sabato 14 ottobre 2023

Lawrence Mayeu: La stagione, 1969


Jeff disse: — La stagione sta arrivando. Lo sento nelle ossa.
Mark borbottò. Stavano bevendo accanto alla colonnina dell’acqua. Era tardo pomeriggio e nell’ufficio c’era agitazione, svogliatezza. — Quest’anno non ne ho molta voglia —, disse Mark.
— Domani avrai cambiato idea —, fece Jeff.
Mark si dimostrò quasi seccato, però sapeva che Jeff aveva ragione. L’idea era im-pensabile, disgustosa... finché arrivava la stagione. Poi l’uomo ne restava travolto. Adesso il momento era vicino. Lo si poteva quasi annusare nell’aria. Anche il calendario parlava chiaro. E Mark avvertiva qualcosa di strano nei sensi. I suoi occhi continuavano a guardare Daisy, quasi involontariamente, e quello era un segno. La ragazza lavorava nella pubblicità. Erano amici e compagni di bridge per tutto il resto dell’anno. E durante la stagione avevano una lunga relazione.
Anche Daisy aveva continuato a guardarlo per tutta la giornata. Gli aveva parlato, e l’aveva toccato tutte le volte che le era stato possibile.
— Sei nervoso, Mark —, gli aveva detto lei. — per la stagione, vero? — Ma lui aveva negato, per orgoglio maschile. — per via di tutto il lavoro che mi e accumulato —, aveva detto. — Mi sta logorando i nervi. C’è una cosa di buono: quando suona la sirena posso dire al capo di andare all’inferno.
— Ehi, Daisy, perché non cambi, questa volta? —, propose adesso Jeff. — Lascia perdere questo tipo.
— Io non sto pensando a nessuno—, disse lei.
— Coraggio, ci divertiremo —, disse lui.
— Divertirsi, già! Non sei tu a restare incinta.

Era bella, Daisy. Giovane e appetitosa. Corpo splendido, occhi incantevoli. Mark si trovò a fissare la linea morbida della camicetta. Una piccola ombra vaga gli attraversò la mente. Sentì qualcosa nel profondo del suo corpo. Qualcosa di lieve, di fastidioso, come il solleticare di una piuma. Cercò di ricordare com’era stato l’anno prima, con Daisy. Inutile. Per il momento. Ma le sirene sarebbero suonate presto, sicuramente... e conte al solito lui non sarebbe stato pronto.
Gli inizi di giugno, sì, quello era il momento. Nei nidi d’infanzia centinaia di migliaia di bambini, ora di tre mesi, piangevano chiedendo latte. A giugno i cani avrebbero ululato alla luna, i gatti miagolato e raschiato le porte...
Sospirò, gettò via il bicchiere, e tornò alla scrivania.
Mark viveva solo in un alto edificio non molto lontano dal centro. Dalle finestre del soggiorno poteva vedere, di sera, le luci brillanti della città. La maggior parte degli uomini della sua età preferivano la vita dei dormitori, ma qualcosa della sua natura lo spingeva a vivere solo. Non che, per questo, mancasse di buona compagnia. Jeff viveva in fondo al corridoio del piano. Marie e le sue amiche all’altra estremità. Pure, di tanto in tanto, provava nell’anima una certa amarezza, un vuote profondo. Cosa gli mancava? La tenerezza? Il calore? Ai vecchi tempi, prima del Grande Cambiamento, la gente viveva in gruppi familiari. Un uomo della sua età, e della sua classe sociale, avrebbe vissuto in un modo molto diverso: una moglie, dei bambini, una casa, un padre, una madre...
Quali cambiamenti erano derivati dal lieve mutamento chimico dell’aria. Una leggera alterazione dei geni, e la società si era trasformata in maniera irreversibile. Mark si era chiesto spesso come poteva essere la vita prima. Qual era il tessuto della vita, allora? Dai libri aveva appreso i fatti fondamentali: matrimonio, famiglie, divorzio, bambini che nascevano in qualsiasi periodo dell’anno e che venivano portati a casa. In quel periodo gli uomini adulti non vivevano quasi mai nei dormitori. Avevano case dove abitare, e avevano mogli che preparavano i pasti, e che loro amavano, e che badavano ai bambini.
Alcune cose sono dure a morire. Prendersi cura dei bambini, per esempio, è ancora compito delle donne. Alcune allevano bambini nel loro appartamento, a volte si tratta proprio del loro figlio. Ma la maggior parte vivono con le loro amiche nei dormitori, negli appartamenti, o nei circoli. I ragazzi crescono nei nidi d’infanzia, e poi nei convitti, insieme ad altri ragazzi della loro età. Durante i mesi delle nascite (marzo - aprile) tutti si danno da fare per festeggiare i bambini. Anche gli uomini prendono parte alle feste. In genere i marmocchi non piacciono agli uomini, però amano dare una mano nell’allevarli, insegnare a loro il baseball, o a nuotare, o qualche mestiere maschile, o li portano a fare gite, o allo zoo. Sono pochi gli uomini che si attaccano a un ragazzo. Quando succede è perché loro sanno, o credono, che si tratti del proprio figlio. Di solito è molto difficile esserne certi.
Comunque, durante la maggior parte dell’anno, l’andamento della vita, in linea generale, era identico a quello di prima del Grande Cambiamento. Almeno, Mark lo credeva. Gli uomini dormivano, si svegliavano, mangiavano, andavano in ufficio, lavoravano per tutto il giorno, e tornavano a casa. La grande differenza si verificava una volta all’anno, ecco tutto. Quando suonavano le sirene.
Quando Mark si svegliò erano quasi le nove. Si alzò sbadigliando. La vecchia Edna, la donna delle pulizie, era ferma accanto al letto, e questo gli diede fastidio. Probabilmente la sera prima lui si era dimenticato di chiudere la porta. Lei lo stava guardando, e si passava la lingua sulle labbra.
Oddio, comincia presto, pensò Mark. La spinse fuori dall’appartamento. Lei fece un gemito di delusione nel vedersi chiudere la porta in faccia. Era brutta come il peccato. Fece la doccia e si rasò il più rapidamente possibile. Si chiese se valeva la pena andare in ufficio. Le sirene non si erano ancora fatte sentire. A volte passavano giorni prima che arrivasse il momento. Le autorità erano alquanto conservatrici: suonavano il corno di caccia solo quando erano assolutamente sicure. Lanciò in aria una moneta, e decise di tentare... In ufficio aveva parecchio da fare. Sulla pelle sentiva uno strano prurito e gli girava leggermente la testa, ma pensò che doveva esserci ancora un po’ di tempo.
Edna era ancora in corridoio quando lui uscì. Lo guardò. Lui chiuse la porta e andò di corsa all’ascensore. Il traffico lungo la strada per andare in ufficio era stranamente intenso. C’era una curiosa atmosfera nell’aria. Sugli alberi non si muoveva una foglia. All’orizzonte si vedevano grosse nuvole grigie. L’aria era soffocante, umida.
Lasciò la macchina al posteggio e salì in ufficio. Non c’era nessuno. Solo la povera signorina Grimm che ciondolava nella sala dell’archivio. Lei, logicamente, era troppo vecchia per interessarsi delle sirene. Comunque l’avvisò, urlando perché era sorda come una campana, che le sirene potevano suonare da un momento all’altro. Lei, come le altre donne della sua età, avrebbe trascorso la settimana della stagione ai nidi d’infanzia, a dare una mano. Tutte le donne giovani se ne andavano, e l’intera popolazione infantile sarebbe morta di fame ogni anno se le donne coi capelli bianchi come la signorina Grimm, al suono delle sirene, non si fossero affrettate a prendersi cura di loro. Le donne anziane usavano i nidi come un rifugio contro la follia del mondo, e in compenso badavano ai cuccioli della razza umana.
Mark andò a sedersi alla scrivania e si mise a giocherellare con una matita. Non avrebbe dovuto venire, pensò. Non riusciva a concentrarsi. Non riusciva a scrivere una parola senza pensare a Daisy. L’orologio suonò le dieci. Si tolse la cravatta. Stava sudando.
Era tardi, tardi, tardi. Il corpo pulsava di desiderio. Poi la sirena suonò, con un sibilo acuto, che ebbe quasi l’effetto di un colpo fisico. Lui attraversò di corsa l’ufficio, fino alla porta. Appena fuori andò a sbattere contro Daisy.
Lei urlò, di gioia. — Lo sapevo che eri qui. Lo sapevo.
Lui la prese per la vita e la trascinò nell’ufficio del capo.
Lei parve quasi svenire per l’ansia. Aveva gli occhi vitrei, respirava affannosamente e tremava. Lui chiuse la porta alle loro spalle.
Più tardi, nel pomeriggio, fumarono una sigaretta e parlarono razionalmente della loro situazione. — Ti devo portare a casa mia —, disse lui.
Daisy ebbe un tremito. — Non possiamo restare qui?
— Moriremmo di fame —, disse lui. — Non c’è niente da mangiare. Nemmeno una scatola di biscotti. Il bar è chiuso, e la mensa pure. E dove dormiamo?
— Qui —, disse Daisy. Adesso aveva paura.
— È troppo pericoloso. Può arrivare il capo... o Jerry... o Jeff... o chiunque. Dobbiamo tentare; Da. basso ho la macchina.
Aspettarono il buio. Quando scese la notte sgusciarono fuori dall’ufficio e percorsero il corridoio. Un uomo era steso a terra accanto all’ascensore. Aveva gli abiti in disordine. Sul pavimento c’era una chiazza scura di sangue. Mandò un gemito. Loro lo ignorarono. — Scendiamo a piedi —, disse Mark. L’ascensore era troppo pericoloso. Poteva esserci nascosto dentro chiunque. Nell’atrio videro un piccolo gruppo di uomini anziani, fermi da una parte. Uno di loro si lanciò di corsa verso di loro. Era grasso, e aveva i capelli bianchi. Mark lo riconobbe. Era Gifford, un agente della Compagnia di assicurazioni che aveva gli uffici al quattordicesimo piano. — Andiamo —, disse a Daisy. Uscirono di corsa dalla porta di servizio sbattendola in faccia a Gifford.
La macchina di Mark era la sola in tutto il parcheggio. Si era dimenticato di
chiuderla, e sui sedili posteriori c’erano due giovani. Il ragazzo era magro e aveva la faccia piena di foruncoli. Non doveva avere più di quindici anni. La ragazza invece ne aveva certo qualcuno di più. Mark li tirò fuori a forza. Il ragazzo scappò. La ragazza si attaccò a Mark, ansimando. Lui la guardò in faccia, poi la fece sedere sul sedile posteriore e cominciò a spogliarsi.
Ti prego, ti prego — disse Daisy. Un gruppo di giovani maschi armati di bastoni, di coltelli, e di pietre era entrato nel parcheggio. — Ti uccideranno! — disse Daisy. Lui afferrò la ragazza per un braccio e la fece uscire dalla macchina. La banda si precipitò verso di lei, come squali attirati dal sangue.
Questo assicurò loro la salvezza: Mark partì di scatto.
Il suo appartamento non era molto lontano, ma lui fece il breve tragitto con il cuore in gola. Le luci stradali erano spente, e non c’erano in giro né autobus né taxi. Per strada, pochissime macchine. Una luna nascente, fantastica, solcava lenta il cielo come un fantasma. Raggiunta la strada guidò lentamente, con grande prudenza. Le strade non erano sicure. Bande di giovani andavano avanti e indietro, a caccia di preda, a spaccare porte, a rompere finestre, in cerca di ragazze. Per lo più la loro ricerca non avrebbe dato risultato. E i cacciatori rimasti senza preda avrebbero sofferto le torture della frustrazione, oppure si sarebbero dovuti accontentare di qualche donna vecchia, brutta, e disperata che vagava per le strade in cerca di uomini. Oppure, quando anche queste scomparivano, si sarebbero sfogati a urlare, saccheggiare e distruggere.
Mark guidò con i fari spenti. Daisy si era rannicchiata in fondo alla macchina. Le bande, se l’avessero vista, l’avrebbero strappata giù a forza, e avrebbero ucciso Mark, se avesse tentato di opporsi. I delitti, durante la stagione, erano cose normali. Al suono delle sirene i poliziotti smontavano di servizio, l’esercito si scioglieva. In seguito si poteva fare ben poco per riparare i danni. Per legge, qualsiasi violenza contro una donna non era punibile. Era così che andavano le cose al mondo. Gli altri delitti di violenza erano difficili da giudicare, per mancanza di prove. Le giurie lasciavano liberi tutti, tranne quelli che avevano commesso i delitti più efferati. Se una banda di giovani avesse ucciso Mark, chi avrebbe potuto dire se lui era morto per difendere una donna, o per la semplice sete di sangue della massa. Per lui, poi, ogni sentenza sarebbe arrivata comunque troppo tardi per essergli utile. Era una follia girare per le strade, tranne che con una banda di uomini. Molti, non c’era dubbio, erano già stesi sanguinanti ai margini delle strade, o ubriachi, a morire soli come cani rabbiosi.
— Presto, caro, presto — disse Daisy.
All’orizzonte si alzarono i bagliori di un incendio che nessuno avrebbe spento.
Raggiunsero la casa senza incidenti. Lui parcheggiò la macchina in un vicolo dietro l’edificio. Poi entrarono in silenzio dalla porta posteriore e presero la scala. Avevano otto piani da salire. Quando arrivarono al suo piano erano tutti e due esausti, e si strinsero una all’altro. Lui sentì il caldo respiro della ragazza vicino al suo orecchio.
Prese la chiave di tasca. Una mano forte gli afferrò il polso.
Jeff gli stava bloccando il passaggio.
— Cosa diavolo ci fai qui? — chiese Mark.
— Lo sai benissimo — disse Jeff.
— Dov’è Marie?
— Se n’è andata... con qualcun altro. — Jeff era più giovane di Mark, e più forte. Un ottimo atleta. Un uomo saggio avrebbe lasciato perdere Daisy. Ma così facendo, lui si sarebbe trovato costretto a scendere in strada, e unirsi alle bande. E quella era una cosa spaventosa. Gli conveniva lottare. Poi, tra l’altro, sentiva il sangue che gli si scaldava nelle vene, e provava l’istinto animale di difendere la sua compagna.
Si girarono attorno cautamente, cercando il modo di attaccare. Daisy si fece da parte e si mise a fumare nervosamente una sigaretta. A chiunque andassero le sue preferenze, lei avrebbe poi seguito il vincitore.
Doveva farlo. Il Grande Cambiamento aveva eliminato drasticamente l’amore romantico.
Jeff fece un balzo in avanti e afferrò Mark. Mark rispose all’attacco selvaggiamente, scaldando, mordendo, e dando pugni. Doveva colpire con cattiveria, e rapidamente. Era la sua unica speranza. Un pugno pesante di Jeff lo colpì in piena faccia, e dalle labbra gli uscì sangue. Lui si scansò, ansando, e fece uno sgambetto a Jeff mandandolo a terra. Jeff estrasse un coltello. Mark gli saltò addosso e gli addentò il polso, con tutta la forza. Jeff urlò. Dai braccio gli uscì sangue. il coltello cadde sul pavimento. Mark cercò di sfruttare il vantaggio e cominciò a sbattere la testa di Jeff sul pavimento. Poi gli occhi del suo avversario divennero vitrei, e il corpo si afflosciò, perse ogni forza.
Edna, la donna delle pulizie, era ferma nell’ombra, protesa in avanti, come una poiana, in attesa...
— Andiamo — disse Mark a Daisy. Lei spense la sigaretta schiacciandola con la punta del piede, e lo seguì. Jeff si mosse gemendo debolmente. Edna andò a tamponargli con uno strofinaccio la testa sanguinante. Mark prese le chiavi, aprì la porta, e spinse Daisy nell’appartamento. Si chiusero dentro. Adesso erano al sicuro. Avevano, cibo, intimità, tranquillità, e un letto comodo.
Giorni e notti passarono, in un trasporto quasi onirico. Nelle strade il panico raggiunse il culmine. Bande di gente infuriata saccheggiavano tutte le case che trovavano aperte. A Mark parve che la stagione non fosse mai stata così violenta, ne così intensa, pazza, sfrenata. Fortunatamente la serratura tenne, e le finestre erano troppo alte per essere scalate. Mark fu più soddisfatto che mai della sua intimità. Dio, la pazzia della vita di gruppo, la follia dei dormitori per uomini e donne...
Verso la metà della seconda settimana l’umore di Daisy cambiò improvvisamente. Disse di essere incinta. Disse che fare all’amore le dava il voltastomaco. Ma lui era ancora acceso come una fiamma. — Maledizione — disse, — è troppo presto per smettere. — Lei pianse, supplicò, pregò. Ma il suo corpo fremeva ancora di desiderio, e lei era in trappola. Come lui.
Passarono alcuni giorni. Una mattina si svegliò presto. Dalle finestre entrava un sole smagliante. Daisy era già sveglia, e se ne stava sdraiata sul letto a leggere una rivista. Lui l’abbracciò. Lei gli sbadigliò in faccia. Aveva la pelle umida. Lui si alzò dal letto, fece la doccia, e si vestì. Sta finendo, si disse.
Provava ancora un grande affetto per Daisy. Di tanto in tanto l’accarezzava, o le dava un bacio fraterno. Lei trovò una nuova rivista, e passò la giornata a leggerla, dalla prima pagina all’ultima. Nonostante la nausea, lei aveva molta fame. Con quello che era rimasto in casa, lui le preparò un pranzo, per festeggiare. Fece cuocere una grossa bistecca, improvvisò un’insalata, e bagnarono il tutto con una bottiglia di vino.
— Al prossimo anno — brindò lui, alzando il bicchiere.
Lei arricciò il naso. — Il prossimo anno posso decidere di andare con un altro. Tanto per cambiare.
— Lo ucciderei — disse Mark.
Però sapeva che poteva succedere. Tre anni prima lei se era andata con Jeff, a metà, e lui era andato con Marie. Il prossimo anno, chi poteva saperlo?
Ma le fatiche di quella stagione erano finite. Valeva la pena di brindare. Il vino andò loro alla testa. Risero, si fregarono i nasi uno contro l’altro, si tennero per mano, e andarono a letto presto. Il mattino, una densa nebbia entrò dalle finestre. Lui chiuse i vetri ed ebbe un brivido. Si vestirono come estranei, aspettando nervosamente il segnale. Anche il pensiero di un bacio era, adesso, disgustoso.
Alle dieci suonarono le sirene. Per consuetudine. — Posso darti un passaggio? — disse lui a Daisy. — Portami a casa — disse lei. — Devo prendere qualcosa. Poi possiamo andare in ufficio insieme. — A mezzogiorno erano tutti in ufficio. Mark cercò Jeff, e quando lo vide si strinsero la mano. La faccia di Jeff era incerottata. Aveva ancora un occhio livido.
— Mi dispiace — disse Mark.
— Lascia perdere — disse Jeff.
Il primo giorno di lavoro era sempre pesante. Il capo, come previsto, era irascibile e villano. Gli impiegati erano esausti. Alcuni si curavano le ferite. Le donne erano più o menò insonnolite.
Jeff disse: — Che ne diresti di un bridge? Questa sera a casa mia. Sei stanco?
No, per Mark andava bene.
— D’accordo — Al termine del lavoro uscirono con Daisy e con Marie. Mangiarono una pizza e bevvero vino, cantarono e giocarono a carte. Una forte pioggia batteva sui vetri, così le ragazze si fermarono a dormire, sui divani, e al mattino prepararono la colazione per tutti. La stagione era ormai soltanto un ricordo, meno reale di un sogno. Mentre mangiavano, nessuno parlò della stagione. Mangiarono e bevvero il caffé facendosi dispetti come ragazzini, poi andarono tutti in ufficio su una sola macchina. Erano stanchi ma felici, e risero di gusto per le battute che si erano detti la sera prima.
 

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