Cara Frequenza, siamo un gruppo di ergastolani appena trasferiti nel pianeta penitenziarioH 2124, detto il “pianeta senza sbarre”, dove sono in uso i nuovi sistemiumanitari. Molti di noi, che abbiamo già passato degli anni in fondo ai pozzi di Venere,o nelle cosmogalere cellulari che ruotano intorno a Vega, o anche negli antichissimipenitenziari terrestri della barisfera, eravamo felici di venire qui: dove ciavevano promesso che non saremmo stati rinchiusi né guardati a vista, ma avremmogoduto di ogni libertà di circolare a nostro piacimento per tutto il pianeta.Ed è vero: saremo liberi di circolare a nostro piacimento! Ma...Stamattina, quando siamo arrivati qui dopo tre anni di viaggio in razzomerci, ilDirettore del Trasporto ci ha spiegato come funziona, più o meno; questo nuovo sistemaumanitario. «Non crediate» ci ha detto con brutale franchezza, «che si tratti davverodi ragioni sentimentali e umanitarie. Gli orrendi delitti che vi hanno escluso persempre dalla società umana, vi escludono anche da ogni pietà. Le ragioni per cui viabbandoniamo a voi stessi, senza sorveglianza di nessuna specie, su questo pianetarelativamente comodo e confortevole, sono di natura esclusivamente economica: ecioè, appunto, per potere abolire del tutto il personale di sorveglianza. Domani vicalèremo a terra, il Trasporto ripartirà, e tanti saluti. Fino a domani, resterete ancora adisposizione del personale tecnico».centinaia di metri sotto di noi. Si vedeva una campagna verde, alberi, e qua e là deivillaggi di capanne costruiti dagli ergastolani. Su uno spiazzo, al centro del gruppo dicapanne più vicino, c’era gente che agitava le braccia verso di noi.— Evviva! — abbiamo gridato da dietro gli oblò, sventolando i fazzoletti perrispondere a quei saluti.Ed abbiamo cominciato, naturalmente, a fare progetti.— Io — diceva uno che veniva dai Pozzi di Venere, — mi farò una capanna suquella collina laggiù...— Macché capanna! — diceva un ex tecnico dell’Immobiliare Intergalattica. — Iomi costruirò un bel villino a due piani! Chi si mette in società con me?— Io, io! — hanno risposto da tutte le parti. — Altro che quelle capanne lì! Costruiremouna città... Faremo palazzi con l’ascensore... Fabbricheremo automobili... Ela radio... E la televisione... E...— E una astronave! — ha detto tutt’ad un tratto qualcuno.— E una astronave! — abbiamo gridato tutti. — Un’astronave!Poi ci siamo guardati l’uno con l’altro e siamo ammutoliti, guardando verso leporte dello stanzone. Qualcuno ha cominciato a fischiettare, per darsi un contegno.Ma negli occhi di tutti s’era accesa una nuova speranza: con tanti ex tecnici di ognispecialità che ci sono tra noi, con tanti altri che ce ne saranno laggiù, con tutto iltempo, tutta la libertà per lavorare, con le risorse minerarie di tutto un pianeta adisposizione...— Un’astronave... un’astronave... — si ricominciava a sussurrare.Ma io guardavo di nuovo il pianeta, attraverso gli oblò, e c’era qualcosa che nonmi convinceva. Quei gesti che facevano gli ergastolani raccolti laggiù, sullo spiazzotra le capanne, sembravano più di disperazione che di saluto: allargavano le braccia ole tendevano in alto, come per mostrare qualche cosa che noi da così distante, nonpotevano vedere, e in quei gesti c’era una stranezza indefinibile, qualcosa che avevosotto gli occhi eppure non mi riusciva di afferrare: qualcosa, cominciavo a pensare, diterribilmente sinistro... E poi quelle capanne: rudimentali ammassi di frasche. Eppure,non distante dal villaggio, si vedeva il greto pietroso d’un torrente. Possibile che nonriuscisse nemmeno a costruirsi delle case di sassi, quella gente che secondo noiavrebbe potuto fabbricare un’astronave?Stavo per comunicare queste riflessioni ai miei compagni, quando una porta dellostanzone s’è aperta, ed è entrato uno del personale tecnico, un infermiere, per annunciarciche chi voleva scrivere alla famiglia doveva farlo subito. Poi ha detto qualchealtra cosa all’orecchio del capostanza, e se n’è andato.— Che cosa ha detto? Che cosa ha detto? — abbiamo chiesto tutti.Il capostanza era pallido e non voleva rispondere. Ha ripetuto che chi volevascrivere alla famiglia, doveva farlo subito. Entro un’ora.— Va bene — ho detto io. — Possiamo scrivere subito. Ma perché tanta fretta? Lelettere, immagino, le riporteranno indietro col Trasporto. Ed il direttore non ha dettoche resteremo qui fino a domani?— Già — ha risposto il capostanza con una voce che appena si sentiva. — Ma hadetto anche che fino a domani restiamo a disposizione del personale tecnico... E ci hadetto che è per via del... Per via del vaccino, credo.Gli altri si sono accontentati di questa spiegazione, e si sono messi a scrivere allefamiglie. Io non ho famiglia, e mi sono messo a pensare. Sono tornato agli oblò e hoguardato meglio in basso. Poi sono andato dal capostanza, che stava scrivendo (manon riusciva a tracciare una parola, tanto gli tremava il polso), e gli ho chiesto pianoqualcosa. M’ha guardato e ha fatto lentamente segno di sì; s’è rimesso a tentare discrivere.Io, come ho detto, non ho famiglia, e perciò scrivo a te, cara Frequenza N. Nonchiedo aiuto per noi, perché ormai è troppo tardi. Ti chiedo solo di far presente in altoloco (mi pare che si dica così) che noi ergastolani preferiremmo la più angusta dellecelle, la più stretta delle sorveglianze, alla sorte che ci hanno riservato in questo pianeta“umanitario”! In questo pianeta “senza sbarre”! Sì, è vero: il Direttore ha dettoche è una questione di economia, non di umanità. Ma è possibile che ogni sentimentodi umanità debba perdersi, con noi ergastolani, fino a questo punto? Io non so... Mimancano le parole per dire quello che sento. E del resto, il tempo che ci hanno concessoper scrivere sta per scadere... Tra poco, non potrò più scrivere né a te né anessun altro, mai più... Tra poco, ci taglieranno le mani.
venerdì 25 aprile 2025
Miyoshi Ryuko: Pianeta penitenziario
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