La lancia navigava leggera attraverso un cielo di mezzogiorno blu scuro come inchiostro appena versato. Sulla Terra un simile mezzo di trasporto sarebbe stato aereo quanto una lastra di marmo, ma su Marte la forza di gravità era così bassa che quasi tutto poteva volare, a patto che ci si preoccupasse di fornirgli un minimo di energia.
Nemmeno Karen Chandler si era mai sentita molto aerea sulla Terra, ma lì pesava solo diciotto chili e le sembrava di essere diventata di colpo una piuma. Le avrebbe fatto piacere mantenere lo stesso peso anche a casa ma, purtroppo, sapeva benissimo che la perdita di chili era del tutto illusoria.
Come prima reporter terrestre giunta sul pianeta dopo un anno e mezzo, aveva ricevuto un trattamento di riguardo. Il comandante di Porto Ares in persona si era offerto di accompagnarla in un breve giro di perlustrazione e ora, imbrigliato nelle cinghie di sicurezza alla sua destra, mostrava di ritenere il peso di Karen qualunque fosse, assai bene distribuito. Lei non se ne dispiacque.
«Ora ci stiamo dirigendo al deserto. È quella la vera faccia di Marte» spiegò l'ufficiale. La sua voce giunse attutita da dietro la maschera a ossigeno. «Quella sabbia color arancio è ematite, un minerale da cui si estrae il ferro. Può legarsi a molecole d'acqua, come la maggior parte della ruggini, e i licheni marziani ne ricavano il loro nutrimento. Purtroppo può anche dare luogo a terribili tempeste.»
Karen non prese appunti. Erano notizie che conosceva già da tempo, ancora prima di lasciare Cape Kennedy. Inoltre, malgrado le attenzioni del comandante, in quel momento era molto più interessata a Giò Kingsley, il pilota civile della lancia. Non che il colonnello Margolis fosse da buttar via, anzi. Era giovane, aitante, altamente addestrato e con l'espressione efficiente e devota, tipica di coloro che appartenevano al Corpo Astronautico. Tuttavia, come la maggior parte dei suoi colleghi stanziati su Marte,
l'ufficiale sembrava aver trascorso tutto il suo tempo a Porto Ares sotto vetro.
Kingsley, al contrario, aveva l'aria sofferta di chi aveva attraversato mille intemperie. Non dimostrava di ricambiare in alcun modo l'interesse di Karen e, al momento, teneva l'attenzione concentrata sulla lancia e sul deserto sottostante.
Era anche lui un reporter e si trovava su Marte come inviato di una delle più grosse agenzie di stampa terrestri. Purtroppo, da qualche tempo era cambiato. Magari era stata colpa della solitudine, o dell'insofferenza al chiuso, o di entrambe le ragioni unite a chissà quali altre. In tutti i casi, i suoi pezzi erano diventati dapprima insinuanti, poi banali e infine terribilmente amari e cinici nei confronti dell'intera avventura marziana.
Sulla Terra, per un po', avevano cercato di non dare peso alla faccenda. Ma quando Kingsley aveva incominciato a intitolare i suoi pezzi settimanali GioKi su Marte e a infarcirli di sarcasmi piuttosto pesanti, i suoi capi si erano limitati a emettere una risatina a denti stretti. Poi avevano deciso di spedire Karen a sedare ogni eventuale problema, nonostante il costo astronomico di un viaggio a settantacinque milioni di chilometri di distanza.
Né la stampa né, tantomeno, il Corpo astronautico erano disposti a tollerare che il contribuente trovasse qualcosa da ridire a proposito delle imprese su Marte.
Con un movimento brusco Kingsley inclinò la lancia in virata e puntò verso il basso.
«Un gatto» annunciò, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
«Oh!» Il colonnello Margolis si armò di binocolo e Karen lo imitò. Dapprima, impacciata dalla maschera a ossigeno e dai guantoni spessi, non riuscì a mettere a fuoco le lenti. Poi, all'improvviso, l'immagine di un grosso gatto delle dune si stagliò nitida davanti ai suoi occhi.
Era uno spettacolo affascinante. Tutte le enciclopedie ne parlavano come del più grande animale vivente su Marte. Non era provvisto di coda e, in genere, misurava circa un metro e venti dalla punta del naso alla base della spina dorsale. Gli occhi, a mandorla e dotati di una membrana supplementare contro la sabbia, gli conferivano un aspetto vagamente gattesco, come pure la pelliccia rasa e striata, di un bel colore arancio e marmorizzata azzurro verde a causa di un vegetale parassitico monocellulare con cui l'animale viveva in simbiosi e che lo riforniva di ossigeno. A ogni modo, nonostante il nome e le apparenze, l'essere non era un vero e proprio gatto e, sebbene dotato' di una specie di tasca addominale come canguri e opossum, non era nemmeno un marsupiale.
Alcune delle enciclopedie, quelle più sensazionali e a buon mercato, suggerivano una teoria secondo la quale il gatto sarebbe stato un discendente diretto del famoso Muratore dei Canali di Marte, una specie ormai da tempo estinta. Ma siccome non si erano ritrovati né fossili né immagini del Muratore tale teoria rimaneva soltanto un'ipotesi fantastica e assai remota.
Il gatto procedeva a balzi aggraziati sopra le dune color ruggine, in linea retta, dirigendosi con ogni probabilità all'oasi più vicina. Giò Kingsley lo seguiva senza difficoltà. Evidentemente l'animale non si era ancora accorto della lancia che navigava silenziosissima nell'aria rarefatta di Marte.
«Un vero colpo di fortuna, mia cara» commentò il colonnello Margolis, rivolto a Karen. «In genere manca l'azione su Marte, ma un gatto è proprio quello che ci vuole. GioKi, hai una borraccia in più da buttargli?»
Kingsley annuì. Manovrò i comandi e portò la lancia a descrivere un ampio cerchio sopra il gatto. Karen, intanto, si chiedeva che cosa avesse voluto dire esattamente il colonnello Margolis. Azione? Ricordava con particolare chiarezza una frase che aveva letto sull'enciclopedia e che descriveva il gatto delle dune come un essere "veloce e molto forte, ma riservato e del tutto innocuo nei confronti dell'uomo". Nessuno, continuava il paragrafo, sapeva con esattezza di che cosa si cibasse.
Giò Kingsley tirò fuori una borraccia piatta, piena d'acqua. Allentò il tappo a pressione e poi, con sommo stupore di Karen che sapeva bene quanto fosse preziosa l'acqua su Marte, gettò la borraccia oltre il bordo della lancia. L'oggetto, parzialmente privò di gravità, cadde con lentezza di sogno e il tappo allentato si aprì di colpo al momento dell'impatto con il suolo, proprio davanti al gatto.
In un batter d'occhio le sabbie intorno all'animale si popolarono di una moltitudine di creature striscianti. Arrivavano anche da cinque o sei metri di distanza e cercavano di raggiungere in tutta fretta la minuscola pozza d'acqua che si era formata e che andava rapidamente evaporando.
Viste dall'alto, le creature erano così piccole che si faticava a distinguerle, pur con l'aiuto del binocolo, ma Karen non se ne dispiacque più che tanto. Le due che vedeva meglio erano così repellenti da toglierle ogni ulteriore curiosità.
Misuravano circa trenta centimetri ciascuna e sembravano un orrendo incrocio tra un millepiedi e uno scorpione. A differenza di tutte le altre, che si erano dirette senza esitazioni verso l'acqua, le due su cui Karen aveva puntato il binocolo sembravano aver scelto come obiettivo il gatto delle dune.
L'animale lottò con furia silenziosa, sferrando colpi di piatto con una delle zampe; nell'altra, per un attimo, i raggi aspri del pallido sole marziano fecero brillare qualcosa di metallico. Il gatto non prestava la minima attenzione alle chele taglienti delle mostruose creature che lo avevano assalito. In compenso, sebbene sanguinante per i morsi ricevuti, non perdeva di vista nemmeno per un momento i loro pungiglioni acuminati. Karen capì all'istante che dovevano essere velenosi.
E incominciò a credere che i due uomini sulla lancia fossero altrettanto pieni di veleno, visto ciò che avevano provocato.
La lotta parve durare all'infinito, anche se in realtà si trattava solo di secondi. Alla fine il gatto riuscì ad amputare il pungiglione a uno degli assalitori e a spiaccicare l'altro nella sabbia. Finalmente libero, piombò sulla borraccia aperta con un balzo e la raccolse, cercando di salvare quanto ancora rimaneva del preziosissimo contenuto.
Poi, senza degnare nemmeno di uno sguardo la lancia sopra la sua testa, incominciò a correre come un demone del deserto verso il vicino orizzonte. Sul posto rimasero solo le mostruose creature sbucate dalla sabbia, alcune delle quali, soltanto allora, sembrarono rendersi conto che la battaglia aveva provocato due vittime.
Karen scoprì che aveva ritrovato il respiro. E scoprì anche che si era completamente dimenticata di scattare fotografie.
Il colonnello Margolis si appoggiò alla spalla di Kingsley, che gli stava davanti.
«Seguilo» gracchiò eccitatissimo. «Non molliamolo adesso, GioKi!»
Sebbene seminascosto dalla maschera a ossigeno, il viso di Kingsley tradì per un attimo un'ira sorda e trattenuta. Il che non gli impedì di condurre docilmente la lancia all'inseguimento del gatto appena scomparso. L'animale correva a una velocità sorprendente, ma non poteva certo competere con il veicolo che lo seguiva dall'alto.
«Mettimi giù davanti a lui, a circa un chilometro di distanza» ordinò il colonnello. Aprì la fondina della pistola.
Karen trasalì. «Volete... volete uccidere quel povero animale? Nonostante la lotta che ha appena sostenuto?»
«Certamente no, mia cara» rispose il colonnello Margolis, in tono gioviale. «Voglio solo prendermi una piccola ricompensa per l'acqua che gli abbiamo regalato.» Sorrise e poi, rivolto a Kingsley aggiunse: «Avvicinati
alla sommità di quella duna, GioKi. Mi sembra la posizione più adatta.»
«È illegale» gli fece notare lui, inaspettatamente. «Lo sai bene.»
«Quella vecchia legge è anacronista» replicò l'ufficiale, con voce piatta. «E poi, da anni nessuno si preoccupa più di farla rispettare.»
«È chiaro che tu lo sai meglio di chiunque altro» osservò Kingsley. «Se non sbaglio, spetterebbe proprio a te preoccupartene.» Scrollò la testa. «D'accordo, salta giù. Ti copro.»
Il colonnello scavalcò il bordo della lancia, che si librava a bassa quota, e planò con un balzo sulla sabbia color ruggine. Kingsley fece risalire il veicolo in volo, guidandolo in cerchi stretti verso l'alto sopra la testa del comandante.
Il gatto arrivò sulla sommità dell'altura, scorse l'uomo e si arrestò di colpo. Rivolse una rapida occhiata alla lancia che li sovrastava e non tentò nemmeno di fuggire. Il colonnello, intanto, aveva estratto la pistola e la impugnava senza puntarla in nessuna direzione particolare.
«Vorrei proprio sapere esattamente che cosa sta succedendo laggiù» disse Karen con voce ferma e incisiva.
Kingsley continuò a tenere lo sguardo fisso sulla scena che si svolgeva più in basso.
«Oh, niente» spiegò. «Solo un piccolo esempio di caccia di frodo. Il gatto custodisce qualcosa nel marsupio e il nostro eroe, laggiù, sta per rapinarlo.»
«Qualcosa? E cioè? Si tratta di un oggetto di valore?»
«Per il gatto senz'altro. E per il colonnello anche, sebbene da un diverso punto di vista. Hai mai visto un Pomo di Marte?»
"Più d'uno" pensò Karen. I corteggiatori non regalavano altro, da un paio d'anni. Si trattava di una sferetta lanuginosa, poco più grande di un acino d'uva, la quale, sospesa e riscaldata tra i seni, circondava chi la indossava di una fragranza dolcissima e assolutamente celestiale. Lei l'aveva provato una volta sola, anche perché il famoso Pomo aveva poteri afrodisiaci e lievemente narcotici. In pratica, incoraggiava le giovani donne a dire "Forse" quando in realtà intendevano "No".
«Il Pomo... È una parte del gatto? O forse un amuleto, un ornamento o qualcosa del genere?»
«Mi dispiace deluderti» disse Kingsley. «Gli esperti lo chiamano organo di ibernazione. Senza quest'organo, quel gatto laggiù non passerà il prossimo inverno. Non è attaccato a lui in alcun modo ma dal comportamento dei suoi simili sappiamo con certezza che non potrà ottenerne un altro. Né farlo ricrescere, se è così che se lo procurano.»
Karen strinse i pugni. «Giò... fammi scendere subito.»
Lui le lanciò una rapida occhiata di traverso. «Non te lo consiglio, non puoi fare niente. Io lo so bene. Una volta ci ho provato.»
«Giò Kingsley, non so in che modo tu definiresti ciò che sta succedendo laggiù, ma una cosa è certa. È la storia ideale per un articolo importante. E non me la lascerò scappare.»
«Non riuscirai mai a farla uscire dal pianeta» replicò lui. «Comunque, va bene. Scendiamo.»
Quando si avvicinarono, il gatto, in posizione eretta, stava porgendo qualcosa al colonnello. Lui, di spalle, non si era accorto che Karen Kingsley lo stavano raggiungendo.
La creatura di Marte era più vicina del comandante alla cresta della duna e forse per questo, o forse per il suo atteggiamento, non sembrava in alcun modo più piccola o meno imponente dell'uomo che la minacciava.
All'improvviso, il colonnello buttò indietro la testa e rise.
«Non è il Pomo» borbottò Kingsley, senza aspettare che Karen glielo chiedesse. «Sta tentando di salvarsi la vita offrendo al comandante un reperto archeologico. Fanno sempre così.»
«Un reperto archeologico?»
«Sì. Un frammento di mattone con iscrizioni del Muratore dei Canali.»
«Ma Giò! Quello ha ancora più valore, no?»
«Ti sbagli. Non vale quattro soldi. Gli esemplari dei Muratori hanno inondato il pianeta di mattoni e quasi tutti sono coperti di iscrizioni. Se ne trovano dovunque, il gatto potrebbe addirittura averlo raccolto lì sul posto. Quanto alle iscrizioni, nessuno è mai stato in grado di decifrarne nemmeno una sola riga. La lingua non presenta la minima somiglianza con quelle terrestri.»
In quel momento il gatto si accorse di loro. Si girò leggermente e tese il pezzo di mattone versò Giò Kingsley. Il colonnello Margolis non nascose la sua irritazione.
«Così non va, gatto» osservò, in tono aspro. «È con me che stai trattando. E io non voglio quel sasso. Avanti, vuota la tasca.»
Glielo chiese ancora, a gesti, dal momento che non si aspettava che il gatto comprendesse le sue parole.
Ci fu una pausa, poi l'animale volse di nuovo la sua maschera tigrata verso gli intrusi. Gli occhi a mandorla, fiammeggianti e simili a due zaffiri gemelli, si puntarono sul viso di Karen.
«Sssignora dellla Terrra, comperare?»
La voce era deformata, come se il gatto delle dune si fosse sottoposto a uno sforzo enorme pur di articolare quelle poche parole in lingua umana. L'animale tese verso la ragazza quel patetico pezzo di mattone con cui tentava di salvarsi la vita. Aveva uno sguardo orgoglioso e la zampa tesa era assolutamente ferma.
«Sarò felice di comperarla» affermò Karen e tese a sua volta la mano. Poi, con aria di sfida, si rivolse al colonnello. «Non provatevi a infrangere questo patto, altrimenti dovrete vedervela con Dio e con il vostro comando.»
La mano guantata sfiorò la zampa color arancio. Il marziano fissò Karen un'ultima volta e poi riprese la sua corsa verso l'orizzonte.
Il colonnello Margolis non aprì bocca per tutto il viaggio di ritorno a Porto Ares. Poi, una volta sbarcato dalla lancia, convocò Karen e Kingsley nel suo ufficio, con l'evidente intenzione di infliggere a entrambi una solenne strigliata.
"Forse non si perdona di essersi spinto troppo oltre nello sforzo di entrare nelle mie grazie" pensò lei. "Pazienza, colonnello. Così va il mondo. Ogni azione provoca delle conseguenze... anche su Marte."
«Non tenterò nemmeno di fingere che non sia successo niente» esordì l'ufficiale, con voce intesa a dimostrare molta buona volontà. «I gatti sono abbastanza intelligenti da passarsi parola l'uno con l'altro e ci vorranno mesi prima che si mettano in testa che il vostro comportamento di oggi non significa assolutamente nulla. In ogni caso, se mi promettete che non farete parola di questa storia con nessuno, forse non sarò costretto a rispedirvi sulla Terra con la prossima nave.»
«Che partirà fra cinque mesi» gli ricordò Giò Kingsley, in tono innocente.
«Nemmeno io ho intenzione di fingere che non sia successo niente» gli assicurò Karen. «E questo è solo l'inizio. Le donne, sulla Terra, non continuerebbero di certo a usare il Pomo di Marte se sapessero che cos'è in realtà e quanto è costato. Bisogna che qualcuno racconti loro tutta la storia.»
Ci fu un breve silenzio. Poi, Kingsley aprì bocca di nuovo.
«È solo una storia come tante. Non creerà un grosso scandalo.»
«Nemmeno se vi è implicato il comandante della base su Marte?»
Il colonnello si limitò a sorridere con espressione condiscendente. «Ho capito, vi manca un cattivo e volete me. Va bene. Non mi importa di fare la parte del malvagio, se la storia lo richiede» concesse, magnanimo. «Mettetemi pure alla berlina, Karen. Sono proprio curioso di vedere se la gente, sulla Terra, crederà alla mia parola o alla vostra.»
«Io non ho mai messo alla berlina nessuno in tutta la mia vita» replicò lei. «Ma il punto non è questo. Non mi interessa soltanto un articolo. L'intero commercio del Pomo di Marte è uno scandalo e deve finire.»
Il colonnello girò bruscamente la schiena a lei e a Kingsley e guardò fuori dalla finestra, osservando la colonia a forma di cupola costruita dall'uomo. Era uno spettacolo di forza, di lotta contro un mondo terribile, contro un deserto planetario di. cui Karen sapeva di conoscere molto poco.
«D'accordo» sospirò il colonnello. «Io ho tentato. Ora tocca a te, GioKi. Chiariscile le idee.»
«Non mi chiamare più in quel modo!» ringhiò lui. Poi, rivolto alla ragazza, proseguì: «Karen, non ti rendi conto che non ti lasceranno mai fermare questo commercio? Basta pensare che si tratta di concussione, che nessuno lo sospetta e che gli interessi in gioco sono altissimi. È stata infranta la legge, Dio me ne è testimone, e più della metà degli uomini di Porto Ares sono implicati in un traffico illecito.»
«Tanto peggio per loro!» si indignò lei. «È un traffico che va fermato e noi possiamo farlo. Giò, devi aiutarmi. Sai bene che non possono rispedirci a, casa tutti e due.»
«E tu credi che non abbia già tentato di far uscire questa storia da Marte?» protestò Kingsley in tono adirato. «Il Comando "rivede" ogni riga che scrivo e, dopo l'incidente di oggi, sarà il colonnello in persona a rileggere i miei articoli...»
«Ci puoi scommettere» confermò il colonnello Margolis, con aria compiaciuta e un pizzico di malizia.
«...e io dovrò continuare a vivere con questa ciurma per tutto il prossimo anno di Marte» continuò lui. Poi, dopo una pausa, aggiunse: «Altri seicentosessant'otto giorni.»
Karen non si perse d'animo. «Ma è proprio per questo che non potranno mettere a tacere la storia» osservò in tono appassionato. «Lascia pure che censurino i tuoi pezzi, Giò. Prima o poi si lasceranno sfuggire qualcosa. Dobbiamo solo rimanere in contatto. Io so leggere tra le righe e tu sai scrivere. Nessun censore, in tutto l'universo, è capace di tenere gli occhi aperti per mesi e mesi senza stancarsi.»
«Possono uccidermi» le fece notare lui, con aria imperturbabile. «O magari ucciderci entrambi, se dovesse rivelarsi necessario. La prossima nave
diretta alla Terra lascerà il pianeta fra cinque mesi ed è facile che capitino incidenti, qui su Marte. C'è gente che muore ogni giorno.»
Lei sbuffò, in modo poco adatto a una signora. «Giò Kingsley, la paura ti ha mangiato il cervello. Credi davvero che il comandante di Porto Ares, appartenente al Corpo astronautico, farebbe uccidere gli unici due reporter presenti su Marte? Come pensi che riuscirebbe a giustificare una cosa simile presso i suoi superiori?»
Il colonnello Margolis si girò a guardarli con espressione torva. Tuttavia, quando parlò, la sua voce risultò calma e controllata.
«Avanti, cerchiamo di essere ragionevoli!» suggerì. «Non vale la pena di fare tante storie per una piccola irregolarità. Abbiamo realizzato su Marte imprese spettacolari, facendo di questo pianeta uno dei più grandiosi avamposti dell'umanità. Perché infrangere tutto solo per il gusto dello scandalo? Non è meglio vivere e lasciar vivere?»
«Certo che è meglio!» esplose Karen. «Ma voi siete i primi a non farlo! Mi avevate detto che non avreste ucciso quel gatto, oggi pomeriggio, ma quando stavate per derubarlo non mi avete spiegato che sarebbe morto più tardi, durante l'inverno. Si ripete di nuovo la storia degli Spagnoli alla conquista dell'impero Inca! E così spendiamo miliardi per raggiungere pianeti lontani ed esportarvi gli stessi vecchi crimini commessi centinaia di anni fa, contro altri indigeni...»
«Calma, signorina Chandler. Calma!» la interruppe il colonnello. «Non esagerate, adesso. I gatti sono soltanto animali!»
«A me non sembra affatto che esageri» si intromise Giò Kingsley in tono risoluto. «I gatti delle dune sono esseri intelligenti, e ucciderli è un crimine. Io l'ho sempre pensato, e anche la legge è dalla mia parte. Karen cercherò di passarti informazioni e fotografie quando sarai tornata sulla Terra, ma il comando di Porto Ares è in grado di fermarmi, se vuole. Potrei trovarmi in condizione di tenere il resto della storia per me, sperando di riuscire a portarlo sulla Terra di persona. Potrebbe essere una questione di anni. Sarai capace di aspettare tanto?»
Si guardarono negli occhi per un lunghissimo istante. L'espressione di Giò Kingsley era molto cambiata.
«Aspetterò. Puoi scommetterci» gli assicurò Karen.
Lui respirò a fondo. «Ne sei sicura?»
«Sicurissima, Giò» rispose lei. «Ora i GioKi sono finiti.»
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