lunedì 14 aprile 2025

Janet Graham: L’uomo ombra



— Che cos’è?
Virginia, si trattenne a stento dal mandare un grido quando qualcosa di grosso e di peloso arrivò dal giardino e svolazzò attraverso il portico buio, sfiorandole i capelli argentei.
— Soltanto una falena, mamma... non agitarti in quel modo, — disse Debbie, dondolandosi languidamente nella sua amaca. — Sono molto grandi in questo paese. — L’insetto si era posato sul muro imbiancato a calce; era grosso quasi quanto una fondina per la minestra.
Virginia pensò che tutto era di una grossezza indecente, in quel tropicale paesaggio venezuelano: steli d’erba taglienti come rasoi e più alti di una persona, grossi avvoltoi neri che facevano continuamente la ruota su in alto, processioni di grandi e maligne formiche rosse. Rabbrividì, nel ricordare le formiche: il giorno innanzi, era stata presente mentre un inesorabile esercito di quei mostri convergeva su un coniglietto, lo pungeva a morte e lo trascinava via.
Soltanto la gioia di rivedere dopo due anni sua figlia Debbie aiutava Virginia a vincere il forte senso di ripugnanza per la sudicia cittadina tropicale, per il caldo soffocante, gli insetti onnipresenti, i conducenti folli, i serpenti sempre in agguato. E c’erano altri pericoli: lei era la moglie di un ricco dirigente dell’industria automobilistica e, prima della sua partenza per il Sud America, gli amici l’avevano scherzosamente avvertita: — Attenta a non farti rapire, Virginia!
Ma già, anche quando stava a New York, temeva continuamente di essere rapinata. Graziosa e sicura di sé in giovinezza, scopriva che, insieme a una magrezza angolosa, la mezz’età le aveva portato uno sconcertante senso di insicurezza, l’aveva resa nervosa, insonne, pronta a trasalire per un nonnulla. Suo marito Leo l’aveva incoraggiata a fare quel viaggio per rivedere Debbie:
— Ti farà bene, — le aveva assicurato. — Sono molto rilassanti, quei paesi dove si dice sempre: mañana.
Più che mai nervosa, raramente Virginia usciva di casa da sola, preferendo aspettare che Debbie avesse dato l’ultima lezione di inglese della giornata e accompagnato alla porta i suoi allievi. Per tutta la mattina Virginia sedeva nel portico, ascoltando le grida rauche del pappagallo della casa accanto, il tonfo dei manghi sul tetto che ogni volta le provocava un sussulto, i ritmi insistenti di chitarre e maracas trasmessi da una radio, in d’istanza; e, nell’interno della casa, la voce di Debbie che ripeteva lentamente frasi in inglese: — Come stai? Sto bene, grazie. Come ti chiami? Mi chiamo José.
Poi, nel pomeriggio, loro due passeggiavano insieme per le strade torride e costellate di buche, chiacchierando, chiacchierando, chiacchierando, per esaurire la cronaca di due anni di avvenimenti familiari: la parlantina allegra e divertente di Debbie, il suo inglese che non veniva usato quasi mai se non durante le ore di lezione, spumeggiavano come un torrente troppo a lungo arginato. Parlavano del padre di Debbie, ormai prossimo alla pensione; del fratello minore di Debbie, che faceva l’ultimo anno di università e si sarebbe laureato in lettere, come lei; e delle amiche di Debbie (quasi tutte tranquillamente sposate, pensava con invidia Virginia).
Fu nel capannone del mercato coperto che lei notò per la prima volta l’indio dagli occhi strabici. Le seguiva, e le suole di corda intrecciata dei suoi sandali facevano uno strano fruscio sull’impiantito di cemento. Virginia si girò bruscamente e lo fissò, accigliata; l’indio si allontanò, a occhi bassi, e lei, occupata a indagare tra spezie dagli odori pungenti, non ci pensò più.
Ma dieci minuti più tardi, riflesso in uno specchio appeso a una bancarella che vendeva prodotti d’artigianato, lo rivide, intento a osservarle, ad ascoltarle, a seguirle. Un borsaiolo? Un rapitore? Si sforzò di scacciare quei pensieri, dandosi dell’isterica; probabilmente l’indio seguiva Debbie, colpito dalla splendida chioma bionda e dalla risata fresca della giovane. — Chi è quell’uomo, cara, lo conosci? — le domandò. — Quello alto e strabico, con la camicia un po’ lacera, fermo vicino alla bancarella del pesce affumicato. — Debbie guardò nella direzione indicata e alzò le spalle.
— Bene, preferirei che la smettesse di seguirci. Dev’essersi incapricciato di te. — Virginia riportò l’attenzione sul vasellame, ma tutto era rozzo e di cattivo gusto, e il vaso da fiori, che alla fine comperò per Debbie, perdeva. Se ne accorsero a casa, quando lo riempirono d’acqua.
Perfino di notte il caldo era insopportabile, e durava fino alle prime ore del mattino, fastidioso e affaticante. Debbie le aveva prestato un ventilatore elettrico, che frusciava maledettamente nel ruotar di qua e di là, smuovendo l’aria senza realmente rinfrescarla. Una notte in cui si era finalmente addormentata, Virginia venne svegliata di soprassalto da un terrificante martellare di colpi sulle porte e sulle finestre. Ma era soltanto una violenta tempesta tropicale, un’artiglieria di pesanti gocce di pioggia che scrosciava sul tetto. Per il resto, raramente le riusciva di chiudere occhio, e rimaneva sveglia a grattarsi le punture di zanzara fino a che alcune si infettarono e fu necessario curarle.
L’indio doveva averle seguite di nuovo quando si recarono a piedi alla clinica, dall’altro lato della città. Proprio mentre salivano i gradini esterni, Virginia l’aveva visto sgattaiolare oltre l’angolo e nascondersi nella viuzza laterale. Fortunatamente, il dottore parlava l’inglese. — Sapete per caso chi sia quell’individuo, fermo là? — gli domandò lei, indicando dalla finestra, con il cuore in tumulto.
— Credo che sia uno dei ragazzi Rodríguez, — rispose il dottore. — Sono una famiglia numerosa, abitano in uno dei quartieri più poveri. Disoccupato, naturalmente, più o meno come tutti, da quelle parti. Suo fratello è un bravissimo 
chitarrista, e l’anno scorso è partito per gli Stati Uniti, per suonare musica popolare venezuelana in un night.
Ora che aveva un nome, lo sconosciuto non era più una presenza tanto minacciosa. Ma lei se lo sentiva sempre d’attorno e non riusciva a ignorarlo quando si accorgeva che le stava seguendo, trascinando i sandali, durante le loro passeggiate quotidiane; e sebbene Debbie se la ridesse di tutti i suoi discorsi di rapitori e di guerriglieri, lei rimaneva guardinga, vigile, con i nervi tesi, specialmente quando le capitava di uscire sola.
Un giorno in cui Virginia stava per attraversare una larga strada deserta, una grossa macchina si avvicinò e si fermò con una brusca frenata a pochi passi da lei. Attraverso il finestrino laterale, Virginia vide brillare gli occhiali scuri del conducente. Quando l’uomo spalancò lo sportello, lei mandò un’involontaria esclamazione di paura, ma un istante dopo già si rendeva conto che si trattava del dottore, che si era fermato per accompagnarla a casa.
Durante il sabato e la domenica, lei e Debbie noleggiavano un’auto e si portavano fuori città, seguendo una strada in terra battuta pullulante di bruni marmocchi scalzi, di maiali, di polli e di somari sovraccarichi. Andavano a fare il bagno in un posticino che piaceva tanto a Debbie: un fiume non tanto profondo sulle cui rive cresceva una folta vegetazione tropicale di alte palme, di liane e di strani fiori d’un rosso scarlatto. Le scimmie facevano versi tra i rami degli alberi; uccelli neri e gialli roteavano in alto e scendevano a posarsi a tuffo dentro strani nidi pendenti; farfalle di un azzurro iridescente, incredibile, svolazzavano lungo le rive.
Debbie le aveva assicurato che il fiume non nascondeva alcun pericolo, e che si poteva tranquillamente entrare in acqua e nuotare: niente alligatori, soltanto dei piccoli babas che non avrebbero fatto loro alcun male. Inoltre, a differenza di molti fiumi venezuelani, lì erano completamente assenti i mortali piraña, capaci di divorare vivo un barcaiolo caduto in acqua prima che i compagni avessero il tempo di issarlo di nuovo sulla canoa.
— Brrr, — aveva commentato Virginia, domandandosi per l’ennesima volta come la sua cara figliola sopportasse di vivere in posti del genere.
— Sei proprio sicura che non ci sia pericolo? — domandò quel giorno Virginia, sempre dubbiosa, tuffando soltanto un piede nell’acqua limpida e guardando uno sciame di minuscoli pesci dalla coda rossa passare a poca distanza. Come si faceva a distinguere un piraña? E da che cosa si riconosceva un rapitore? Ma, una volta in acqua, era davvero una meraviglia: un senso di freschezza, la pelle accarezzata dalla corrente, i piedi stanchi accarezzati dai levigatissimi sassi. Mentre galleggiava sul dorso, Virginia si sentiva rilassare i nervi per la prima volta da settimane, mesi, forse da anni.
Mentre Debbie nuotava, capelli biondi lucenti nel sole, Virginia udì un rumore di rami smossi tra la vegetazione lungo la riva. — C’è qualcuno, là! — gridò.
— Sarà qualche animale, — disse Debbie, — o forse un giaguaro, — aggiunse, prendendo in giro la madre.
Ma quando Virginia, ancora mezzo-abbagliata dalla luce, guardò nell’ombra della vegetazione, scrutando ben bene tra l’intrico dei tronchi e dei rami, credette di scorgere una faccia bruna che la fissava, intenta. Tremando, si mise a nuotare e si
portò vicino a Debbie. — Ci ha seguite di nuovo — le disse. — Come avrà fatto ad arrivare fin qui?
— Mah, ci saranno degli autobus, immagino, — rispose con indifferenza Debbie, per niente preoccupata. Ma Virginia non vedeva l’ora di tornare a casa.
Il giorno dopo scrisse una lettera al marito, fingendosi più allegra di come in realtà si sentiva. — Debbie sembra felice, qui: ha una quantità di allievi, più di quanti ne vorrebbe, si può dire. Ne ha perfino in lista d’attesa, e si che si fa pagare 7 dollari all’ora! Guadagna abbastanza per vivere e ha una quantità di amici. Qui, alle feste, suonano musica meravigliosa. C’è un dottore, poi, che è simpaticissimo e bravo, e lo spagnolo di Debbie è fantastico. Perfino il mio sta migliorando.
Era vero, Virginia cominciava a esprimersi correntemente in spagnolo. Ogni giorno acquistava un quotidiano locale e la sera, a letto, lo leggeva da cima a fondo prima di spegnere la luce, mentre il ventilatore faceva svolazzare gli angoli delle pagine. Ma ciò che leggeva non era incoraggiante: terremoti, disastri aerei, furti, contrabbando di stupefacenti. E quella settimana il rapimento di un ricco agricoltore, e proprio in una città vicina. (Lei allora non aveva affatto torto di preoccuparsi). La polizia aveva fermato alcune persone, tanto per far vedere che si dava da fare, ma prove non ce n’erano, e i fermati erano stati rimessi in libertà. Virginia sospirò, lasciò cadere il giornale sul pavimento, spense la lampadina accanto al letto ed ebbe un altro del soliti incubi notturni.
Il giorno dopo lei e Debbie andarono al mercato per comperare un paio di amache di riserva: Debbie aveva invitato una coppia di amici a soggiornare da lei: due francesi che insegnavano nella città universitaria, su nella zona montana. In quel clima, le stanze per gli ospiti non rappresentavano un problema: bastava inchiodare qualche altra amaca sotto il portico; gli ospiti sarebbero arrivati con chitarre, spazzolini da denti e una cassa di birra.
Al mercato, Virginia guardò ansiosamente verso la bancarella del pesce, ma l’indio non c’era. Lei e Debbie si aggirarono tra i banchi di merce esposta, chiacchierando e stringendo tra le braccia le grosse amache a rigoni vivaci, poi entrarono in un caffè a bere un bel bicchierone di delizioso patilla, succo d’anguria ben ghiacciato. Mentre si alzavano per andarsene, Virginia si voltò e vide che il giovane era al tavolo accanto. Fissava loro due e, vedendosi scoperto, abbassò subito la testa.
Quando, a casa, si accinsero ad appendere le amache sotto il portico, scoprirono che non c’erano chiodi a sufficienza, nelle solide travature. Virginia tentò di raddrizzarne uno storto con il tacco di un sandaletto estivo, ma era un’impresa disperata. — Converrà che andiamo a comprare un grosso martello e dei chiodi adatti, — disse a Debbie. — Non vorrai che i tuoi ospiti si ritrovino in terra con tutta l’amaca, ti pare?
— Accipicchia, ho detto che dalle sei in poi sarei rimasta in casa ad aspettarli, — le spiegò Debbie. — Che dici, potrai cavartela da sola? Il martello si chiama martillo, i chiodi clavos, e il negozio di ferramenta è nella piazza principale, subito al di là del mercato. Passato l’ufficio postale, si volta a sinistra.
Virginia comperò l’occorrente, si fermò anche ad acquistare del francobolli e, nel cestino della carta, all’ufficio postale, trovò un tesoro inaspettato: una copia del New York Times di una settimana prima. Che cosa mai ci faceva quel giornale in quel luogo remoto, visto che lei e Debbie erano senza dubbio le sole americane del circondario? Forse, era stato abbandonato là da qualche studente universitario in vacanza.
Virginia aveva percorso meno di un chilometro di strada, ma il caldo torrido l’aveva sfinita; ancora un po’ intontita dalla notte inquieta e piena di brutti sogni che aveva passato, con la testa che le ronzava e il sudore che le colava lungo la persona, inciampò in una pietra smossa e cadde. Martello e chiodi erano stati incartati alla meglio, e si sparpagliarono sulla polvere del marciapiede. Lei li raccolse, furibonda perché non c’era niente che venisse fatto come si doveva, in quel paese.
Era irritata al di là di ogni dire contro quella mentalità del rimandare tutto a mañana, contro il continuo furto di pacchi postali (metà di quelli che lei aveva spedito a Debbie non erano arrivati), contro l’anarchico modo di guidare, le strade malconce, l’arroganza ben protetta dei ricchi e l’amaro disfattismo dei poveri. Cominciava ad odiare quella gente (che per la maggior parte odiava gli americani e lo faceva capire chiaramente).
Ancora furente, si diresse con il prezioso giornale fino nell’ombrosa Plaza Bolívar e sedette su una panchina in un angolo tranquillo, sotto una palma.
Dopo una decina di minuti, le sembrò di avvertire la presenza di qualcuno. Si girò di scatto, e vide l’indio fermo dietro di lei, che la fissava, con una sorta di amaro desiderio. Strinse con forza la borsetta, pensando ai suoi travellers cheques. — Che cosa volete? — urlò, L’indio stava là, silenzioso, e lei cercò di ricordare qualche parola dl spagnolo.
— Perché mi seguite? — gli gridò. — Por que me esta perseguendo? — Gli occhi gli balenarono, allora, e prese a farsi avanti. Con il cuore che le martellava, in un parossismo di furore e di paura, lei prese il martello dal cartoccio fatto alla meglio e lo scagliò. L’indio venne preso in pieno ad una tempia.
Una folla, sbucata da chissà dove, si raccolse là intorno in pochi istanti, urlante e gesticolante, mentre Virginia gridava, fuori di sé, e un agente di polizia si faceva largo verso il ferito. Uh filo dl sangue colava dalla bocca del giovane indio, steso a terra, che stava mormorando qualcosa. — Che cosa dice? — urlò Virginia al poliziotto, e si chinò sul corpo accasciato al suolo per captare qualcuno di quei suoni ansimanti.
— Quise... aprender... Inglès, — mormorava il giovanotto. — Volevo soltanto... ascoltare... imparare inglese... per andare da mio fratello.
Lei ricadde a sedere sulla panchina, singhiozzando. La folla si faceva sempre più rumorosa e più infuriata, Il mormorio di sgomento cresceva, trasformandosi in un vociare minaccioso. Arrivavano un’ambulanza e due auto della polizia, facendo gemere le loro sirene come fantasmi annunciatori di morte.
Lei aveva tentato di mettere fine ad un incubo. Ora sapeva che l’incubo era appena cominciato.


 

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