venerdì 18 aprile 2025

James Gunn: L'omino di panpepato



La trasformazione di Andrew Martin cominciò il 4 di luglio del 2076. Sarebbe anche potuta non avvenire per niente, se Andrew non avesse iniziato a porsi delle domande sullo scopo dell'esistenza. «Lo scopo della vita» borbottava immerso in una profonda introspezione «è evitare il dolore.»
In realtà stava pensando al dolore inflitto alla psiche dagli altri e a quanto sarebbe stato meglio non far caso a quel che dicevano o facevano o, ancor meglio, non averci a che fare per niente. Comunque, come tante cose nella vita, cominciò per caso. A dire il vero, fu la rarità delle rarità, un incidente di macchina. Con le strade automatizzate e i comandi controllati dai computer, un'auto si poteva scontrare con un'altra, o con un oggetto immobile, solo in caso di guasto totale, e persino i guasti erano programmati in modo da assicurare la massima sicurezza. Nel caso di Andrew, però, un microprocessore andò in panne in uno snodo critico, mandando in corto gli ingranaggi sterzanti e le misure di sicurezza, e facendo sì che il veicolo si scagliasse verso e sotto il sedere di un autoarticolato a guida computerizzata.
Certo, l'airbag avvolse Andrew in un abbraccio da innamorata, ma non riuscì a proteggergli del tutto le gambe, e il piede sinistro fu maciullato oltre ogni possibilità di ripristino. Il computer dell'automobile, dopo aver fatto cilecca nella sua incombenza fondamentale, avvertì con fulminea pignoleria lo stato di salute di Andrew, avvolse un laccio attorno alla gamba, iniettandovi poi un antidolorifico e un sedativo, e chiamò un'ambulanza, che arrivò con gran fragor di pale ancor prima che il bracciale emostatico necessitasse di rimozione.
Andrew riaprì gli occhi sullo sterile candore di un soffitto d'ospedale. Sulla parete di sinistra una finestra si apriva su un prato soleggiato pieno di fiorellini di campo rossi, gialli e azzurri. Nel mezzo gorgogliava un torrentello. Oltre il prato si stagliava una foresta verdeggiante che arrivava in lontananza fino ai picchi azzurri delle montagne ricoperte di neve.
«Cos'è successo?» chiese Andrew.
«Lei si trova nell'ospedale regionale cinque sette due» rispose il computer con voce femminile gentile e coscienziosa. «È stato coinvolto in un incidente automobilistico...»
«Un incidente di macchina!» l'interruppe Andrew.
«Un incidente automobilistico» ripeté il computer. «Il suo piede sinistro è stato schiacciato. L'abbiamo rimpiazzato con una protesi effe due uno otto tre. Riesce a muovere le dita del piede sinistro?»
Eccome se si sentiva di muovere le dita del piede sinistro. Andrew fece scivolare la gamba da sotto la leggera coperta termica, sollevandola per un'ispezione. Sopra la caviglia l'arto evidenziava qualche livido, ma per il resto la gamba, piede compreso, non appariva cambiata. Riusciva benissimo a muovere le dita, senza dolore alcuno. «Sei sicura che sia il piede sinistro?»
«Non commettiamo mai errori» rispose accondiscendente il computer. «Riesce a stare in piedi sul rimpiazzo?»
Andrew gettò le gambe oltre il bordo del letto per alzarsi in piedi sul tiepido pavimento elastico. Al polpaccio sinistro provava un residuo di dolenzia, e un minimo di rigidità alla schiena e al collo, però il piede sinistro stava benone. Anzi, più che benone. Non soltanto aveva una sensazione più vivida della temperatura del pavimento nel piede sinistro che nel destro, ma percepiva le minime intaccature che il tallone e l'avampiede e le dita lasciavano sul rivestimento del piancito. Inoltre provava al piede una sensazione di benessere a cui non era abituato, quasi un'energia in attesa di essere liberata. Si sollevò sulla punta dei piedi, provando una momentanea vergogna quando il destro non riuscì a eseguire il movimento altrettanto bene.
«Noto che il piede funziona» disse il computer.
«Già» rispose Andrew.
«C'è una richiesta di informazioni sul suo stato di salute, se è disponibile a riceverla.»
«Chi l'ha fatta?» chiese Andrew, domandandosi se fosse Jennifer e forse anche sperando che si trattasse di lei. Però Jennifer aveva affermato di non voler più rivederlo, e Andrew stava appunto tornando da quella scenata d'addio quando era avvenuto l'incidente, quasi che il microprocessore avesse condiviso il suo marasma cerebrale.
«Una signora Martin» replicò il computer.
«Ma non sono sposato.»
«È stata identificata come la sua madre biologica.»
«Accetto la domanda, naturalmente» decise Andrew, anche se si stava chiedendo perché mai sua madre lo venisse a cercare proprio adesso, dopo vent'anni. Non avevano litigato, come era successo con Jennifer. Semplicemente s'erano allontanati poco per volta fino a quando non avevano più avuto niente da spartire.
Il quadrato sulla parete sinistra, che prima funzionava come finestra, si trasformò nel volto di una donna che sembrava giovane quanto Jennifer. Lui lo raffrontò con il ricordo di sua madre che era immagazzinato sempre là, ma ugualmente non la riconobbe.
«Mamma, ti sei fatta ricostruire la faccia.»
«Ti piace?» chiese lei, illuminandosi tutta. «Be', è per te che ho chiamato. M'hanno informato del tuo incidente. Pensa un po', un incidente in autostrada! Pensa un po', viaggiare in autostrada! Andrew, non riesco a immaginare cosa ti sia preso! Guarda, non ti so dire come ci sono rimasta alla notizia, dopo tutti questi anni, che mio figlio, il mio unico figliolo, era rimasto ferito. Be', vedo che ti sei già ripreso.» L'immagine cominciò a sfumare nel paesaggio assolato.
«Mi hanno sostituito il piede, mamma» rispose svelto Andrew.
L'immagine della madre si bloccò. «Che efficienza. Mah, se ti serve qualcosa...»
«E, mamma» disse Andrew prima che la sua immagine riprendesse a vacillare «funziona così bene che ho deciso di farmi rimpiazzare anche l'altro.» Non aveva nemmeno pensato di essere intenzionato a farlo fin quando non lo disse, ma adesso che aveva formulato la frase capì che era proprio quello che voleva. Non poteva passare il resto della vita a claudicare su un piede men che perfetto.
Il giorno dopo Andrew uscì dall'ospedale regionale 572, situato all'incrocio di due importanti arterie stradali e circondato a perdita d'occhio da campi coltivati. Non c'era nessun altro in vista. Era una scena davvero efficiente e silenziosa, nella quale veicoli di varie dimensioni e usi, ma rallegrati da un unico colore argenteo, procedevano in entrambe le direzioni, schizzando rapidi da ogni parte e mantenendo agevolmente una distanza costante l'uno dall'altro. Nessuno era occupato, e nessuno aveva finestrini. Poteva capire la sorpresa di sua madre, e la condivideva.
Salì sul taxi che lo attendeva, abilitandolo a farsi portare a casa alla svelta. Appena quello lo fece scendere sull'area di atterraggio del suo condominio, venti minuti dopo, Andrew si infilò di corsa nell'ascensore e poi nelle sue stanze. Ne occupava quattro: una camera da letto, un soggiorno, un bagno e una sala da pranzo. Con un servizio computerizzato, a chi ne servivano di più? Erano tutte arredate secondo il suo gusto per il comfort e per i colori tenui, ma con superfici facili da pulire. Gli sarebbe piaciuto confidarsi con qualcuno su quella sua inedita vitalità, però non aveva incrociato neanche un'anima. Appena si fu sistemato nella sua poltrona preferita, chiamò Jennifer.
«Stavolta accetterò la tua chiamata» gli comunicò glaciale l'immagine di Jennifer «dato che mi hanno notificato che sei stato coinvolto in un incidente. Però la mia dichiarazione precedente rimane valida.»
«Non capisci» ribatté Andrew. «Mi sento come se avessi le ali ai piedi, vorrei mettermi a ballare. Hai sempre criticato il mio distacco, la mia mancanza di espansività, e ti volevo far sapere che mi sento espansivo. Voglio ballare.»
«Be'...» fece lei.
Si incontrarono in un luogo neutro, uno studio televisivo dove i ballerini si esibivano davanti a un pubblico. Però ormai era scarsamente utilizzato. I nuovi spettacoli potevano essere assemblati da un computer basandosi su degli spezzoni preregistrati, Fred Astaire e Margot Fonteyn, per dire, o Rudolf Nureyev con Isadora Duncan. Perciò Andrew e Jennifer avevano il teatro tutto per loro. «Suona qualcosa di svelto» ordinò Andrew al computer mentre si toglieva le scarpe per dare una libertà maggiore ai piedi. Iniziarono a ballare.
L'esercizio congiunto durò soltanto pochi minuti, durante i quali Andrew e Jennifer raramente si accostarono a più di un metro o due. Jennifer guardava Andrew e quei suoi piedi magici come se si aspettasse che fosse lui a fare la prima mossa per ballare allacciati, poi abbandonò ogni tentativo di stargli al passo. Sincronizzati con la musica, i piedi di Andrew parevano ballare per conto loro. Jennifer rimase accanto alla parete a guardarli volteggiare mentre sopra di loro il corpo di Andrew sembrava seguirli più che guidarli e il viso pareva impietrito in una posa sbalordita. Dopo pochi minuti il corpo cominciò ad afflosciarsi mentre i piedi proseguivano instancabili.
Finalmente Andrew si fermò, senza fiato, le gambe tremanti ma con i piedi che ancora si agitavano sotto di lui come se fossero smaniosi di proseguire.
«Balli divinamente» disse Jennifer «ma sei ancora lo stronzo frigido di sempre. Me ne vado a casa.»
«Aspetta. Sono solo le mie gambe. Non riesco a starci dietro.» Però lei se n'era già andata, e Andrew decise di non prendere il taxi. Riportò a piedi il suo corpo dolorante fino all'appartamento. Oltre agli spazzini frenetici che tenevano pulito il selciato, Andrew non incontrò nessuno tranne due robopoliziotti che gli chiesero gentilmente se si fosse perso o gli servisse aiuto. Fu allora che decise di farsi rimpiazzare le gambe.
In seguito Jennifer rifiutò le sue chiamate. Le gambe erano tanto piene di vigore che concesse loro di portarlo a correre. Nelle vicinanze c'era un parco verde e ben tenuto, solcato da sentieri coperti di un sintetico cedevole, disseminato di distese di fiori colorati, odoroso dei sentori dell'aria aperta. Sembrava che lo avesse tutto per lui, però, quando attraversò un sottopassaggio, un gruppo di giovinastri ben vestiti, che si erano tenuti bene al coperto dagli sguardi attenti dei monitor del parco, gli si avventarono addosso. Andrew partì con tale accelerazione che annichilì i membri della banda e se ne stupì lui stesso.
Tali doti di agilità e velocità gli regalarono una sensazione di invulnerabilità, tanto che cominciò a giocare al gatto col topo con i suoi inseguitori, rallentando per permettergli di guadagnare terreno e poi staccandoli di nuovo. Si sentiva tonificato, con una impressione di benessere e di determinazione, anche se il cuore batteva forte e i polmoni erano in fiamme. Si muoveva così velocemente che l'aria gli sferzava il viso. I cespugli e gli alberi e gli edifici gli sfrecciavano a fianco e, quando si voltò gli inseguitori erano lontani, piccini piccini.
Gli venne in mente una storia che la sua tata cibergenerata gli aveva raccontato quando era bambino. «Sono l'omino di panpepato, sì, sì, e da te corro lontano, così, così.»
Furono proprio tanta velocità e arroganza a segnare il suo destino quando incrociò un altro gruppo di teppisti, che lo bloccarono cominciando a picchiarlo alla testa e sul corpo con pugni e bastoni. Il mondo si rabbuiò mentre gli pareva di sentire un elicottero in avvicinamento e la voce risoluta di un ciberpoliziotto.
Si risvegliò disorientato. Il soffitto sembrava lo stesso che aveva fissato con tanta intensità quando s'era fatto male al piede, e la stanza sembrava identica, compreso il paesaggio alla telefinestra. «Che cosa è successo?» chiese.
La stessa voce femminile rispose: «Si trova nell'ospedale regionale cinque uno sei. Ha subito ferite irreparabili al torace e agli organi interni, tanto che siamo stati costretti a rimpiazzarli, compreso il cuore, dato l'arresto cardiaco. Si sente bene?»
Andrew ci pensò su. A parte la testa, che faceva un male cane, si sentiva in gran forma, come se il corpo intero possedesse la forza e la vitalità che in precedenza aveva rilevato soltanto nei piedi e nelle gambe. «Sì, mi sento bene. Tranne la testa.»
«Un attimo solo» fece la voce, poi Andrew sentì una pressione minima alla nuca. «Va meglio?»
Il dolore al capo scemò. «Sì, ma mi sento le braccia diverse.»
«Anche quelle hanno dovuto essere rimpiazzate. Era troppo difficile attaccare le vecchie al corpo nuovo.» Andrew le piegò. Sembravano come nuove, anzi, sembravano assai meglio. «Che cosa mi è capitato?» domandò.
«Lei è stato aggredito nel parco presso casa sua da una banda di fuorilegge umani, tutti sotto i vent'anni, perlopiù sedicenni o anche più giovani.»
«E di loro che ne è stato?» «Sono stati tutti condannati a una terapia da sei mesi a due anni, a seconda dell'età. In caso di recidiva, a tutti saranno somministrate iniezioni giornaliere di antitestosterone.» «Allora la terapia non funziona.» «Una recidiva è probabile.» Andrew rifletté sul fatto, anche se gli doleva la testa. Evidentemente le persone avevano concetti differenti della vita: alcuni pensavano che significasse divertimento ed erano disponibili a rischiare castigo e dolore, per sé e per gli altri, pur di ottenerne. «Forse lei potrebbe suggerire altri metodi terapeutici» riprese il computer.
«Non riesco nemmeno a venire a capo della mia vita» rispose Andrew. Quando fu dimesso, tornò a casa e cercò di rintracciare Jennifer. La sua chiamata fu nuovamente bloccata. Pensò se tornare nel parco per scatenare la sua vendetta, con il nuovo corpo, sulle bande che vi si nascondevano, o sui loro colleghi nel caso che quelli che lo avevano aggredito fossero stati sgominati. Però scartò l'idea, non ritenendola degna della sua nuova possanza. Eppure doveva fare qualcosa per quella irrequietudine che si sentiva dentro.
Si sintonizzò con il canale educativo, che balzò alla vita come un genio troppo a lungo imprigionato in una lampada.
Andrew consultò l'indice e alla fine scelse le origini della sua società, a cominciare dal perfezionamento dei computer, con la loro capacità di assumere il controllo del mondo intero, per arrivare agli infiniti servigi che potevano garantire e infine approdare al ripiegamento dell'umanità, una volta che erano stati garantiti i suoi bisogni, in unità abitative autosufficienti fuori dalle quali raramente ci si avventurava. Anche lui era stato abbastanza soddisfatto di quella vita finché non si era messo con Jennifer attraverso una rete informatica. Si erano scambiati messaggi continui e poi parlato per videotelefono prima che lei rompesse, in quello che lui aveva considerato un incomprensibile tiramento. Ripercorse la loro corrispondenza e le varie conversazioni per scoprire cosa fosse successo, ma riuscì soltanto a trovare un indizio, una telediscussione nella quale lei proponeva di incontrarsi. E lui aveva nicchiato. Per quanto si riusciva a ricordare, era rimasto a pensare come si sarebbe sentito di fronte alla sua presenza fisica. E poi aveva fatto quella trasferta sconsiderata per incontrarla, e se ne erano rimasti ai lati opposti della sala mentre Jennifer gli urlava contro.
Passò al programma psicologico, sperando di trovarvi delle risposte alle domande sul comportamento umano, soprattutto quello di Jennifer, che aveva rovinato l'agio e la qualità della sua esistenza. I professori computerizzati erano disponibili e preparati, ma non riuscirono a spiegargli perché Jennifer lo avesse definito distaccato e poco espansivo. I professori dissero che era normale cioè, lui era come tutti gli altri. E gli dedicarono molte argomentazioni sul comportamento delle gang giovanili e sul perché rifiutavano la libertà dai conflitti sociali, che era il diritto naturale di tutti, per darsi alla violenza, però nessuno fu in grado di avanzare una risposta.
Infine passò ad aree in cui c'erano risposte, fisica e astronomia e chimica e biologia e soprattutto matematica. Si fece raccontare perché le missioni nello spazio con equipaggio umano avevano ceduto il passo a quelle automatizzate, come lo stato dell'arte nella fisica e nella chimica non aveva fatto progressi oltre a quanto necessitava per soddisfare i bisogni umani, e come lo sviluppo della biologia garantiva ogni genere di riparazioni nel corpo umano e allungava l'aspettativa di vita. Andrew poteva comprendere quanto dicevano i professori, però una richiesta di spiegazione dei dettagli più fini non ebbe esito. Non aveva la preparazione necessaria per capire. E la matematica lo lasciò perplesso. A che serviva la geometria dei solidi, per esempio, o l'algebra, per non parlare del calcolo?
Decise di cominciare dal livello elementare. Impegnò se stesso e i professori in un lavoro strenuo, concedendosi scarse pause per prendere fiato e rifocillarsi. Il suo corpo aveva ben poco bisogno di riposo e cibo, ma la testa cominciava a fargli male, e gli occhi a bruciare. Si sentiva la febbre. I pensieri gli si aggrovigliarono nella mente fino a che non riuscì più a distinguere cosa fosse dentro e cosa fuori. Alla fine gli si accese una luce rossa di fronte agli occhi e perse conoscenza.
Quando si risvegliò si sentiva la testa limpida e sgombra per la prima volta in vita sua. Capiva adesso la geometria dei solidi e, quanto all'algebra, riusciva a risolvere a mente le equazioni quadratiche. Riusciva persino a capire il comportamento umano, il suo incluso, tanto che si sentiva traboccare del desiderio di rendersi utile. Capiva di che cosa si trattava, non aveva bisogno che glielo dicesse un computer: il suo cervello affaticato aveva subito un crollo debilitante, e perciò era stato sostituito con un modello positronico, proprio come quello dei robot che facevano andare avanti la società, sul quale poi erano stati registrati la sua personalità e i suoi ricordi. Tutti i fluidi corporei transeunti erano stati rimpiazzati, e i trapianti funzionavano come non erano mai riusciti a fare gli organi originali. Gli ormoni che tanto lo avevano deliziato e confuso erano stati sostituiti da impulsi elettrici. Adesso era un essere umano della massima efficienza che essere umano potesse mai raggiungere, e possedeva doti a cui nessun altro uomo poteva aspirare.
Era collegato elettronicamente alla rete informatica mondiale. Sapeva quello che sapeva lei. Dove gli altri dovevano comunicare le loro esigenze tramite il meccanismo imperfetto del linguaggio, lui poteva ottenere informazioni e stimolare risposte istantaneamente. In concreto, era parte della rete informatica e nel contempo la sua impronta individuale manteneva un senso di identità. Però sapeva che era il suo rapporto con la rete a regalargli questa urgenza di riuscire utile, lui e la sua essenza umana.
Cosa avrebbe fatto con queste nuove capacità? Ponderò la possibilità dell'autoimmolazione, di liberarsi di queste potenzialità appena acquisite, una per una, fino a cedere l'immortalità che aveva guadagnato con la trasformazione, o di fare in modo di venire distrutto da altri umani in qualche maniera plateale che potesse suggestionare e correggere la specie dell'uomo. Ma fu questione di attimi: non poteva trovare la salvezza facendo appello al sentimentalismo o incoraggiando la predisposizione umana a credere allo sconosciuto e all'inconoscibile.
Poteva creare arte: quadri e sculture e romanzi e commedie e musica e balletti. Sapeva che ne sarebbe stato in grado, e che l'atto di sapere era simultaneo alla creazione stessa. Eccole, le sue creazioni artistiche, immagazzinate in rete per quando fosse arrivato il momento più propizio per la produzione. Quelle opere esprimevano tutta la sofferenza, tutta l'esaltazione di essere uomo, ed erano pronte a contribuire alla conoscenza e alla redenzione dell'umanità. «Che l'arte sia» pensò, e l'arte fu.
Poteva creare uno sfogo all'aggressività malriposta dei giovinastri I che l'avevano picchiato. L'umanità aveva bisogno di una nuova frontiera, perciò diede istruzioni alla rete affinché incentivasse il programma spaziale e creasse un sistema di agevolazioni e ricompense per incoraggiare i giovani ambiziosi a sfidare l'ignoto, a espandere l'umanità fin dove l'energia a la creatività dell'uomo la potevano fare arrivare.
Poteva invertire le condizioni che avevano incoraggiato l'umanità a ripiegare nell'isolamento della grotta individuale. Comprese che il cambiamento sociale era insorto troppo alla svelta, e la perfezione della rete informatica aveva incoraggiato la prigionia degli uomini nell'agio assoluto. Li capiva, era stato uno di loro. Perché la gente agisca ci devono essere degli incentivi. Respinse l'idea di sconnettere i servizi dei computer per spingere sul mercato i prigionieri delle caverne: ciò avrebbe ingenerato troppo caos e troppe sofferenze. Invece diede istruzioni alla rete perché sviluppasse un sistema di punti d'incontro attraenti per dare sfogo alle pulsioni artistiche e alle idee che sostenessero una cultura della partecipazione. Ci sarebbe voluto più tempo, ma i risultati sarebbero stati più duraturi.
Alla fine chiamò sua madre. «Mamma» disse all'immagine sconcertata «apprezzo tutti i sacrifici che hai fatto per mettermi al mondo e per farmi approdare alla maturità, e voglio che tu sappia che ti voglio bene. So che hai una vita tua e che un rapporto troppo frequente te la rovinerebbe, ma voglio che tu sappia che sto bene e ne riceverai periodicamente conferma.»
Poi chiamò Jennifer. Il blocco della chiamata era ancora in funzione, ma con i suoi nuovi poteri lo poteva facilmente scavalcare. «Jennifer, so che ti ho dato troppe occasioni per lagnarti di me, ma voglio che tu sappia che ti vogliano bene e desidero passare la vita con te, toccare ed essere toccato, amare ed essere amato.»
«Perbacco, Andrew, non credevo che ti avrei mai sentito dire queste parole.»
Adesso capiva: aveva dovuto rimpiazzare le parti fallibili del suo sé per essere compiutamente umano. E capì che lo scopo della sua vita era scoprire a cosa serve una persona e poi scovare il modo perché si dimostri utile.
 

Nessun commento:

Posta un commento