giovedì 20 febbraio 2025

Renato Pestriniero: Un passo alla volta


Negli auricolari c'era il consueto intrecciarsi di rapporti, istruzioni, conferme, oltre alle solite battute che non mancavano mai, anche nei momenti di maggiore tensione. Gli interventi di Sebastian erano i più pacati, ma quando si intrometteva lui, non doveva esserci incertezza nell'esecuzione dei suoi ordini. Sebastian era il Berth Activity Master. Quando erano in corso le operazioni di carico e scarico, la sua autorità era superiore a quella di qualsiasi altro nella stazione, compreso lo stesso Space Station Chief Executive. D'altra parte, era necessario che fosse una sola persona ad avere il potere di regolare la sequenza delle operazioni e di decidere all'istante in caso di emergenza. Perché, malgrado fosse un lavoro di routine, l'avvicinamento, attracco e sbarco di una nave il cui carico sulla Terra sarebbe stato di circa duecentosettantamila tonnellate, era sempre un'attività estremamente complicata e pericolosa.
Negli auricolari, il solito brusio di dati tecnici... scambi...
Adesso Mylos era assicurato a uno dei numerosi anelli d'attracco disposti sulla fiancata, in attesa che il boccaporto della Wing Starboard Tank n. 23 si aprisse.
A poca distanza dal suo viso, la muraglia metallica mostrava la vernice bianca disseminata di scrostature e macchie, tracce dei precedenti viaggi.
Comunque, il colore della nave non era il bianco ma il nero dello spazio. Quella porzione di vernice bianca apparteneva alla lettera R di STAR. Il cargo si chiamava Black Star 7 e apparteneva alla flotta della Star Interplanetary Shipping Co., la compagnia leader nel traffico fra la Terra e le lune di Giove.
Isaac Morris Jr. aveva visto giusto quando, un trentennio prima, aveva sollecitato la ricerca sui motori NeilsonBerry e commissionato contemporaneamente la costruzione del primo ipercargo della classe Star. Ed era stato premiato perché, prima sui satelliti medicei e poi sugli altri, era stato trovato il D3T0, quello che comunemente chiamiamo detrito, sostanza base per l'infinità di prodotti che tutti conosciamo.
Alla classe "White Star" era seguita la classe "Blue Star" che, a sua volta, era stata surclassata dalle gigantesche e velocissime "Black Star" spinte dall'ultima generazione dei NeilsonBerry. Si era così garantito un servizio regolare soddisfacendo la richiesta di detrito in costante aumento in tutti i paesi del mondo.
Mylos vide il McGregor sollevarsi silenziosamente, con lentezza maestosa.
«McGregor della ventitré in movimento» confermò nell'interfono. La lastra metallica si spostò all'esterno pur continuando il movimento verso l'alto; le varie sezioni del boccaporto si sarebbero snodate a mantice lungo le cerniere, accostandosi l'una all'altra come il soffietto di una fisarmonica, per poi sovrapporsi all'estremità della stiva. Il sistema McGregor faceva guadagnare un sacco di spazio prezioso.
«Pronti con gli aspiratori» ordinò Sebastian.
«Unità robotiche 4 e 17 pronte» confermò Mylos.
Fu in quel momento che nell'interfono si udì l'urlo.
Mylos si guardò intorno mentre gli auricolari gli facevano scoppiare il cervello. Vide Emmerick all'estremità della stiva che si dibatteva incastrato fra le sezioni del McGregor mentre queste stavano sovrapponendosi.
Emmerick era il suo capo squadra in quell'operazione, ed era un umano.
A Mylos venne istintivamente di liberarsi dal moschettone che lo teneva assicurato alla fiancata e lanciarsi... ma ritardò il gesto di qualche secondo. Poi staccò il moschettone.
Arrivò accanto a Emmerick proprio quando le sezioni del McGregor stavano completando il movimento serrandosi su di lui. Attraverso il casco, Mylos vide il compagno muovere disordinatamente le braccia. Il bordo del McGregor l'aveva attanagliato all'altezza dello stomaco.
Le sezioni si sovrapposero. Di colpo le braccia di Emmerick cessarono di agitarsi e fluttuarono in movimenti inerziali. Il suo casco si riempì di sangue è di organi scoppiati.
Mylos guardò l'umano e provò un senso di soddisfazione e di appagamento. Le voci negli auricolari svanirono. La fiancata del cargo si dissolse come una bolla di sapone.
Mylos rimase immobile per un lungo momento, poi sospirò e cambiò posizione. Era successo un'altra volta. Adesso era diventato ricorrente. C'erano delle variazioni, ma la sostanza rimaneva la stessa.
Lui non aveva avuto nulla di particolare contro Emmerick; l'unica colpa del suo compagno era stata quella di essere un umano, e, nelle ricostruzioni che la sua mente produceva, Emmerick era diventato il simbolo di una razza.
Riandando al momento culminante del sogno, Mylos osservò che il senso di soddisfazione per la morte di Emmerick non era stato così netto come un tempo. Ricordava che, le prime volte, assisteva alla sua fine ridendo, e il senso di appagamento che provava era talmente forte da provocargli quasi un godimento fisico. Poi, con il ripetersi, quell'aspetto si era modificato. Adesso, per esempio, aveva provato un'ombra di pietà per quel volto urlante che lo fissava, nell'attimo prima di trasformarsi in un grumo orrendo.
Accese la luce e guardò l'ora. Avrebbe potuto starsene a letto ancora un po', ma sapeva che non si sarebbe riaddormentato. Preferì alzarsi e mettersi sotto la doccia, dopo aver selezionato la colazione.
Quando uscì dalla doccia, il vassoio era già sbucato dal dispenser, e l'aroma del caffè si era sparso per la stanza.
Fece colazione lentamente, preferendo guardare il bosco attraverso la finestra panoramica che far scorrere sul monitor le notizie del mattino.
L'edificio della clinica era massiccio, ma si inseriva bene nell'ambiente, senza violentarlo con la sua presenza artificiale. Nel costruirlo, la Fondazione della Star Interplanetary aveva adottato il sistema di condizionare la forma all'ambiente. Lo stesso sistema che aveva applicato nel suo ramo di attività, plasmando la morfogenesi umana in rapporto alle operazioni richieste. La vecchia idea ergonomica di adattare l'ambiente all'uomo era stata rovesciata con l'avvento della clono genetica.
Mylos era il risultato della recente politica destinata ad utilizzare cervelli umani in modelli di sistemi biologici, l'inserimento cioè di un'unità cerebrale in una struttura eteromorfa studiata per un determinato uso.
Nel caso di Mylos, il campo d'azione previsto per il suo modello era il piano caricatore sul porto orbitale della Star Interplanetary Shipping Co., e la sua mansione era manovrare i sistemi di carico e scarico in simbiosi con le unità robotiche morfo cinetiche della classe X27 "Muletto".
Al di là della finestra panoramica era un trionfo di giallo e bruno e rosso fiamma. L'autunno aveva spazzato via l'uniformità del verde estivo sostituendolo con colori splendidi.
Mylos cercò di immaginare quali sensazioni si provassero a camminare in mezzo a quei colori, a vivere in una di quelle case di legno che aveva scoperto su una rivista di architettura. Era un servizio fotografico sulla casa e il concetto di aggregazione nella storia, dalla grotta alla cellula orbitale.
Ma era semplice curiosità, non desiderio o mancanza. Perché lui non era stato concepito per camminare sui sentieri nei boschi, per arrampicarsi sugli alberi o starsene seduto accanto a un caminetto.
Gettò il vassoio nell'inceneritore e l'accappatoio sul letto. Nudo, si vestì davanti allo specchio. I vestiti gli venivano ovviamente forniti dalla Fondazione perché mai avrebbe potuto trovare misure e modelli adatti alla sua struttura.
I suoi centotrentadue centimetri di altezza erano composti da due arti inferiori e da una testa umani. Il tronco era un cilindro leggermente schiacciato sul quale fuoriusciva sul lato sinistro una protuberanza estremamente robusta, un fascio di muscoli della lunghezza di un braccio umano normale ma con possibilità di snodi multipli. All'estremità, una mano di sei dita era collegata al braccio mediante un polso che le permetteva una rotazione completa di trecentosessanta gradi.
L'arto superiore destro era un prolungamento osseo di lunghezza all'incirca metà dell'altro, e conformato per attività meccaniche multiuso.
Indossata la tuta con il logo della Star Interplanetary, Mylos uscì dalla stanza per prendere parte al giornaliero esercizio collettivo di riabilitazione.
«Mylos! Mylos!» gli urlava Sebastian negli auricolari. «Ma che cosa aspetti...! Mylos!»
«Myyyloooos...» Questo era Emmerick che lo chiamava con voce spenta mentre si allontanava con il cavo spezzato.
L'unità robotica in avaria lo aveva urtato e il cavo si era tranciato. Un incidente assolutamente imprevisto.
Nel frastuono degli auricolari, Mylos rimase immobile a guardare il corpo di Emmerick che rotolava lentamente nello spazio.
Sebastian aveva sicuramente disposto un'altra unità robotica per il recupero, ma lui, Mylos, avrebbe potuto evitare tutto questo. Sarebbe stata sufficiente una lieve spinta per afferrare il compagno e riportarlo indietro prima che l'ossigeno se ne andasse.
Ma lui non si era mosso.
L'umano continuava ad allontanarsi, rotolando, invocando...
Un'unità robotica sfrecciò accanto a Mylos diretta a recuperare Emmerick. Non sarebbe arrivata in tempo per salvarlo. Se non era già morto, lo sarebbe stato senz'altro prima di raggiungere la stazione.
Mylos sentì un groppo in gola. C'era stata una lotta dentro di lui, ma, anche se a fatica, aveva resistito. Però, se si fosse mosso subito... Dopotutto non provava più tanta ostilità nei confronti di Emmerick, benché fosse un umano.
Una seconda unità robotica lo superò fulminea passandogli pochi metri sopra la testa. Le luci intermittenti delle due unità lampeggiavano. Ormai lontana, la prima unità accese il faro e inquadrò lo scafandro di Emmerick.
L'uomo adesso procedeva abbandonato, spinto dall'inerzia.
Mylos si destò. Era ancora notte e si sentiva tutto bagnato di sudore. Mai successo prima. E dentro di sé aveva ancora vivo il senso di colpa provato nel rivivere quel dramma per l'ennesima volta.
Ogni notte il sogno gli presentava la stessa situazione: il luogo era quello reale della stazione, dove effettivamente l'episodio si era verificato, ma le cause che provocavano la morte di Emmerick cambiavano continuamente.
E, di volta in volta, si sviluppava in lui una sempre più marcata simpatia verso quell'uomo che aveva avuto la ventura di essere stato suo compagno di squadra e di aver rappresentato quella categoria del genere umano che possedeva due braccia uguali, mani con cinque dita e un corpo proporzionato e attraente.
Quando il fatto era successo nella realtà, nessuno si era accorto di nulla. Soltanto Mylos si era reso conto che, se non fosse intervenuto subito, uno dei ganci fissi della gru CostaMasnaga avrebbe infilzato Emmerick nella schiena all'altezza del polmone sinistro.
Appena il gancio era penetrato nel corpo di Emmerick, Mylos aveva dato l'allarme nell'interfono. Sebastian aveva bloccato tutto, ma il corpo di Emmerick era stato ormai straziato.
Nessuno alla stazione aveva potuto incriminare Mylos, nessuno aveva sospettato del suo omicidio indiretto. Ma quell'episodio cominciò a ripresentarglisi ogni notte in variazioni oniriche manipolate dalla sua mente.
Quando cominciò a commettere errori sul lavoro, fu mandato nella clinica della Fondazione per un ciclo di esami.
Per Mylos non era servito a nulla apprendere che Emmerick non era morto, che il suo cuore aveva resistito tanto da permettergli il collegamento ai sistemi extracorporei fino alla sostituzione cardiopolmonare. Per Mylos, l'umano Emmerick era morto. Ed era stato lui a ucciderlo volutamente, a straziare quelle membra ben fatte, quel corpo alto, attraente e armonioso.
Ma adesso tutto era cambiato. Adesso Mylos non riusciva a riaddormentarsi, madido di sudore e con una grande voglia di piangere perché il suo compagno non c'era più. Abbracciò il cuscino e si raggomitolò in quel suo piccolo letto che sembrava una culla, e lasciò che le lacrime uscissero liberamente.
Quella mattina il bosco non aveva più i suoi rossi di fiamma. I giorni erano passati, e solo qualche piccola macchia di colore si stemperava qua e là, resa opaca dalla foschia. L'inverno era alle porte.
Il monitor lo chiamò. L'infermiera gli sorrise. «C'è una visita per voi.»
«Una visita?» ripeté Mylos. «Non aspetto nessuno.»
L'infermiera mantenne il sorriso e assunse un'espressione di scherzosa complicità. Ma non rispose. Il suo volto si dissolse.
Mylos si alzò stringendosi la veste da camera intorno al corpo sgraziato, infastidito da quell'annuncio.
Qualcuno bussò alla porta. Mylos disse di entrare. Poi rimase immobile a guardare l'uomo fermo sulla soglia.
«Emmerick!» gridò, e gli corse incontro, incapace di credere ai propri occhi. L'uomo lo abbracciò e lo strinse, piegato sulle ginocchia per portarsi alla sua altezza.
«Sei guarito...» ripeteva Mylos. «Sei guarito...»
«Vivo e verde, come vedi» disse ridendo Emmerick «e pronto a tornare lassù.»
«Quando? Dimmi, quando?»
«La prossima settimana. È in arrivo la Black Star 5, e ti assicuro che non voglio perdermela.»
Mylos guardava Emmerick negli occhi, e l'affetto che provava verso il compagno tante volte ucciso nelle sue fantasie oniriche rimescolando in un macabro giro di specchi il suo atto criminale, non gli permetteva di parlare.
«E naturalmente ci sarai anche tu» continuò Emmerick. «Ormai è tempo che lasci questo buco.»
«Vorrei fosse vero» mormorò Mylos.
«Non sono io a dirlo, amico. Lo dicono alla Fondazione. Ormai è questione di pochi giorni. Non saremo insieme con la Black Star 5, ma certamente lo saremo con la successiva.»
Mylos inghiottì e si avviò al bar per prendere bottiglia e bicchieri.
«Un passo alla volta» ripeté il giovane a bassa voce. «Capisco.»
«E così» confermò il dottor Liebelman. «La trasformazione del genere umano è un processo che avviene un passo alla volta, e bisogna dare tempo perché il cambiamento avvenga senza traumi o, per lo meno, con il minore attrito possibile. La rivoluzione postindustriale divise gli uomini in due categorie, quelli specializzati e gli altri. Questi ultimi, i diseredati, gli inoccupabili, costituirono una enorme massa di arrabbiati che si scagliò contro gli uomini nuovi. Dovettero essere eliminati. Quelli che accettarono la situazione, si adeguarono alle regole della tecnologia e diventarono i nuovi servi in una sorta di neo feudalesimo elettronico. Adesso ci troviamo di fronte a un'altra trasformazione. Nuovi motori e nuove astronavi ci hanno permesso di viaggiare tra i pianeti. Un altro passo è quindi necessario, perché lo spazio richiede uomini nuovi.» Prese uno degli onirogrammi di Mylos. «Queste nostre nuove creature... guardano noi e vedono la differenza. Non sono ancora coscienti dell'immane potere che risiede nelle loro mostruose conformazioni, non si rendono conto che il futuro è loro. E quindi ci odiano. Ma il nostro problema è invece di farci amare, di renderli nostri amici, altrimenti non potremmo usarli, non potremmo farli avanzare per prendere il nostro posto.»
Il dottor Liebelman ripose gli onirogrammi e guardò il giovane. «Capite l'ironia? Domani saremo noi, i belli, i ben fatti, a odiarli, perché a operare nello spazio e sugli altri pianeti saranno soltanto loro, mentre noi saremo i servi di turno a causa della nostra inadeguatezza.»
Il giovane chiese: «Questo significa che l'esperimento è riuscito?»
«Certamente.»
«Bene, allora posso comunicare alla sede di mandarlo a prendere?»
«Senz'altro. Si tratta di un elemento di questa nuova serie che ha raggiunto la normalizzazione in un periodo notevolmente breve. Abbiamo studiato il caso con attenzione e abbiamo deciso di inserire la stessa causa negli elementi biochimici che stanno alla base del sogno anche nei prossimi modelli bionici. L'aver inserito il falso ricordo di omicidio durante il periodo della ricombinazione morfologica, ha scatenato un processo di colpa e un conseguente avvicinamento psicologico verso di noi che verrà adottato anche nella prossima classe di cyborg.»
Rimasto solo, il dottor Liebelman tornò agli onirogrammi, un grosso dossier intestato a Mylos Andrew. Dopo il nome, fra parentesi, c'era la sigla CYBS. 331.
"Un'altra razza di uomini" pensò il dottor Liebelman. "Uomini che abbiamo creato noi non a nostra immagine e somiglianza, ma unicamente per poterli adattare alle nostre macchine e ai nostri ambienti di lavoro. Ma non avevamo pensato che potessero provare odio per la loro diversità rispetto alla nostra bellezza, senza tener conto della loro supremazia fisica e operativa. A ogni modo un altro passo è stato fatto, ma ci stiamo allontanando sempre più dal Prototipo. Mi domando fino a quando potremo continuare a definirci uomini..."

 

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