— Che ne dici se andassimo a fare una crociera?
Lei gli sorrise, dolcemente. — Come vuoi tu, caro.
Naturale che ci sarebbe andata, pur sapendo che lui avrebbe tentato di ucciderla.
La rattristava immensamente il rendersi conto che era tanto ansioso di sbarazzarsi di lei. Il suo amore per lui non aveva fatto che aumentare durante i diciotto anni del loro matrimonio. Sì, era più grande ora di quanto non lo fosse all’inizio. Così rifletteva lei, fissando il marito con devozione tale da fargli abbassare gli occhi.
Era stato un puro caso se nessuno dei tentativi precedenti di lui aveva funzionato. Certo non per mancanza di collaborazione da parte mia, dichiarò mentalmente rivolta a un interlocutore immaginario.
Non aveva tardato a indovinare quello che stava succedendo, e vi si era rassegnata. Anzi, nemmeno rassegnata; accettava la cosa come un desiderio di lui. Più che ogni altra cosa, voleva farlo felice. Aveva sorriso quando le aveva espresso preoccupazione per la tendenza ad avere incidenti che lei dimostrava da un certo tempo, quando le aveva raccomandato seriamente di stare molto attenta, perfino quando le aveva consigliato di ricorrere alla psicoanalisi. Per stabilire, senza dubbio, che c’era qualcosa di guasto nella sua mente. Anche questo lei aveva accettato e, docilmente, era andata a consultare l’analista scelto da lui.
Disperatamente avrebbe voluto fargli capire che sapeva, affinché i loro ultimi giorni insieme non venissero guastati da menzogne. E, disperatamente, avrebbe voluto domandargli perché.
Sì, perché? Non era sempre stata una moglie compiacente e devota? Aveva mai, con le parole o con gli atti, dato segni di insoddisfazione? Se, qualche volta, aveva vagamente deplorato la necessità di rinunciare alla propria carriera per amore di lui, quei momenti di rimpianto erano stati passeggeri. Aveva sempre sentito, profondamente, che era valsa la pena di fare quel sacrificio. E si era creata un’esistenza più che soddisfacente, leggendo molto, scrivendo di tanto in tanto qualche poesia – non molto buone, d’accordo, ma abbastanza soddisfacenti – dipingendo un po’, facendo del giardinaggio. Sì, sapeva come occupare le sue giornate.
Perché, allora, lui voleva ucciderla? Possibile che il leggero esaurimento, la sua poca salute dell’anno passato, lo avessero seccato fino a tal punto? Aveva tentato in tutti i modi di non essergli di peso, di comportarsi normalmente. O lui si era innamorato di un’altra? Stentava a crederlo ma, in tal caso, non sarebbe stato più logico che le chiedesse il divorzio? Ma doveva saperlo, naturalmente, che lei non avrebbe potuto vivere senza di lui.
Tentò di spiegare quei sentimenti all’analista, un uomo alto e asciutto, che aveva il potere di intimidirla.
— Mio marito è un essere meraviglioso. Intelligente, sensibile, pieno di riguardi, appassionato e tenero... tutto quello che una donna può desiderare.
— Allora ritenete che il vostro è stato un matrimonio felice?
— Oh, sì, felicissimo! D’accordo, non abbiamo avuto figli, ma in fondo non ha importanza. Mio marito riempie completamente la mia vita.
— Eppure, da un anno soffrite di esaurimento. Dobbiamo scoprirne la causa.
— La causa è solo la mia salute un po’ cagionevole.
— Cos’è che non va?
— Niente in particolare. Ho solo dei terribili mali di testa, digerisco male, e poi un terribile, terribile senso di stanchezza, tanto che a volte ho appena la forza di trascinarmi per casa.
— Ma il vostro medico non ha riscontrato nessun disturbo organico?
— No, lui diceva che... be’, diceva che si trattava di nervi.
— Perciò, a quanto pare, non è il vostro stato fisico a causare il senso di depressione; semmai, è il contrario.
— Ma io non ho motivo di sentirmi depressa. Vi ho spiegato quanto sono felice! Più conosco mio marito, più lo amo e lo apprezzo. Non ho neppure bisogno d’altra gente, non mi interessano le riunioni o altre cose del genere.
— Amicizie ne avete?
— Be’, conosco, sì, delle persone, ma non si tratta di amici veri e propri. Ve l’ho detto, a me basta stare con mio marito. E nemmeno lui ci tiene a fare vita mondana: vede già tanta gente, al college.
— Insegna a Blakeham, vero?
— Sì. È preside. Ama molto il suo lavoro.»
— Ci sono tensioni o risentimenti da parte sua, che voi sappiate?
— Verso di me? No. Assolutamente no. Nei primi tempi del nostro matrimonio aveva un piccolo complesso di inferiorità perché è un po’ più basso di me; ma è tanto tempo che non ci pensa più.
Non aveva nessuna intenzione di parlare all’analista dei tentativi di ucciderla fatti dal marito; ma un giorno lui finì per cavarglielo di bocca.
— Pensate seriamente che vostro marito stia tentando di uccidervi? Perché?
— Non lo so. Questa è la sola cosa che mi assilla. Perché?
— La sola? Senza dubbio, vi preoccuperà anche il suo desiderio di uccidervi, o almeno il fatto che voi lo crediate!
— Ho sempre vissuto per renderlo felice; non m’importa di morire, se questo può farlo contento.
— Capisco... Bene, che cosa vi rende così sicura che abbia tentato di eliminarvi?
— Non posso fare a meno di esserne sicura. Sono cose che balzano agli occhi.
E passò a raccontargli di quella volta che lui aveva tentato di spingerla giù per le scale della cantina, fingendo di sostenerla perché lei aveva inciampato.
— Ma forse ha veramente tentato di sostenervi.
— Ho sentito la spinta. È stato per puro caso che sono riuscita ad aggrapparmi a un gancio della parete.
Poi, c’era stato l’incidente dei funghi. Il marito era un ottimo micologo dilettante, e per anni avevano mangiato i funghi raccolti da lui. Quell’ultima volta, forse tre o quattro settimane prima, lei non si sentiva bene, e lui si era preso appositamente la briga di andare a raccoglierli, perché sapeva che le piacevano.
— Di solito li mangio spalmati sul pane tostato, con una buona salsina di formaggio, ma quella volta proprio non riuscivo a mandar giù niente. Per farlo contento, mi costrinsi a mandarne giù un po’. Quella notte mi sentii malissimo. Se ne avessi mangiati di più, sarei morta.
— Ma i funghi li mangiò anche vostro marito?
— Che io sappia, ne assaggiò un boccone. Lui però afferma che finì quelli che io avevo lasciato.
— E stette male?
— No, lui no, naturalmente. Sapeva quali evitare.
— Cotti in salsina, i funghi sono tutti uguali.
— Be’, in qualche modo avrà fatto, visto che io stetti male e lui no.
Il terzo episodio era stato, in un certo senso, il più agghiacciante.
— Vedete, soffro di claustrofobia, e lui lo sa. È una persona talmente mite che non mi spiego come abbia potuto fare uria cosa simile. Io mi trovavo proprio all’interno dell’armadio a muro dove teniamo la biancheria – è una specie di nicchia che abbiamo al mezzanino – quando l’ho sentito gridare che usciva per andare al lavoro. Mi sono sporta per guardare. Lui era fermo sull’ottavo scalino, e ci siamo detti ciao. Poi ho sentito sbattere la porta d’ingresso – lui lascia sempre sbattere le porte, è la sola cosa poco educata che fa – poi, dopo qualche secondo, anche la porta dell’armadio è sbattuta, e io sono rimasta dentro. Una cosa allucinante. Sarei morta soffocata se, poco dopo, non fosse arrivata la donna delle pulizie.
E rabbrividì violentemente.
Se a lei non riusciva di convincere il dottore che quelli erano autentici tentativi di ucciderla, nemmeno a lui riusciva di convincerla che aveva torto. Non che le importasse di ciò che quell’uomo pensava. Non avrebbe voluto dirgli niente di quegli incidenti; anzi, non avrebbe voluto andarci affatto, e lo faceva soltanto per compiacere il marito.
Così, quando disse all’analista che c’era in progetto una crociera, e lui, tronfio, le fece notare quanto il marito si preoccupasse di farla rifiorire, lei si limitò a una stretta di spalle. Che importanza aveva? Provava solo una grande soddisfazione al pensiero che presto quello sciocco di dottore avrebbe capito d’essersi sbagliato, che l’ultima a ridere sarebbe stata lei.
A mano a mano che i giorni passavano, cominciò a pensare sempre di più alla crociera. Allontanarsi dalla neve e dal freddo! Morire al sole, in fondo era quello che aveva sempre desiderato. Amava il sole: non si era mai sentita a suo agio nei rigidi inverni del New England.
— Il mio sangue mediterraneo, — scherzava spesso, alludendo ai suoi antenati del sud della Francia.
Ora canticchiava, tirando fuori allegramente le cose d’estate dall’armadio, dando aria, lavando, stirando sotto lo sguardo compiaciuto del marito.
— Era di questo che avevi bisogno, gioia mia, — disse una volta lui, abbracciandola. — Di un po’ di sole e di caldo.
— Ah, il sole, il sole, — mormorò felice lei, rispondendo all’abbraccio.
Rifletteva tra sé che era bello, da parte del marito, avere pensato di ucciderla al caldo. Ogni tanto si domandava come lui avrebbe fatto ma la risposta era ovvia e lei istintivamente se ne ritraeva. Aveva sempre avuto paura dell’acqua e non sapeva nuotare. Lui lo sapeva, ovvio, ed era troppo mite, ne era convinta, per lasciarla semplicemente annegare. Senza dubbio avrebbe fatto in modo che fosse priva di sensi, in quel momento.
E, finalmente, venne il giorno della partenza. Lei si soffermò a guardare per l’ultima volta la sua bella casa, il prato tutt’intorno, e pensò nostalgicamente che mai più avrebbe rivisto il giardino in fiore. Stavolta, per poco non si girò verso il marito, per domandargli perché. Ma, in fondo, che differenza faceva?
La nave aveva un aspetto festoso, così bianca e pavesata nel sole, e lei provava una gaiezza indescrivibile, nel salire a bordo. Era bello che i loro ultimi giorni insieme passassero gioiosamente. Sperava che lui le concedesse alcuni giorni per crogiolarsi al sole sul ponte e, conoscendolo bene, era fiduciosa che l’avrebbe fatto. Forse avrebbe aspettato perfino il viaggio di ritorno.
La vita a bordo era come lei l’aveva sempre immaginata. Sebbene non si mescolasse molto agli altri passeggeri, lo spirito di vacanza degli altri arrivava fino a lei come una deliziosa fragranza. Il tempo era splendido e lei se ne stava tutto il giorno su una poltrona a sdraio, in una specie di dormiveglia.
Di tanto in tanto il marito veniva a sedersi lì accanto, le prendeva la mano e gliel’accarezzava, senza nemmeno esortarla a tenergli compagnia nei vari giochi di bordo. Per quanto felici fossero stati prima, ora avevano veramente raggiunto la felicità perfetta: non l’eccitante euforia dei loro primi tempi ma una felicità profondamente tranquilla e dolcissima. Quello era indubbiamente l’apice del loro matrimonio.
Nonostante questo, neppure per un attimo dubitava che lui andasse fino in fondo nel suo piano. Gli era più grata che mai d’avere rimandato l’esecuzione, ma all’inizio del viaggio di ritorno cominciò a sentirsi un pochino più inquieta. Lui si era ridotto proprio agli sgoccioli, e da un momento all’altro poteva capitare qualcosa che guastasse la perfezione della crociera.
Tre giorni prima della fine del viaggio, lei sentì finalmente che il momento era venuto. Lui era stato particolarmente tenero e premuroso per tutta la giornata, dal che lei capiva che quella sera l’avrebbe uccisa. In un’improvvisa, impetuosa ondata d’affetto, decise che avrebbe fatto il possibile per aiutarlo. Sarebbe stato terribile per lui sopportare un altro fallimento. In ogni caso, le mancava la forza di aspettare ancora.
Quella sera dopo cena, passeggiarono a braccetto sul ponte. Ma era troppo presto; c’era ancora troppa gente in giro. Sarebbe accaduto più tardi, dopo la partita a scacchi che lui faceva ogni sera. Come avevano fatto tutte le sere da che si erano imbarcati, alle dieci e mezzo si sarebbero ritrovati nel salone per un ultimo bicchierino, poi avrebbero fatto un’ultima passeggiatina prima di coricarsi. Tranne che quella sera lei non sarebbe andata a letto.
Allungata nella sua solita poltrona nell’argentea serata, appena consapevole della musica da ballo che arrivava dal salone, rifletteva che, probabilmente, lui le avrebbe lasciato cadere delle pillole di sonnifero nella bibita. Ma non avrebbero avuto il tempo di fare effetto, si rese conto con improvviso terrore. Frugando nella borsetta, tirò fuori la propria provvista di capsule e rapidamente ne inghiottì sei. Così era meglio. Sarebbe stato orribile piombare in quell’acqua nera, essendo perfettamente sveglia.
Ben presto si sentì totalmente rilassata e leggermente sonnacchiosa. Non doveva a nessun costo addormentarsi prima che scoccasse l’ora. Il ritmo improvvisamente chiassoso dell’orchestra la strappò alle sue fantasticherie. Forse era meglio camminare un po’, schiarirsi un pochino la testa. Si alzò un po’ malferma dalla poltrona, si diresse al parapetto e guardò giù, nella turbolenta fosforescenza. Rabbrividì: non era molto invitante. Lui dove avrebbe agito? Lei era pesante da spingere fuoribordo, e lui, povero caro, non era certo un colosso. Doveva avere scelto un punto dove il parapetto era più basso, probabilmente sul ponte superiore, dove c’erano le scialuppe. Si girò verso la scala e salì, arrancando; poi, a zig-zag, si portò nel punto che aveva in mente.
Cominciava a sentirsi terribilmente assonnata. Che peccato che lui non fosse lì, ora. Non pensava di poter rimanere sveglia ancora per molto. Poi, con improvvisa, nitida chiarezza, si rese conto che non c’era alcun bisogno di aspettare. Aiutarlo non era sufficiente! Avrebbe compiuto il lavoro per lui! Contenta di poter chiudere gli occhi, si sporse sempre più in fuori.
Dei passi risonarono nella sua mente in tumulto, proprio dietro di lei. E così, era venuto! Tentò di tirarsi indietro, ma i piedi malfermi scivolarono e perse quel poco di equilibrio che le rimaneva.
Nel precipitare sentì, più che vederlo, il braccio di lui che si allungava per trattenerla.
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