martedì 15 ottobre 2024

MONDADORI n.8 - Marie Belloc Lowndes: La dama di compagnia



Era un buio pomeriggio dei primi di dicembre, non però tanto buio che non si potessero leggere i sommari dei giornali della sera, stampati a lettere di scatola:
LA TRAGEDIA DI SWANMERE
STRAORDINARIE RIVELAZIONI
SUL MISTERIOSO AFFARE RAYDON
Coloro che scorrevano con gli occhi i sommari, si sarebbero potuti dividere in due categorie: la più numerosa era quella composta di persone avide di conoscere tutti i particolari di un fatto di cronaca certamente annoverabile fra i delitti più misteriosi del ventesimo secolo. L'altra categoria, infinitamente più piccola, comprendeva quanti erano seccati e disgustati di vedere che anche il loro giornale preferito favoriva una curiosità a detta loro morbosa. Ma anche questa seconda categoria doveva onestamente ammettere che l'affare Raydon conteneva tutti gli elementi atti a formare una causa celebre.
Una cosa sola mancava in tutta quella faccenda, ma una cosa importantissima agli occhi di coloro che si atteggiano a giudici nei delitti; vale a dire che, nonostante i titoli dei giornali che parlavano del mistero di Raydon, del mistero ve ne era proprio poco.
Tutto il fascino di quella faccenda consisteva nella spietata rivelazione di certi segreti, fatta durante quel processo, condotto con la più rigorosa giustizia, ma anche con la più grande crudeltà; segreti che di solito sono tenuti nascosti alle orecchie avide di sapere e agli occhi curiosi di conoscere, nei più profondi recessi della nostra misera natura umana.
Non bisogna però credere che il pubblico s'interessasse poco del processo, perché conosceva o credeva di conoscere tutta la trama di quel sinistro complotto, nato in parte dalla passione e in parte da uno sfrenato amore del denaro e dall'imperiosa necessità di possederne ad ogni costo; tratti salienti, questi, della nostra civiltà moderna.
Per quanto i personaggi del dramma fossero parecchi, tre di loro, due uomini e una donna, assorbivano tutta l'attenzione del pubblico.
Il primo era l'assassinato, Battista Raydon, descritto nell'atto di accusa del Procuratore Generale come un tipico inglese dell'alta borghesia, studente esemplare prima della guerra e considerato più tardi, con suo gran rincrescimento, come troppo utile al paese per poter essere mandato al fronte. E il ritratto che era stato fatto del povero Raydon era indubbiamente attraente: lavoratore, coscienzioso, ragionevolmente appassionato di sport e di esercizi all'aria aperta, non aveva avuto nella sua vita che una sola poesia: il suo intenso amore per la giovane e bellissima moglie.
Il secondo personaggio del dramma era l'amante della moglie, Giacomo Mintlaw. Costui era una figura veramente romantica. Al principio della guerra aveva abbandonato la sua proficua occupazione nel Canadà, per tornare in patria ad arruolarsi come volontario nella Guardia, e a guerra finita si era ritirato dall'esercito col grado di colonnello e con tutte le decorazioni possibili e immaginabili, britanniche e francesi.
Mintlaw nelle sue rare e brevi licenze a Londra aveva assiduamente frequentato, appassionatamente amato e ardentemente desiderato di sposare - era una circostanza pacifica - l'allora vedova di guerra, destinata a diventare più tardi la signora Raydon. E ora si trovava involto in quella terribile storia, per lo strano fatto di essere tornato senza un soldo, dopo la guerra, nel Canadà, dove era diventato amico e socio di un individuo ricchissimo, il quale, morendo improvvisamente, lo aveva lasciato erede di tutte le sue sostanze. Orbene, questa apparente buona fortuna era finita per essere causa della più grave disgrazia. Giacomo Mintlaw era tornato in Europa, ma soltanto per venire a sapere che la bella vedova, da lui sempre amata, aveva ripreso marito. Nondimeno una settimana non era ancora trascorsa dal suo ritorno in Inghilterra, che egli già aveva riannodato la sua conoscenza con lei; pochi giorni dopo essa era riuscita a carpirgli uno chèque di tremila sterline. Era proprio per quel dono, secondo lui, puramente amichevole, che Giacomo Mintlaw si trovava coinvolto nel così detto mistero di Raydon.
Il terzo personaggio era la graziosa, affascinante e scervellata Eva Raydon in persona. La maggior parte delle centinaia di migliaia di persone che seguivano le fasi del dramma rappresentato in quel momento davanti alla Corte d'Assise, trovava che la migliore descrizione di Eva era stata fatta dalla madre del povero Battista Raydon, la quale dal banco dei testimoni, aveva pronunziato nettamente queste parole: "Egoista, leggera, amante dei divertimenti e prodiga."
Ma, ciò nonostante, vi erano ancora di quelli che, conquistati dalla sua eccezionale bellezza e dalla sua incantevole grazia femminile, trovavano delle attenuanti ai suoi difetti, erigendosi a suoi campioni, malgrado le prove schiaccianti accumulate contro di lei.
Dal punto di vista del pubblico, la signora Raydon madre era di gran lunga il personaggio più importante, fra quanti avevano rappresentato una parte secondaria in quel dramma di segrete passioni. Era stata quasi unicamente la sua ferma convinzione che il figlio non fosse morto di morte naturale, unita alla scoperta di una certa lettera nella stanza funebre, che aveva condotto all'autopsia, in séguito alla quale era stato dichiarato che Battista Raydon era morto per avere ingerito una forte dose di arsenico.

Nessun commento:

Posta un commento