mercoledì 17 gennaio 2024

Stephen R. Donaldson: Bestia mitologica, 1979


Norman era un uomo perfettamente equilibrato e perfettamente sano. Viveva con sua moglie e suo figlio, ambedue perfettamente equilibrati e perfettamente sani, in un mondo perfettamente equilibrato e sano. Così, quando si svegliò quella mattina, si sentiva perfetto, come sempre. Non aveva il minimo sospetto che le cose, per lui, avessero già cominciato a cambiare.
Come al solito, si svegliò al segnale emesso dalla bioemittente ciberneticamente incorporata al suo polso; e, come al solito, la prima cosa che fece fu premere il pulsante che attivava lo schermo. Come al solito, sul minuscolo quadratino brillarono in verde le solite parole: Stai bene. Non c’era niente di cui preoccuparsi.
Come al solito, Norman non aveva la minima idea di quello che avrebbe fatto se avesse letto qualcosa di diverso.
Sua moglie Sally era già alzata. Il suo segnale scattava prima di quello di lui, così aveva il tempo per andare in bagno e cominciare a preparare la colazione. E non ci sarebbe stato bisogno di affrettarsi. Norman scese subito dal letto per il turno in bagno, congegnato in modo che lui non sarebbe arrivato tardi al lavoro e suo figlio a scuola.
Nel bagno, tutto era come al solito. Anche se c’era stata da poco Sally, il lavandino era immacolato, e l’asse del gabinetto era pulitissima, come al solito. Norman non sentì neanche il calore di sua moglie quando vi si sedette. Tutto era perfettamente sicuro, perfettamente sano. L’unica cosa cambiata era la sua immagine riflessa nello specchio.
Non capiva cosa fosse quella protuberanza in mezzo alla fronte. Non l’aveva mai vista prima. Automaticamente controllò la bioemittente ma la risposta fu quella di sempre: Stai bene. Il che doveva essere vero, dato che non si sentiva ammalato. E lui era l’unica persona fra tutte quelle che conosceva a sapere il significato della parola “ammalato”. Comunque quel bernoccolo non faceva male. Però lui provava un vago senso di disagio. Si fidava della bioemittente. Avrebbe dovuto sapergli dire quello che succedeva.
Tastò cautamente la protuberanza. Era dura come un osso. Anzi, sembrava che fosse parte integrante del suo cranio. Aveva una vaga idea di averne già viste di simili. Frugò nella memoria ripensando ai libri che aveva letto e trovò quel che cercava. Assomigliava alla base di un corno o forse al nodo di una nuova ramificazione. Li aveva visti nei libri.
Ma così la cosa diventava ancora più assurda. Quando uscì dal bagno, la sua faccia era insolitamente accigliata. Tornò in camera da letto per vestirsi e poi andò in cucina per fare colazione.
Sally stava disponendo le vivande sul tavolo: la solita spremuta, i cereali e la pancetta di soia che gli preparava sempre. Un pasto perfettamente sano che gli avrebbe fornito energie per tutta la mattina senza farlo ingrassare né danneggiargli la salute. Si accinse a mangiare, come sempre, ma quando Sally si mise a sedere di fronte a lui, la guardò e disse: — Cos’è questo coso che ho in fronte?
Sua moglie aveva una faccia tonda, mite, e i suoi lineamenti si erano un po’ offuscati con gli anni. Osservò distrattamente la protuberanza senza capire cosa potesse essere.
— Stai bene? — chiese.
Norman premette il pulsante e la bioemittente lo informò che stava bene.
Lei lo imitò istintivamente e ottenne la stessa risposta. Poi lo guardò di nuovo, e questa volta aggrottò la fronte: — Non dovrebbe esserci.
Enwell entrò in cucina, e Sally si alzò per prendergli la colazione. Enwell era nell’età della crescita: guardò le vivande con occhi famelici, e cominciò a mangiare avidamente. Mangiava troppo in fretta. Ma non c’era bisogno che Norman dicesse niente in proposito. La bioemittente di Enwell ronzò e sullo schermo apparve in lettere gialle la scritta: Mangi troppo in fretta. Facendo spallucce, Enwell riprese a mangiare più lentamente.
Norman sorrise vedendolo così obbediente, ma poi si accigliò di nuovo. Si fidava della sua bioemittente. Avrebbe dovuto essere in grado di spiegare cos’era quella protuberanza che aveva sulla fronte. Servendosi dell’apposito codice, batté sull’apparecchio: Ho bisogno di un dottore. Un dottore avrebbe saputo cosa aveva.
La bioemittente rispose: Stai bene.
Questa risposta non lo sorprese. Era la procedura normale. Tornò a battere Ho bisogno di un dottore, e questa volta lettere verdi dissero: Assenza dal lavoro giustificata. Recati al centro medico stanza 218.
La bioemittente di Enwell segnalò che era ora di andare a scuola. — Devo andare — borbottò alzandosi. Se anche aveva notato l’anomalia sulla fronte di suo padre, non se l’era sentita di far commenti. Poco dopo uscì. Come sempre era in orario.
Norman si massaggiò l’escrescenza. Il duro nodulo osseo gli procurava una sensazione di disagio. Resisté alla tentazione di consultare ancora la bioemittente. Terminò in fretta di mangiare e salutò la moglie, come faceva sempre quando usciva per andare al lavoro. Poi andò in garage e salì sull’automobile.
Dopo essersi affibbiato la cinghia punzonò sulla consolle l’indirizzo del Centro Medico. Sapeva dove si trovava non perché ci fosse mai stato (nessuna delle persone di sua conoscenza ci era mai andata) ma perché si trovava vicino alla Biblioteca Nazionale dove lui lavorava. Il veicolo uscì senza scossoni dal garage sui grossi pneumatici (perfettamente sicuri) e scivolò nel perfettamente sicuro traffico.
Tutte le case su entrambi i lati di quella strada erano identiche per un lungo tratto, e come al solito Norman non le osservò. Non badava neanche al traffico, dato che a quello pensava il veicolo automatico. Il sedile era comodissimo, e si rilassò, ben protetto dalle cinghie, cercando di non pensare alla protuberanza, finché l’automobile non fu arrivata al bordo del marciapiede antistante il Centro Medico. L’edificio era più alto e più grande della Biblioteca Nazionale ma, a parte le dimensioni, erano perfettamente uguali. Tutt’e due erano vuoti eccezion fatta per le persone che ci lavoravano, e queste persone lavoravano perché avevano bisogno di un impiego e non perché ci fosse del lavoro da svolgere. Anche la disposizione dei locali all’interno era identica, Norman non faticò per trovare la stanza 218.
La stanza 218 si trovava nell’Ala latrogenica. Nell’anticamera c’era una scrivania con il terminale di un computer molto simile ha quello di cui si serviva Norman nella biblioteca, e alla scrivania stava seduta una giovane dai capelli gialli e gli occhi attoniti. Quando Norman entrò lo guardò come se fosse malato, e quello sguardo fece sì che Norman si toccasse istintivamente la protuberanza. Ma lei non gli guardava la fronte. Dopo un momento disse: — È passato così tanto tempo... ho dimenticato cosa devo fare.
— Forse dovrei dirvi come mi chiamo.
— Giusto — disse sollevata la ragazza. — Sì, ditemi come vi chiamate.
Lui glielo disse. La ragazza stette un po’ a guardare il terminale, e poi premette un bottone per attivare un programma.
— E adesso? — chiese lui.
— Non so — rispose lei.
Anche Norman non sapeva cosa fare, ma in quel momento la porta che dava nell’ufficio si aprì. Lei alzò le spalle e Norman varcò la soglia.
Secondo i progetti la stanza avrebbe dovuto avere un aspetto lindo, ma qualcosa si era guastato nell’impianto di aerazione, e l’ambiente era tutto pieno di polvere. Quando Norman sedette sull’unica sedia, si sollevò una nuvola di polvere che lo fece tossire.
— Sono il dottor Brett — disse una voce. — Sembra che abbiate la tosse.
La voce proveniva da una consolle di fronte alla sedia. Probabilmente il dottor Brett era un computer come il direttore della Biblioteca Nazionale. Norman si rilassò automaticamente, tanta era la sua fiducia nei computer — No — disse. — È la polvere.
— Ah, la polvere — disse il computer. — Prenderò nota che la tolgano — La
voce era saggia, vecchia e molto arrugginita. Dopo un momento continuò: — Deve esserci qualcosa che non va nelle mie sonde. Mi sembra che tu sia in buona salute.
— Anche la mia bioemittente lo dice — Norman.
— Allora le mie sonde non sono difettose. Sei in condizioni perfette. Perché sei venuto?
— Ho un’escrescenza sulla fronte.
— Un’escrescenza? — ronzò il dottor Brett. — Non mi sembra che sia una malattia. Sei certo che non sia naturale?
— Sì. — Norman provò per un attimo un innaturale senso d’irritazione. Si tastò la fronte. La protuberanza era dura come un osso, no, più dura, come l’acciaio, come la magnacite, come i diamanti sintetici.
— Certo, certo — disse il dottore. — Ho controllato la tua scheda. Non sei nato con quella protuberanza. Cosa credi che sia?
La domanda stupì Norman.
— E come potrei saperlo? Siete voi che dovreste dirmelo.
— Già, già — disse il computer. — Puoi fidarti di me. Ti dirò tutto quello che serve al tuo bene. Sono qui per questo, lo sai. Il direttore della Libreria Nazionale ha un’alta opinione dite. Risulta dalla tua scheda.
La voce della macchina dissipò l’irritazione di Norman. Si fidava della bioemittente. Si fidava del dottor Brett. Si sistemò sulla sedia in attesa di sentire cos’era quella protuberanza. Ma il movimento sollevò un’altra nuvola di polvere che lo fece starnutire.
— Sembra che tu abbia il raffreddore — disse il dottor Brett.
— No. È la polvere.
— Ah, la polvere. Grazie per essere venuto.
— Grazie a voi per... — Norman s’interruppe, in preda a un sempre crescente disagio. — Non mi dite cos’ho?
— Niente di preoccupante — rispose il dottore — Stai benissimo. Scomparirà in un paio di giorni. Grazie per essere venuto.
La porta era aperta. Norman fissò il computer. Il direttore non si comportava così. Era confuso, ma non fece altre domande. Con tatto, disse: — Grazie dottore. — La porta si chiuse alle sue spalle.
In anticamera, la donna stava sempre seduta alla scrivania. Quando lo vide lo chiamò con un cenno. — Forse mi potete aiutare — disse.
— Come?
— Mi sono ricordata cosa dovrei fare adesso. Dopo aver consultato il dottore dovrei darvi le istruzioni per la cura. — Batté sulla tastiera della consolle — e accertarmi che le abbiate capite bene. Ma finora non è mai venuto nessuno. E quando mi hanno assunto. non ho detto che non so leggere.
Norman capiva cosa intendesse dire. Naturalmente, come chiunque altro, sapeva leggere la sua bioemittente, ma a parte questo, non si insegnava più a leggere. Sicuramente, Enwell non imparava a leggere a scuola. Era inutile saper leggere. Eccettuato il personale della Biblioteca, Norman non conosceva nessuno capace di leggere. Per questo nessuno andava mai in biblioteca.
Ma adesso doveva essere molto prudente. Sorrise per rassicurare la donna, e si
portò alle sue spalle per guardare la consolle. Lei premette il pulsante per attivare lo schermo, che si accese subito. E comparve una scritta in luminose lettere rosse, che diceva:
SEGRETO CONFIDENZIALE PRIVATO PERSONALE SEGREtic IN NESSUNA CIRCOSTANZA RIPETO NESSUNA CIRCOSTANZA MOSTRARE QUESTA DIAGNOSI AL PAZIENTE O RIVELARNE IL CONTENUTO tictictictictictictictictictictic
Seguì una serie di numeri, poi comparve un’altra scritta:
PRECEDENZA ASSOLUTA TRASFERIRE ALL’OSPEDALE GENERALE REPARTO EMERGENZA RIPETO EMERGENZA REPARTO ASSOLUTA PRECEDENZA tictictictictictictictictic
— Trasferire — disse la donna. — Suppongo che voglia dire di mandare questa diagnosi all’ospedale — e allungò la mano verso un pulsante per trasmettere il messaggio.
Norman le afferrò il polso.
— No — disse. — Significa un’altra cosa.
— Oh, — disse la donna.
Le lettere rosse dicevano:
DIAGNOSI tictictictictictictictictictictic PAZIENTE AFFETTO DA IMPONENTE COLLASSO GENETICO DI ORIGINE INTERPOSTA COMPLETA RIPETO COMPLETA TRANSIZIONE STRUTTURALE IN PROGRESSO TRASFORMAZIONE IRREVERSIBILE tictictictictictictictictic. PROGNOSI PAZIENTE DIVENTERÀ PERICOLOSO PER SE STESSO E PROVOCHERÀ PAURA NEGLI ALTRI tictictictictic TERAPIA SI RACCOMANDANO ESAMI APPROFONDITI MA ASSOLUTAMENTE NECESSARIA DISTRUZIONE RIPETO DISTRUZIONE NECESSARIA AL PIU PRESTO tictictictictictic.
— Cosa dice? — chiese la donna.
Norman non rispose subito. La protuberanza era dura come un chiodo di magnacite conficcato nel suo cranio. Infine rispose: — Dice che ho bisogno di riposo. Che ho lavorato troppo. Domani, se non mi sento meglio, devo andare all’ospedale. — Prima che la donna potesse impedirglielo, premette il bottone che cancellava la memoria del terminale. Il terminale era identico a quello di cui lui si serviva alla Biblioteca, quindi sapeva cosa fare. Dopo aver cancellato, programmò il terminale perché annullasse tutti gli eventi di quel giorno.
Pensava che la donna avrebbe cercato di fermarlo, ma lei si limitò a guardarlo. Non aveva idea di quello che Norman stesse facendo.
Norman sudava, e le sue pulsazioni erano più frequenti del normale. Il senso di disagio gli faceva dolere lo stomaco. Tutto questo non gli era mai successo prima. Uscì senza salutare la donna. Gli tremavano le ginocchia. Mentre percorreva il corridoio dell’Ala latrogenica il quadrante della bioemittente disse, in rassicuranti lettere azzurre: Ti rimetterai. Ti rimetterai.
Evidentemente le sue operazioni di cancellatura avevano avuto successo, perché nei giorni successivi non successe niente che potesse riferirsi al rapporto del dottor Brett. Quand’era arrivato a casa dal Centro Medico, le lettere della bioemittente avevano ripreso il tranquillo color verde per comunicare: Stai bene.
Non era vero. Si sentiva terribilmente a disagio, ma non voleva che la bioemittente lo mandasse all’ospedale. Così, durante il tragitto di ritorno dal Centro, si era sforzato di calmarsi per ingannare l’apparecchio. Toccando la protuberanza si sentiva rassicurato, chissà perché, e dopo un poco pulsazioni, pressione, respiro e riflessi erano tornati alla normalità.
E a casa tutto sembrava perfettamente sano e sicuro. Si svegliava ogni mattina al segnale della bioemittente, andava al lavoro al segnale della bìoemittente, pranzava al segnale della bioemittente. Tutto questo era rassicurante. La constatazione che la bioemittente si prendesse tanta cura di lui lo rassicurava. Senza di essa avrebbe potuto continuare a lavorare tutto il giorno senza mangiare, leggere, scegliere fra le montagne di libri scartati in magazzino, inserirne i dati nel computer. Durante il giorno il senso di disagio scompariva. Ma quando tornava a casa la sera, al segnale della bioemittente, il senso di disagio tornava. Qualcosa non andava nel suo corpo. Tutte le mattine, guardandosi nello specchio, vedeva che la protuberanza continuava a crescere. Ormai la sua natura era evidente: si trattava di un corno appuntito, bianco come un osso. E pieno di vigore. Quando arrivò a una dozzina di centimetri di lunghezza ne provò la forza contro lo specchio. Lo specchio era di vetroacciaio, non si sarebbe mai frantumato con il pericolo di ferire qualcuno. La punta del corno lo scalfì senza il minimo sforzo.
E si stavano verificando anche altri cambiamenti. La pianta dei piedi si andava indurendo, e i piedi rimpicciolivano e cominciavano a somigliare a zoccoli.
Ciuffi di peli di un candore immacolato gli spuntavano sulla nuca e sui polpacci. Qualcosa che poteva anche essere una coda, crebbe alla base della spina dorsale.
Tuttavia il suo disagio non era provocato solo da questo, e nemmeno dalla preoccupazione che l’ospedale mandasse qualcuno a distruggerlo. Anzi, questo timore non lo sfiorava nemmeno. Era molto prudente: non si permetteva di pensare a niente che potesse indurre la bioemittente a chiamare aiuto. No, si sentiva a disagio perché non capiva il comportamento di Sally e di Enwell nei confronti di quello che gli stava capitando.
Non facevano niente. Ignoravano i mutamenti sopravvenuti in lui e lo trattavano come se avesse sempre il solito aspetto.
Per loro, tutto era perfettamente normale e sicuro.
Poco a poco il disagio si tramutò in irritazione. Gli stava succedendo una cosa importante e loro non davano segno di accorgersene. Finalmente una mattina, a colazione, finì con il perdere le staffe mandando al diavolo la prudenza. La bioemittente di Enwell segnalò che era l’ora di andare a scuola. — Devo andare — borbottò il ragazzo, alzandosi da tavola. Norman lo seguì con gli occhi, e quando fu uscito di casa, disse: — Chi gli ha insegnato a fare così?
Senza alzare gli occhi dalla pancetta di soia, lei chiese: — A fare cosa?
— Ad andare a scuola — rispose Norman. — Ad obbedire alla bioemittente. Noi non gliel’abbiamo mai insegnato.
Sally inghiottì il boccone prima di rispondere. Disse: — Lo fanno tutti.
Il modo come lo disse gli diede sui nervi. Un rivolo di sudore gli corse giù per la schiena. Per un attimo provò la tentazione di picchiare sul tavolo con il palmo indurito della mano. Era sicuro che l’avrebbe spaccato.
Poi sentì il segnale della bioemittente e si alzò. Sapeva cosa doveva fare. Sapeva sempre cosa fare quando la bioemittente emetteva un segnale. Uscì, andò in garage e salì sull’automobile. Si affibbiò le cinghie. Non si accorse di quel che faceva finché non vide le dita punzonare l’indirizzo dell’Ospedale Generale.
Si affrettò ad annullarlo, sfibbiò le cinghie e scese. Il cuore batteva così forte che la bioemittente segnalò a lettere gialle Va’ all’ospedale. Guarirai.
Gli tremavano le mani, ma batté sulla tastiera: Sto bene. Poi rientrò in casa. Sally stava pulendo la cucina, come sempre. Non lo guardò.
— Sally — disse lui — voglio parlarti. Mi sta succedendo qualcosa.
— È ora di pulire la cucina — ribatté Sally. — Ho sentito il segnale.
— La pulirai dopo. Voglio parlarti. Mi sta succedendo qualcosa.
— Ho sentito il segnale — ripeté lei. — È ora di pulire la cucina.
— Guardami.
Sally non lo guardò. Stava gettando gli avanzi della pancetta nella pattumiera.
— Guardami — ripeté Norman, e, afferratala per le spalle la costrinse a voltarsi verso di lui. Non fece alcuna fatica perché era molto forte. — Guardami la fronte.
Lei non lo guardò. Arrossì e il viso le si increspò, poi cominciò a piangere. Continuava a gemere, a gemere e le gambe non la reggevano. Quando lui la lasciò andare si afflosciò a terra e continuò a piangere. La bioemittente segnalava: Non è niente. Passerà. Ma lei non la guardava e piangeva come se fosse in preda al terrore.
Norman si sentiva rivoltare lo stomaco, ma la prudenza aveva ripreso il sopravvento. Lasciò la moglie e tornò in garage. Salì sull’auto e punzonò un indirizzo dieci case oltre la sua. Il veicolo uscì senza alcun sobbalzo dal garage e s’infilò senza difficoltà nel flusso tranquillo del traffico.
Quando si fermò all’indirizzo punzonato, Norman non scese, ma rimase seduto tenendo d’occhio la sua casa.
Non passò molto tempo che un’ambulanza si fermò davanti all’ingresso e alcuni uomini vestiti di bianco entrarono in casa, per poi uscire con Sally stesa su una barella. La caricarono sull’ambulanza e se ne andarono.
Non sapendo cos’altro fare, Norman punzonò l’indirizzo della Biblioteca Nazionale sulla consolle e andò al lavoro. La parte di lui che consigliava prudenza sapeva che non aveva molto tempo. Però adesso sapeva anche che fra non molto quell’amica lo avrebbe tradito. La ribellione nei suoi geni cominciava ad essere troppo forte. E intanto continuava a ignorare cosa gli stava succedendo. Se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe impiegato il tempo che gli restava per cercare di scoprirlo. E, per riuscirci, gli sembrava che la biblioteca fosse il posto migliore.
Quando però raggiunse il suo posto di lavoro e si trovò davanti a una consolle come quella della donna nell’anticamera del dottor Brett, scoprì che non sapeva cosa fare. Non aveva mai fatto delle ricerche, prima di allora. Non conosceva nessuno che ne avesse fatte. Lui aveva l’incarico di scegliere libri e inserirne i dati nel computer. Non sapeva cosa doveva cercare.
Poi gli venne un’idea. Collegò il terminale al computer e lo programmò per un autosondaggio. Quindi batté sulla tastiera la domanda servendosi del codice
«informazioni personali» che avrebbe dovuto escludere l’inserimento dei dati richiesti negli altri circuiti del computer, quelli che arrivavano fino al direttore. La domanda era: Ho gli zoccoli, la coda, dei peli bianchi e un corno in mezzo alla fronte. Cosa sono?
Dopo una breve pausa comparvero dei numeri che gli rivelarono che la risposta era tratta dall’Enciclopedia Americana edizione 1976. Era vecchia di un secolo, ma la più recente che esistesse nella biblioteca.
La risposta suonava così:
RISPOSTA tictictic UNICORNO tictictictic
SEGUONO DATI tictictictictictictictic
Il senso di disagio aumentò.
Norman aveva la gola secca e un sapore amaro in bocca.
L’UNICORNO È UNA BESTIA MITOLOGICA ABITUALMENTE DESCRITTA COME UN GROSSO CAVALLO CON UN UNICO CORNO IN MEZZO ALLA FRONTE tictictictic
Gli colava il sudore negli occhi. Gli sfuggirono alcune righe mentre sbatteva le palpebre per schiarirsi la vista.
ERA IL SIMBOLO DELLA CASTITÀ E DELLA PUREZZA SEBBENE LOTTASSE SELVAGGIAMENTE QUANDO ERA BRACCATO POTEVA ESSERE DOMATO DA UNA VERGINE TALVOLTA L’UNICORNO È ASSOCIATO ALLA VERGINE MARIA tictictictictictic
Poi, con sua sorpresa, sullo schermo apparve l’immagine di un unicorno. Galoppava su robuste zampe e il suo manto era immacolato come la neve. Gli brillavano gli occhi. Il lungo corno era forte e possente. La criniera ondeggiava al vento. A quella vista, il senso di disagio si tramutò in gioia. L’unicorno era bellissimo. E lui stava diventando bellissimo. Trattenne a lungo l’immagine sullo schermo continuando a rimirarla.
Ma quando lo schermo si spense e la gioia cominciò ad attenuarsi si rimise a pensare. Aveva la sensazione che fosse la prima volta in vita sua che stava pensando. I suoi pensieri erano nitidi, essenziali.
Capiva di essere in pericolo. Il pericolo veniva dalla bioemittente. Quello strumento rappresentava un rischio per lui. Era solo un piccolo oggetto, un metasensore che sorvegliava le condizioni del suo corpo per segnalare eventuali malattie. Ma era collegato con gli enormi computer dell’Ospedale Generale e se il suo metabolismo oltrepassava i limiti della normalità, la bioemittente avrebbe chiamato gli uomini Vestiti di bianco. Occorreva che si informasse più a fondo su quell’aggeggio.
Senza esitare, batté la domanda, servendosi sempre del codice di informazione personale. Chiese: Origini della bioemittente?
Prima apparvero sullo schermo alcuni numeri, poi la risposta.
LA DIFFUSIONE DELLA VIOLENZA LA GUERRA LA FOLLIA COLLETTIVA DEL 20° SECOLO DIMOSTRARONO CHE GLI UOMINI ERANO CAPACI DI AUTODISTRUZIONE PAURA E VIOLENZA ERANO ALLA BASE DI TUTTO SENZA PAURA E VIOLENZA L’UMANITÀ POTEVA SALVARSI POLIZIA TRATTATI DI PACE NON SUFFICIENTI A CONTROLLARE PAURE INDIVIDUALI MA INDIVIDUI SANI NON PORTATI A VIOLENZA SOSTENEVANO POLIZIA TRATTATI ARMI NON NECESSARI SE INDIVIDUI NON AVEVANO PAURA tietictictictic LA RETE DI BIOEMITTENTI COLLEGATA CON COMPUTER MEDICI FU INSTALLATA PER SORVEGLIARE TUTTI GLI INDIVIDUI E RIVELARE SINTOMI DI TENSIONE PSICHICA INSERITE RISPOSTE CONDIZIONATE PER CONTROLLARE SEGNI DI PAURA... METODO CONDIZIONAMENTO PAVLOV PER MODIFICARE MEDIANTE IPNOTISMO SUBCONSCIO SUCCESSO BIOEMITTENTE DIMOSTRA PAURA NON ESISTE DOVE REGNA ORDINE
Di colpo la scritta verde sparì dallo schermo, e il terminai cominciò a trasmettere una comunicazione in rosso:
CANCELLARE DATI RIPETO CANCELLARE DATI ARGOMENTO RISERVATO NON DIVULGABILE SENZA APPROVAZIONE DIRETTORE BIBLIOTECA INSERIRE CODICE APPROVAZIONE PRIMA DI RIATTIVARE PROGRAMMA
La fronte di Norman si corrugò intorno al corno. Non capiva cos’era successo. Forse gli era capitato per caso di imbattersi in informazioni riservate e il computer si era affrettato a cancellarle, oppure il direttore conosceva il suo codice personale e aveva scoperto quello che stava facendo. Se l’interruzione era stata automatica, non aveva nulla da temere, ma se il direttore si era intromesso di persona, allora non c’era tempo da perdere. Doveva accertarsi.
Si alzò e andò nell’ufficio del direttore. Il direttore Somigliava moltissimo al dottor Brett. Norman avrebbe potuto fracassarlo con un calcio dei suoi piedi induriti. Ma non era questo che voleva fare: — Direttore — disse.
— Sì, Norman? — la voce del direttore era calda e saggia come quella del dottor Brett. Norman non si fidava di lui. — Stai bene? Vuoi andare a casa?
— Sto bene — rispose Norman. — Voglio portare a casa qualche libro.
— Portare a casa qualche libro? Cosa significa?
— Significa che voglio prendere qualche libro in prestito e portarmelo a casa.
— Ah, bene. Prendili pure, e prenditi anche mezza giornata di riposo. Ne hai bisogno.
— Grazie — rispose Norman. Agiva con estrema prudenza. Adesso sapeva che il direttore era intervenuto inserendosi perché conosceva il suo codice personale. Sapeva che il direttore aveva trasmesso l’informazione all’Ospedale Generale dicendo che lui, Norman, era pericoloso. Nessuno aveva il permesso di portare via libri dalla Biblioteca Nazionale. Era proibito prendere libri a prestito. Sempre.
Norman era in pericolo. Ma non si affrettò. Non voleva che l’Ospedale Generale pensasse che aveva paura di loro. Se avessero pensato che aveva paura, gli uomini in bianco si sarebbero precipitati a cercarlo. S’incamminò con la massima calma, come se niente fosse e si diresse verso gli scaffali dove venivano riposti i libri dopo che i dati relativi venivano inseriti nel computer. Non perse tempo a scegliere, e si limitò a prendere i primi che gli capitarono sottomano e che poteva portare con sé, togliendoli dallo scaffale dei libri di mitologia. La maschera, l’Unicorno e il Messia, Indice delle Fiabe, Miti e Leggende; l’Enciclopedia Mitologica Larousse, Le Maschere di Dio e il Libro delle Bestie Mitologiche. Quei libri gli sarebbero serviti, insegnandogli come
doveva comportarsi, una volta completata la sua trasformazione. Se li strinse all’ampio petto come un tesoro, e uscì dalla Biblioteca Nazionale.
La parte di lui che raccomandava prudenza temeva che avrebbe incontrato difficoltà con l’automobile, invece il veicolo lo trasportò tranquillamente a casa, come sempre.
Quando entrò, scoprì che Sally non era ancora tornata. Anche Enwell non era tornato. Non pensò che probabilmente non li avrebbe mai più rivisti. Era solo.
Si spogliò perché sapeva che gli unicorni non indossavano abiti. Poi andò a sedersi in salotto e cominciò a leggere.
Non capiva molto. Anche se conosceva il senso delle parole non riusciva ad afferrare il significato delle frasi. Dapprima rimase deluso. Temeva di essere un fiasco come unicorno. Ma poi capì. Non afferrava il senso dei libri perché non era pronto. La sua trasformazione non era completa. Appena lo fosse stato, ne avrebbe capito il senso. Si tastò il corno, soddisfatto. Poi, perché era prudente, passò il resto della giornata a imparare a memoria quanto più poteva del primo libro, Il Libro delle Bestie Immaginarie. Voleva proteggersi, nel caso che i volumi andassero perduti o distrutti.
Stava ancora imparando a memoria quando scese la sera, ma non era stanco. Il corno lo riempiva di energia. Ma poi cominciò a sentire un ronzìo. Era lieve e dolce, e non avrebbe saputo dire quando era cominciato. Proveniva dalla sua bioemittente. Aveva trovato un punto che obbediva alle sue sollecitazioni nell’ intimo di Norman, e lui depose il libro, si sdraiò sul divano e si addormentò.
Ma era un sonno diverso dal solito. Non era tranquillo e sicuro. Qualcosa dentro di lui si opponeva al sonno e al carezzevole ronzìo. Fece dei sogni strani, in preda a violente emozioni. Ma il senso di disagio era più forte di ogni altra cosa. Era talmente forte da confinare con la paura, e infine lo costrinse a svegliarsi.
Tutte le luci del salotto erano accese e quattro uomini in camice bianco circondavano il divano. Erano tutti armati di pistola ipodermica, e la tenevano puntata contro di lui.
— Non aver paura — disse uno dei quattro. — Non ti faremo del male. Andrà tutto bene. Guarirai.
Norman non gli credeva. Vide che gli uomini impugnavano saldamente le pistole. Capì che avevano paura. Paura di lui.
Saltò giù dal divano e fece un balzo. Le sue gambe erano dotate di una forza straordinaria. Il balzo lo portò al di sopra delle teste degli uomini, e, passando, ne colpì uno con un calcio. Dalla fronte dell’uomo zampillò il sangue che colò fino a macchiargli il camice. L’uomo cadde e non si mosse più.
Un altro sparò, ma Norman bloccò il getto della pistola – uno spruzzo di sottilissimi aghi impregnati di anestetico – col palmo indurito della mano. Le dita si chiusero a formare uno zoccolo e lui colpì l’uomo in pieno petto. L’uomo cadde.
Gli altri due stavano cercando di scappare. Avevano paura di lui. Norman li raggiunse sulla soglia con un balzo e ne infilzò uno con il corno. L’uomo crollò addosso al compagno sotto la spinta micidiale, e tutt’e due finirono contro la porta e caddero restando immobili. Quello che era stato colpito aveva la schiena insanguinata.
La bioemittente di Norman lampeggiava a lettere rosse: Sei malato sei malato.
Quello che era stato infilzato non era ancora morto. Ansimava a fatica ed era pallidissimo, ma riuscì a battere un messaggio sulla sua bioemittente. Norman capì cosa diceva dal movimento delle dita Sigillate la casa. Intrappolatelo. Portate gas nervino.
Norman si chinò su di lui.
— Perché volete uccidermi?
L’altro lo guardò. Era ormai troppo prossimo alla morte per avere ancora paura.
— Sei pericoloso — rispose. Ansimava e gli usciva sangue dalla bocca. — Sei un pericolo mortale.
— Perché? Cosa mi sta succedendo?
— Trasformazione — balbettò l’uomo. — Atavismo. Regresso psichico. Stai diventando un altro. Una cosa che non è mai esistita.
— Mai esistita?
— Dovevi essere rimasto seppellito da sempre nel subconscio — continuò il moribondo. — Non sei mai esistito. Ti ha creato la fantasia degli uomini. Tanto tempo fa. Credevano che tu esistessi. Perché ne avevano bisogno. Perché avevano paura. — Un fiotto di sangue gli sgorgò dalle labbra. — Come è potuto accadere? — mormorò con voce debolissima. — Abbiamo abolito la paura. La paura non esiste più. Né la violenza. Com’è potuto accadere? — Poi cessò di respirare. Ma i suoi occhi rimasero aperti, a fissare cose che non capiva.
Norman era molto addolorato. Non gli piaceva uccidere. Un unicorno non era una bestia feroce. Ma non aveva avuto scelta. L’avevano braccato.
La bioemittente urlava: Sei malato.
Non voleva che tornassero. Alzò il braccio e abbassò la punta del corno sulla bioemittente. Pezzi di metallo schizzavano da tutte le parti e il braccio si coprì di sangue.
Poi non perse altro tempo. Sfilò la fodera da un cuscino del divano e se ne servì come di una sacca per metterci i libri. Quindi andò alla porta e tentò di uscire. Ma la porta non si aprì. Era chiusa con pesanti sbarre d’acciaio che lui non aveva mai visto prima. Dovevano far parte della serratura della casa. Evidentemente gli uomini in bianco e i medicomputer prevedevano tutto.
Ma non avevano previsto la comparsa di un unicorno. Norman colpì la porta con il corno, duro come l’acciaio, duro come la magnacite e i diamanti artificiali. La porta si spalancò e lui uscì nella notte.
Vide che stavano arrivando altre ambulanze, da destra e da sinistra. Erano tutte dirette verso casa sua. Non sapeva dove scappare. Così attraversò la strada al galoppo e fracassò la porta della casa di fronte. Era la casa di Barto, il suo amico. Voleva chiedergli aiuto.
Ma quando Barto, sua moglie e le sue due figlie videro Norman, le loro facce si riempirono di paura. Le figlie si misero a ululare come sirene. Barto e la moglie caddero a terra come mucchi di stracci.
Norman forzò la porta sul retro e uscì sul vialetto che divideva le due file di case. Galoppò per miglia e miglia. Al dispiacere di avere spaventato l’amico si sostituì la gioia di sentirsi così forte e veloce. Era più forte degli uomini in bianco, più veloce delle ambulanze. e non aveva nulla da temere. Neanche i medicomputer potevano rintracciarlo. Una volta distrutta la bioemittente essi ignoravano dove si trovasse. E non avevano armi per combatterlo oltre agli uomini in bianco e alle ambulanze. Era libero, forte e padrone di se stesso per la prima volta in vita sua.
Quando spuntò il giorno, si arrampicò sui tetti delle case. Lassù si sentiva al sicuro, e quando sentì il bisogno di riposare dormì là, sotto il cielo.
Passò così le giornate: vagando per la città, leggendo i libri e imparandoli a memoria, in attesa che la trasformazione fosse completa. Quando aveva fame razziava i negozi di alimentari per procurarsi il cibo, sebbene lo spavento della gente gli procurasse un grande dispiacere. Poi, poco alla volta, i suoi gusti cambiarono. Non entrò più nei negozi di alimentari, ma galoppava nei parchi di notte mangiando l’erba e i fiori, e dormicchiando in piedi fra gli alberi.
La trasformazione continuava. La criniera e la coda divennero folte e lunghe. La faccia si allungò e i denti diventarono più forti. I piedi diventarono zoccoli e il palmo delle mani corneo. Bianchi peli color del chiaro di luna gli coprivano il corpo, formando ciuffi sui polsi e sulle caviglie. Il corno era sempre più lungo, liscio e appuntito.
Anche le articolazioni si alterarono, e per qualche tempo gli fecero male, ma poi ci si abituò. Stava diventando un unicorno. Era bellissimo. A volte gli sembrava che il suo cuore fosse troppo piccolo per contenere tutta la gioia che gli procurava quella trasformazione.
Non lasciò la città, né la gente che aveva paura di lui, sebbene quella paura provocasse in lui un senso di solitudine che non aveva mai provato prima. Aspettava. In lui c’era ancora qualcosa che non era completo.
Dapprima pensò che stava solo aspettando il completamento della trasformazione, ma poco a poco capì che più che un’attesa la sua era una ricerca. Era solo, e gli unicorni non erano fatti per restare soli. Vagava per la città per vedere se trovava altra gente come lui, gente che stava trasformandosi.
E infine, una notte, capitò davanti all’imponente edificio dell’Ospedale Generale. Era l’istinto che l’aveva portato fin lì. Se esistevano altre persone come lui, forse erano state catturate dagli uomini in bianco, e adesso si trovavano prigioniere nel Reparto Emergenza dell’ospedale. Forse erano indifese, alla mercé dei medicomputer che li esaminavano preparandosi a distruggerle.
A questo pensiero dilatò rabbiosamente le frogi. Scalpitò con le zampe anteriori. Sapeva cosa doveva fare. Nascose in un posto sicuro la sacca dei libri, poi abbassò la testa e attraversò al galoppo la strada. Fracassò con il corno la porta dell’ospedale e irruppe nei corridoi. Vedendolo, la gente scappava atterrita. Uomini e donne afferrarono le pistole ipodermiche cercando di sparargli addosso, ma lui li scansò col corno micidiale ed essi caddero. Galoppava alla ricerca del Reparto Emergenza.
L’Ospedale Generale era identico al Centro Medico e alla Biblioteca Nazionale, e perciò non ebbe difficoltà a trovare la strada giusta. Ben presto arrivò nei corridoi del Reparto Emergenza e aprì a calci le porte delle stanze, una dopo l’altra. Erano piene di pazienti. Non si era aspettato di trovare tanta gente malata e pericolosa. Ma nessuno dei malati stava subendo una trasformazione. Morivano per disturbi fisici o malattie mentali. Se avevano ricoverato qualcuno come lui, a quest’ora era già stato eliminato.
Gli si riempì il cuore di rabbia. Galoppò come un forsennato per stanze e corridoi finché non arrivò nella grande sala dove stavano i medicomputer. Fila dopo fila si ergevano davanti a lui con gli schermi che lo fissavano malevoli, e le voci che urlavano. Ne sentì parecchi gridare all’ unisono: — Emergenza assoluta! Controllo atmosferico! Attivare gas nervini! Saturare di gas tutti i piani!
Cercavano di ucciderlo, e, con lui, tutti quelli che si trovavano nell’ospedale.
I medicomputer erano fatti di magnacite e plasmio. I loro circuiti erano a prova d’incendio. Ma non del suo corno. Quando li attaccò, cominciarono a bruciare con un fuoco bianco, incandescente.
Sentì sibilare il gas. Aspirò a fondo e si mise a correre. Il gas sibilava in tutti i corridoi dell’ospedale. Uomini e donne in camice bianco cominciarono a morire. Norman temette che non ce l’avrebbe fatta a uscire dall’ospedale senza respirare. Un attimo dopo, il fuoco dei medicomputers incendiò i gas. Le bombole dell’ossigeno esplosero una dopo l’altra. I dispensari si trasformarono in maree fiammeggianti. Gli estintori non riuscivano a dominare l’intenso calore della magnacite.
Norman superò con un balzo il portone e galoppò lungo la strada, lasciandosi dietro l’ospedale in fiamme.
Aspirò profondamente la fresca aria della notte e si fermò solo in fondo alla via per scuotere la criniera su cui aveva attecchito qualche scintilla. Poi si voltò a guardare l’ospedale che bruciava.
Dapprima era solo. La gente che abitava nei paraggi aveva troppa paura per uscire a guardare l’incendio. Nessuno cercò di portare aiuto alla gente che moriva tra le fiamme. Ma poi Norman vide una giovane donna sbucare fra le case. Si fermò in mezzo alla strada a guardare il fuoco. Norman trottò verso di lei, e le si fermò davanti.
Lei non fuggì.
Sulla fronte le stava spuntando una protuberanza, simile alla base di un corno o al nodulo di una nuova diramazione. Sorrideva, come se guardasse una cosa meravigliosa.
E non c’era paura nei suoi occhi.
 

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