mercoledì 30 aprile 2025

Silvestre Revueltas




(Santiago Papasquiaro, Durango, 1899 - Città di Messico 1940)

Violinista, compositore e direttore d’orchestra, Silvestre Revueltas è una delle figure più significative della musica messicana del XX secolo. Eccellente rappresentante della corrente nazionalista, cerca il rinnovamento delle forme recuperando i valori della musica indigena e del passato preispanico; la sua musica è ricca di colori orchestrali e vitalità ritmica. Grande talento musicale, Revueltas alimenta il suo genio creativo con abbondanti quantità di alcol che, unito alle complicanze di una grave polmonite, porrà fine anzitempo ai suoi giorni.
Nato a Santiago Papasquiaro, nello stato di Durango, Silvestre Revueltas mostra sin dall’infanzia particolare abilità nel suonare il violino; i suoi studi si svolgono a Città del Messico dal 1913 al 1916, poi al St. Edward College di Austin, in Texas, e al Chicago Musical College dal 1918 al 1920.
Nel 1924 e nel 1925 Silvestre Revueltas si esibisce con Carlos Chavez in concerti dove si eseguono opere contemporanee messicane.
Nel 1926 ritorna negli Stati Uniti; all’attività di violinista affianca quella di direttore musicale per il teatro di San Antonio, Texas, e di Mobile, Alabama.
In questi anni inizia a proporsi come compositore. I suoi primi lavori sono per piccola orchestra; si ricordano soprattutto “El afilador” del 1924 e “Batik” del 1926. Nel 1929 Carlos Chávez lo nomina direttore assistente della neonata Orchestra Sinfonica del Messico, della quale diventa direttore artistico nel 1936, e lo invita ad insegnare composizione al Conservatorio Nazionale di città del Messico.
Nel 1934 Revueltas inizia a scrivere le musiche per il film “Redes”, un progetto del Ministero dell’Istruzione; compone musiche per altri otto film, tra cui “La noche de los Maya”, il suo brano più conosciuto. In alcune scene di “¡Vámonos con Pancho Villa!” (1935), di cui è autore delle musiche, appare come pianista di bar.
Nel 1937 Silvestre Revueltas partecipa in Spagna alla guerra civile insieme ad altri artisti della LEAR (Liga de Escritores y Artistas Revolucionarios) e usando la musica come arma offre il proprio contributo contro la politica delle censure. Ritornato in Messico vive in povertà, dedicandosi all’insegnamento, ma soprattutto all’alcol. L’aggravarsi della polmonite e le complicanze indotte dall’alcol lo costringono a ricoverarsi all’ospedale di Città del Messico; muore il 5 ottobre 1940, all’età di quarant’anni, mentre va in scena la prima esecuzione del suo balletto “El renacuajo paseador”.

Silvestre Revueltas nella sua breve carriera di compositore è straordinariamente produttivo, peraltro la sua musica è poco conosciuta in Europa.
Nelle sue orchestrazioni ricorre a strumenti diversi, anche metallici, a corde e percussivi, atti ad enfatizzare le melodie; fa uso di armonie dissonanti e di contrappunti che si scontrano ritmicamente.

Le sue opere comprendono musiche per film, musica da camera e per orchestra, canzoni, balletti. Le musiche per il film “La notte dei Maya” lo hanno reso molto popolare, tuttavia è “Sensemayá” il suo capolavoro. Nonostante la brevità, anzi proprio in questo trova la sua maggiore efficacia, Sensemayá racchiude tutti gli elementi stilistici di Revueltas, a cominciare dal ritmo, influenza diretta della “Sagra della primavera” di Stravinsky. Ispirato ad una poesia del poeta cubano Nicolás Guillén, il brano è impostato su un canto religioso afro-cubano che ha per oggetto l’uccisione di un serpente. Composta per piccola orchestra nel 1937, l’anno seguente viene rielaborata per una formazione che oltre agli archi comprende 27 strumenti a fiato e 14 a percussione.


La notte dei Maya
Due uomini sono innamorati della stessa donna, uno appartiene al popolo Maya, l’altro è uno straniero, un uomo “bianco” sul quale cade la scelta della donna. All’ira del rivale si aggiunge quella degli dei; la terribile punizione divina ricade su tutto il popolo che soffre per la grande siccità. Lo sciamano stabilisce che la donna deve essere sacrificata; l’amante respinto uccide lo straniero e presenta il suo corpo alla donna che, disperata, si suicida gettandosi nelle acque profonde del fiume sacro. Placati gli dei, piove di nuovo su Chichen Itza. Questa è in sintesi la trama de “La notte dei Maya”, film del 1939 del regista messicano Chano Urueta,per il quale Silvestre Revueltas compone la colonna sonora.

La brillante composizione di Revueltas riflette gli aspetti emotivi e drammatici della vicenda e rafforza l’idea di musica nazionalista utilizzando nell’orchestra anche alcuni strumenti tradizionali; è da notare che la sezione delle percussioni comprende strumenti etnici che non fanno parte della tradizione orchestrale europea, come bonghi, congas, tom-tom, sonagli, guiro, caracol e tumkul. L’originaria partitura del film acquista una propria autonomia nelle suite sinfoniche realizzate da Paul Hindemith e da José Ives Limantour, questa, attualmente la più conosciuta e più spesso eseguita, è formata da quattro sezioni nelle quali s’incontrano e si scontrano elementi popolari e classici.

I. Noche de los Mayas (Molto sostenuto)
Una solenne fanfara e melodie liriche sono alla base di questo movimento; la loro alternanza e ripetizione crea un’ambientazione ritualistica.

II. Noche de jaranas (Scherzo)
La notte di baldoria presenta sincopazioni e trame ritmiche di grande potenza; si evocano danze popolari, grande eccitazione nel finale, quindi la musica si dissolve al sorgere del sole.

III. Noche de Yucatán (Andante espressivo)
Notturno contemplativo che inizia con una semplice melodia accompagnata da un tamburo; segue un appassionato tema lirico per gli archi e, prima della conclusione, un breve episodio del flauto solista ispirato a una melodia popolare.

IV. Noche de encantamiento (Tema e variazioni)
Scena drammatica e potente con ritmi selvaggi martellanti e sempre più complessi; predominano le percussioni su strumenti nativi e note ripetute della conchiglia.

martedì 29 aprile 2025

Gino Cornali - Dieci anni dopo, 1940








 

MONDADORI n.34 - Edgar Wallace: La porta dalle sette chiavi


Il ricchissimo Lord Selford decide di far costruire una cripta, la cui porta sia dotata di sette chiavi (una per ogni esecutore testamentario) per riporvi oltre alle sue spoglie anche il suo ingente patrimonio da consegnare al figlio solo al compimento del 25°compleanno. Purtroppo la morte improvvisa del vecchio Lord consente ad un gruppo di uomini senza scrupoli di architettare ai danni del giovane Selford un’abilissima truffa. L’ultimo discendente della nobile e ricchissima – e piuttosto eccentrica – famiglia Selford è in continuo peregrinare in giro per il mondo senza fissa dimora da diversi anni, preoccupando molto l’avvocato Havelock suo tutore patrimoniale. Questi decide quindi di incaricare Dick Martin, da poco dimissionario dalla polizia di Scotland Yard, di porsi sulle tracce del giovane. Il viaggio sulle tracce del giovane Selford dura poco perché Martin intravede una traccia che lo porterà, fra mille peripezie e colpi di scena, a dipanare l’intricata matassa della truffa. 


lunedì 28 aprile 2025

R.L. Stevens: L’uomo più pericoloso di Londra



Il professore alzò gli occhi dal nuovo trattato di geometria che teneva aperto davanti a sé sullo scrittoio. Le sue orecchie avevano captato un rumore sul pianerottolo: non forte, ma sufficiente a richiamare la sua attenzione. Quando il rumore si ripeté, lui si alzò dal suo posto e attraversò la stanza fino alla porta ben sprangata.
— Chi c’è là fuori? — domandò.
— Sono Dwiggins, professore! Apritemi!
Il catenaccio venne tolto e il professore alzò un poco la fiamma del lume a gas. — Siete arrivato più presto del previsto. È andato tutto bene?
Dwiggins era un tipo segaligno, con una gran massa di capelli neri e folti basettoni. Il suo particolare talento era un’innata abilità di farsi passare per un commerciante pasticcione. Il professore si era servito di lui molte volte, in passato, sempre con successo.
— Tutto a meraviglia, professore — riferì Dwiggins. — Ho preso appuntamento con Archibald Andrews e gli ho spiegato di che cos’avevo bisogno. Ha subito acconsentito, appena ha sentito che somma ero disposto a pagare, a titolo di compenso.
— Molto bene, Dwiggins! — Il professore estrasse dalla tasca un taccuino e fece un piccolo segno. Poi, facendo scorrere la punta della matita lungo una lista di nomi, disse: — Terremo un’ultima riunione domani sera. Assicuratevi che siano presenti tutti.
— State tranquillo, professore.
Rimasto nuovamente solo, l’uomo alto e pallido si affrettò alla finestra per osservare i progressi di Dwiggins lungo il marciapiede di fronte. I suoi occhi profondamente infossati scrutavano il vicolo, per vedere se qualche agente di polizia si fosse per caso messo a seguire l’uomo dalla folta capigliatura. Ma non c’era nessuno. Finora, non era accaduto niente che potesse mettere in pericolo il suo piano magistrale.
Le fiammelle tremolanti dei lume a gas gettavano un chiarore incerto sui cinque uomini che si erano radunati, la sera seguente, nella casa del professore. Erano un gruppo molto misto, proveniente da campi disparati; ma ciascun elemento era stato 
scelto con cura per la sua particolare abilità e per le imprese compiute. Seduto accanto a Dwiggins c’era Coxe, noto svaligiatore di banche, e al suo fianco c’era Quinn, un esperto nel maneggiare il coltello, che si vantava d’essere stato sospettato dalla polizia durante le indagini – cosa d’un paio d’anni prima – per smascherare Jack lo Squartatore. Moran, ex-colonnello dell’esercito, era presente anche lui, insieme con Jenkins, un poco di buono particolarmente esperto nel guidare i cavalli.
— Bene, bene — disse il professore, scrutando gli uomini che aveva dinanzi a sé. — Veniamo subito alla faccenda che ci sta a cuore.
— Sarà per domani? — s’informò Coxe.
Il professore assentì. — Domani, ventitré gennaio, la City Suburban Bank farà,

sabato 26 aprile 2025

L'Albo di Zorro


[Casa ed. Flaminia], Roma
dir. resp.: Fedora Bellis
quindicinale orizzontale cm 17x12 32 pp bn + cop. 4+1 pm L. 30
stampa: tipografia F.lli Spada, via Enea 77, Roma
distr.: Agire
[prima serie - 1958]
9 numeri, dal n. 1 (1 luglio 1958) al n. 9 (15 dicembre 1958)
[seconda serie - 1959]
20 numeri, dal n. 1 (1 marzo 1959) al n. 20 (15 dicembre 1959)
ds: Raul Buzzelli


prima serie (1958)
1
2
3
4 Zorro ha vinto
5
6 La corrida di Zorro
7
8
9 L'attacco degli Apaches

seconda serie (1959)
1 Il rapimento di Tommy
2 L'assassinio di Al Corey
3 Il furto alla banca
4 L'evasione di Lowey
5
6 L'agguato a Zorro
7
8
9 Lo sceriffo Burow
10 La cattura di Cagney
11 Il ritorno di Baker
12 Apaches!
13 L'attacco di Zorro
14 La casa rossa
15 Joe il guercio
16 Duello mortale
17 Penna d'aquila
18 La vendetta di Zorro
19 La grande roccia
20 La famiglia Foster


 

venerdì 25 aprile 2025

Miyoshi Ryuko: Pianeta penitenziario



Cara Frequenza, siamo un gruppo di ergastolani appena trasferiti nel pianeta penitenziario
H 2124, detto il “pianeta senza sbarre”, dove sono in uso i nuovi sistemi
umanitari. Molti di noi, che abbiamo già passato degli anni in fondo ai pozzi di Venere,
o nelle cosmogalere cellulari che ruotano intorno a Vega, o anche negli antichissimi
penitenziari terrestri della barisfera, eravamo felici di venire qui: dove ci
avevano promesso che non saremmo stati rinchiusi né guardati a vista, ma avremmo
goduto di ogni libertà di circolare a nostro piacimento per tutto il pianeta.
Ed è vero: saremo liberi di circolare a nostro piacimento! Ma...
Stamattina, quando siamo arrivati qui dopo tre anni di viaggio in razzomerci, il
Direttore del Trasporto ci ha spiegato come funziona, più o meno; questo nuovo sistema
umanitario. «Non crediate» ci ha detto con brutale franchezza, «che si tratti davvero
di ragioni sentimentali e umanitarie. Gli orrendi delitti che vi hanno escluso per
sempre dalla società umana, vi escludono anche da ogni pietà. Le ragioni per cui vi
abbandoniamo a voi stessi, senza sorveglianza di nessuna specie, su questo pianeta
relativamente comodo e confortevole, sono di natura esclusivamente economica: e
cioè, appunto, per potere abolire del tutto il personale di sorveglianza. Domani vi
calèremo a terra, il Trasporto ripartirà, e tanti saluti. Fino a domani, resterete ancora a
disposizione del personale tecnico».
Siamo rientrati nei nostri stanzoni, e dagli oblò guardavamo il pianeta, a

Quincy


Stati Uniti, 1973 / Glen A. Larson, Donald P. Bellisario e Lou Show

Patologo dell'ufficio del medico legale della contea di Los Angeles, il dottor Quincy (Jack Klugman) spesso non è del tutto soddisfatto dei risultati delle analisi compiute sui cadaveri che sono stati affidati a lui o ai suoi assistenti. Così, fidandosi delle proprie sensazioni, esegue o fa eseguire esami più accurati e dispone approfondimenti di indagini che quasi sempre riescono a far nuova luce su qualche caso nel quale, come si suol dire, la polizia brancola nel buio. 



Il dottor Quincy (il nome proprio non è mai stato divulgato) era naturalmente affiancato da altri medici - Sam Fujiyama (Robert lto ), Robert Astin (John S. Ragin) e Danny Tovo (Val Bisogno), ai quali si aggiungerà in seguito la psichiatra Emily Hanover (Anita Gillette), che il dottor Quincy sposerà il 23 febbraio 1983
- mentre il tenente Frank Monham (Garry Walberg) manteneva i rapporti tra le forze di polizia e l'ufficio del medico legale.


Quincy, M.E., questo il titolo completo della serie (dove M.E. stava per medical examiner), è andato in onda dal 3 ottobre 1976 al 5 settembre 1983, per 143 episodi da 50 minuti e 5 da 90, con esiti discontinui a causa di soggetti e sceneggiature non sempre all'altezza. Tanto è vero che alla fine del 1977 lo stesso Klugman, che in passato aveva anche scritto per la televisione, denunciò pubblicamente il livello delle storie, causando un piccolo scandalo.


Può essere infine curioso ricordare che l'ultimo anno questa serie partì un po' per la tangente sviluppando crociate contro i grandi mali della società: dalla droga alla povertà, dall'alcolismo ai temi ecologici alla crescente escalation della criminalità.
Temi indubbiamente importanti, che però non avevano molto a che fare con la medicina forense e che spesso finivano per suscitare qualche perplessità tra i telespettatori, comunque interessati a seguire un telefilm poliziesco, per quanto
affrontato in un'ottica particolare.



giovedì 24 aprile 2025

Matteo Piergigli: Oggetto di culto, 1



lo sguardo sbatte

su blocchi di cemento

ha bisogno di baci

il noi non esistito

sento il bum bum

del cuore amo

la polvere che sei

 

URANIA n.33 - Norvell W. Page: La morte azzurra



Una strana follia va diffondendosi tra gli uomini, che cadono schiavi di una misteriosa e invisibile personalità, annidata non si sa dove, responsabile d'innumerevoli delitti, grazie appunto alla incondizionata devozione di questi schiavi, ogni giorno più numerosi. "La Morte Azzurra" miete vittime a migliaia, e un cupo orrore cala sul mondo. Perchè si chiama "La Morte Azzurra"? Perchè i cadaveri delle sue vittime sono tutti trovati con la pelle misteriosamente tinta di turchino. Così che a poco a poco la enigmatica, sovrumana personalità, che nessuno ha mai visto, e che dal suo nascondiglio nel cuore della metropoli, fra i grattacieli, trama la distruzione del genere umano, diviene il simbolo stesso della Morte Azzurra, del cupo orrore abbattutosi sul mondo. Ma chi è la Morte Azzurra? chi si nasconde sotto questo nome lividamente demoniaco? E' quanto tre validi investigatori del F.B.I. si accingono a scoprire. Si dice che il mostro che si nasconde nel seno stesso dell'umanità sia un "mutante", dotato di poteri telepatici superiori, un rappresentante della nuova specie umana, che si annuncia, qua e là, con creature così nuove e diverse, rispetto a quelle da cui proviene, come l'Uomo di Cromagnon lo era rispetto al bestiale e ottuso Uomo Neanderthaliano... Riusciranno i tre coraggiosi investigatori a superare i pericoli inimmaginabili che sovrastano chiunque intenda opporsi alla volontà fredda e spietata di questo genio del male? O soggiaceranno alla sua forza magnetica straordinaria, cadranno schiavi della sua volontà e da quell'istante, adorandolo come un dio, baceranno le catene che li legheranno a lui per sempre? La Morte Azzurra vi darà brividi di autentico terrore.

 

mercoledì 23 aprile 2025

Marc-Antoine Charpentier

Marc-Antoine Charpentier (Parigi, 1643 o 1636 – Parigi, 24 febbraio 1704) è stato un compositore francese del periodo barocco e probabilmente il massimo esponente della musica sacra francese del suo periodo tanto da venir soprannominato dai suoi contemporanei “la fenice di Francia”.

Si recò in Italia per studiare pittura, ma sotto l’influenza del compositore Giacomo Carissimi intraprese gli studi in campo musicale. Dal 1650 fino al 1662, infatti, frequentò il Collegium germanicum a Roma e perfezionò la conoscenza del contrappunto e della polifonia italiana sia dalle composizioni del maestro Carissimi che da quelle di altri autori quali Monteverdi e Victoria. Da Carissimi, in particolare, assimilò e portò in Francia il genere dell’oratorio.

Tornato a Parigi, frequentò gli ambienti italianizzanti e si trovò in polemica con i sostenitori di uno stile musicale squisitamente francese che vedevano in Lully il loro massimo esponente. Alloggiò per quasi vent’anni presso la dimora di Maria di Lorena (detta Mademoiselle de Guise), principessa di Joinville, duchessa di Joyeuse e di Guise, in rue du Chaume. Ella era nipote di Enrico di Guisa, il quale venne fatto assassinare per ordine d’Enrico III, ed era tanto amante della musica da far alloggiare presso la propria casa dei musici e dei cantori. Charpentier venne assunto in qualità di compositore e di cantante avente voce haute-contre.

Nella capitale francese entrò in contatto con Molière e, successivamente, con Corneille con i quali collaborò nelle opere teatrali ed in ciò si scontrò col monopolio che Lully esercitava (in effetti nel 1672 Lully comprò da Pierre Perrin il privilegio reale che consentiva il controllo dell’opera in tutta la Francia). La dittatura che Lully esercitò nel mondo musicale segnò la sua rottura con Molière che scelse nel 1672 Charpentier come musicista e così nacquero tra le altre: Le malade imaginarie (una comedie-ballet), Le mariage forcé, La comtesse d’Escarbagnas.

La vita per i due non fu comunque facile vista la forte opposizione di Lully che pian piano fece diminuire il numero degli strumentisti e dei cantanti a disposizione dei gruppi teatrali diversi dal suo. La collaborazione con Molière, comunque, non durò molto in quanto il commediografo morì nel 1673. Il fortissimo monopolio operistico di Lully perdurerà fino alla sua morte, avvenuta nel 1687 a seguito di una ferita che, involontariamente, si inflisse con il bastone che utilizzava per dirigere e che degenerò in cancrena.

Nonostante la forte opposizione di Lully, Charpentier non smise di dedicarsi alle pieces teatrali e prese a collaborare, nel 1682, con Thomas Corneille, Jean Donneau de Visé e con Pierre Corneille. Con i primi due scrive delle pièces à machines (Circé H.496 e L’inconnu H.499). Nello stesso anno scrive una nuova musica di scena per le repliche d’Andromede (H.504) di Pierre Corneille. Nel 1693 venne rappresentata la sua unica tragédie-lyrique, su libretto di Thomas Corneille: Médée H.491. Essa, all’epoca, non ricevette grandi consensi ed in qualche caso venne perfino criticata; oggi viene ritenuta una delle migliori opere teatrali del periodo. Il resto dell’attività teatrale di Charpentier si concentrò soprattutto sulla commedia (Comédie-Francaise).

Nel 1679 ottenne l’incarico di scrivere le composizioni, presso Saint-Germain, per le cerimonie religiose del Delfino di Francia (unico figlio ancora in vita di Luigi XIV e Maria Teresa d’Asburgo). La sua fama di compositore, in quest’ambito, si fece notevole tant’è che lo stesso re volle partecipare alle cerimonie per poter ascoltarne le opere. Le composizioni scritte per il Delfino sono sostanzialmente dei piccoli mottetti in genere a due soprani, un basso e due strumenti (in genere due flauti suonati dai fratelli Anthoine e Joseph Pièche). Nel 1680 Charpentier fu nominato maestro di musica presso le Duchessa de Guise (incarico che manterrà fino alla morte di costei avvenuta nel 1688) e ricevette incarichi dai due conventi: Port-Royal de Paris e l’Abbaye-aux-Bois.

Per le suore di Port-Royal de Paris scrisse: la Messe H.5, il Pange lingua H. 72, il Magnificat H.81, il Dixit Dominus H.226 ed il Laudate Dominum H.227. Per l’Abbaye-aux-Bois, invece, scrisse un importante ciclo di composizioni per la Settimana Santa: le Leçons de ténèbres (H. 96-110) e i Répons (H.111-119). Nell’aprile del 1683 venne indetto un concorso per le nomine di alcuni maestri di musica presso la cappella reale. Dopo esser riuscito a superare la prima prova insieme ad altri 15 candidati, cadde malato e non poté partecipare alla seconda parte del concorso che prevedeva la composizione di un mottetto sul testo del salmo XXXI. Luigi XIV, comunque, compensò Charpentier con una pensione.

Non è ben chiara la notizia della malattia del compositore. Sembrerebbe ch’essa fosse una sorta di pretesto attuato per allontanare dalla corte reale un personaggio tutto sommato non molto apprezzato per alcune sue caratteristiche. In effetti, Charpentier mantenne sempre degli ottimi contatti con l’ordine dei Gesuiti e a differenza di molti musicisti non era uno strumentista virtuoso ma solamente un cantante, per giunta con uno stile compositivo assai severo. A ciò si aggiunga la frequentazione della famiglia Guise, rivale del re. Il 30 luglio 1683 Charpentier venne chiamato a produrre dei brani per la morte della regina Maria Teresa. Nacquero cosi: In obitum augustissimae nec non piissimae Gallorum Reginae Lamentum H. 409, il De profundis H. 189 e il Luctus de morte augustissimae Mariae Theresiae reginae Galliae H. 331.

Dal 1688 al 1698 fu maestro di musica presso il collegio gesuitico di Saint Louis-le-Grand in rue Antoine. Per le celebrazioni religiose che si tennero presso la chiesa di Saint Louis scrisse brani di vario tipo destinandoli alle diverse funzioni: salmi, inni, mottetti, ecc. Il 28 giugno 1698 venne nominato maestro di musica per i bambini presso la Saint-Chappelle. L’incarico fu oneroso in quanto Charpentier non solo dovette produrre musica per tutte le cerimonie religiose, ma anche insegnare ai bambini solfeggio e canto.

Charpentier si spense, presso l’abitazione della Saint-Chappelle, il 24 Febbraio del 1704 verso le sette del mattino.


Il Te Deum H. 146 in re maggiore per soli, coro ed orchestra è una composizione di Marc-Antoine Charpentier realizzata a Parigi, quasi certamente fra il 1688 ed il 1689, anni in cui il compositore ricoprì il ruolo di maestro di musica presso il collegio dei gesuiti della chiesa di Saint Louis-le-Grand in Rue Antoine.
È una delle composizioni maggiormente conosciute di questo autore. Di essa è noto in particolare l'incipit del preludio, utilizzato come sigla iniziale e finale di tutti i programmi televisivi e radiofonici trasmessi in Eurovisione; inoltre i Nomadi lo suonano come brano di apertura e chiusura in ogni loro concerto.

La composizione fu forse eseguita la prima volta per celebrare la vittoria francese riportata il 3 agosto 1692 nella battaglia di Steenkerque, contestuale alla Guerra della Grande Alleanza che vedeva di fatto il re Luigi XIV di Francia (re Sole) opposto al resto d'Europa.

Dei quattro Te Deum di Charpentier pervenuti ad oggi, sui sei probabilmente composti, il Te Deum H. 146 è l'unico a prevedere un organico strumentale comprendente trombe, timpani, flauti, oboi, archi e basso continuo. Charpentier deve aver avuto a disposizione, almeno nella prima esecuzione, otto solisti, un coro ed un'orchestra con almeno tre trombe, oboi e flauti diritti (soprani e contralti). Per l'esecuzione i gesuiti fecero riferimento anche a musicisti che lavoravano per i teatri. Tra questi, vennero chiamati: il basso Jean Dun ed i castrati Tomaso Carli ed Antonio Favalli. Il modello a cui Charpentier si era probabilmente ispirato era il Te Deum di Jean-Baptiste Lully (1677), come è possibile desumere dal solenne uso delle trombe nel brano d'apertura. Tutto il suo Te Deum vede alternarsi brani sontuosi eseguiti dal coro e dall'orchestra a momenti più raccolti in cui intervengono i solisti (da soli o in varie formazioni) e pochi altri strumenti.

  • Dopo il preludio trionfale - strutturato sulla base di una fanfara in forma di rondò - interviene il basso (Te Deum Laudamus) in una pagina dallo stile prevalentemente declamatorio, cui poi rispondono il coro e l'orchestra (Te aeternum Patrem omnis terra veneratur). Nel seguito, si ha un'intonazione prevalentemente marziale introdotta dal Pleni sunt coeli che trova il suo epilogo e massimo culmine nel Te laudat exercitum.
  • Dopo questo episodio, se ne alterna un altro dal tono più contenuto (Te per orbem terrarum Sancta confitetur Ecclesia) cui poi risponde il Tu devicto nell'esaltazione divina per la salvezza dei credenti.
  • Il movimento successivo è caratterizzato dall'alternanza continuativa tra un'atmosfera marziale (sostenuta dall'orchestra) ed una più declamatoria (eseguita dal basso), inneggiante alla futura venuta di Dio, che sfocia in un'atmosfera di intensa tenerezza e di supplica (Te ergo quaesumus) nella tonalità di mi minore. A ciò risponde il coro con un'invocazione dal tono più solenne (Aeterna fac), con assenza, però, delle trombe.
  • Nella penultima parte del Te Deum i solisti eseguono un brano dall'atmosfera raccolta e supplichevole invocante la pietà e la grazia di Dio (Dignare Domine).
  • La conclusione è affidata alla magniloquenza de In Te, Domine, speravi, non confundar in aeternum in cui coro, orchestra e solisti si alternano in una pagina dal tono solenne, affermazione conclusiva della maestà, grandezza e potenza divine.
 

martedì 22 aprile 2025

Massimo Bontempelli - La cura a distanza, 1942








 

MONDADORI n.33 - Rudolph Stratz: Il terrore nel castello



Nella Baviera di metà ottocento, in un ottobre umido e fosco, si ritrovano nel maestoso castello di Vogelode, proprietà del barone Leopoldo di Vogelschery, dove esso vive con l’amata moglie Cetta e i suoi bambini (scusate i nomi Italianizzati, ormai lo sapete) amici d’alto lignaggio del padrone di casa per cacciare nell’imponente riserva del castello, famosa in tutta la Baviera.
La compagnia è eterogenea, e tra  tutti spicca lo sconcertante  conte Giovanni Deodato Oetsch, uomo dissoluto, avventuriero impavido e mistico teorico che crede nei fantasmi e nella reincarnazione, generoso e liberale coi servi ma odioso e attaccabrighe coi suoi pari. Quest’uomo ha il merito di attirare su di se tutta l’attenzione, nel bene e nel male, e anche se nessuno lo stima tutti ne hanno paura, soprattutto perché su di lui pesa l’atroce sospetto di aver assassinato il fratello per usurparne soldi e proprietà. Il sospetto è pesante, ma nessuno ha mai potuto provare niente, e il conte Oetsch si gode beato il presente.
Ma una sera, al castello arriva con suo marito la baronessa Metta Safferstatt, ex cognata del conte Oetsch e sua principale antagonista; la baronessa apparentemente giunge a Vogelod col marito perché legata a un’affettuosa amicizia con Cetta, ma in realtà i suoi scopi sono ben altri, e inizia un serrato e tesissimo gioco delle parti dove nessuno può dirsi al sicuro…



lunedì 21 aprile 2025

Edward D. Hoch: Il settimo assassino



In pieno deserto, presso l’Oasi della Tranquillità, viveva il grande principe Alla-Khad, in un castello che sorgeva dal deserto come un castello di sabbia da una spiaggia. Alla-Khad era più che un principe: era il dominatore di un reame senza confini, un’area vagamente definita che sulle mappe viene indicata da un tratteggio incerto, racchiuso da linee di puntini. Ed era ricco al di là dei sogni più assurdi dei suoi antenati, grazie al petrolio che non aveva mai visto e che vendeva ad americani mai incontrati da vicino. Il denaro che fluiva incessante bastava a soddisfare ogni desiderio suo e delle sue mogli, che erano molte. Con tutto quel denaro Alla-Khad non aveva nemici: o, al massimo, uno solo.
Il nemico era un principe rivale, Jamarra, il cui regno, pur avendo confini non ben precisati, non racchiudeva petrolio. Jamarra, una volta all’anno, rendeva omaggio con una visita al grande Alla-Khad, ma non c’era alcuna umiltà nell’atteggiamento di Jamarra. La visita regolarmente cominciava male e finiva peggio finché, al termine della più disastrosa di quelle occasioni, Alla-Khad invocò ciò che sapeva di poter vincere.
— Guerra! — urlò, battendo sul tavolo la scimitarra. — Guerra!
— Niente guerra, amico mio, — replicò Jamarra, con voce roca. — Non ho bisogno di una guerra, per sconfiggerti. Manderò contro di te sette assassini, e tra un anno esatto tutto ciò che i miei sguardi abbracciano diverrà mio.
Con quella minaccia, si allontanò dal castello di Alla-Khad, e una quiete più profonda scese sullo sterminato deserto...
Il primo assassino arrivò tre settimane dopo, nel cuore della notte, scalando le mura del castello con una daga ingemmata tra i denti. Le guardie lo uccisero prim’ancora che avesse toccato terra dall’altro lato. Compiaciuto, Alla-Khad ordinò ricompense per tutti, e la vita, al castello, continuò come sempre.
Il secondo assassino arrivò un mese dopo, travestito da soldato della guardia. Balzò dai ranghi di uomini in turbante mentre Alla-Khad faceva un giro di ispezione, e soltanto la devozione di una delle mogli salvò il principe da morte certa. La donna che aveva fatto scudo ad Alla-Khad venne sepolta con tutti gli onori e il cadavere dell’assassino venne gettato in pasto alle poiane.
Dopo l’attentato, Alla-Khad divenne più prudente. Convinto ormai che la minaccia di Jamarra fosse seria, smise di passare in rassegna la guardia e passò la maggior
parte del suo tempo in compagnia delle mogli e dei fidi consiglieri. Per qualche mese, tutto andò bene...
Il terzo assassino venne di notte, e si introdusse nella vasta camera in penombra dove il principe dormiva. Si svegliò solo all’ultimo istante, atterrito, e la lama gli scalfì l’orecchio e affondò nel guanciale. Nel lottare con l’assassino, nella penombra, il principe scoprì che si trattava di una delle sue mogli predilette. Fu con profonda amarezza che ne ordinò l’esecuzione, il mattino dopo.
Sapeva, ormai, che occorrevano misure drastiche per salvaguardare la propria vita dalla lega di assassini di Jamarra. Da quel giorno, non rimase mai più in compagnia

sabato 19 aprile 2025

Felix


Felix the Cat (inizialmente chiamato Master Tom e noto in Italia anche come Mio Mao) è un personaggio immaginario creato nel 1917 negli Stati Uniti dall'animatore Otto Messmer modellato sulla figura di Charlot per lo studio di Pat Sullivan ed è uno dei grandi personaggi del cinema di animazione statunitense degli anni Venti protagonista di cortometraggi oltre che di una serie a fumetti pubblicata fino al 1967.


Primo vero divo del mondo dell'animazione, ha raggiunto da subito un successo planetario, godendo negli anni venti del Novecento di una popolarità pari a quella di Charlot. A metà strada tra Krazy Kat di George Herriman, creato un decennio prima, e Oswald il coniglio fortunato e Topolino di Walt Disney (si ritiene che questo personaggio abbia influenzato Disney per la realizzazione di Oswald e di Topolino) il personaggio prodotto dai Pat Sullivan's Studios fu il più grande successo e la prima star nel mondo dei cartoon negli anni del cinema muto e un grande successo anche nei fumetti.

Nacque nel 1919 nel cortometraggio Feline Follies, animato da Otto Messmer e prodotto da Pat Sullivan. Il successo continua negli anni cinquanta arrivando a produrre 264 cortometraggi animati per la televisione che verranno distribuiti in tutto il mondo. Nel 1988 venne realizzato un lungometraggio a cartoni animati. Sia nei cartoni animati che nei fumetti, il personaggio è un gatto dotato di una logica assurda e surreale protagonista di storie ambientate sullo sfondo della vita di tutti i giorni così come in contesti surreali o fantascientifici.


 

venerdì 18 aprile 2025

James Gunn: L'omino di panpepato



La trasformazione di Andrew Martin cominciò il 4 di luglio del 2076. Sarebbe anche potuta non avvenire per niente, se Andrew non avesse iniziato a porsi delle domande sullo scopo dell'esistenza. «Lo scopo della vita» borbottava immerso in una profonda introspezione «è evitare il dolore.»
In realtà stava pensando al dolore inflitto alla psiche dagli altri e a quanto sarebbe stato meglio non far caso a quel che dicevano o facevano o, ancor meglio, non averci a che fare per niente. Comunque, come tante cose nella vita, cominciò per caso. A dire il vero, fu la rarità delle rarità, un incidente di macchina. Con le strade automatizzate e i comandi controllati dai computer, un'auto si poteva scontrare con un'altra, o con un oggetto immobile, solo in caso di guasto totale, e persino i guasti erano programmati in modo da assicurare la massima sicurezza. Nel caso di Andrew, però, un microprocessore andò in panne in uno snodo critico, mandando in corto gli ingranaggi sterzanti e le misure di sicurezza, e facendo sì che il veicolo si scagliasse verso e sotto il sedere di un autoarticolato a guida computerizzata.
Certo, l'airbag avvolse Andrew in un abbraccio da innamorata, ma non riuscì a proteggergli del tutto le gambe, e il piede sinistro fu maciullato oltre ogni possibilità di ripristino. Il computer dell'automobile, dopo aver fatto cilecca nella sua incombenza fondamentale, avvertì con fulminea pignoleria lo stato di salute di Andrew, avvolse un laccio attorno alla gamba, iniettandovi poi un antidolorifico e un sedativo, e chiamò un'ambulanza, che arrivò con gran fragor di pale ancor prima che il bracciale emostatico necessitasse di rimozione.
Andrew riaprì gli occhi sullo sterile candore di un soffitto d'ospedale. Sulla parete di sinistra una finestra si apriva su un prato soleggiato pieno di fiorellini di campo rossi, gialli e azzurri. Nel mezzo gorgogliava un torrentello. Oltre il prato si stagliava una foresta verdeggiante che arrivava in lontananza fino ai picchi azzurri delle montagne ricoperte di neve.
«Cos'è successo?» chiese Andrew.
«Lei si trova nell'ospedale regionale cinque sette due» rispose il computer con voce femminile gentile e coscienziosa. «È stato coinvolto in un incidente automobilistico...»
«Un incidente di macchina!» l'interruppe Andrew.
«Un incidente automobilistico» ripeté il computer. «Il suo piede sinistro è stato schiacciato. L'abbiamo rimpiazzato con una protesi effe due uno otto tre. Riesce a muovere le dita del piede sinistro?»
Eccome se si sentiva di muovere le dita del piede sinistro. Andrew fece scivolare la gamba da sotto la leggera coperta termica, sollevandola per un'ispezione. Sopra la caviglia l'arto evidenziava qualche livido, ma per il resto la gamba, piede compreso, non appariva cambiata. Riusciva benissimo a muovere le dita, senza dolore alcuno. «Sei sicura che sia il piede sinistro?»
«Non commettiamo mai errori» rispose accondiscendente il computer. «Riesce a stare in piedi sul rimpiazzo?»
Andrew gettò le gambe oltre il bordo del letto per alzarsi in piedi sul tiepido pavimento elastico. Al polpaccio sinistro provava un residuo di dolenzia, e un minimo di rigidità alla schiena e al collo, però il piede sinistro stava benone. Anzi,

Il Punitore



 USA, l 974 / Gerry Conway e Ross Andru

Ex marine reduce dal Vietnam ed ex agente dei servizi di sicurezza, Frank Castle sta facendo un pic-nic con la sua famiglia. Ma ben presto la serenità si trasforma in tragedia perché sono capitati proprio in mezzo a un serrato regolamento di conti tra gangster. 



Sconvolto dalla morte dei suoi cari oltre che dal senso di colpa che lo tormenta per non essere riuscito a salvarli, l'uomo si tra forma in The Punisher, il
Punitore, indossando un macabro costume nero con tanto di teschio bianco sul petto e iniziando una propria personale lotta contro la criminalità organizzata con l'aiuto di Microchip, un uomo di mezz'età esperto di computer e di sofisticatissime
quanto micidiali armi da guerra. 



Assassini, terroristi, spacciatori di droga ... per lui non fa nessuna differenza dato che lo scopo della sua vita è ormai diventato quello di eliminare il male dalla faccia della Terra.
Una lotta davvero titanica nella quale ogni mezzo è lecito dato che questo giustiziere non fa prigionieri e uccide sempre i suoi avversari.



Mosso da una determinazione davvero maniacale, armatissimo e organizzatissimo - per non perdere tempo gira giorno e notte con un furgone attrezzato con ogni tipo di arma - questo personaggio, popolarissimo negli Stati Uniti, ha perso con il passare del tempo gran parte del suo fascino iniziale diventando sempre più
brutale e violento.
Tanto che ormai non sono più soltanto i criminali a dargli la caccia ma gli stessi rappresentanti della legge che in un primo momento l'avevano visto come un alleato nella lotta senza quartiere contro il crimine.



Apparso per la prima volta sulle pagine del numero 129 di The Amazing Spiderman, un comic book incentrato sulle avventure del popolarissimo Uomo Ragno, questo personaggio è in seguito diventato protagonista di una miniserie
di cinque numeri, accolta con un vero trionfo, e poi di una testata tutta sua. 



Le sue avventure, pubblicate in Italia dalla Star Comics, sono state portate sullo schermo nel 1990 in un film interpretato da Dolph Lundgren.


Nel 2017 la Marvel's The Punisher, creato la fiction nota semplicemente come The Punisher, 2 stagioni per un totale di 26 puntate. Frank Castle / The Punisher  è interpretato da Jon Bernthal.



giovedì 17 aprile 2025

Alberto Rizzi: La carcassa d’un animale bórdostràda



La carcassa d’un animale bórdostràda
indistinta al mio svelto passare

e il traversare porta d’una stanza

il suono d’un uccello che tragitta il cielo
                                                         pure
anch’esso parola
              segno immateriale
se anche il vuoi

Tutto e sempre
                      tutto è sempre

URANIA n.32 - Jack Williamson: L'enigma del basilisco



Quest'originale racconto di Williamson, ricrea con grande suggestione i miti delle antiche favole orientali, nelle quali oggetti e persone sparivano misteriosamente, per ricomparire nei luoghi più impensati e lontani. Allora ciò era frutto di magia; domani, forse, questo diverrà possibile attraverso quella magia, mille volte più suggestiva dell'antica, che è la scienza moderna. Troppe volte abbiamo veduto che quel che era impossibile è entrato nelle nostre case come uso normale e quotidiano: perchè dovrebbe essere "impossibile" tra un millennio - o tra un secolo o magari tra qualche decennio soltanto - scorrazzare senza limite di tempo o di spazio da un universo all'altro istantaneamente? Purtroppo, una cosa non è stata sradicata nel mondo: la forza del male; e il lettore seguirà affascinato le terribili gesta del Basilisco, questo spaventoso mostro del XXX secolo, in sembianze umane, che sotto lo pseudonimo di una mitologica fiera semina il terrore, la distruzione e la morte contemporaneamente sull'antica Terra e su pallide e lontane stelle distante decine di miliardi di chilometri dal nostro Sole. E leggerà come un uomo solo, sorretto da una volontà inflessibile e dall'indomito coraggio della sua splendida e intelligentissima compagna, riuscirà a sgominare il mostro e a riportare la serenità in quel mondo dove la nostra fantasia soltanto può per ora arrivare.

 

mercoledì 16 aprile 2025

Antoine-Esprit Blanchard

 

Antoine-Esprit Blanchard, musicista considerato uno degli migliori compositori nel genere francese del Gran Mottetto, oggi è pressoché dimenticato, oscurato dalla fama dei suoi illustri contemporanei Rameau e Mondonville; la sua musica, appassionata, spettacolare e drammatica, in continuo rinnovamento stilistico, è sempre più vicina all’opera e non alla chiesa, a dispetto del testo.
Antoine-Esprit Blanchard nasce a Pernes-les-Fontaines, dipartimento della Vaucluse il 29 febbraio 1696; apprezzato da tutti per le sue doti canore, sin dall’infanzia fa parte del coro della Chiesa del Salvatore ad Aix-en-Provence, dove si forma alla musica sotto la guida di Georges Poitevin.
All’età di 21 anni Blanchard è nominato maestro di musica presso l’Abbazia di San Vittore a Marsiglia; successivamente occupa questa posizione alla Cattedrale di Tolone, alla Chiesa metropolitana di Besançon e, infine, alla cattedrale di Amiens. Dal 1732 i suoi mottetti sono in programma al Concert Spirituel; l’esecuzione a corte del Mottetto Laudate Dominum, durante un’udienza privata con Luigi XV, è merito per accedere nel 1738 alla Cappella Reale, sostituendo André Campra in cattive condizioni di salute.
Il suo Te Deum, già eseguito per la prima volta il 26 ottobre 1744 come ringraziamento per il recupero della salute del Re durante la campagna in Alsazia, viene ridedicato il 12 maggio 1745 alla vittoria di Luigi XV nella battaglia di Fontenoy.
Nel 1761, quando i servizi musicali del Re vengono riorganizzati, Antoine-Esprit Blanchard acquisisce il titolo di maestro della Cappella del Re, inoltre è destinatario di un titolo nobiliare; pur restando un laico è chiamato Abate.
Nel 1763, il giovanissimo Wolfgang Amadeus Mozart, seduto tra il pubblico della Cappella Reale di Versailles, segue i suoi mottetti con la massima attenzione.
Nel 1768, due anni prima di morire a Versailles il 10 aprile, Blanchard aveva già ceduto i suoi incarichi, viene chiamato a dirigere le musiche per le esequie della regina Maria Leszczyńska.
Antoine-Esprit Blanchard lascia 46 Mottetti per soli, coro e orchestra, tutti conservati a Parigi, presso la Biblioteca Nazionale.
In Exitu Israel, dal Salmo 113, è una delle pagine più rappresentative della sua arte, il cui stile ricorda Jean-Philippe Rameau; i colori orchestrali accompagnano il testo evocando, come farebbe un artista del pennello, le diverse situazioni: la separazione delle acque del Mar Rosso, il popolo di Dio passa il varco, la tempesta, il terremoto, le acque si richiudono sugli egiziani.

Il Te Deum fu utilizzato nel 1745 per la celebrazione della vittoria di Fontenoy.
Conservato in un manoscritto autografo presso la Bibliothèque nationale e intitolato Cantique d’action de grâces pour les conquêtes de Louis XV (Cantico di ringraziamento per le conquiste di Luigi XV), è noto per essere stato risuonato a Versailles il 12 maggio 1745, all’indomani della vittoria di Fontenoy, l’ultimo vero trionfo bellico della monarchia francese.
L’appellativo di Te Deum de Fontenoy non deve far dimenticare che l’opera fu composta l’anno precedente (il manoscritto riporta la data di completamento del 20 maggio 1744) per celebrare le vittorie ottenute durante la guerra di successione austriaca, iniziata nel 1741. La prima rappresentazione ebbe luogo il 26 ottobre 1744 a Parigi, su iniziativa dei Ricevitori Generali delle Finanze, proprio in ringraziamento per la guarigione del Re che si era gravemente ammalato mentre si recava alla campagna d’Alsazia.

martedì 15 aprile 2025

MONDADORI n.32 - H. De Vere Stacpoole: Caccia all'uomo



Il romanzo si apre con una descrizione di San Francisco così come appare al giovane protagonista, Renzo, al suo arrivo da Londra. Tutti coloro che lo incontrano vedono in lui un bel ragazzo, di un’eleganza ricercata, che porta “impressa a grandi caratteri, in tutta la sua persona, la parola «inglese»”. Renzo ha l’impressione di essersi lasciato alle spalle, assieme alla Londra “immersa nella nebbia”, anche il proprio passato di giovane benestante, mantenuto negli agi dalla rendita di una piccola azienda del padre, affidata ad un amministratore. Inizialmente spaesato, in preda alla solitudine in mezzo ad una folla a cui si sente estraneo, viene colto dalla nostalgia per la sua città, ma ha un dovere da compiere, affidatogli da un suo amico morente: trovare e consegnare alla giustizia colui che ne aveva ucciso il padre per sottrargli il segreto della fabbricazione di preziosissime perle coltivate (in sei mesi diventano identiche a quelle naturali e possono essere vendute come tali, illegalmente ma con grande profitto).

Renzo, per compiere la propria missione, chiede l’aiuto di uno zio mai conosciuto prima, un milionario di San Francisco, la cui immagine varia rapidamente davanti ai suoi occhi: inizialmente gli appare come “un vecchietto basso di statura, coi capelli bianchi, trasandato nel vestire, ma con una larga faccia gioviale”, subito dopo come “un ometto dall’aspetto quasi scimmiesco, per quanto gioviale gli fosse apparso a prima vista”; nel rivelargli il nome dell’uomo che sta inseguendo, poi, egli avverte nei suoi confronti, da parte dello zio, un’avversione ancora maggiore e ce lo descrive, di nuovo, in modo diverso:

«C’era qualcosa di spaventoso nello zio Bollard, con quella sua vocetta stridula, il viso scimmiesco e il suo violento odio per Neuberg. Renzo pensava a lui come a un ragno che avesse pazientemente atteso il momento opportuno per prendere Neuberg nella sua rete; e il modo di chiudere la rete gli era stato fornito proprio da Renzo stesso.»

L’avventura inizialmente vede Renzo come unico protagonista, alla ricerca di Neuberg sul battello Maria-Teresa, dove avviene l’incontro fatale con “la Gina”:

«La Gina aveva i capelli di un castagno piuttosto acceso e forse fra la folla sarebbe passata inosservata; ma, vista cosí faccia a faccia, col viso voltato in su, c’era qualcosa in lei, che forzava l’attenzione. I suoi occhi erano grigi come il mare d’inverno e con uno sguardo diritto come quello di un timoniere.»

Renzo prosegue poi la sua caccia, che, a bordo di diverse imbarcazioni, lo porta fino in Perù, poi a Los Angeles, poi, questa volta con lo zio Bollard che diviene coprotagonista, nella penisola di Avalon, nell’isola di San Clemente e infine su una barchetta a vela, per ritrovarsi su una baia sperduta, sempre a caccia dell’uomo, di colui che per Renzo è un assassino e per lo zio, Zaccaria Bellard, che lo odia……..
 

lunedì 14 aprile 2025

Janet Graham: L’uomo ombra



— Che cos’è?
Virginia, si trattenne a stento dal mandare un grido quando qualcosa di grosso e di peloso arrivò dal giardino e svolazzò attraverso il portico buio, sfiorandole i capelli argentei.
— Soltanto una falena, mamma... non agitarti in quel modo, — disse Debbie, dondolandosi languidamente nella sua amaca. — Sono molto grandi in questo paese. — L’insetto si era posato sul muro imbiancato a calce; era grosso quasi quanto una fondina per la minestra.
Virginia pensò che tutto era di una grossezza indecente, in quel tropicale paesaggio venezuelano: steli d’erba taglienti come rasoi e più alti di una persona, grossi avvoltoi neri che facevano continuamente la ruota su in alto, processioni di grandi e maligne formiche rosse. Rabbrividì, nel ricordare le formiche: il giorno innanzi, era stata presente mentre un inesorabile esercito di quei mostri convergeva su un coniglietto, lo pungeva a morte e lo trascinava via.
Soltanto la gioia di rivedere dopo due anni sua figlia Debbie aiutava Virginia a vincere il forte senso di ripugnanza per la sudicia cittadina tropicale, per il caldo soffocante, gli insetti onnipresenti, i conducenti folli, i serpenti sempre in agguato. E c’erano altri pericoli: lei era la moglie di un ricco dirigente dell’industria automobilistica e, prima della sua partenza per il Sud America, gli amici l’avevano scherzosamente avvertita: — Attenta a non farti rapire, Virginia!
Ma già, anche quando stava a New York, temeva continuamente di essere rapinata. Graziosa e sicura di sé in giovinezza, scopriva che, insieme a una magrezza angolosa, la mezz’età le aveva portato uno sconcertante senso di insicurezza, l’aveva resa nervosa, insonne, pronta a trasalire per un nonnulla. Suo marito Leo l’aveva incoraggiata a fare quel viaggio per rivedere Debbie:
— Ti farà bene, — le aveva assicurato. — Sono molto rilassanti, quei paesi dove si dice sempre: mañana.
Più che mai nervosa, raramente Virginia usciva di casa da sola, preferendo aspettare che Debbie avesse dato l’ultima lezione di inglese della giornata e accompagnato alla porta i suoi allievi. Per tutta la mattina Virginia sedeva nel portico, ascoltando le grida rauche del pappagallo della casa accanto, il tonfo dei manghi sul tetto che ogni volta le provocava un sussulto, i ritmi insistenti di chitarre e maracas trasmessi da una radio, in d’istanza; e, nell’interno della casa, la voce di Debbie che ripeteva lentamente frasi in inglese: — Come stai? Sto bene, grazie. Come ti chiami? Mi chiamo José.
Poi, nel pomeriggio, loro due passeggiavano insieme per le strade torride e costellate di buche, chiacchierando, chiacchierando, chiacchierando, per esaurire la

sabato 12 aprile 2025

Roy Rogers



American Adventures (Roy Rogers, Cisco Kid, Cino & Franco, Felix)

Furono pubblicati in totale 40 numeri, 36 più quattro numeri bis (#5, #7, #11, #15). Con questa serie, l'editore Mario Nerbini riprese la sua attività a Roma, proseguendo la pubblicazione di personaggi precedentemente curati a Firenze e, più di recente, nella capitale dagli editori Salvatore Marino (Edizioni Adriana e Aurelia) e Gabriele Gioggi. Inizialmente si alternano Roy Rogers (RR) di Al Stoffel e Mike Arens (Al McKimson) e Cisco Kid (CK) di Rod Reed e José Luis Salinas (#1/8), poi Felix (FE) di Otto Messmer e Joe Oriolo (Pat Sullivan) e Cino e Franco (CF) (Tim Tyler's Luck) di Lyman Young, Bob Young e Tom Massey.

 

venerdì 11 aprile 2025

Nancy Kress: Fra tutte quelle stelle


E così, sono qui che riempio le bottiglie di ketchup, sul finire della notte, e ascolto la radio che Charlie ha piazzato in cima al pannello mobile nel soffitto, quando la porta si apre ed entra uno di loro. Capisco subito che è uno di loro, non c'è possibilità di sbagliarsi al riguardo, anche se ha un vestito di buon taglio e un cappello a tesa floscia come quello che Humphrey Bogart portava in Casablanca. Ma insieme a lui non c'è nessuno, nessun professore del college né uomini del governo come nello spettacolo televisivo girato nel college, e nemmeno studenti. È solo. E siamo a parecchia distanza dalla strada che porta al college.
Si ferma sulla soglia, sbattendo un po' le palpebre, con la pioggia che gli gocciola dal cappello. Kathy, che dovrebbe pulire la macchina per il caffè dietro il bancone, si ferma e lo issa mentre con una mano tiene ancora in aria il filtro usato come se non avesse più intenzione di muoversi. Proprio in quel momento, dalla cucina, Charlie le grida: «Ehi, Kathy, perché non chiedi a qualcuno chi ha vinto?» E lei non gli risponde nemmeno. Continua a guardare con la bocca aperta come se volesse gridare ma si fosse dimenticata come si fa. E la coppia anziana seduta al posto d'angolo, gli unici clienti rimasti dopo che la folla uscita dal cinema se n'è andata, smette di masticare la crema al cioccolato e si mette a guardare a sua volta. Kathy chiude la bocca, la riapre, e fa uscire un rumore come: «Uh... errrgh...»
Ecco, questo mi dà fastidio. Forse lei ha cercato di dire "ugh" e forse no, ma quello è qui fermo sulla porta, con la pioggia che gli sgocciola e noi lo fissiamo come se fosse un manichino e non un cliente. Così, penso che non è giusto, e che magari lo