Bobby nascose nel palmo il pacchetto di lamette da barba e infilò la mano in tasca, mentre sgusciava con aria spaurita verso gli scaffali dei dolci. Era la prima volta, nei suoi otto anni di vita, che rubava qualcosa e provava la nauseante sensazione che da un momento all’altro il mondo sarebbe esploso in un caos di sirene e luci lampeggianti.
Sostò davanti alle scatole cilindriche che contenevano le “merendine”, mentre il sudore della colpa gli si raffreddava sulla fronte. Nel negozio c’erano soltanto altre due persone, una donna che stava pagando una grossa pagnotta e una bottiglia di latte, e il commesso, un simpatico vecchio che si chiamava Pepper.
Quando la donna uscì, Bobby scelse un dolce di marzapane ricoperto di cioccolata che si chiamava Karmel King, andò al banco e lasciò cadere una moneta dalla mano sudata.
— Salve, giovanotto! — Come sempre, il signor Pepper ebbe un caldo sorriso per Bobby. A volte, quando il viavai di clienti era scarso, i due chiacchieravano del più e del meno mentre Bobby sorseggiava una gazzosa. Il vecchio sembrava sempre affascinato dallo spirito, dall’intelligenza e dal sapere del suo piccolo amico. I bambini d’oggi... più svegli degli scienziati d’una volta... svezzati con le passeggiate sulla luna, la quarta dimensione, le sonde spaziali, la fissione atomica, i cervelli elettronici, la televisione in classe, le bombe nucleari... tutti i prodigi della stregoneria moderna...
Bobby supponeva che il signor Pepper fosse un pensionato costretto a lavorare dall’inflazione. Spesso si chiedeva cosa si provasse ad essere vecchio.
— Immagino che stasera ti maschererai e andrai in giro per le case a riempire il tuo sacco di dolci, Bobby.
Il ragazzo annuì, sentendosi la gola secca. Con le lamette rubate in tasca, non vedeva l’ora di sottrarsi a quella grigia, alta, presenza di vegliando.
— Halloween non è più quello d’una volta, — disse il signor Pepper, con la moneta di Bobby in una mano e il Karmel King nell’altra. — Quando avevo la tua età, era una specie di carnevale, con tutti, grandi e piccoli, che si mascheravano da fantasmi o pirati e si affollavano per le vie del vecchio centro. Potevano buttarti della farina in faccia o lasciarti cadere sulla testa, da una finestra, un sacchetto di carta pieno d’acqua. I negozianti si ritrovavano tutte le vetrine insaponate e, se non toglievi la sedia a dondolo dal portico, poteva capitarti di doverla andare a riprendere in cima ad un lampione il mattino dopo. Era la serata buona per mettere a soqquadro la rimessa del vicino o sgonfiargli le gomme della Ford... ma non c’erano criminali in giro che lasciavano cadere nel tuo sacco dolci imbottiti di droga o veleno.
— Per piacere, signor Pepper... Non c’è bisogno che metta il mio Karmel King in un sacchetto, — disse Bobby. Quindi afferrò il suo dolce e se la diede a gambe.
Jethro Simmons, Jet per gli amici, prima chitarra del gruppo rock Iceberg, ingaggiato per sei serate alla discoteca Il Cowboy dell’Asfalto, bevve l’ultimo sorso di birra e guardò il difensore mantenere il pallone per un’azione personale. il telecronista spiegò che era per un’azione personale che il difensore manteneva il pallone, provocando così un sorriso sarcastico sulle labbra sottili di Jet. Tutta una manica di fessi, quei presentatori sportivi.
— Ehi, Judy, — berciò, lasciando cadere la lattina vuota sul tavolinetto di fianco alla poltrona, — portami un’altra birra.
— Ti sei appena scolato l’ultima, non ce ne sono più in frigorifero, — disse Judy Clark dalla camera da letto.
— Fa’ la brava bambina, — gridò Jet, — esci a comprarne una confezione da sei. Questi brocchi sono proprio alla metà del secondo quarter.
Judy comparve sulla porta interna del piccolo locale che fungeva da soggiorno e sala da pranzo. — E io sono immersa fino ai gomiti nella carta crespata nera, tentando di rimediare una giubba e un paio di calzoni da gnomo che stiano insieme per una serata.
Nelle loro orbite profonde, gli occhi scontrosi di Jet divennero gelidi. — Perché diavolo quel marmocchio non può mettersi addosso un lenzuolo e fare il fantasma, come ogni bambino normale? No, lui deve diventare uno gnomo per la sera di Halloween...
— Ci tiene molto, Jet. Sai come sono i bambini dell’età di Tommy. Cose che sembrano futili agli adulti possono essere terribilmente importanti per loro. È un bravo ragazzo, e Halloween è l’unica sera dell’anno in cui può uscire di casa. Non mi sembra che chieda troppo.
Chi se ne frega di come sono i bambini, si disse Jet, e specialmente il marmocchio dell’ex marito di Judy; quella sciocca avrebbe dovuto liberarsene fin dal primo giorno di ritardo nelle sue cose. Il piccolo ipocrita. Mai un gesto di rabbia, mai una sfida aperta. Solo quel barlume d’odio e saggezza che a volte Jet sorprendeva nei suoi occhi nocciola.
Ma è un gioco che posso fare anch’io, brutto moccioso. Simulazione e sorrisi.
Mentre il difensore faceva un passaggio in avanti troppo corto, Jet sbadigliò, stirandosi, e si alzò in piedi. Era alto, magro, con una muscolatura da pantera e la faccia ossuta incorniciate da capelli castani ondulati, lucidissimi, che gli scendevano fino alle spalle. Se li lavava almeno una volta al giorno e gli piaceva un mondo asciugarli e spazzolarli. Ne andava orgoglioso, il chitarrista rock, come del ventre piatto, dei fianchi sottili nei jeans bianchi e dei bicipiti che gonfiavano le maniche corte della maglietta nera.
— Va’ tu a prendere la birra durante l’intervallo della partita, — suggerì Judy. Ben curata, attraente, con dolci occhi verde smeraldo illuminati da una chioma d’un intenso biondo ramato, Judy lavorava per cinque giorni la settimana come terapista della respirazione nel vicino ospedale. Robert, suo marito, aveva fatto fagotto tre anni prima. («Mi spiace, Judy, niente di personale; è solo che ne ho fin qui del matrimonio. Puoi dire a Bobby che mi hanno spedito in Vietnam, o qualcosa del genere.») Bella soddisfazione! Da allora non ne aveva più saputo nulla.
— E già che ci sei, — aggiunse Judy, — prendi anche un Karmel King. È il dolce preferito di Bobby e sarebbe carino se fossi tu a metterlo nel suo sacco, Jet.
Il suo sguardo si soffermò sulla porta chiusa dopo che Jet fu uscito. Il chitarrista era venuto a stare nell’appartamento di fronte due mesi prima. Si erano conosciuti dopo una settimana, sotto il portone, poi le cose erano andate alla svelta. Da sei giorni Jet aveva trasferito i suoi effetti personali, la chitarra, l’amplificatore, i vestiti, la racchetta da tennis e i manubri da ginnastica nell’appartamento di Judy.
Anche se oggi nessuno trova strano che un uomo e una donna vivano insieme senza essere sposati, Judy aveva provato un po’ di rimorso, dovuto all’educazione vecchio stampo che aveva ricevuto e al suo profondo amore per Bobby.
Ad un isolato di distanza, Ed Travis stava entrando in cucina. In T-shirt e pantaloni da strapazzo macchiati di vernice, aveva lavorato fino a fumare di sudore come un cavallo, sebbene l’ottobre si stesse chiudendo con una pungente nota autunnale. Strappò un asciugamano di carta dal rotolo accanto al lavello e si asciugò il volto rude. Era un uomo alto, poderoso, felino nei movimenti come un leopardo. Detective in borghese, stava dedicando parecchie delle sue ore libere a un faticoso lavoro manuale: tagliare in pezzi dalle dimensioni adatte a una stufa gli enormi ceppi di quercia (sezioni di tronco, in effetti) ammucchiati nel cortile sul retro. Poi, una carriolata alla volta, li sistemava in bell’ordine di fianco al garage. Lavorando ancora qualche settimana, avrebbe avuto abbastanza legna per tutto l’inverno e il venditore di nafta poteva anche sputarci sulle sue cisterne.
Bionda e snella, assolutamente perfetta per il suo bruno consorte, Marian stava trasformando la coppa da punch in un centrotavola, da collocare in mezzo ai vassoi di dolci tradizionali. Guardò il marito da sopra una spalla, sorridendo. — Scommetto che conosco qualcuno cui non dispiacerebbe qualcosa di liquido, fresco e leggero.
Si voltò verso il frigorifero e riempì un bicchiere con succo d’arancia, lasciando giusto il posto per due cubetti di ghiaccio e un centimetro di whisky di malto. Poi porse il drink a Ed, che si lasciò cadere su una sedia con un grugnito di piacevole stanchezza. — Ehi, questa sì che è una bibita per un vecchio taglialegna!
— Come va il lavoro?
— Bene. Ne ho tagliato e messo a posto un altro paio di metri cubici oggi. Ora farò un bel bagno caldo e mi cambierò per la cena. Cosa passa il convento?
— Lo sai.
Ed guardò i biscotti fatti in casa, ricoperti di glassa verde, arancione, nera. L’avrebbe fatta franca se avesse mangiato un paio di quelle piccole zucche di cioccolata? Probabilmente sì. Però Marian aveva sistemato così bene i vassoi. Lasciò che il suo stomaco brontolasse, insoddisfatto.
— Quanti bambini accompagnerai in giro per le case?
Marian si strinse nelle spalle. — Tutti quelli che si presenteranno alle sette e mezza. Esther e io ne abbiamo invitati otto. I figli dei vicini, sai.
— Probabilmente ne arriveranno una dozzina, — disse Ed. — Be’, più sono, più staremo allegri. Mi è venuta un’idea fantastica per il gioco delle mele, quando li riporterai a casa.
— Ed, — disse Marian, cominciando a riempire la caffettiera, — perché diavolo non ti arrendi e mangi qualche zucca di cioccolata? Ce n’è ancora in abbondanza sulla credenza.
— Dovresti fare il funzionario addetto ai nostri clienti in libertà condizionata, — ridacchiò Ed, allungando una mano verso il vassoio. — Eviteresti un sacco di guai, con la tua capacità di leggere gli impulsi di una mente criminale.
— Anch’io una, anch’io una, — strillò Esther dalla soglia. Sfrecciò attraverso la stanza e gli si arrampicò sulle ginocchia. Cinque anni, la sua piccina. I colori scuri del padre si ripetevano negli occhioni felici e nei morbidi riccioli. Per il resto, la grazia delle membra e la non convenzionale bellezza del viso, era tutta Marian. Il cuore di Ed faceva una capriola ogni volta che la guardava. Se la profondità di sentimento era poco mascolina, be’, al diavolo la mascolinità.
— Sei anche tu una chicca, — disse Ed. — Mangia un pezzettino di te stessa!
Ringhiò ferocemente ed Esther si contorse, ridacchiando di gioia. Si azzuffarono, Ed facendole il solletico sulle costole e mordicchiandola dietro al collo sottile, mentre la bimba si dibatteva, riempiendo la cucina del suo riso, e Marian li guardava con un sorriso amoroso.
Infine Esther ricadde all’indietro contro il braccio vigoroso del padre e alzò gli occhi a guardarlo, ansimando tra le labbra socchiuse. — Papi, ho riso tanto che mi sono quasi bagnata le mutandine!
— Be’, sono contento che tu non l’abbia fatto. Non è una cosa da signora. Senti, la mamma sta lavorando tanto per questa festa, perché non facciamo qualcosa per lei?
Esther si raddrizzò a mezzo. — Cosa, papi?
— Va’ in quel posto dove vendono il pollo fritto e portane a casa una scatola... di quelle medie, sai... per la cena. Sarà una specie di festicciola fra di noi.
Bobby fece un po’ di spazio sul piccolo tavolo in camera sua, posando temporaneamente sul pavimento il microscopio e la scatola con i pezzi d’un modellino d’auto che stava costruendo. Poi, accesa la lampada a braccio, posò il Karmel King, comprato, e le lamette, rubate, sotto la luce
Cercò di non pensare al modo in cui si era procurato le lamette, mentre si sedeva sulla seggiola di legno e premeva lo stomaco contro il bordo del tavolo. Poi prese una lente d’ingrandimento da pochi soldi, di cui si serviva per esaminare i francobolli usati che comprava, quando poteva permetterselo, in un negozietto per filatelici, scegliendoli dallo scatolone con i pezzi da un quarto di dollaro. Rovesciò il Karmel King, studiando per un momento come fosse piegato e sigillato.
Certe vecchie pinzette della mamma, che usava per i francobolli, stavano accanto ad una perforatrice, in mezzo a un caos, ordinato per il ragazzo, di buste trasparenti, fumetti di fantascienza e “prove” del “piccolo tipografo”.
Con attenzione inserì una punta delle pinzette tra i lembi non perfettamente uniti dell’involucro. Il labbro inferiore premuto contro i denti, esercitò una lieve pressione. Il lembo si staccò. Bobby tirò un lungo sospiro, prima di continuare.
Qualche momento dopo, aveva aperto l’involucro senza danneggiarlo con il più piccolo strappo. Il Karmel King era scoperto, scuro e nudo nella sua pelle di cioccolata.
Bobby si concesse un breve riposo; poi prese il dolce in una mano e una lametta da barba nell’altra. Con un’espressione intensamente concentrata, cominciando da un angolo, praticò un sottile taglio tutt’intorno. Delicatamente. Guai se il cioccolato si scheggiava. L’incisione doveva essere regolare e diritta.
Ripeté l’operazione, approfondendo il taglio. Il Karmel King si divise in due strati perfettamente uguali. Bobby li posò sul tavolo, con la parte interna rivolta verso l’alto.
Respirando dalla bocca, asciugò il sudore della fronte con il dorso della mano. Perfetto, finora. Una volta riunite le due metà, il taglio si sarebbe potuto dissimulare passando il pollice sul rivestimento di cioccolato. Poi bastava riavvolgerlo nel suo involucro... badando bene a conservare la piegatura originale... un po’ della colla che aveva usato per il modellino d’aeroplano... e nessuno avrebbe potuto dire, guardandolo, che non era appena uscito dalla fabbrica.
Ma, prima di questa operazione, veniva la parte che Bobby temeva di più.
Strinse i denti, scosse la testa per scacciarne l’ultima esitazione e cercò le pinze fra gli arnesi che teneva nel cassetto: un completo per il traforo, un piccolo martello, un cacciavite, un coltello a serramanico.
Sfilò tutte le lamette dalle loro buste di plastica e le dispose sul piano del tavolo. Con le pinze ne spezzò una a metà, per il lungo, poi in pezzetti più piccoli. Infilò un frammento, verticalmente, nella parte inferiore del Karmel King... quindi un altro... un altro... un altro... lavorando con pazienza, mentre la riserva di lamette diminuiva.
— Bubble, bubble, toll and trouble, — tuonò Ed Travis, spalancando la porta d’ingresso e guardando attraverso i buchi di una maschera di Frankenstein. — Che c’è qui? Una strega con la patente di guida della scopa scaduta e i suoi sinistri aiutanti, coi loro sacchi da «regalo o dispetto» pieni fino all’orlo.
Otto mostri assortiti in miniatura, usciti da Guerre stellari, le fiabe dei Fratelli Grimm e altri classici del folklore mondiale, sciamarono nel soggiorno dei Travis, dove un asino di carta era appeso a una parete per il gioco degli «spilli sulla coda», una flotta di mele galleggiava in una vecchia tinozza, un fantasma di carta crespata bianca fluttuava a mezz’aria e una candela ardeva in un mascherone fatto con una vera zucca, emanando una luce irreale popolata d’ombre fantastiche.
C’erano Timmy Brock, come R2D2, la piccola Cara Norman sotto un costume da scheletro, Bucky Steadman nei panni di Rip Van Winkle, Laurie Jameson mascherata da strega, Junior Roberts da cowboy della Cavalcata dei Fantasmi. La sua Esther era un piccolo gatto nero e Bobby Clark doveva essere, suppose Ed, uno gnomo, con la sua giubba di crespo nero, la faccia piena di rughe disegnate con una matita per sopracciglia e una calotta ricavata da una calza di nylon sulla testa, per simulare la calvizie. Quanto a Marian, che aveva accompagnato il gruppo nel giro del «regalo o dispetto», portava un normale completo pantaloni.
Entrato l’ultimo bambino Marian chiuse la porta, poi guardò la maschera di Ed e annuì con approvazione. — Un cambiamento in meglio.
— Sapevo che ti sarebbe piaciuto, — disse il marito. Si sfilò la maschera e si voltò verso la stanza. — Bene, bambini...
Guardò Marian e ridacchiò. Le creature dell’ora dei fantasmi si erano sparpagliate per il soggiorno, più interessate ai loro tesori, per il momento, che a qualunque cosa avesse da dire il papà di Esther. Guardavano nei sacchi, vi affondavano le mani, frugavano, si mettevano in bocca gomme da masticare e chicche.
— Signor Travis? — disse lo gnomo.
— Sì, Bobby?
— Io ho un Karmel King!
— Magnifico! — Ed sorrise per l’espressione del piccolo.
Bobby alzò un braccio, tendendogli il dolce. — Mi piacerebbe fare a metà con Esther.
— Bobby, sono sicuro che ha più di quanto...
— Per piacere, signore. Come mio regalo. Lei e la signora Travis ed Esther siete così gentili... mi avete invitato a questa festa e...
La manina alzata era insistente. Ed rise. — D’accordo, signor Gnomo, vedo che ci tieni molto.
Ed prese il Karmel King e tolse l’involucro.
— Se non lo rompe proprio a metà, — disse lo gnomo, — può dare il pezzo più grosso ad Esther.
Tenendo il Karmel King tra i pollici e gli indici, Ed esercitò una lieve pressione per spezzare in due il marzapane. Improvvisamente emise un suono strozzato, staccando di scatto una mano dal dolce. Guardò qualcosa di rosso che si stava formando sul pollice sinistro, un luccicante rubino di sangue. Il pensiero sembrava sciocco, assurdo: il dolce di marzapane lo aveva tagliato.
Si voltò verso un tavolo e accese una lampada. Nel cono di luce, maneggiò il Karmel King con attenzione. Aggrottò le sopracciglia, Marian lo raggiunse. — Che c’è, Ed?
Il marito alzò gli occhi. Il suo viso era una bianca, rabbiosa maschera da Halloween. — Lamette da barba... quel dannato marzapane... Marian, da qualche parte durante il giro del «regalo o dispetto», avete incontrato un vero figlio di puttana! Bobby!
— Sì, signore? — disse lo gnomo, improvvisamente sgomento e impaurito.
Ed si accosciò per mettersi alla sua altezza.
— Hai qualche idea di dove hai avuto il Karmel King? In quale casa, appartamento? Da quale persona?
— Sì, signore, — disse Bobby. — Me l’ha dato Jet.
— Jet?
— Jethro Simmons, signor Travis. Il boyfriend della mamma.
— Ah... Bobby, questo è molto importante. Non devi commettere un errore. Sei assolutamente sicuro che sia stato lui a darti il Karmel King?
— Può chiederlo alla signora Travis, — rispose Bobby. — Jet mi ha detto: «Ecco il tuo dolce preferito», e mi ha dato il Karmel King. — Era il momento critico, una prova di forza, e Bobby sudava un poco. Nella sua mente balenò il ricordo di come avesse lasciato cadere di nascosto il Karmel King di Jet in un tombino, infilando nel sacco quello preparato da lui.
— È così, Ed, — disse Marian in tono duro. — Bobby dice la verità.
— È l’unico Karmel King nel tuo sacco? — domandò Ed, mentre il suo cervello da poliziotto passava in rassegna tutte le possibilità.
— Sì, signore. Sono sicuro di sì. Ma può guardare.
Ed rovesciò il contenuto del sacchetto sul tavolo; c’erano baci di cioccolata, gomme da masticare, una mela, biscotti, caramelle e lecca-lecca.
Quando li alzò, gli occhi di Ed erano duri come pietre. — Marian, portami della carta d’alluminio per avvolgere questo Karmel King. — Diede uno sguardo circolare alla stanza. — Mi spiace... doveva essere una così bella festa... be’, i bambini possono ancora giocare e mangiare i dolci preparati da te. Ma confisca tutti quelli che hanno ricevuto fuori! Da questo momento sono di nuovo in servizio...
Bobby se ne stava sdraiato nel silenzio della sua camera, guardando la morbida luce lunare inquadrata nella finestra. Si spostò bruscamente sul materasso pensando alla faccia del signor Travis quando aveva telefonato alla centrale di polizia ed era uscito. Uau! Non avrebbe proprio voluto che il papà di Esther desse la caccia a lui con quell’espressione sul viso!
Ma non aveva niente da temere. Tutto era andato nel modo migliore. A parte il taglietto sul pollice del signor Travis, nessuno si era fatto male, e questo era okay. Lo scopo di uno gnomo è proteggere il suo tesoro, e il tesoro di Bobby era salvo. Mamma era sconvolta, si capisce, ma le sarebbe passata. Gli adulti superano le cose spiacevoli con altrettanta facilità dei bambini.
Era davvero bello avere la mamma di nuovo sola nella stanza accanto.
Lo schianto di qualcosa che cadeva in strada lo fece balzare a sedere. Buttò i piedi nudi fuori dal letto e corse alla finestra.
Proprio di sotto, sul marciapiede, c’erano i resti dello sterco di Jet. Un grosso fagotto scuro schizzò nell’aria e cadde accanto allo sterco. I vestiti. La mamma aveva aperto la finestra e stava buttando fuori tutta la roba di Jet.
Quando la chitarra colpì il marciapiede emise una dissonanza stridula, una nota spettrale assolutamente perfetta per la mezzanotte di Halloween.
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