mercoledì 30 ottobre 2024

André Jolivet

André Jolivet (Parigi, 8 agosto 1905 – Parigi, 20 dicembre 1974) nato in una famiglia di artisti, Jolivet studiò violoncello, e in seguito composizione con Paul Le Flem, con il quale si concentrò sullo studio dell'armonia e del contrappunto.
Iniziò ad interessarsi all'atonalità dopo aver sentito in concerto le musiche di Arnold Schönberg, e su raccomandazione di Paul Le Flem divenne il solo studente europeo di Edgard Varèse, con il quale approfondì le sue conoscenze riguardanti l'acustica musicale, i sistemi di composizione atonali e l'orchestrazione.

Nel 1936 Jolivet, assieme ai compositori Olivier Messiaen, Daniel Lesur e Yves Baudrier, fondò il gruppo "La jeune France", con il quale promosse manifestazioni dedicate alla nuova musica. Fin da allora cominciò a rivelarsi quella che sarebbe rimasta la sua filosofia compositiva, ovvero l'idea di restituire alla musica il suo significato arcaico, quando essa era legata a fenomeni esoterici o religiosi, ritrovando così un lato emozionale strettamente collegato con l'aspetto rituale.
Nel 1945 pubblicò un articolo dove dichiarava che "la vera musica francese non deve niente a Stravinskij, sebbene Stravinskij stesso fu interessato ai temi del rituale in musica; questa presa di posizione fu dettata dal rifiuto del neoclassicismo in favore di uno stile compositivo meno accademico, e maggiormente collegato con la sfera spirituale.
Nel frattempo la musica di Jolivet si era allontanata dall'atonalità per riprendere un colore più lirico, spesso decisamente modale; la sua Prima sonata per pianoforte, composta nel 1945, mostra invece un tentativo di unire entrambi gli universi compositivi.

Mettendo a frutto una sua giovanile passione (fin da giovanissimo era stato attratto dal teatro), divenne direttore musicale presso la Comédie-Française, dove rimase dal 1945 al 1959, componendo numerose musiche di scena per le pièces di Molière, Jean Racine, Sofocle e Paul Claudel. Continuò comunque a comporre lavori musicali destinati alle sale da concerto, spesso ispirati dai suoi frequenti viaggi attorno al mondo (utilizzò infatti testi e musiche provenienti dall'Egitto, dal Medio Oriente, dall'Africa e dall'Asia).
Negli anni cinquanta e sessanta André Jolivet compose numerosi concerti solistici con orchestra per strumenti quali la tromba, il pianoforte, il flauto, l'arpa, il fagotto, il violoncello e le percussioni; questi lavori denotano tutti un uso virtuosistico degli strumenti solistici.
Fu anche uno dei pochi compositori che scrissero per le Ondes Martenot, uno strumento elettronico a tastiera inventato in Francia nel 1928 da Maurice Martenot.
Jolivet fondò il "Centre Français d'Humanisme Musical" nel 1959 a Aix-en-Provence, e nel 1965 fu nominato docente di composizione al Conservatorio di Parigi.

Morì nella sua città natale nel 1974, lasciando incompiuta la sua opera "Bogomilé ou Le lieutenant perdu".

Concerto per percussioni, 1958
In questo brano ascoltiamo 4 timballi, 1 rullante, 1 tamburo militare e 1 blocco di legno accompagnati da un'orchestra. È stato scritto nell'insolito tempo 5/4 con un tempo di ♩=152-160. All'inizio si sente soprattutto il trombone con interiezioni di altri ottoni, seguito velocemente dal resto dell'orchestra. Il clarinetto assume brevemente il posto di una piccola parte solista. I timballi sono molto concisi, ma funzionano per lo strumento principale solo dopo un tempo più lungo, prima di diventare più un accompagnamento. Successivamente il rullante si sposta maggiormente in primo piano, cosa che fa meglio con il suo suono un po' più stridulo. Sullo sfondo, dopo la confusione iniziale, gli strumenti ritrovano un filo conduttore, dove spiccano in particolare i fiati.
Una sezione un po' cupa inizia con gli ottoni bassi, subito seguiti dai legni. È interessante qui che l'oboe e il clarinetto formino tipi di intonazione propri e non classici, in parte simili nel suono a un'anatra. Il tamburo militare si percepisce solo dopo un po', ma poi diventa sempre più forte fino a suonare un assolo interessante che non prende il ritmo dalle diverse lunghezze delle note, ma solo dai suoi accenti; la durata della nota è sempre costante con le crome. Solo alla fine questo ritmo diventa sincopato prima che i blocchi di legno concludano il pezzo da soli.

lunedì 28 ottobre 2024

Sergio Rendine


Il 21 aprile del 2023 si è spento il compositore Sergio Rendine, per dieci anni direttore artistico del teatro Marrucino di Chieti.

Era nato a Napoli, 7 settembre 1954, si era diplomato in Composizione presso il Conservatorio di Santa Cecilia di Roma con Domenico Guaccero e presso il Conservatorio Rossini di Pesaro in Musica Corale e Direzione di Coro, fu docente presso il Conservatorio dell'Aquila e direttore artistico del Festival della musica di Stoccarda dal 1988 al 1991 e del teatro Marrucino di Chieti dal 1997 al 2007. Fu anche direttore artistico dell'Orchestra Sinfonica Siciliana e della Stagione lirica di Lecce.

Fu sempre molto legato all’Abruzzo, dagli anni di insegnamento al Conservatorio “Alfredo Casella” dell’Aquila fino ad arrivare alla decisione di stabilirsi a vivere a Collecorvino, nelle colline del pescarese.
Fu inoltre promotore della Settimana Mozartiana sempre a Chieti, manifestazione itinerante che per una settimana coinvolgeva l’intera città nell’allestimento di “salotti” dove risuonavano le note del compositore e manifestazioni a tema.
Fu autore molto prolifico di sinfonie, musica da camera e sacra, cantate e opere liriche che venivano commissionate dalle istituzioni più prestigiose. Il suo stile musicale di impronta neoromantica è sempre stato facilmente fruibile, ma non per questo fatto di melodie semplici: al contrario, forse soprattutto nella musica sacra, la sapienza compositiva emergeva con forza dai grandi blocchi corali e strumentali.
Più controversa è stata la sua figura come organizzatore di eventi e amministratore, a causa delle spesso inconciliabili dissonanze fra le ragioni dell’arte e quelle dei bilanci: il suo ultimo impegno ufficiale in questo senso, la direzione del Liberty Festival di Pescara, è stato tuttavia un grande successo di pubblico.

Ha composto: la “Missa de beatificatione in onore di P. Pio da Pietrelcina” eseguita alla Sala Nervi in Vaticano, commissionatagli come Messa ufficiale della Beatificazione; “Passio et Resurrectio”, Cantata per soli coro e orchestra per il Venerdì Santo del Grande Giubileo del 2000; “Romanza - una favola romana”, Opera in tre atti, e De Profundis, Secretum Teophili, Cantata scenica in un atto, commissionategli dall’Teatro dell’Opera di Roma; Canto della notte, per coro di voci femminili e fiati, su commissione della Fondazione Arena di Verona, Sinfonia n° 1, su commissione dell’Orchestra Sinfonica di Sanremo e Sinfonia n° 2 su commissione del Governo della Repubblica di Andorra. Lo Stato della Città del Vaticano, con il Festival di Pasqua, gli ha commissionato l'oratorio "Cadens revixit" sulla figura di San Paolo come unica opera in celebrazione dell’Anno Paolino, opera trasmessa in mondovisione. Sempre per il 2009 il Governo d’Andorra, con il Teatro “Liceu” di Barcellona e il Teatro di Madrid, gli hanno commissionato l’Opera in tre atti “ El somni de Carlemany”, prima opera lirica in lingua catalana. Nel 2010 un Doppio Concerto per violino, violoncello e orchestra per l’ONCA , e nel 2011 un’opera commissionata dal Teatro dell'Opera di Roma, su Celestino V.

È stato: Consigliere d’amministrazione dell’Accademia Nazionale di S.Cecilia dal 1994 al 1999; Commissario della SIAE per la Sezione Lirica dal 1995 al 2000; Direttore artistico del Teatro Marrucino di Chieti, Teatro Lirico d’Abruzzo - Teatro di Tradizione, dal 1997 al 2007. Docente di Armonia presso il Conservatorio di Musica di L'Aquila, è considerato tra i più importanti compositori del nostro tempo.

Sinfonia n.2, Andorrana, 2007. 
Preoccupato per l'estinzione della sinfonia come genere orchestrale principale, Rendine si è impegnato a scrivere in questo genere, fortemente incoraggiato dal direttore Marzio Conti. Questa seconda sinfonia è stata commissionata dal governo di Andorra. È un'opera che riflette sulla bellezza naturale e sulle tradizioni nazionali del paese andorrano, piuttosto piccolo ma prezioso.

Tre movimenti: Lento Allegro; Adagio; Allegro assai

G. Lamberto Pini - Fra le spighe bionde, 1938






 

domenica 27 ottobre 2024

Guido Gozzano (1883-1916)


Tra la piuma e il piombo

La storia quasi vera di Guido Gozzano sceglie il comune di Agliè, vicino Torino per essere raccontata. Seguendo le tracce delle sue poesie scopriremo una collezione di farfalle, un carteggio amoroso e un viaggio in India. Per rievocare, tra immagini e versi, la vita e le passioni di un poeta intenso e unico.

venerdì 25 ottobre 2024

Judge Parker

 

Stati Uniti, 1952 / Nicholas Dallis e Dan Heilman

In parte ispirato a un giudice del tribunale dei minorenni di Toledo, nell'Ohio, conosciuto all'inizio degli anni Cinquanta dallo sceneggiatore Nicholas Dallis (che aveva al suo attivo anche i testi del medico Rex Morgan), il giudice Parker è un vedovo cinquantenne, in seguito risposatosi e addirittura ringiovanito
rispetto alle prime storie. 


Prendendo spunto da casi autentici ricavati dalla cronaca e da riviste specializzate, le vicende di questo fumetto spaziano dai problemi dei drogati ai casi che coinvolgono l'etica professionale, dalla moglie abbandonata ai giovani traviati dalle cattive compagnie.




Parker è un giudice saggio e coscienzioso che non esita, come l'avvocato Perry Mason e come il giudice Wright, a impegnarsi in prima persona pur di far trionfare la giustizia.



URANIA n.9 - William F. Temple: ll Triangolo Quadrilatero



L’idea era troppo colossale perché la mente potesse, al primo tentativo,
afferrarne tutte le implicazioni. Ma quando l’afferravi e lasciavi che la
fantasia divagasse inseguendo tutte le possibilità...!
C’erano al mondo sei sole firme autentiche di William Shakespeare.
Adesso potrebbero essere sedici, sessantasei, seimila e sei.
C’era una sola Monna Lisa. Una sola Venere di Milo. Però adesso il
sorriso della Gioconda correva il pericolo di perdere l’unicità. «Unico» era
una parola che in quegli ultimi cinque minuti era stata privata all’improvviso
del suo significato essenziale.
Potevano esserci cinquanta Monne Lise, cento Veneri... anzi, non c’era
nessun limite alla molteplicità di quelle due femmine così interessanti... e
ciascuna Monna Lisa e ciascuna Venere potevano rivendicare di essere
genuine quanto quella che aveva sentito il pennello di Leonardo o lo scalpello
d’un ignoto greco. La stessissima tela e il colore, il marmo identico,
esattamente come le seimila e sei firme potevano rivendicare di essere fatte
con l’inchiostro fluito dalla penna d’oca del poeta.
Voltai le spalle dal risultato solido del miracolo che avevo visto operarsi
davanti ai miei occhi e dissi, con la voce turbata dallo sbalordimento e
dall’incertezza:
«Suppongo... suppongo che sarebbe addirittura possibile far esistere
un’altra Cappella Sistina, in questo modo?»
«Completa fino all’ultimo pelo dell’ultima barba dell’ultimo profeta, se ci
mettessimo al lavoro su scala abbastanza enorme», disse Rob, con un sorriso
dal quale si sforzava di escludere l’indulgenza.
«Io, non essendo più studente di anatomia e non credendo alle Porte del
Paradiso, preferisco le decorazioni del supercinema locale», osservò Bill.
«Ma se ci tieni ad avere qualcosa di simile come regalo di compleanno,
vedremo che cosa possiamo fare.»
Oh, quell’inguaribile abitudine inglese, fingere di trattare come uno
scherzo le idee e i fatti strani e nuovi; e più importante l’argomento, più
leggero il tono! Senza dubbio una risata è meglio di un urlo di rabbia e di
paura, d’una profezia di calamità e di rovina, ma non è un’accoglienza più
utile, e solo il Signore sa quante ispirazioni genuine sono intristite e morte
sotto la garbata ma tremenda ilarità anglosassone. C’è solo una cosa
perdonabile: spesso è di un’autodepressione disarmante, anche se non è molto
ragionevole. E in questo caso gli individui derisi erano gli stessi che avevano
prodotto quel miracolo con l’ingegno e la fatica, gli stessi che possedevano la
capacità di eguagliare Michelangelo e di creare una nuova Cappella Sistina.
Per collocare il miracolo al posto giusto nella strana storia del triangolo
quadrilatero è necessario tornare indietro d’una dozzina d’anni, a quel
piovoso pomeriggio, quando uno scolaretto dai capelli rossi s’era presentato
al mio ambulatorio chirurgico, stringendo tranquillamente il polso sinistro
fratturato con la mano destra.
Portava un jersey verde spaventosamente liso e rammendato, i calzini gli
ricadevano intorno alle caviglie, i calzoni erano stati malamente ricavati da
un paio più grande e di seconda mano, e la violenza del colore dei capelli era
eguagliato soltanto dalla violenza del loro disordine. Ancora a ventisei anni,
quando incominciò a compiere miracoli, i suoi capelli erano un empio intrico,
perché aveva l’abitudine di passarci in mezzo le dita, in tutte le direzioni,
quando pensava... cioè quasi sempre.
Allora, in quel pomeriggio umido, pensai che sua madre fosse una donna
trascurata, o non avesse una madre. E poi, individuando nel ragazzetto il
figlio del poco simpatico Fred Leggett che abitava nella zona più povera del
paesotto, ricordai che Mrs. Leggett era una paziente che, circa dieci anni
prima, si era spenta rapidamente nonostante le mie cure. Già era una donnina
pallida, e un’inspiegabile anemia l’aveva svuotata come se sanguisughe
invisibili si fossero attaccate al suo corpo, e prima che si potesse pensare alla
cura più indicata, il suo pallore era diventato il pallore della morte.
Il ragazzetto aveva la stessa faccia bianca, sebbene giudicassi, dalle sue
condizioni e da una certa conoscenza del carattere di suo padre, che quel
pallore fosse dovuto assai più alla denutrizione che all’anemia. Eppure, come
avrei scoperto, non mancava certo di vitalità.
«Ehilà, ragazzo mio», dissi. «Che cosa hai fatto a quel polso?»
«Stavo facendo un esperimento, dottore.»
«Un esperimento?» ripetei, esaminando il polso. «Un doppio salto
mortale o che altro?»
«No, dottore. Provavo la tensione necessaria per rompere una fune.
L’avevo attaccata a un albero e vi avevo caricato più pesi di quelli che
avrebbero dovuto spezzarla, secondo le somme che avevo fatto io.
Meccanica, sa? Ma non si rompeva e allora mi sono arrabbiato e sono andato
ad aggrapparmi e a dondolare. Così si è rotta.
E si è rotto anche il mio polso.»
«Non credo che sia rotto, ragazzo. Forse è solo una lussazione.»
«No, una lussazione si sarebbe gonfiata di più. Credo che sia una frattura
semplice.
Probabilmente una frattura di Colles. Non credo che occorrerà neppure
ridurla.»
A questo punto lo guardai attento. Non era il tipo di discorso che c’era da
aspettarsi da un quattordicenne delle elementari. La faccia pallida era tutta
seria, senza l’orgoglio della precocità. Pensai che doveva aver leggiucchiato i
manuali del pronto soccorso.
«È va bene», dissi. «Ti porterò al Cottage Hospital e vedremo che cosa
dicono i raggi X.»
Lui era incantato dall’idea di farsi radiografare. Durante il percorso in
macchina scoprii che quello non era solo un ragazzino che leggiucchiava i
manuali di pronto soccorso. Perché ero un dottore, un vecchio dottore con i
capelli grigi, il ragazzetto pensava che dovevo sapere tutto dei raggi X, la
loro storia e la loro natura, e cercava di farsi dare informazioni da me.
 

mercoledì 23 ottobre 2024

Ludovico Einaudi

Il pianista e compositore Ludovico Einaudi nasce a Torino il 23 novembre 1955. Deve forse a sua madre, pianista amatoriale, il primo impulso alla musica e a quella che sarebbe diventata una carriera illustre. Inizia gli studi musicali al Conservatorio di Torino e si diploma al Conservatorio di Milano con Azio Corghi, perfezionandosi poi con Luciano Berio, di cui diventa assistente, e con Karlheinz Stockhausen. Nel 1982 vince una borsa di studio per il Tanglewood Music Festival, dove entra in contatto con le nuove tendenze del minimalismo americano. Negli anni seguenti compone musiche per balletto, cinema e teatro, come “Sul filo d’Orfeo”, “Time out”, “The wild man”, “Salgari” e diversi lavori per orchestra e ensemble che vengono eseguiti alla Scala di Milano, all’Ircam di Parigi, al Lincoln Center di New York. 

Con l’album “Stanze” del 1992, che raccoglie sedici composizioni per l’arpa di Cecilia Chailly, inizia “un viaggio verso l’essenziale, alla ricerca della massima intensità con il minimo indispensabile”. Ma è con “Le Onde”, primo album in solo e ispirato ai racconti di Virginia Woolf, che nel 1996 cattura l’attenzione internazionale, ulteriormente accresciuta dal successivi “Eden Roc”, in cui ospita un quintetto d’archi e il duduk di Djavan Gasparyan, e da “I giorni”, un ciclo di ballate per piano ispirate da un viaggio in Mali. In Africa torna due anni dopo, su invito del Festival au Desert. Da quell’esperienza incide “Diario Mali” insieme al maestro della kora Ballaké Sissoko. 

La musiche che scrive nel 2002 per il remake del “Doctor Zhivago” trionfano al New York Film Festival, confermando il crescente prestigio di cui godono le sue colonne sonore. I teatri in cui suona diventano sempre più significativi. Nel nuovo album in studio “Una mattina” del 2004, la musica di Einaudi si fa più concentrata e introspettiva, mentre nel successivo “Divenire” si espande nelle sonorità della Royal Liverpool Philharmonic Orchestra.

Nel 2013 esce “In a time lapse”, una riflessione sul tempo, che viene registrato in un monastero e “concepito come una suite o i capitoli di un unico romanzo”, in cui convergono intorno al pianoforte archi, percussioni ed elettronica. 

L’album “Elements” scaturisce nel 2015 “dal desiderio di rincominciare da capo, di provare strade diverse”. Tre mesi di registrazioni nello studio di casa nelle Langhe “mentre fuori esplodeva la primavera” e l’album diventa “una mappa di pensieri e sentimenti, punti, linee, forme e frammenti di un solo flusso interiore tra mito, Euclide, la tavola periodica, gli scritti di Kandinsky”. 
Suona la sua “Elegy for the Arctic”, commissionata da Greenpeace, su una piattaforma galleggiante tra i ghiacci del Mar Glaciale Artico.

Dalle lunghe passeggiate invernali in montagna, nasce “Seven Days Walking”, un progetto ambizioso e visionario di sette dischi pubblicati a scadenza mensile da marzo a ottobre 2019, come altrettante variazioni intorno a uno stesso percorso immaginario, “entrando nei meandri del processo creativo come in un labirinto, tra le forme spogliate dal freddo, in una sorta di essenzialità estrema”. In contemporanea alle uscite cadenzate degli album, riprende le tournée nei maggiori teatri americani ed europei, tra cui sette sold-out consecutivi al Barbican di Londra.

Sempre nel 2019 scrive le musiche originali per “Mary said what she said” sulla vita e i tormenti di Maria Stuarda, per la regia di Bob Wilson, l’interpretazione di Isabelle Huppert e la produzione del Théâtre de la Ville di Parigi. 
Su commissione del Teatro Massimo di Palermo compone l’opera “Winter Journey” con il libretto originale di Colm Tóibin e la regia di Roberto Andò, un viaggio nell’inverno desolato dell’Europa di oggi. 

Nell’estate del 2021, Einaudi riporta la sua musica in cammino nella natura in undici concerti immersi nello scenario emozionante di parchi nazionali, riserve naturali, calette, valli, laghi e altipiani incontaminati, raggiungibili solo a piedi, all’alba, al tramonto, sotto cieli stellati. Un invito a fondere l’esperienza musicale con il paesaggio naturale.

Ma è ancora dal tempo sospeso del lockdown “con il mondo fuori quieto e silenzioso” che nasce il nuovo disco di solo pianoforte pubblicato nel 2022 con il titolo di “Underwater”, sott’acqua, “metafora di fluidità senza interferenze esterne. Un approccio più fresco e immediato con la musica, lasciandosi andare al flusso delle emozioni, in una conversazione intima, a tu per tu, con il pianoforte”. 

martedì 22 ottobre 2024

MONDADORI n.9 - Edgar Wallace: L'inafferrabile



Il signor Joe Lewinstein, si avvicinò, dondolandosi, a una delle lunghe
finestre che illuminavano il suo magnifico salone e guardò melanconico il
prato.
I cespugli di gerani e lobelia erano oscurati da una nuvola passeggera e
le aiuole ben tenute, che erano l'orgoglio dei suoi numerosi giardinieri,
erano fradice e in alcuni punti sommerse dall'acqua.
- Naturalmente doveva piovere oggi - disse amaramente.
La sua grossa moglie comodamente seduta guardava al di là degli
occhiali.
- Perché, Joe - osservò lei - a che serve brontolare? Non sono venuti per
passare un pomeriggio al fresco, ma per il ballo e per la caccia, e qualsiasi
altra cosa si aspettino da noi.
- Oh, taci, Miriam - disse il signor Lewinstein irritato - cosa importa per
cosa vengono? È quello che desidero per me stesso. Non penserai che
abbia salito tutta la scala sociale e sia arrivato dove sono arrivato senza
avere imparato nulla, vero?
Al signor Lewinstein piaceva parlare della sua quasi meteorica ascesa
nel mondo dell'alta finanza e in quello dell'alta società. A onor del vero,
bisogna aggiungere che le varie società che aveva costituito, ed erano
tante, erano state gestite nel sistema più onesto, per usare le sue parole,
senza rischiare il denaro delle vedove o degli orfani. Per lo meno, non
sempre.
- Certo, conoscendo le persone giuste - continuò lui - e mettendoli in
condizioni di fare le mosse appropriate. È più facile fare il secondo
milione che il primo, e io sto per farlo, Miriam - aggiunse, con feroce
determinazione. - Sto per farlo, e non mi vado ad attaccare alle poche
migliaia che devo spendere.
Da buona padrona di casa lei era preoccupata per il ricevimento di quella
sera, in occasione della festa del signor Lewinstein, che sarebbe costato
loro migliaia di bottiglie, ma non disse nulla.
- Scommetto che non hanno mai visto un ballo come quello di questa
sera - continuò con soddisfazione suo marito, girando le spalle alla finestra
per avvicinarsi lentamente alla donna - per la compagnia ne varrà la pena,
Miriam, credimi. Tutte le persone che contano in città saranno qui. Ci
saranno più gioielli qui, questa sera, di quelli che potrei comprare.
Sua moglie depose il giornale con gesto impaziente.
- Ecco quello che penso - disse. - Spero tu sappia quello che stai
facendo. È una grossa responsabilità!
- Cosa intendi per responsabilità? - domandò Joe Lewinstein.
- Tutti questi furti che si sentono in giro - disse sua moglie - non leggi i
giornali? Nessuno dei tuoi amici ti tiene informato?
Il signor Lewinstein sbottò in una rude risata.
- Oh, so cosa ti preoccupa - fece - stai pensando all'Inafferrabile.
- Jane Quattro Quadri! - ribadì acidamente la signora Lewinstein. -
Gliela darei io l'Inafferrabile.
- Non è un ladro comune - osservò il signor Lewinstein scuotendo la
testa, era difficile a dirsi se per disapprovazione o ammirazione. - Il mio
amico, Lord Belchester, mi ha detto che è stato un incomprensibile mistero
come sua moglie abbia perso i suoi smeraldi, e sono spariti un mese dopo
che li aveva acquistati. Lui pensa che il ladro fosse uno dei suoi invitati.
- Perché la chiamano Jane Quattro Quadri? - chiese la signora
Lewinstein incuriosita.
Il marito scrollò le spalle.
- Lascia sempre un certo marchio dietro di sé, una sorta di etichetta
stampata con quattro quadrati e la lettera " J" nel mezzo - disse. - È stato
un poliziotto a chiamarla Jane, e in qualche modo il nome corrisponde.
Sua moglie prese il giornale e lo rimise giù, osservando pensierosa il
fuoco.
- E tu fai venire tutta questa gente per passare la notte qui e parlare, tutti
ricoperti di gioielli! Hai una bella faccia tosta!
Il signor Lewinstein rise sotto i baffi.
- Ho assunto un poliziotto - fece - ho chiesto a Ross, che ha la più grossa
agenzia privata di Londra, di mandarmi la sua migliore investigatrice.
- Santo Iddio - sospirò la signora Lewinstein scoraggiata - non vorrai
avere una donna qui!
- Sì, invece. È una ragazza, a quanto pare una delle migliori ragazze che
abbia Ross. Mi ha spiegato che in casi come questi, una donna detective
tra gli ospiti dà meno nell'occhio che un uomo. Le ho detto di essere qui
alle sette.
Indubbiamente il ricevimento di casa Lewinstein fu l'avvenimento più
impressionante che la regione avesse mai visto. Gli ospiti sarebbero
arrivati da Londra con un treno speciale e sarebbero stati ricevuti alla
stazione da un piccolo corteo di automobili, che erano state requisite da
tutte le fonti possibili per metterle a loro disposizione. L'auto del padrone
di casa era già davanti alla porta, pronta per condurlo alla stazione a
incontrare i suoi ospiti quando un inserviente gli portò un biglietto da
visita.
- Caroline Smith - egli lesse. Sull'angolo c'era il nome dell'Agenzia
Investigativa Ross.
- Dite alla signorina che la riceverò in biblioteca.
La trovò che lo stava aspettando. Una ragazza distinta e carina con occhi
furbi e intelligenti che brillavano dietro gli occhiali dalla montatura sottile
e un velo sul viso, gli venne incontro con un lieve sorriso che faceva
capolino come il sole in una giornata invernale.
- Così siete Un'investigatrice - disse Lewinstein con ponderata simpatia -
sembrate giovane.
- Certo, sì - rispose la ragazza - anche dalle mie parti dove la giovinezza
non è considerata un handicap. Sono appena sotto il limite di età.
- Oh, venite dall'America, vero? - osservò il signor Lewinstein con
interesse.
La ragazza annuì.

 

lunedì 21 ottobre 2024

Roberto Cacciapaglia

 

Compositore e pianista, nasce a Milano il 28 dicembre 1959, si diploma in composizione sotto la guida di Bruno Bettinelli presso il Conservatorio Giuseppe Verdi della sua città, dove studia anche musica elettronica e direzione d’orchestra. Lavora allo studio di Fonologia della Rai e collabora con il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Pisa, studiando le applicazioni del computer in campo musicale. Protagonista della scena musicale internazionale più innovativa con la sua musica esplora tutti i generi fondendo classico e avanguardia, tradizione e contemporaneità. 

Nel 1975 con l’etichetta tedesca Ohr realizza “Sonanze”, primo LP quadrifonico pubblicato in Italia, ed entra in contatto con gruppi musicali tedeschi come Popol Vuh e Tangerine Dream. 
Negli anni seguenti pubblica e rappresenta opere, concerti, musiche per balletto: “Sei note in Logica” per voci, orchestra e computer; “Generazioni del Cielo” opera in due atti; “Lamentazioni di Geremia” cinque elegie su testo ebraico. Nello stesso anno esegue in concerto “In C” con Terry Riley, brano manifesto del minimalismo in musica, e l’inedito “Transarmonica”; “Aurea Carmina”, su testo di Pitagora; “Il segreto dell'Alba” balletto-pantomima; “Un Giorno X” sua seconda opera; “Le Mille e una Notte” fiaba musicale.

Dal lungo sodalizio artistico intrapreso con la Royal Philharmonic Orchestra prendono vita i suoi lavori “Quarto Tempo”, “Canone degli Spazi” e “Ten Directions”.
Nel 2013 compone “Antartica”, che accompagna la spedizione europea Concordia in Antartico. 
Nel 2015 realizza “Tree of Life” colonna sonora dell’Albero della Vita, icona dell’EXPO 2015 di Milano. Si tratta di un lavoro che raccoglie una serie di composizioni orchestrali con alcune intrusioni nell’elettronica.
L’album propone una serie di brani che si rifanno all’universo musicale della colonna sonora  e che, malgrado l’omonimia, nulla hanno a che fare con il capolavoro cinematografico di Terrence Malick, i primi sei sono stati infatti realizzati per essere proposti ciclicamente all’interno del padiglione Italia dell’EXPO 2015. Altri temi fanno parte del precedente repertorio di Cacciapaglia e sono composizioni sia per pianoforte e orchestra che elettroniche tratte dal l’esperienza quadrifonica di “Sonanze”. Tutto il materiale è stato rielaborato e riarrangiato appositamente per questa edizione discografica al fine di dare ai brani maggiore affinità e un filo conduttore sonoro più omogeneo.
Nel 2018 con il “Celebration Tour” porta la sua musica da Mosca a tutta la Russia fino in Siberia, Europa, America, Cina, e Turchia. 
Nello stesso anno registra “Diapason” con la Royal Philharmonic Orchestra - Abbey Road Studios, Londra, che presenta in concerto in tutto il mondo con il “Diapason Worldwide Tour”. 
Alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e ai Mondiali di ginnastica ritmica di Kitakyushu nel 2021 le Farfalle Azzurre, squadra nazionale italiana di ginnastica ritmica, vincono la medaglia d’oro sulle note del brano "Tree of Life Suite”. 
Il 24 febbraio 2023 pubblica il nuovo album “Invisible Rainbows” (Ingrooves). 
Quest'anno ha musicato INCIPIT / Moz-Art K.488 ReComposed. 


Antonio Cechov - Un lavoro artistico, 1929





domenica 20 ottobre 2024

Eugenio Montale (1896-1981)


 In un'aria di vetro

Un concerto di passerotti, un baritono mancato, un meriggiare pallido e assorto per la "storia quasi vera" di Eugenio Montale. Un viaggio nella Liguria delle Cinque Terre sulle tracce delle sue poesie più significative e dei frammenti di una vita quotidiana fatta di parole, colori e musica.

venerdì 18 ottobre 2024

Nigel Strangeways

 

Gran Bretagna, 1935 / Nicholas Blake

Esperto di letteratura elisabettiana oltre che in possesso della più classica cultura oxfordiana, Nigel Strangeways è un eterno fanciullone dal ciuffo ribelle che fa lo scultore e l'investigatore per hobby.
 


Dopo molte avventure sentimentali si è innamorato dell'esploratrice Georgia Cavendish, che in seguito sposerà e che morirà durante la Seconda guerra mondiale, !asciandolo in un lungo periodo di depressione dal quale uscirà a fatica grazie alla scultrice Clara Massinger.




Personaggio in parte autobiografico (cioè, come l'autore Nicholas Blake avrebbe desiderato essere, dato che gli ha dato tanti aspetti del proprio carattere e della propria vita), Nigel Strangeways è apparso per la prima volta nel 1935 in A question of proof ed è in seguito stato riproposto in altri sedici romanzi (alcuni pubblicati in Italia da Mondadori) che la critica inglese ha
lodato per la loro originalità, anche se la produzione del dopoguerra di
 questo autore è considerata da Julian Symons largamente inferiore alla precedente. 



Nel 1960, A Question of Proof fu adattato per il Saturday Night Theatre, con Nigel Stock nel ruolo di Strangeways, mentre nel 1966 Richard Hurndall recitò in I Am Lucy Wragby , un adattamento di The Sad Variety. Simon Cadell ha interpretato il detective in un adattamento del 1991 di The Smiler with the Knife.
A Question of Proof e The Beast Must Die sono stati adattati da Michael Bakewell nel 2004. Entrambi i drammi avevano come protagonista Philip Franks nel ruolo di Strangeways.



Il quarto romanzo della serie La bestia deve morire è stato adattato più volte per il cinema e la televisione. Le versioni cinematografiche includono un adattamento argentino del 1952 La bestia debe morir e il film francese del 1969 Que la bete meure.
End of Chapter e The Beast Must Die furono adattati separatamente per la serie antologica della BBC degli anni '60 Detective. Strangeways è stato interpretato rispettivamente da Glyn Houston e Bernard Horsfall.



Nel 2021, The Beast Must Die è stato nuovamente adattato come serie televisiva per BritBox e AMC. Billy Howle ha interpretato il ruolo di Strangeways.

giovedì 17 ottobre 2024

URANIA n.8 - Alfred E. Van Vogt.: ll Segreto Degli Slan



La mano di sua madre, che stringeva la sua, sembrava di ghiaccio. Mentre
camminavano di buon passo per la strada, la paura che lei provava si
trasformava in una soffocata ma rapida pulsazione che dalla sua mente si
trasferiva a quella di lui. Centinaia di altri pensieri battevano alla sua
coscienza, provenendo dalla folla che scorreva da una parte e dall'altra, e
dall'interno degli edifici che costeggiavano. Ma solo i pensieri di sua madre
erano chiari e coerenti... e pieni di timore.
«Ci stanno seguendo, Jommy», trasmetteva il suo cervello. «Non sono del
tutto sicuri, ma sospettano qualcosa. Abbiamo rischiato una volta di troppo a
venire nella Capitale, anche se speravo che questa volta avrei potuto farti
vedere come facevano gli Slan a entrare nei sotterranei dov'è nascosto il
segreto di tuo padre. Jommy, se succede il peggio, sai quel che devi fare.
Abbiamo fatto le prove tante volte. E, Jommy, non ti spaventare e non ti
agitare. Anche se hai solo nove anni, sei intelligente quanto un ragazzo
umano di quindici.»
Non ti spaventare! Facile da dirsi, pensò Jommy, ma le nascose il proprio
pensiero. A lei non piaceva che glielo nascondesse, che frapponesse fra di
loro quello schermo deformante. Ma c'erano dei pensieri che bisognava
nascondere. Lei non doveva sapere che anche lui aveva paura. Era anche una
cosa nuova ed eccitante. Si sentiva eccitato ogni volta che arrivava nel cuore
di Centropoli dalla tranquilla periferia dove vivevano. I grandi parchi, i
chilometri di grattacieli, il tumulto della folla, gli sembravano sempre più
belli di come glieli dipingeva la sua immaginazione: ma bisognava
aspettarselo che nella Capitale del mondo tutto fosse grande. Lì
c'era la sede del Governo. Lì, da qualche parte, viveva Kier Gray, il Dittatore
assoluto dell'intero pianeta. Tanto tempo prima — secoli prima — gli Slan
erano stati padroni di Centropoli, durante il breve periodo del loro dominio.
«Jommy, senti la loro ostilità? Senti ancora le cose da lontano?»
Lui divenne teso. L'onda continua di indeterminazione che proveniva dalla
folla che li circondava divenne un vortice di clamore mentale. Da qualche
parte gli giunse l'eco di un pensiero:
«Dicono che ci siano ancora degli Slan che vivono in questa città, malgrado
tutte le precauzioni e l'ordine di sparare a vista».
«Ma non è pericoloso?» Ecco un altro pensiero, certamente una domanda
fatta ad alta voce, sebbene Jommy ne ricevesse solo l'immagine mentale.
«Voglio dire che potrebbe essere uccisa per errore una persona assolutamente
innocente.»
«Per quello di rado sparano a vista. Cercano di prenderli e di studiarli. I loro
organi interni sono diversi dai nostri, sai, e sulla testa hanno...»
«Jommy, riesci a sentirli, un isolato dietro a noi? Sono in una grande
macchina! Aspettano dei rinforzi per accerchiarci. Vanno svelti! Riesci ad
afferrare i loro pensieri, Jommy?»
Non ci riusciva! Per quanto tendesse la mente e si sforzasse, addirittura
sudando per lo sforzo. Quello era il punto in cui i poteri adulti di lei
superavano l'istinto precoce di lui. Lei riusciva a superare le distanze e a
concretizzare vibrazioni lontane in immagini coerenti. Avrebbe voluto girarsi
e guardare, ma non ne aveva il coraggio. Le sue gambe infantili, anche se
lunghe, si piegavano sotto di lui mentre quasi correva per tenere dietro con il
passo all'impazienza di sua madre. Era terribile essere piccoli, deboli e
inesperti, mentre la loro vita richiedeva la forza della maturità, la prontezza
degli Slan adulti.
I pensieri di sua madre si aprirono una via nelle sue riflessioni:
«Ce n'è qualcuno davanti a noi, Jommy, e degli altri stanno attraversando la
strada. Devi andare, tesoro. Non dimenticare quello che ti ho detto. Devi
vivere per un solo scopo: per fare in modo che gli Slan possano vivere delle
vite normali. Penso che dovrai uccidere il nostro grande nemico, Kier Gray,
anche se dovrai entrare nel suo immenso palazzo. Ricordati: ci saranno grida
e confusione, ma tu tieni la testa a posto. Buona fortuna, Jommy!».

 

mercoledì 16 ottobre 2024

Boris Blacher

 

Boris Blacher, compositore e insegnante tedesco, classificato dal regime nazista tra gli autori di “musica degenerata”, soltanto dopo la seconda guerra mondiale assume rilievo nella vita musicale di Berlino.
Nasce in Cina, a Niu-ch’ang, dove temporaneamente, per motivi di lavoro, risiedono i suoi genitori. Studia musica mentre si trova a Irkutsk, Siberia, poi frequenta Architettura presso l’Università di Berlino. Nel 1924, deciso a seguire le proprie inclinazioni, inizia a studiare composizione con Friedrich Koch; tra i suoi primi lavori importanti si ricordano la musica per accompagnare il film muto “Bismarck” del 1925 e l’opera “Habemajaja”, composta nel 1929 per la Radio di Berlino.
Boris Blacher, che annovera un’ascendenza ebrea, subisce la censura del regime nazista; una delle sue opere messe al bando è la “Concertante Musik”, oggi una delle sue composizioni più spesso eseguite. Nel 1937, per interessamento di Karl Böhm, Blacher può insegnare al Conservatorio di Dresda, tuttavia due anni più tardi lascia questo incarico e, temendo rappresaglie, vive in clandestinità.
Nel dopoguerra l’attività musicale di Boris Blacher trova spazio nei nuovi ambienti musicali berlinesi; grande notorietà ottiene con le “Variazioni su un tema di Paganini”, brano per orchestra scritto nel 1947. Nel 1948 è chiamato a insegnare composizione all’Accademia Musicale di Berlino, ne sarà il direttore tra il 1953 e il 1970.
Boris Blacher continua a comporre fino agli ultimi giorni della sua vita; lascia moltissima musica per il teatro, tra cui 13 opere liriche e 9 balletti, e numerose composizioni per orchestra sinfonica e da camera. Si esprime con forme tradizionali ma non disdegna l’approccio alla dodecafonia, come nel balletto “Lysistrata” del 1950, e alla musica elettronica, alla quale si avvicina nel corso degli anni ’60. Suo figlio, Kolja Blacher, è un violinista, conosciuto anche in campo internazionale.

La Symphonie del 1938 è un'opera forte, ma sensibile, con un finale esilarante di un singolo compositore, tuttavia potrebbe ricordare la "Kleine Symphonie" di Werner Egk di una dozzina di anni prima. La gioiosa "fuga" è una corsa folle ma giocosa, parte della quale ricorda - perversamente - il secondo movimento "scherzo" (solo per strumenti a fiato) dell'ottava sinfonia di Vaughan Williams. 

martedì 15 ottobre 2024

MONDADORI n.8 - Marie Belloc Lowndes: La dama di compagnia



Era un buio pomeriggio dei primi di dicembre, non però tanto buio che non si potessero leggere i sommari dei giornali della sera, stampati a lettere di scatola:
LA TRAGEDIA DI SWANMERE
STRAORDINARIE RIVELAZIONI
SUL MISTERIOSO AFFARE RAYDON
Coloro che scorrevano con gli occhi i sommari, si sarebbero potuti dividere in due categorie: la più numerosa era quella composta di persone avide di conoscere tutti i particolari di un fatto di cronaca certamente annoverabile fra i delitti più misteriosi del ventesimo secolo. L'altra categoria, infinitamente più piccola, comprendeva quanti erano seccati e disgustati di vedere che anche il loro giornale preferito favoriva una curiosità a detta loro morbosa. Ma anche questa seconda categoria doveva onestamente ammettere che l'affare Raydon conteneva tutti gli elementi atti a formare una causa celebre.
Una cosa sola mancava in tutta quella faccenda, ma una cosa importantissima agli occhi di coloro che si atteggiano a giudici nei delitti; vale a dire che, nonostante i titoli dei giornali che parlavano del mistero di Raydon, del mistero ve ne era proprio poco.
Tutto il fascino di quella faccenda consisteva nella spietata rivelazione di certi segreti, fatta durante quel processo, condotto con la più rigorosa giustizia, ma anche con la più grande crudeltà; segreti che di solito sono tenuti nascosti alle orecchie avide di sapere e agli occhi curiosi di conoscere, nei più profondi recessi della nostra misera natura umana.
Non bisogna però credere che il pubblico s'interessasse poco del processo, perché conosceva o credeva di conoscere tutta la trama di quel sinistro complotto, nato in parte dalla passione e in parte da uno sfrenato amore del denaro e dall'imperiosa necessità di possederne ad ogni costo; tratti salienti, questi, della nostra civiltà moderna.
Per quanto i personaggi del dramma fossero parecchi, tre di loro, due uomini e una donna, assorbivano tutta l'attenzione del pubblico.
Il primo era l'assassinato, Battista Raydon, descritto nell'atto di accusa del Procuratore Generale come un tipico inglese dell'alta borghesia, studente esemplare prima della guerra e considerato più tardi, con suo gran rincrescimento, come troppo utile al paese per poter essere mandato al fronte. E il ritratto che era stato fatto del povero Raydon era indubbiamente attraente: lavoratore, coscienzioso, ragionevolmente appassionato di sport e di esercizi all'aria aperta, non aveva avuto nella sua vita che una sola poesia: il suo intenso amore per la giovane e bellissima moglie.
Il secondo personaggio del dramma era l'amante della moglie, Giacomo Mintlaw. Costui era una figura veramente romantica. Al principio della guerra aveva abbandonato la sua proficua occupazione nel Canadà, per tornare in patria ad arruolarsi come volontario nella Guardia, e a guerra finita si era ritirato dall'esercito col grado di colonnello e con tutte le decorazioni possibili e immaginabili, britanniche e francesi.
Mintlaw nelle sue rare e brevi licenze a Londra aveva assiduamente frequentato, appassionatamente amato e ardentemente desiderato di sposare - era una circostanza pacifica - l'allora vedova di guerra, destinata a diventare più tardi la signora Raydon. E ora si trovava involto in quella terribile storia, per lo strano fatto di essere tornato senza un soldo, dopo la guerra, nel Canadà, dove era diventato amico e socio di un individuo ricchissimo, il quale, morendo improvvisamente, lo aveva lasciato erede di tutte le sue sostanze. Orbene, questa apparente buona fortuna era finita per essere causa della più grave disgrazia. Giacomo Mintlaw era tornato in Europa, ma soltanto per venire a sapere che la bella vedova, da lui sempre amata, aveva ripreso marito. Nondimeno una settimana non era ancora trascorsa dal suo ritorno in Inghilterra, che egli già aveva riannodato la sua conoscenza con lei; pochi giorni dopo essa era riuscita a carpirgli uno chèque di tremila sterline. Era proprio per quel dono, secondo lui, puramente amichevole, che Giacomo Mintlaw si trovava coinvolto nel così detto mistero di Raydon.
Il terzo personaggio era la graziosa, affascinante e scervellata Eva Raydon in persona. La maggior parte delle centinaia di migliaia di persone che seguivano le fasi del dramma rappresentato in quel momento davanti alla Corte d'Assise, trovava che la migliore descrizione di Eva era stata fatta dalla madre del povero Battista Raydon, la quale dal banco dei testimoni, aveva pronunziato nettamente queste parole: "Egoista, leggera, amante dei divertimenti e prodiga."
Ma, ciò nonostante, vi erano ancora di quelli che, conquistati dalla sua eccezionale bellezza e dalla sua incantevole grazia femminile, trovavano delle attenuanti ai suoi difetti, erigendosi a suoi campioni, malgrado le prove schiaccianti accumulate contro di lei.
Dal punto di vista del pubblico, la signora Raydon madre era di gran lunga il personaggio più importante, fra quanti avevano rappresentato una parte secondaria in quel dramma di segrete passioni. Era stata quasi unicamente la sua ferma convinzione che il figlio non fosse morto di morte naturale, unita alla scoperta di una certa lettera nella stanza funebre, che aveva condotto all'autopsia, in séguito alla quale era stato dichiarato che Battista Raydon era morto per avere ingerito una forte dose di arsenico.

lunedì 14 ottobre 2024

Bruno Maderna

Figura fondamentale per lo sviluppo e la divulgazione della Nuova Musica, Bruno Maderna (Venezia 1920 – Darmstadt 1973) compì studi precocissimi ma irregolari con Gian Francesco Malipiero ed Hermann Scherchen. Presente a Darmstadt fin dal 1949, fu tra i primi ad accostarsi al serialismo post-weberniano professato nella cittadina tedesca dai principali rappresentanti dell’Avanguardia europea; ma fu anche tra i primi a dissociarsi da una supina accettazione del razionalismo strutturalista e ad aprirsi a una dimensione dell’arte più libera e fantasiosa, riconoscendo tra l’altro il giusto valore alle nuove espressioni “aleatorie” – in un primo momento considerate solo provocatorie – di John Cage e delle culture musicali extraeuropee. Curioso verso ogni forma della materia sonora, instancabile sperimentatore, Maderna fu un pioniere anche per quanto riguarda la musica elettronica e nel 1955 fondò, insieme con Luciano Berio, lo Studio di Fonologia della RAI di Milano, lavorandovi fino al ’62.
Tra le sue composizioni più note, si ricordano Musica su due dimensioni, Serenata per 11 strumenti, tre Concerti per oboe e orchestra, Serenata per un satellite, Grande aulodia per flauto, oboe e orchestra e le opere di teatro musicale Hyperion e Satyricon.
Altrettanto importante è infine il Maderna direttore d’orchestra, interprete fine e sensibilissimo che contribuì in modo determinante a divulgare la musica moderna e contemporanea presso il pubblico di tutto il mondo. Sono state di recente ritrovate e pubblicate sue opere ritenute disperse, come il Requiem per soli, coro e orchestra del 1946 e il Concerto per pianoforte e orchestra del 1941. Entrambi i brani sono stati presentati in concerto nell’autunno 2009.

Spirito avventuroso ed irrequieto, Maderna non cessò mai di indagare nuove tecniche compositive; dal neoclassicismo modaleggiante dei lavori giovanili, ben presto si avvicinò all'espressionismo atonale della seconda scuola di Vienna ed alla dodecafonia, senza per questo dimenticare la principalissima esperienza bartokiana (di cui vi sono echi nel Concerto per due pianoforti e strumenti del 1948 e che ritornerà presente nelle tecniche proliferative da lui ampiamente utilizzate nei lavori degli ultimi anni).

Fu tra i precursori del serialismo musicale assieme ai colleghi Stockhausen, Boulez e Nono, dai cui rigori si discostò tuttavia presto per elaborare il suo personale universo seriale. Maderna fu inoltre tra i primi ad indagare le possibilità offerte dall'alea (a questo riguardo, la sua Serenata per un satellite del 1969 viene universalmente considerata come uno dei momenti di più alto lirismo ottenuti con l'utilizzo di tecniche aleatorie).
Allo stesso tempo, fu precursore dell'impiego dei mezzi musicali elettronici (il suo brano Musica su due dimensioni fu il primo in assoluto a prevedere l'interazione tra un musicista dal vivo ed un nastro registrato).
I suoi ultimi lavori denotano una grande volontà di sincretismo, mirata all'uscita da alcune delle problematiche compositive legate agli anni precedenti, tentativo che avrebbe potuto portare a sviluppi importanti ed inaspettati, se non fosse stato troncato dalla sua prematura scomparsa nel 1973.

Concerto per oboe e orchestra No.3 (1973)
L'oboe più che si adattava alla predilezione di Maderna per le strutture chiare e i suoni sensuali e concreti. Non senza ragione, in un'epoca in cui l'offerta di musica dedicata all'oboe era tutt'altro che abbondante, Maderna scrisse non uno, non due, ma tre concerti (oltre a numerose altre opere per oboe) per questo suono "nasale" membro della famiglia dei legni. Questo concerto (1973) sarebbe diventato l'ultima composizione di Maderna prima della sua morte nel novembre dell'anno in cui fu scritto. Sapere ciò potrebbe avere una certa influenza sul modo in cui si ascolta l'opera; già l'apertura dell'oboe solista, che si abbandona a suoni sorprendentemente lirici, lascia stupiti; e il finale ha "un grande potere suggestivo, poiché sopra l'accompagnamento orchestrale misteriosamente sbiadito, l'oboe sta lentamente fluttuando verso il cielo".

Fiducia - La porta aperta, 1931









 

domenica 13 ottobre 2024

Vincenzo Cardarelli (1887-1959)

 

L'ultima spiaggia

Le spiagge di Tarquinia e la Via Veneto in cui stava per sbocciare "la dolce vita": è la "storia quasi vera" di Vincenzo Cardarelli. Un ritratto realizzato nei luoghi e nelle strade in cui ha vissuto, attraverso i ricordi dell'infanzia, l'attività giornalistica, il suo amore per Giacomo Leopardi.

giovedì 10 ottobre 2024

URANIA n.7 - Eric Frank Russell: Schiavi Degli Invisibili



— Una morte immediata attende la prima mucca che guida una rivolta
contro la mungitura — disse pensieroso il professor Peder Bjornsen. Era una
prospettiva nuova, e molto sgradevole, nata da fatti spaventosi. Bjornsen si
passò le lunghe dita sottili tra i capelli precocemente incanutiti e guardò dalla
finestra dello studio, affacciata al terzo piano sopra il traffico intenso
dell'Hötorget di Stoccolma. Ma i suoi occhi non vedevano il traffico.
— E c'è uno scacciamosche che aspetta la prima ape decisa a protestare
contro il furto del miele — aggiunse. Stoccolma rombava e ronzava: una città
ignara delle proprie catene. Il professore continuò a tenere gli occhi
spalancati in una contemplazione impaurita e taciturna. Poi all'improvviso i
suoi occhi si levarono, spalancandosi in un lampo d'apprensione. Si scostò
dalla finestra, adagio, con riluttanza, muovendosi come se per pura forza di
volontà si costringesse a staccarsi da un orrore, che chiamava, chiamava
invisibilmente.
Alzò le mani e spinse, spinse inutilmente l'aria. Gli occhi stralunati,
ancora innaturalmente freddi e duri e tuttavia accesi da qualcosa che stava al
dilà della paura, seguirono affascinati un punto informe e incolore in
movimento dalla finestra al soffitto. Si voltò con uno sforzo immane e corse
via a bocca aperta, esalando tacito il fiato.
Non aveva percorso metà della distanza che lo separava dalla porta
quando lanciò un breve gemito, incespicò, cadde. La mano convulsa afferrò
sulla scrivania l'agenda a fogli mobili e la trascinò giù sul tappeto. Bjornsen
si portò le mani al cuore, singultando, e restò immoto. La scintilla che l'aveva
animato si estinse. Il foglietto superiore dell'agenda svolazzò, mosso da una
strana brezza inesplicabile venuta dal nulla. La data era il 17 maggio 2015.
Bjornsen era morto da cinque ore, quando arrivò la polizia.
Imperturbabile, il medico legale diagnosticò un collasso cardiaco e lasciò
perdere. Curiosando irrequieto, il tenente Baeker trovò sulla scrivania del
professore un biglietto: un messaggio dall'aldilà.
«Una conoscenza limitata è pericolosa. Mi è umanamente impossibile
tenere a freno i pensieri in ogni minuto della giornata, dominare i sogni
involontari a ogni ora della notte. È inevitabile che presto io venga trovato morto, nel qual caso dovrete...»
— Dovrete che cosa? — domandò Baeker. Non vi fu risposta. La voce
che, rispondendo, avrebbe potuto sconvolgerlo, taceva per sempre. Baeker
ascoltò il referto del medico, e poi bruciò il biglietto. Il professore, pensò,
come altri suoi colleghi, invecchiando era divenuto eccentrico, oberato
com'era da un'erudizione troppo astrusa. Era collasso cardiaco, praticamente e
ufficialmente.
Il 30 maggio il dottor Guthrie Sheridan, con i passi lenti e sussultanti di
un automa, percorreva Charing Cross Road, a Londra. Teneva fissi al cielo
gli occhi lucidi e gelidi, mentre le gambe si muovevano meccanicamente:
aveva l'aspetto bizzarro di un cieco che segue un percorso ben noto.
Jim Leacock lo vide procedere in quel modo assorto, e non notò niente di
anormale. Si avvicinò, esclamò «Ehi, Sherry!», e si accinse a dargli una
cordiale pacca sulla schiena. Si fermò, sgomento.
Guthrie girò verso di lui il volto pallido e tirato, dagli occhi che
brillavano come ghiaccioli visti in un crepuscolo azzurrognolo, e
afferrandogli un braccio esclamò: — Jim!
Santo cielo, come sono contento di vederti! — Il respiro era concitato, la
voce incalzante. — Jim, devo parlare con qualcuno... se no diventerò pazzo.
Ho appena scoperto la cosa più incredibile in tutta la storia dell'umanità. È
davvero qualcosa da non credere: eppure spiega mille cose che avevamo a
malapena intuito, o ignorato completamente.
— Di che si tratta? — domandò Leacock, scettico. Studiò il volto alterato
dell'altro.
— Jim, posso dirti che l'uomo non è e non è mai stato il padrone del
proprio destino, il signore della propria anima. Oh, perfino le bestie... —
S'interruppe, afferrò l'interlocutore. La sua voce salì di due toni,
raggiungendo una nota isterica. —
L'ho pensato! L'ho pensato, ti dico! — Le ginocchia gli si piegarono. —
Sono spacciato! — E si afflosciò sul marciapiede.
Prontamente lo sbigottito Leacock si chinò su di lui, gli aprì la camicia,
gli posò una mano sul petto. Non sentì nessun battito. Il cuore che poco prima
pulsava all'impazzata si era fermato per sempre. Sheridan era morto. Collasso
cardiaco, evidentemente.
Alla stessa ora dello stesso giorno, il dottor Hans Luther fece qualcosa di
molto simile. Lanciando alla massima velocità attraverso il laboratorio il
corpo ingannevolmente grassoccio, scese precipitosamente le scale e tagliò
per l'atrio. Fuggì, gettandosi occhiate impaurite alle spalle, e quegli sguardi
scaturivano da occhi che parevano d'agata levigata.

 

martedì 8 ottobre 2024

MONDADORI n.7 - Alfred Edward Woodley Mason: La casa della freccia



Gli avvocati londinesi Frobisher e Haslitt erano orgogliosi di annoverare
tra i loro clienti molte persone che avevano degli interessi in Francia.
- Riusciamo così ad avere un posto nella storia - soleva dire il signor
Geremy Haslitt. - Fu nel 1806 che il signor James Frobisher, il nostro
illustre socio, organizzò la fuga di centinaia di sudditi britannici trattenuti
in Francia dall'editto di Napoleone I. Lo studio ricevette i ringraziamenti
del governo di Sua Maestà, ed è stato così fortunato da conservarsi le
relazioni contratte in quell'epoca. Mi occupo io stesso di questo ramo dei
nostri affari!
È per questo motivo che nel corriere giornaliero del signor Haslitt
figuravano sempre molte lettere coi francobolli azzurri francesi. Ma quella
mattina d'aprile non ce n'era che una. L'indirizzo era stato vergato con una
calligrafia minuta e irregolare che il signor Haslitt non conosceva. Ma
poiché la busta portava il timbro di Digione, il signor Haslitt si affrettò ad
aprirla. Aveva una cliente a Digione, una vedova, la signora Harlowe,
della cui salute aveva già avuto cattive notizie. La lettera proveniva
certamente dalla Maison Grenelle, la dimora della signora Harlowe, ma
non era stata scritta da lei. Il signor Haslitt guardò la firma.
Alfred E. W. Mason 1 1930 - La Casa Della Freccia Rossa
- Waberski? - disse, corrugando la fronte. - Boris Waberski? - E poi,
ricordandosi esclamò: - Ah! già, già! - Si sedette e cominciò a leggere. La
prima parte della lettera non conteneva che complimenti e gentilezze, ma a
metà circa della seconda pagina appariva ben chiaro a che cosa mirasse lo
scrivente. Mirava a cinquecento sterline. Il vecchio signor Haslitt sorrise e
proseguì nella lettera, facendo i suoi commenti ad alta voce.
Ho una gran bisogno di quel denaro, scriveva Boris...
- Non ne dubito! - mormorò il signor Haslitt.
... la mia amata sorella Mary Joan... continuava la lettera.
- Cognata! - corresse il signor Haslitt.
... non può vivere a lungo nonostante le cure e le attenzioni che ho per
lei, proseguiva Boris Waberski. Come voi certamente sapete, lei mi ha
lasciato una buona parte della sua sostanza. Questo denaro è dunque già
mio, non è vero? Lo posso dire senza che le mie parole vengano male
interpretate. Bisogna guardare la realtà bene in faccia. Speditemi dunque
un po' di quel denaro che è mio, per lettera raccomandata, e ricevete i
miei più distinti saluti!
Il sorriso del signor Haslitt si tramutò in un risolino di scherno. Lui
possedeva una copia del testamento di Mary Joan Harlowe, redatto in
debita forma da un notaio francese di Digione, col quale lei lasciava fino
all'ultimo centesimo della sua sostanza a Betty Harlowe, nipote di suo
marito e sua figlia adottiva. Ripiegò la lettera e fece per stracciarla, ma poi
cambiò idea.
- Meglio di no - si disse. - Con certa gente come Boris Waberski, non si
sa mai - e richiuse le lettera nella sua cassaforte privata.
Quando, tre settimane dopo, tra gli annunci mortuari del Times, lesse
quello della signora Harlowe, e ricevette un biglietto listato di nero col
quale Betty Harlowe lo invitava ai funerali a Digione, fu ben lieto di aver
conservato quello scritto. L'invito era puramente formale, perché, anche se
fosse partito subito, non avrebbe potuto arrivare in tempo per la cerimonia.
Si limitò dunque a scrivere alcune righe di condoglianze alla fanciulla e
una lettera al notaio francese per mettere a disposizione di Betty i servizi
del proprio studio. Poi attese.
- Il nostro Boris non tarderà certamente a farsi vivo! - si disse. Dopo
pochi giorni, infatti, ricevette un'altra lettera. L'indignazione e l'ira
avevano reso ancor più minuta e irregolare la calligrafia, e Waberski aveva
creduto opportuno raddoppiare la sua domanda.
Alfred E. W. Mason 2 1930 - La Casa Della Freccia Rossa
È incredibile! - scriveva. - Non ha lasciato nulla a me, suo fratello, che
ero così premuroso lei. Qui c'è qualcosa che non mi persuade. Mandatemi
ora mille sterline per lettera raccomandata. - Avete avuto sempre il
mondo contro di voi, mio povero Boris - soleva dire mia cognata con le
lacrime agli occhi. - Ma penserò a voi nel mio testamento! - E invece
nulla! Naturalmente ho parlato a mia nipote... ah, che donna senza cuore!
Mi ha riso in faccia. Pensate! Mille sterline, signore, altrimenti
nasceranno dei guai! Non si ride in faccia a Boris Waberski impunemente!
O mille sterline per lettera raccomandata, oppure... e questa volta Boris
Waberski non pregava il signor Haslitt di ricevere i suoi saluti, più o meno
distinti, ma si limitava a mettere la sua firma sottolineandola con un
segnaccio che attraversava tutto il foglio.