L’idea era troppo colossale perché la mente potesse, al primo tentativo,afferrarne tutte le implicazioni. Ma quando l’afferravi e lasciavi che lafantasia divagasse inseguendo tutte le possibilità...!C’erano al mondo sei sole firme autentiche di William Shakespeare.Adesso potrebbero essere sedici, sessantasei, seimila e sei.C’era una sola Monna Lisa. Una sola Venere di Milo. Però adesso ilsorriso della Gioconda correva il pericolo di perdere l’unicità. «Unico» erauna parola che in quegli ultimi cinque minuti era stata privata all’improvvisodel suo significato essenziale.Potevano esserci cinquanta Monne Lise, cento Veneri... anzi, non c’eranessun limite alla molteplicità di quelle due femmine così interessanti... eciascuna Monna Lisa e ciascuna Venere potevano rivendicare di esseregenuine quanto quella che aveva sentito il pennello di Leonardo o lo scalpellod’un ignoto greco. La stessissima tela e il colore, il marmo identico,esattamente come le seimila e sei firme potevano rivendicare di essere fattecon l’inchiostro fluito dalla penna d’oca del poeta.Voltai le spalle dal risultato solido del miracolo che avevo visto operarsidavanti ai miei occhi e dissi, con la voce turbata dallo sbalordimento edall’incertezza:«Suppongo... suppongo che sarebbe addirittura possibile far esistereun’altra Cappella Sistina, in questo modo?»«Completa fino all’ultimo pelo dell’ultima barba dell’ultimo profeta, se cimettessimo al lavoro su scala abbastanza enorme», disse Rob, con un sorrisodal quale si sforzava di escludere l’indulgenza.«Io, non essendo più studente di anatomia e non credendo alle Porte delParadiso, preferisco le decorazioni del supercinema locale», osservò Bill.«Ma se ci tieni ad avere qualcosa di simile come regalo di compleanno,vedremo che cosa possiamo fare.»Oh, quell’inguaribile abitudine inglese, fingere di trattare come unoscherzo le idee e i fatti strani e nuovi; e più importante l’argomento, piùleggero il tono! Senza dubbio una risata è meglio di un urlo di rabbia e dipaura, d’una profezia di calamità e di rovina, ma non è un’accoglienza piùutile, e solo il Signore sa quante ispirazioni genuine sono intristite e mortesotto la garbata ma tremenda ilarità anglosassone. C’è solo una cosaperdonabile: spesso è di un’autodepressione disarmante, anche se non è moltoragionevole. E in questo caso gli individui derisi erano gli stessi che avevanoprodotto quel miracolo con l’ingegno e la fatica, gli stessi che possedevano lacapacità di eguagliare Michelangelo e di creare una nuova Cappella Sistina.Per collocare il miracolo al posto giusto nella strana storia del triangoloquadrilatero è necessario tornare indietro d’una dozzina d’anni, a quelpiovoso pomeriggio, quando uno scolaretto dai capelli rossi s’era presentatoal mio ambulatorio chirurgico, stringendo tranquillamente il polso sinistrofratturato con la mano destra.Portava un jersey verde spaventosamente liso e rammendato, i calzini gliricadevano intorno alle caviglie, i calzoni erano stati malamente ricavati daun paio più grande e di seconda mano, e la violenza del colore dei capelli eraeguagliato soltanto dalla violenza del loro disordine. Ancora a ventisei anni,quando incominciò a compiere miracoli, i suoi capelli erano un empio intrico,perché aveva l’abitudine di passarci in mezzo le dita, in tutte le direzioni,quando pensava... cioè quasi sempre.Allora, in quel pomeriggio umido, pensai che sua madre fosse una donnatrascurata, o non avesse una madre. E poi, individuando nel ragazzetto ilfiglio del poco simpatico Fred Leggett che abitava nella zona più povera delpaesotto, ricordai che Mrs. Leggett era una paziente che, circa dieci anniprima, si era spenta rapidamente nonostante le mie cure. Già era una donninapallida, e un’inspiegabile anemia l’aveva svuotata come se sanguisugheinvisibili si fossero attaccate al suo corpo, e prima che si potesse pensare allacura più indicata, il suo pallore era diventato il pallore della morte.Il ragazzetto aveva la stessa faccia bianca, sebbene giudicassi, dalle suecondizioni e da una certa conoscenza del carattere di suo padre, che quelpallore fosse dovuto assai più alla denutrizione che all’anemia. Eppure, comeavrei scoperto, non mancava certo di vitalità.«Ehilà, ragazzo mio», dissi. «Che cosa hai fatto a quel polso?»«Stavo facendo un esperimento, dottore.»«Un esperimento?» ripetei, esaminando il polso. «Un doppio saltomortale o che altro?»«No, dottore. Provavo la tensione necessaria per rompere una fune.L’avevo attaccata a un albero e vi avevo caricato più pesi di quelli cheavrebbero dovuto spezzarla, secondo le somme che avevo fatto io.Meccanica, sa? Ma non si rompeva e allora mi sono arrabbiato e sono andatoad aggrapparmi e a dondolare. Così si è rotta.E si è rotto anche il mio polso.»«Non credo che sia rotto, ragazzo. Forse è solo una lussazione.»«No, una lussazione si sarebbe gonfiata di più. Credo che sia una fratturasemplice.Probabilmente una frattura di Colles. Non credo che occorrerà neppureridurla.»A questo punto lo guardai attento. Non era il tipo di discorso che c’era daaspettarsi da un quattordicenne delle elementari. La faccia pallida era tuttaseria, senza l’orgoglio della precocità. Pensai che doveva aver leggiucchiato imanuali del pronto soccorso.«È va bene», dissi. «Ti porterò al Cottage Hospital e vedremo che cosadicono i raggi X.»Lui era incantato dall’idea di farsi radiografare. Durante il percorso inmacchina scoprii che quello non era solo un ragazzino che leggiucchiava imanuali di pronto soccorso. Perché ero un dottore, un vecchio dottore con icapelli grigi, il ragazzetto pensava che dovevo sapere tutto dei raggi X, laloro storia e la loro natura, e cercava di farsi dare informazioni da me.
venerdì 25 ottobre 2024
URANIA n.9 - William F. Temple: ll Triangolo Quadrilatero
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