Qualunque studente del ventesimo secolo potrebbe affermare che l’Olocausto fu uno dei capitoli più oscuri della storia moderna. Nonostante ciò, all’interno di quell’incubo, ci furono momenti di grande umanità e di compassione estremamente confortanti.
Nell’agosto del 1942 mia madre, Fania Pastz, era una delle poche sopravvissute del ghetto di Lutsk, in Polonia. Era una ragazza giovane, di non ancora vent’anni, quando la sua vita venne salvata da virtuosi cristiani che l’uno dopo l’altro incontrò sulla sua strada. Nessuno potrebbe dire perché lei venne risparmiata mentre i suoi genitori, i suoi fratelli e gli altri membri della sua famiglia furono uccisi così brutalmente. Più di una volta dei cristiani evangelici, contadini e abitanti delle campagne, arrivarono proprio al momento giusto per nasconderla in una soffitta, in una cantina o in un pollaio.
Il miracolo di Natale di mia madre iniziò il 19 agosto del 1942, quando un contadino ucraino arrivò nel ghetto e propose un piano per nascondere in città la famiglia di mia madre. Non volendo mettere in pericolo l’intera famiglia con un piano rischioso, mia madre strappò la gialla stella di David che era obbligata a portare cucita sugli abiti, si coprì il capo con uno scialle e, lasciando i propri cari, uscì insieme al contadino per provare la via di fuga. La fortuna li accompagnò e lei riuscì a sgattaiolare fuori dal ghetto senza che né i poliziotti ucraini, stranamente presenti in grande numero, né i soldati tedeschi, raccolti ai confini del ghetto, la fermassero. Il piano prevedeva di ritornare la mattina successiva per far uscire l’intera famiglia. Tuttavia, quando mia madre l’indomani cercò di avvicinarsi al ghetto, venne fermata da un poliziotto ucraino. Credendo che fosse cristiana e non ebrea le consigliò di stare lontana da quella zona. “È circondata a causa di ragioni politiche”.
Gli ebrei avevano vissuto a Lutsk fin dal decimo secolo e la loro fortuna era cresciuta insieme a quella della città che era divenuta, a metà del sedicesimo secolo, un importante centro economico e politico. Ma la mattina del 20 agosto, il giorno in cui mia madre rimase fuori dal ghetto, venne dato un ordine che pose fine a tutto ciò in maniera definitiva. Durante i due giorni successivi, i diciassettemila ebrei del ghetto di Lutsk vennero deportati sulla collina di Polanka, ai margini della città, vennero gettati vivi in un fossato e fucilati. Nessuno degli ebrei che venne trovato nel ghetto potè sottrarsi a quella fine atroce.
La coraggiosa spedizione di mia madre fuori dal ghetto l’aveva salvata. Avendo perduto tutto e tutti, stordita per quanto era accaduto, cercò aiuto presso il contadino che l’aveva guidata e passò i due mesi seguenti nascosta nella canna fumaria del grande forno che si trovava fuori dalla casa.
Ma il 24 dicembre del 1942, la fortuna di Fania Pastz sembrò abbandonarla. Il contadino ucraino che le aveva salvato la vita cominciò a temere che se avesse continuato a darle rifugio, lui stesso si sarebbe trovato in grave pericolo e le chiese di lasciare la sua casa. Mia madre vagò per le sporche strade di campagna, tremando dal freddo nel suo abitino di cotone. La notte stava calando e lei sapeva che la sua vita era prossima alla fine. Riconoscendo la casa padronale del guardiano della contea, ne imboccò il viale d’ingresso. I cani del guardiano l’assalirono, strappandole il vestito e mordendola. Il guardiano, sentendo il latrare dei cani, arrivò impugnando il suo fucile.
“Per favore uccidimi”, implorò mia madre. “Aiutami a seguire la sorte della mia famiglia”.
“Non posso ucciderti questa notte”, rispose l’ufficiale. La fece entrare, divise con lei il cibo della cena della vigilia di Natale, le diede un nuovo abito e un posto per dormire. La mattina dopo, temendo che avrebbe potuto lui stesso essere ucciso per aver salvato un’ebrea, la portò in città e l’affidò a un’altra famiglia cristiana perché la nascondesse. Altri tre cristiani miracolosamente comparvero durante la guerra e le salvarono la vita fino al giorno in cui scese da un solaio durante la liberazione di Lutsk da parte dell’esercito russo nel 1944. Era una dei pochi ebrei ancora vivi in città.
Solo a distanza di molti anni io imparai il detto polacco che recita: “Alla vigilia di Natale anche un gatto randagio ha diritto di vivere”. Il 24 dicembre del 1942 mia madre aveva vissuto come un gatto randagio nella campagna polacca. In quel preciso momento Dio deve aver operato in modo che la vigilia di Natale le salvasse la vita. Sono orgoglioso delle mie origini ebree e del fatto di essere un rabbino, ma non scorderò mai che il Natale ha salvato la vita di mia madre. Buon Natale a tutti voi, da un rabbino pieno di gratitudine.
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