Marylyn Burrows, nata Gorham, era la donna più bella del mondo. Disgraziatamente, non era per niente fotogenica, perciò una carriera di modella fotografica o di attrice del cinema sembrava da escludere. I produttori che la vedevano per le strade di Hollywood tendevano a trascinarla davanti alla macchina da presa per farle un provino prim’ancora di farle altre proposte; ma i risultati erano immancabilmente disastrosi, e così Marylyn aveva finito per diventare ai Perplexed Studios una specie di tuttofare – ricevere clienti, preparare il caffè, fungere da fattorino – perché sarebbe stato un peccato non tenere d’attorno una creatura così bella in modo che produttori, registi e dirigenti potessero avere almeno il piacere di guardarla.
Marylyn Burrows si considerava una delle donne più sfortunate del mondo, e non soltanto perché la sua bellezza era fatta in modo da non poter essere catturata dall’obiettivo e trasferita sulla pellicola. Il suo maggiore motivo di lagnanza nei confronti del destino era che, quando era venuta a lavorare negli studi della Perplexed, al principio, si era invaghita di un certo John Burrows, uno splendido cascatore, anche lui alle dipendenze della casa cinematografica. All’istante erano rimasti entrambi colpiti dagli attributi fisici dell’altro e quasi subito dopo si erano sposati. Un mese dopo Johnny era rimasto vittima di un terribile incidente.
Sembra che stessero filmando una sequenza in cui Johnny doveva lanciare un cavallo a grande velocità attraverso un passaggio a livello precedendo di pochi istanti il treno in arrivo. Naturalmente, la scena veniva filmata a velocità molto ridotta, così che, nell’apparire sullo schermo, creasse l’impressione che il pericolo corso fosse assai maggiore di quanto non era nella realtà; ciò nonostante, quando il cavallo di Johnny – aggregato da poco alle scuderie della Perplexed Studios e probabilmente non bene addestrato come doveva essere – aveva visto tutte quelle succulente margheritine lungo la rotaia tra le due sbarre da saltare e si era frenato di colpo, per dare un’occhiata, il treno in arrivo aveva scaraventato cavallo e cavaliere a una distanza spaventosa.
La cosa più grave era stata che il cavallo era atterrato su Johnny, per cui, quando erano riusciti a districare l’uomo dall’animale, il cavallo – il cui nome non è registrato – era stato mandato a far colla in uno stabilimento e Johnny si era ritrovato storpio in maniera irreparabile. Per colmo di cose la sua faccia, un tempo così bella, era adesso qualcosa da far paura a Lon Chaney.
A questo punto Marylyn aveva deciso d’essersi sposata troppo giovane, e con l’uomo meno adatto. Disgraziatamente per lei, «in salute e in malattia» comprendeva anche «in incidenti»; ed essendo l’incompatibilità qualcosa su cui bisogna essere d’accordo in due, non c’era niente che lei potesse fare per riacquistare la libertà. Johnny non voleva neppure sentir parlare di divorzio.
Per di più, Johnny Burrows era un uomo geloso. Non soltanto pretendeva di sapere in ogni momento dove fosse Marylyn, quando lei non era a casa, arrivando perfino a telefonarle allo studio durante lo ore di lavoro per avere conferma che lei era proprio là, ma aveva anche preso la pessima abitudine di frugare nella borsetta della moglie con o senza permesso, e di aprire ogni pacco con cui lei tornava a casa, sempre alla ricerca di una prova che Marylyn lo stesse ingannando. Cosa che lei avrebbe fatto volentieri se soltanto fosse stata in grado di studiare come farlo e riuscire a farla franca; ma non voleva correre il rischio che Johnny, il quale, sebbene repellente e storpio, aveva ancora mani delle dimensioni di tombini, potesse fare qualcosa di drastico a quella bellezza che era la sola cosa che le fosse rimasta.
Marylyn sapeva d’avere alcuni difetti di poca importanza; la sua memoria non era molto buona, ma fondamentalmente si considerava ricca di risorse, così quando un certo capo-tecnico del reparto effetti speciali aveva cominciato a lanciarle lunghe occhiate nella mensa degli studios, Marylyn aveva deciso di usare quella che lei, e lei sola, considerava la sua grande intelligenza, per riuscire a risolvere il suo problema. Un giorno, si avvicinò a quel tecnico, accostò una sedia e prese posto allo stesso tavolo, permettendo a lui, nel farlo, di godere una splendida panoramica della sua scollatura. Gli piantò addosso gli occhioni, battendo sapientemente le palpebre, e con molta abilità trovò il modo di attaccare discorso.
— Ieri sera, — cominciò a dire, — ho visto Missione Impossibile.
— Ah, sì? — disse il tecnico spingendo in là la tazza, ben contento d’avere un interesse in comune con quella fata. — Anch’io l’ho visto.
Questo lasciò Marylyn confusa per alcuni istanti, perché aveva inventato la scena che stava per descrivere. Ma poi, dopo una pausa, vide una via per uscire dal suo dilemma e si rallegrò con se stessa per quella conferma del suo potere cerebrale.
— Oh, — disse, — quello che ho visto io era un altro episodio, più vecchio.
— Anche quello che ho visto io.
— Voglio dire — fece Marylyn, — che era una di quelle repliche che danno la sera molto tardi. O nelle prime ore del mattino, ora non ricordo. Lo davano su una televisione privata, non ricordo quale.
— Ah! — disse il tecnico.
— Ad ogni modo — continuò Marylyn, con sollievo per essere riuscita a salvarsi, — nell’episodio che ho visto io c’era una scena dove Greg Morris prepara un certo arnese che si presenta come una borsetta da donna, soltanto che quando la borsetta viene aperta scoppia in faccia a quello che la apre. È possibile farlo davvero, un coso così?
— Tutto è possibile, in quel campo lì — assicurò con fare espansivo il tecnico, compiaciuto di poter avere quella deliziosa quanto inaspettata conversazione con la più bella donna che avesse mai visto, e anche d’essere in grado di dimostrare la propria perizia. — L’unica differenza con Missione Impossibile è che quando Peter Graves chiede a Greg Morris un arnese così complicato da sembrare uscito da un racconto di fantascienza, Greg Morris glielo prepara in pochi secondi. Se stesse facendo la stessa cosa nel nostro reparto effetti speciali, impiegherebbe settimane.
Marylyn era sgomenta. — Volete dire che occorrerebbero mesi per sistemare la mia borsa – cioè, una borsetta da donna, voglio dire – in modo che esploda in faccia a chi tenta di aprirla?
— Oh, no — disse il tecnico, tollerante verso tanta deliziosa ignoranza. — Sistemare così una borsetta è un gioco da ragazzini. Si può sistemarla in modo che faccia un botto pauroso, in modo da far prendere una paura d’inferno a quello che l’ha toccata. Uomo, donna o... o chicchessia. Come quei libri che hanno un titolo osceno e dentro c’è una trappola per i topi...
— E per qualcosa di più forte? — domandò Marylyn.
— Volete dire, perché mandi qualcosa come uno sbuffo di fumo, oltre al botto? Perché faccia paura all’impiccione e nello stesso tempo lo riduca come una specie di spazzacamino? — L’uomo abbozzò un gesto con la mano. — Oh, sì. Facilissimo. Non è un problema.
— Intendo qualcosa che lo faccia sembrare come quella macchina in Terremoto, dopo che il viadotto c’è caduto sopra, — disse con fermezza Marylyn. — Come doveva sembrare il pilota dell’aereo dopo che King Kong l’aveva fatto volar via dall’Empire State Building e precipitare in strada da un centinaio di piani d’altezza. Qualcosa di simile. Si può fare?
— Sì, per potere si può, — disse in tono dubbioso il tecnico. — Ma...
— E quanto tempo ci vuole per sistemare la mia borsa – sì, dico, una borsa – come intendo io?
— Il problema non sta nel tempo, — disse il tecnico in tono preoccupato. — Sta, semmai, nella dinamite...
Marylyn lo gratificò della sua occhiata più accattivante; il tecnico si sentiva addirittura stordito dal desiderio. — Sono sicura che potete farlo, — gli disse con voce roca. — Un uomo della vostra posizione, e del vostro talento... E io ve ne sarei molto grata. Moltissimo.
Il tecnico deglutì. — Davvero volete che vi monti una borsa con della dinamite? Dinamite?
— C’è qualcosa di più forte? — domandò Marylyn.
— Certo, ma sarebbe ancora più difficile procurarsela, e soprattutto spiegare l’uso che se ne vuol fare.
Marylyn sospirò, facendo il sacrificio. — Allora penso che dovremo accontentarci della dinamite. — Rifletté un istante. — Ma sarà meglio usare due candelotti, invece di uno solo.
Il tecnico la fissava in confuso silenzio, la mente incapace di reagire a qualsiasi cosa che non fosse quell’eccezionale bellezza. Marylyn gli fece scorrere lievemente l’unghia sul dorso della mano. Lui si sentì fremere da capo a piedi.
— E quanto tempo ci vorrà? — domandò lei, con voce morbida, carezzevole.
— Come?
— Dicevo, quanto tempo ci vorrà per sistemare così una borsetta, con un paio di candelotti di dinamite? — domandò Marylyn, cercando di tener fuori dalla voce la nota d’acciaio.
— Oh, scusate. Stavo pensando a un’altra cosa — disse il tecnico, ritornando sulla terra. — Ci vorrà un’ora, più o meno. Prima dovrò procurarmi una borsa, s’intende.
— Perché non usate la mia? — propose Marylyn, servizievole. — Verrò a riprenderla tra un’oretta, intesi? — Si alzò, gli regalò un sorriso molto promettente e lasciò il bar della mensa, facendo ondeggiare gli splendidi fianchi in modo appropriato.
Quella sera, mentre faceva ritorno a casa, Marylyn Burrows nata Gorham aveva una quantità di cose alle quali pensare. La sua borsetta, resa più pesante da un paio di candelotti di dinamite e da un detonatore fissato alla cerniera, mentre lei guidava era posata sul sedile accanto.
Per prima cosa avrebbe ripreso il suo nome da ragazza, Gorham; doveva cambiare lavoro; meglio non dire a nessuno, naturalmente, d’essere stata sposata con Johnny Burrows. Con una memoria che era quello che era, poteva star certa che lei stessa, in breve tempo, avrebbe dimenticato quel matrimonio nato sotto una cattiva stella, specie poi quando non se lo sarebbe sentito rammentare ogni giorno dalla povera creatura storpia che un tempo era stata il bel Johnny Burrows.
Senza Johnny, la vita sarebbe stata tutt’altra cosa! Vi sarebbero stati altri uomini, molti uomini, di successo, begli uomini da poter anche sposare. Levato Johnny di mezzo, lei avrebbe potuto usare la sua bellezza e il suo cervello in un modo diverso, come non sarebbe stato possibile alla Marylyn più giovane, più ingenua, meno esperta e meno ricca di risorse.
Sospirò e fermò la macchina nel vialetto d’entrata ormai buio. C’era la luce accesa, nel soggiorno. Attraverso le tendine che velavano l’ampia finestra, poteva vedere l’ombra di Johnny seduto in poltrona con la lampada accesa proprio alle spalle. Povero Johnny, pensò improvvisamente. Avevamo passato momenti belli prima dell’incidente, sebbene non possa dire di ricordarne qualcuno in particolare. Ma se soltanto Johnny fosse come la sua ombra, invece di come appare nella realtà, con quel corpo mutilato e storpiato e quella faccia orrenda! Se non altro, pensò con un’improvvisa ondata di tenerezza, lasciamo che mi veda un’ultima volta bella come sono! Farò un ingresso trionfale!
E allungò la mano verso la borsetta e la chiave di casa...
Nessun commento:
Posta un commento