Vi sono giorni nella vita che sembrano staccarsi completamente dagli
altri e segnar quasi l'inizio di un'era nuova. Se li consideriamo
obiettivamente troviamo che essi non sono altro che anelli di una
medesima catena; ma, ad un esame retrospettivo, la loro continuità col
passato scompare e noi non li vediamo più che in connessione con gli
avvenimenti che li seguirono.
Ad uno di quei giorni il mio pensiero ritorna risalendo indietro di una
ventina d'anni; poiché in quel giorno appunto, improvvisamente e
imprevedibilmente, mi trovai coinvolto in un dramma così strano e
incredibile che, nel rievocarlo, io stesso non so liberarmi da un senso di
incertezza e di diffidenza.
Mi rivedo, coi chiari occhi della memoria, giovanotto sui venticinque
anni, con la mia brava laurea in medicina nuova fiammante in tasca, alle
otto di un ridente mattino di primo autunno, andarmene lieto e spensierato
verso la campagna. Volevo godermi una buona giornata di vacanza,
l'ultima forse per molto tempo, poiché dall'indomani sarebbero
incominciati i doveri della mia nuova condizione. Non avevo alcun
programma; non desideravo che di passare una deliziosa giornata d'ozio. È
vero che un piccolo album da disegno in una tasca e una scatola con delle
provette di vetro nell'altra dimostravano una certa intenzione di servirmi
della passeggiata anche per altri scopi; ma la ragione principale era la
vacanza, la piacevole scampagnata; l'arte e la scienza non erano che
accessori destinati, se mai, ad aumentare il diletto.
Attraversato Wood Lane, entrai nel Bosco del Camposanto, allora aperto
e limitato soltanto da basse staccionate. M'inoltrai per il largo sentiero
sassoso, godendo intimamente il profondo silenzio e la solitudine di
quell'ultimo residuo delle secolari foreste britanniche, dalle cui misteriose
profondità mi tornavano alla memoria vaghe storie di fantasmi alle quali il
bosco doveva quel suo triste nome. La stagione avanzata non aveva ancora
mutato il colore alle fronde delle grandi querce; i raggi obliqui del sole vi
imprimevano delle sfumature dorate e disegnavano macchie rosse sul
sentiero sparso di foglie prematuramente cadute. Ma nel sottobosco
indugiava ancora la nebbia notturna, che avvolgeva i tronchi e i cespugli e
le felci nel mistero di un leggerissimo velo azzurrognolo. A una svolta del
sentiero, mi trovai improvvisamente di fronte una giovane donna che,
curva sul margine di un viottolo, pareva scrutare tra la macchia come
cercando qualcosa. Al mio apparire si drizzò di scatto e si volse verso di
me con un'aria così sorpresa e intimorita che io affrettai il passo e finsi di
non vederla. Ma un rapido sguardo era bastato per farmi notare la
singolare bellezza e l'aspetto signorile e distinto della fanciulla, che
dimostrava circa la mia età.
Mi allontanai pensando alla fugace e leggiadra visione. Era un po' strano
trovare una signorina sola nei boschi, a quell'ora; e quel suo trasalire nel
vedermi dimostrava come non si sentisse troppo sicura. Ma che cosa
cercava nel bosco? Forse aveva smarrito qualche oggetto e veniva a
cercarlo prima che altri potesse trovarlo? Comunque non si trattava certo
di una cacciatrice di frodo (non so davvero che cosa avrebbe potuto
scovare), né aveva per nulla l'aspetto di una naturalista.
Continuando il mio cammino, infilai il sentiero che conduceva ad un
piccolo stagno. A quello stagno avevo pensato appunto nel mettermi in
tasca le provette di vetro; ma ora, mentre seguivo il viottolo che vi
conduceva, la mia mente era occupata, assai più che dallo stagno e dai suoi infusori, dalla misteriosa apparizione veduta poco prima. Se ella fosse stata
meno attraente, l'avrei forse dimenticata subito; ma avevo venticinque anni
e, se un giovanotto di quell'età non sa apprezzare una bella ragazza,
bisogna dire che ha qualche rotella fuor di posto.
Immerso nelle mie riflessioni, raggiunsi così una piccola radura al centro
della quale, in un leggero avvallamento, riluceva lo stagno: breve specchio
ovale d'acqua, alimentato da un ruscelletto che ne usciva per poi perdersi
nel fitto bosco, verso la valle invisibile. Mi avvicinai alla sponda e levai di
tasca la scatola delle provette; ne sturai una e la riempii d'acqua.
Osservandola poi contro luce con la lente, mi accorsi che la "pesca" era
stata fortunata, perché il minuscolo recipiente conteneva parecchi
interessanti campioni della flora e della fauna lacustre, che mi
promettevano un'abbondante riserva di materiale scientifico.
martedì 11 febbraio 2025
MOMDADORI n.23 - Richard Austin Freeman: L'affare D'Arblay
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