola inferiore non funzionava bene. Avevo intenzione di ripararlo, ma...sapete come vanno le cose. In qualche modo hanno poi forzato il portello superiore.Ho trovato un pezzo di coda troncato dai portelli nel momento in cui si sono richiusidi scatto...— Dove sono adesso i fuggiaschi?— Non... non lo so.— Avete informato le autorità?— Quali autorità? E perché?— Queste cose potrebbero essere pericolose.Si mise a ridere, veramente divertito. — Via, Whitley. Non siamo in uno dei vostriromanzi di fantascienza. Immagino come potreste sfruttare un argomento del genere:topi con l’intelligenza aumentata dall’hashish invadono e conquistano la Terra.Comunque queste cose non succedono nella vita!Fu tutto. Sperai che avesse ragione. Che queste cose non possano succedereveramente nella vita. E continuo a sperarlo, sinceramente, specialmente dopo averletto la notizia di cronaca comparsa sui giornali del giorno seguente. Riferiva di unairruzione della polizia nella casa di un sospetto spacciatore di hashish. Avevanotrovato il loro uomo. Morto. Aveva la gola lacerata dai morsi di un piccolo animale, odi diversi animali.La versione ufficiale fu che lo spacciatore era stato ucciso da persona, o personesconosciute, e che in seguito i topi avevano parzialmente rosicchiato il cadavere.Avevano anche trovato l’hashish... ma non tutto quello che avrebbe dovuto esserci.I topi avevano divorato anche la droga.
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