La storia è semplice solo in apparenza. In realtà Polar Express racconta un momento preciso della vita: quando inizi a dubitare, quando senti che qualcosa di importante sta cambiando dentro di te, quando credere non è più automatico. Ed è proprio questo che lo rende così potente. Non ti prende in giro con magia urlata o buoni sentimenti facili. Ti accompagna piano, nel silenzio della notte, tra neve, luci lontane e domande non dette.
Ogni volta che lo guardo sento un misto di meraviglia e malinconia. Meraviglia perché riesce ancora a farmi sentire piccola, come quando il Natale sembrava infinito. Malinconia perché mi ricorda quanto sia facile perdere quella sensazione crescendo. Polar Express non parla solo ai bambini: parla soprattutto agli adulti che fingono di non averne più bisogno.
L’atmosfera è uno dei suoi punti di forza più grandi. È fredda, notturna, sospesa. Non c’è caos, non c’è rumore inutile. C’è attesa. E quell’attesa è profondamente natalizia, più di qualsiasi decorazione o canzone allegra. È l’attesa di qualcosa che non sai spiegare, ma che senti importante.
L’animazione, spesso discussa, contribuisce a questa sensazione quasi onirica. I personaggi sembrano muoversi in un mondo che non è del tutto reale, come se fossero dentro un ricordo o un sogno d’inverno. A me questo non ha mai disturbato, anzi: rende il film diverso, riconoscibile, unico.
Polar Express è un film che non cerco per ridere, ma per sentire. È una carezza e allo stesso tempo un richiamo. Mi ricorda che crescere non dovrebbe significare chiudere tutto, ma scegliere cosa tenere con sé.
È per questo che, ogni Natale, torno sempre lì. Non per nostalgia sterile, ma per ricordarmi che credere, a volte, è un atto di coraggio.
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