Nota dell’autore
Questo racconto è un fantastico, un fantasy se vogliamo. L’ho scritto di getto in memoria dell’amico Federico Fava, prematuramente scomparso pochi giorni prima di ricongiungersi con la sua metà, in Giappone. Il destino lo ha tradito, ma io ho pensato di renderlo immortale. Era già nelle mie corde, ne avevo anche parlato con lui, di sfruttare la sua nuova vita a Sendai, nella prefettura di Miyagi, per qualche mia indagine. La sua morte non mi ha fermato! Ho scritto egualmente il racconto, come doveva essere, con al mio fianco Federico, che continua a vivere sulla carta. Non è più nella nostra vita, ma sarà presente in alcuni miei racconti, un ex agente di polizia fa sempre comodo a un becchino investigatore, che deve condurre indagini fin nella terra del Sol Levante.
Un abbraccio Federico, ci rivedremo presto in altre avventure…
Prefazione
Ho conosciuto Federico Fava presso l’associazione Amici del Libro a Modena. Era uno dei responsabili, si occupava di lettura a voce alta e teneva corsi di lingua giapponese. Scherzavamo insieme su cibo, libri e amici comuni, in un rapporto ormai quasi quotidiano. Aveva deciso di tornare in Giappone per ricongiungersi con la moglie, in un viaggio, forse, senza ritorno nel breve periodo. Il destino, però, è stato avverso e pochi giorni prima della partenza un malore è stato fatale. Credo abbia lasciato un vuoto enorme non solo a me, ma anche a tutti quelli che gli volevano bene. Come quando si spegne una luce e nessuno è più in grado di riaccenderla.
Poi Roberto Roganti ha avuto l’idea di farlo rivivere nei panni di un personaggio dei suoi racconti. Così, leggendo questo libro, si può ritrovare Federico tra le pagine, stavolta nei panni di un ex-poliziotto. A me sembra una bella idea, non solo un tributo dovuto, ma anche un modo per farlo sentire ancora vicino, di regalare una illusione, anche se solo sulla carta.
Ringrazio Roberto Roganti perché ha provato a trasmettere una emozione e scavando dentro l’anima di un personaggio di fantasia, forse, ha contribuito a tenere accesa quella luce che sembrava dovesse non accendersi più.
Mauro Sighicelli
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