venerdì 10 ottobre 2025

Scacco matto



Stati Uniti, 1959 / Eric Ambler

La Checkmate Inc. è un'agenzia investigativa di San Francisco coordinata dal criminologo Cari Hyatt (Sebastian Cabot) e formata da Dan Corey (Tony George) e Jed Sills (Doug McClure), ai quali si aggiungerà in seguito Chris Devlin (Frank Betts). Variamente assortiti, i quattro cercano non solo di risolvere i crimini, ma anche di prevenirli.



Le trame, scritte da Eric Ambler, famoso soprattutto per i suoi romanzi di spionaggio, erano elementari ma piacevoli, mentre la musica composta da John William, che in seguito firmerà quella di film come Guerre stellari (Star Wars) ed
E. T., era davvero accattivante. 



Può essere curioso ricordare che in Checkmate, questo il titolo originale della serie (andata in onda per settanta episodi da 50 minuti dal 10 settembre 1959 al 19 settembre 1962), facevano di tanto in tanto capolino attori del calibro di Charles
Laughton, Peter Lorre, James Coburn, Lee Marvin e Mickey Rooney.

giovedì 9 ottobre 2025

Pat La Rocca



Damiano Damiani è stato uno sceneggiatore e regista italiano, noto per classici degli anni '60 come "L'Isola di Arturo" (1962), "El Chuncho, Quien Sabe?" (1966) e "Mafia", alias "Il Giorno della Civetta" (1968). È stato anche il regista dell'acclamata serie TV "La Piovra". Damiani ha iniziato la sua carriera come fumettista, nell'ambito del cosiddetto "Gruppo di Venezia", associato alla rivista di fumetti Asso di Picche. Damiano Damiani rimane uno dei pochi celebri registi di film live-action ad aver disegnato fumetti nella sua carriera.

Damiano Damiani nacque nel 1922 a Pasiano di Pordenone, in Friuli, e studiò all'Accademia di Brera a Milano. Iniziò la sua carriera di fumettista a metà degli anni '40, al fianco di artisti come Hugo Pratt , Dino Battaglia , Paul Campani e Fernando Carcupino . Il gruppo produsse la rivista a fumetti sul vigilante mascherato "Asso di Picche" (1945-1949), scritta da Mario Faustinelli e Alberto Ongaro. Damiani contribuì anche alla serie poliziesca noir "Hogart il Giustiziere". La storia fu ristampata come "Bogart il Giustiziere" nel fumetto Sgt. Kirk nel 1968-1969.
Damiani disegnò anche la serie a fumetti "Mike Lazy" (1946), di cui due volumi furono pubblicati nella collana "Albo Dinamite" delle Edizioni Il Carro di Milano. Fu l'autore unico del fumetto gangsteristico "Pat La Rocca" (1946), di cui due albi apparvero nella collana "Collana Gialli Film" delle Edizioni Il Carro. Un terzo volume fu pubblicizzato, ma non uscì mai. 

 Nello sfogliabile troverete la sequenza finale del fumetto L'uomo di gomma.



 

URANIA n.57 - Cyril Judd: L'ordine e le stelle



Questo romanzo ci trasporta in un mondo dove regna il più perfetto ordine e ci narra la storia e le esperienze di un uomo, condizionato dall'educazione speciale avuta a diventare un perfetto Armigero: Cade. Cade è un Soldato virtuoso, dalle abitudini spartane, che ha un solo Dio: l'Imperatore, e una sola cosa sacra: la sua arma per i quali deve combattere, uccidere e morire. Per una serie di avventure appassionanti, narrate con chiara, logica, psicologica successione, l'Armigero cade incontra una ragazza che cospira contro l'Ordine costituito per raggiungere l'ideale di una umanità non più statica e decadente nella sua perfezione, ma in evoluzione nel tempo. Il castissimo Armigero Cade si innamora della ragazza: prima per ritrovarla e poi per difenderla, l'Armigero Cade rinnega tutto ciò in cui ha creduto, perchè tutto ciò in cui ha creduto gli ha vietato di conoscere l'amore. Per amore l'Armigero Cade ridiventerà uomo, adoprerà il suo coraggio e la sua intelligenza, la sua forza e la sua volontà in favore della grande causa dei Marziani, per la quale la ragazza che gli ha svelato l'amore combatte.
 

mercoledì 8 ottobre 2025

Jerzy Gablenz

 

(Cracovia, 23 gennaio 1888 – Kolo, 11 novembre 1937)

Era un compositore polacco dimenticato, conosciuto soltanto da pochi studiosi, Jerzy Gablenz è autore di musica sinfonica, cameristica e per il teatro; direttore di una piccola azienda, scrive musica nel tempo libero, appassionato di tecnologia, costruisce apparecchi radio. Muore tragicamente in un incidente di volo.

Jerzy Gablenz nasce a Cracovia. Suo nonno materno era violinista (un alunno del Conservatorio di Vienna che divenne uno dei direttori dell'Accademia di Musica di Cracovia), suo zio era un affermato violista e suo padre un eccellente pianista. Crebbe in una casa "satura di musica" e fin da piccolo studiò pianoforte, flauto (di cui sarebbe diventato un virtuoso), organo e violoncello.
Nonostante dimostrasse un tale talento musicale, al ragazzo non fu concesso di assecondare il suo desiderio di intraprendere una professione musicale studiando a Berlino, Parigi o Vienna. A Cracovia frequenta la scuola “J. Sobieski” e successivamente la facoltà di Giurisprudenza dell’Università Jagellonica.

Si esibisce occasionalmente con alcune orchestre della città. Come compositore si forma sotto la guida di Władysław Żeleński e Feliks Nowowiejski.
Si laurea nel 1913 e inizia a lavorare nell’azienda di prodotti alimentari del padre, ampliandola e gestendola direttamente dal 1930, morto il genitore. Uno dei suoi obiettivi, a quanto pare, era quello di garantire un reddito al suo unico figlio. Poco dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, i genitori e le due sorelle di Jerzy partirono per Vienna, lasciandolo a gestire l'attività. Nonostante questa responsabilità, trovò comunque il tempo di suonare il flauto in un'orchestra locale e l'organo nella cattedrale. Nel 1917 sposò Małgorzata (Margaret) Schoenówna, conosciuta un decennio prima. Fu in quel periodo che furono scritte le sue prime composizioni (brani per pianoforte, canzoni e una suite per orchestra d'archi), sebbene la maggior parte non sia sopravvissuta.

Le prime composizioni di Gablenz risalgono agli inizi del XX secolo, si tratta di studi, brevi pezzi per pianoforte e per voce e pianoforte; di questi lavori Gablenz non compila alcun catalogo ritenendoli poco significativi, soltanto dopo la fine della prima guerra mondiale tiene un elenco delle sue opere. Gli anni ’20 sono il suo periodo più fecondo; tra le composizioni più importanti figurano alcuni poemi sinfonici scritti tra il 1923 e il 1925, tra cui “Campi soleggiati”, “Pellegrino” e “Nelle montagne”. Del 1926 è il Concerto per pianoforte Op. 25, oggetto della registrazione della Radio polacca in occasione del centenario della nascita. Gablenz non è un compositore innovativo e la sua musica, dopo la seconda guerra mondiale, raramente viene eseguita.

Gablenz era dotato di un eccezionale talento compositivo, dedicandosi in parte alla gestione dell'azienda di famiglia e allo studio di legge, riuscì comunque a scrivere, tra gli altri, un'opera, poesie sinfoniche, un concerto per pianoforte e soprattutto 86 canzoni, che erano la sua forma di espressione preferita, e una monumentale sonata per violoncello.

L'oscurità di Jerzy Gablenz potrebbe essere in parte dovuta a una litania di opere rimaste incomplete o mai eseguite. Il concerto per pianoforte, ad esempio, completato il 20 settembre 1926, non fu eseguito fino al 1977 in un concerto a Santo Domingo (con il pianista Józef Stompel come solista), dove Thomas Gablenz, uno dei figli di Jerzy, aveva preso dimora. Gablenz utilizza uno stile post-romantico, pieno di slancio e cambiamenti di umore. Qui si possono trovare echi dell'opera dei suoi professori, Zelenski e Nowowiejski, ma anche di Rachmaninoff. La forma estesa e la trama densa sono una sfida per gli artisti.


martedì 7 ottobre 2025

Giuseppe Marotta - Questioni d'onore, 1932









 

MONDADORI n.57 - Edgar Wallace: La compagnia dei ranocchi


Cos'è la Compagnia dei Ranocchi? Una misteriosa setta religiosa? Una banda criminale? Che rapporti ha con la Compagnia il proprietario della Bliss General Hardware Corporation, che viene aggredito e ridotto quasi in fin di vita in nome della misteriosa associazione? E perché successivamente si verificano altre aggressioni analoghe? La risposta a tanti interrogativi dovrà darla l'ispettore Elk di Scotland Yard, dopo una serie di colpi di scena che fanno di questo romanzo una delle opere più riuscite di Edgar Wallace.

 

lunedì 6 ottobre 2025

William Bankier: Ritorno a casa



Il bigliettaio era un giovanotto, portava la macchinetta dei biglietti fissata al petto per mezzo di cinghie, come una fisarmonica. Steve Taylor gli chiese un biglietto da cinquanta pence. Dopo sei settimane di continui percorsi sull’autobus Numero 11 dal Westminster Hospital a Chelsea, Taylor sapeva che il prezzo della corsa era di cinquanta pence. Il giovane prese la moneta, regolò il dispositivo della macchinetta distributrice, girò la manovella per far uscire il talloncino che staccò e consegnò al passeggero brizzolato di capelli ma con la faccia da bambino. Poi, con passo barcollante, se ne tornò verso il fondo del veicolo.
Alle otto e mezzo di sera, l’autobus aveva un percorso abbastanza sgombro davanti a sé e poteva perfino saltare alcune fermate completamente deserte. Taylor sedeva in uno stato di semi-ipnosi mentre veniva trasportato oltre Vittoria Station, lungo Pimlico Road e fino a Sloane Square. Stavano percorrendo la King’s Road quando gli capitò di gettare un’occhiata al biglietto. Il codice stampato mostrava la lettera C. Taylor sapeva che la C indicava una corsa da trenta pence. Lui ne aveva pagati cinquanta: la lettera corrispondente era la E.
Provò solo un lieve senso di irritazione. Poteva darsi che il bigliettaio avesse fatto un errore involontario, nel battere la lettera. Più probabilmente, lo aveva fatto di proposito, mettendo venti pence della corsa di Taylor in un’altra tasca. Perché preoccuparsene? Taylor non ne aveva avuto alcun danno, era quasi a destinazione, ormai. L’unico imbarazzo poteva venirgli dal fatto che un controllore salisse sull’autobus e volesse vedere tutti i biglietti, ma era poco probabile, a quell’ora tarda. No, la sola a rimetterci era l’Azienda dei Trasporti di Londra, e perché mai Taylor doveva curarsene?
— Ma che cosa te ne importa? — disse Flora Corrigan, seduta dall’altra parte del tavolo, al Roebuck. Dopo tre settimane, Taylor aveva fatto l’orecchio all’accento di Glasgow e ora capiva quasi tutto quello che lei diceva.
— Il furto mi dà fastidio. È sempre stato così. — Mandò giù qualche sorso di birra. — Da noi a Montreal, anni fa, c’erano degli esattori a riscuotere il pedaggio dagli automobilisti, sul ponte Jacques Cartier. Poi il sistema venne modernizzato, vennero installate le macchine, sai?... quei cesti dove si getta dentro la moneta e la barriera si alza...
— Ah, sì — disse Flora.
— Nel primo mese, le macchine incamerarono quarantamila dollari in più di ogni altro mese precedente. Gli esattori facevano sparire in media la bellezza di quarantamila dollari: risultò che erano tutti proprietari di immobili.
— Che cosa ti aspetti, tu, dalla gente? — domandò Flora. Aveva occhi ridenti, di un azzurro chiarissimo, e una massa di capelli nerissimi che le incorniciavano

venerdì 3 ottobre 2025

Kerstin Backman: Lo sconosciuto



Era la vigilia di Natale, vent’anni fa, il primo Natale che avremmo trascorso nella nostra piccola casa di campagna di legno rosso, ai margini di una foresta nel nord della Svezia. La costruzione era molto vecchia e arredata con mobili altrettanto vecchi, ma così a buon mercato che potemmo permetterci di comprarla. C’era anche una piccola stalla dove era possibile tenere pochi cavalli e due piccoli campi nei quali gli animali potevano correre. Uno stretto viottolo conduceva alla strada principale. Eravamo così lontani dalla città più vicina che la nostra era sempre una delle ultime strade che venivano sgombrate dalla neve.
Questo Natale ci sembrava magico. La nostra famiglia non aveva mai vissuto prima in campagna.
La neve era caduta per giorni e tutto il mondo era bianco e soffice sotto quella morbida coltre. Il paesaggio tutt’intorno assomigliava a un mare ghiacciato costellato di gigantesche onde gelate. Più tardi, quello stesso giorno, la neve smise di cadere e le nuvole lentamente svanirono. Una pallida luce proveniente dal sole al tramonto si rifletté in scintillanti cascate sulla neve.
Le betulle e i pini nella foresta sembravano coperti di una pelliccia di neve.
Era come vivere in una di quelle cartoline natalizie e noi, in mezzo a quel bianco silenzio, eravamo felici come bambini. Quell’inverno sembrava un regalo speciale concepito apposta per noi. Accanto a mio marito e ai miei bambini sentivo che quello era un Natale in cui tutto avrebbe potuto accadere.
Consumammo la tradizionale cena della vigilia raccolti attorno al vecchio tavolo della cucina. Era una cena tradizionale svedese: un grosso prosciutto, costolette, cavolo e piselli serviti con pane, formaggi e ogni tipo di salsicce. Dopo ci sedemmo a chiacchierare alla luce tremolante delle candele nel piccolo salotto, ignorando le pile di piatti sporchi in cucina.
Proprio allora, alle dieci di una scurissima notte di Natale, qualcuno bussò alla porta principale.
Ci guardammo l’un l’altro. Non conoscevamo ancora nessuno dei nostri vicini e quale dei nostri amici avrebbe potuto venire a farci visita, considerato che abitavamo così lontano dalla città?
Di nuovo ci fu un colpo alla porta. Io mi alzai e andai a vedere chi era.
Lì, in mezzo alla neve, solo e con alle spalle un cielo che riluceva di stelle, c’era un

Commissario Sartori



Italia, 1971 / Franco Enna

Figlio di un maresciallo dei carabinieri - come lo stesso autore, tanto che secondo Loris Rambelli in un brano de La bambola di gomma potrebbe essere adombrato un suo ricordo d'infanzia, attribuito al protagonista: «E si rivide bambino, poi
ragazzo, nelle tante caserme di carabinieri dov'era cresciuto al fianco di suo padre maresciallo, tra uomini in uniforme che lo coccolavano, scalpiti di cavalli nelle scuderie e tintinnare di sciabole e di speroni» -, che gli ha insegnato soprattutto a
capire gli uomini e «a essere prima uomo e poi poliziotto», Federico Sartori (Fefè, per la moglie Teresina, siciliana come lui , che non si è mai del tutto abituata alla vita nella capitale) è commissario di pubblica sicurezza della sezione omicidi di
Roma. 



Calmo e riflessivo, abita nel quartiere popolare di Centocelle, ha due figli, Tina e Carlo, e si sposta con una Ford Capri GT. Spesso lavora con il brigadiere Corona, un compaesano un po' pingue e dalla faccia rotonda con il quale si intende a colpo d'occhio. I romanzi di Franco Enna con il commissario Sartori sono stati pubblicati
da Longanesi.

 

giovedì 2 ottobre 2025

Rosco & Sonny


Rosco e Sonny sono una coppia di personaggi dei fumetti ispirati a Starsky e Hutch dell'omonimo telefilm e creati nel 1981 dallo sceneggiatore Claudio Nizzi con i disegni dapprima di Giancarlo Alessandrini e in seguito di Rodolfo Torti, il quale continuerà sui testi di Rudy Salvagnini. La serie è stata pubblicata sulla rivista Il Giornalino, con cadenza periodica a partire dal n. 46 del 22 novembre 1981 fino al n. 19 del 6 maggio 2012.

I due simpatici poliziotti sono in servizio al Quindicesimo Distretto di Mallaby Street, in una città molto simile a New York. Il loro capo è il capitano O'Connel.
Rosco Malloy è biondo e ha i baffi, indossa sempre giacca e cravatta ed è un tipo serio. Nel primo episodio ha 40 anni, è scapolo e vive solo.
Sonny Rizzo è ricciolo e coi capelli rossi, veste camicia, giubbotto, jeans e scarpe da ginnastica ed è un giovane spigliato. Nel primo episodio si viene a sapere che ha 27 anni, che è scapolo, che vive con la sorella Lydia e che anche suo padre era un poliziotto.

Nelle avventure non c'è mai troppa violenza e il lieto fine è sempre assicurato, visto che Il Giornalino, della Edizioni San Paolo, si indirizza a un pubblico anche molto giovane. In tempi più recenti i due amici sono aiutati da un computer portatile che dà loro molti suggerimenti.
L'ultima storia, intitolata Missione finale, li vede cambiare lavoro: Rosco annuncia che farà lo scrittore e Sonny annuncia che si dedicherà al baseball per allenare i giovani. Il capitano O'Connel, allora, li congeda così: «Comunque la Polizia sarà sempre pronta ad accogliervi! E se avrò bisogno di voi... voglio proprio vedere se avrete il coraggio di dirmi di no!», a cui Sonny risponde: «Quello mai, capo!» e ciò lascia aperto uno spiraglio per possibili nuovi episodi.


 


 

URANIA n.56 - John Windham: Le onde del Sahara



Decine e decine di persone scompaiono ogni anno nel deserto del Sahara. I loro corpi non vengono quasi mai ritrovati e si pensa che le sabbie del deserto li abbiano inghiottiti o le fiere se ne siano nutrite... L'autore immagina - e questa fantasia potrebbe realizzarsi negli anni a venire, perchè è stato il sogno di parecchi grandi costruttori - che parte del deserto del Sahara sia stata artificialmente inondata e sia stato così creato il "Mare Nuovo", il mare del deserto. I protagonisti di questo racconto - due giovani innamorati - sorvolano questo grande lago chiamato il Mare Nuovo, ma il loro apparecchio ha un guasto e si inabissa in un vortice formato da una depressione del fondo. L'apparecchio viene risucchiato e trasportato lentamente su una corrente nelle caverne del sottosuolo. In queste caverne sotto il Sahara vivono prigionieri, molti uomini scomparsi nel deserto, di ogni razza e nazionalità. Il racconto è la storia di questi uomini, della loro lotta per tornare nel mondo, per sottrarsi alla tirannide del popolo segreto, strani esseri che, sepolti nelle loro caverne, non hanno mai visto la luce del sole.

 

mercoledì 1 ottobre 2025

Miriam Beatrice Hyde

 

(Adelaide, 15 January 1913 – Sydney, 11 January 2005)

Miriam Beatrice Hyde è stata una compositrice australiana, principalmente di musica classica, pianista, insegnante di musica e poetessa.

Nacque ad Adelaide nel 1913. La musica era una parte importante della sua vita familiare: sua madre, Muriel, suonava e insegnava pianoforte; sua zia, Clarice Gmeiner, suonava violino, viola e arpa con la South Australian Symphony Orchestra; e sua sorella minore, Pauline, suonava violino e cantava. Le sue prime lezioni di musica furono impartite dalla madre, ma nel 1925 vinse una borsa di studio per frequentare l'Elder Conservatorium of Music di Adelaide.

Dopo aver conseguito la laurea in Musica nel 1931, vinse una borsa di studio Elder per il Royal College of Music di Londra, che frequentò dal 1932 al 1935. I suoi insegnanti furono R. O. Morris e Gordon Jacob per la composizione, e Howard Hadley e Arthur Benjamin per il pianoforte. Durante gli studi al College vinse diversi premi di composizione, tra cui il Premio Cobbett. Tuttavia, durante questo periodo subì anche un crollo nervoso e sua madre andò in Inghilterra per starle accanto.

Hyde tenne il suo primo recital londinese all'Holland Park nel 1933 e nel 1934 il suo Concerto per pianoforte n. 1 in mi bemolle minore fu eseguito dalla London Philharmonic Orchestra, diretta da Leslie Heward, con lei come solista. Nel 1935 eseguì il Concerto per pianoforte n. 4 di Beethoven con Malcolm Sargent e il suo Concerto per pianoforte n. 2 con la London Symphony Orchestra diretta da Constant Lambert. Vide molti dei grandi musicisti dell'epoca, tra cui Rachmaninoff, Stravinsky, Prokofiev, Yehudi Menuhin ed Elisabeth Schumann.

Tornò ad Adelaide nel 1936 e poco dopo si trasferì a Sydney, dove lavorò per diversi decenni come compositrice, recitalista, insegnante, esaminatrice e conferenziere. Fu qui che incontrò anche suo marito, Marcus Edwards, che sposò nel 1939 e dal quale ebbe due figli, Christine (1950) e Robert (1951). Durante gli anni della guerra, mentre il marito era internato come prigioniero di guerra tedesco dopo la cattura a Creta, insegnò ad Adelaide, per poi tornare a Sydney alla fine delle ostilità. La sua monumentale Sonata in sol minore per pianoforte (1941-44) riflette in larga misura gli anni della guerra.

Tra le opere principali del dopoguerra figurano l'Ouverture "Happy Occasion" (1957), l'Ouverture Kelso (1959), la Sonata per clarinetto (1949), il Quartetto per archi in mi minore (1952), la Sonata per flauto (1962) e i suoi due trii per fiati e pianoforte (1948, 1952). Una delle sue opere più famose è il brano per pianoforte "Valley of Rocks" (1975).

Il suo lavoro per l'Australian Music Examinations Board si estese dal 1945 al 1982, incluso il suo prezioso contributo al Comitato Consultivo del Nuovo Galles del Sud. Le sue attività includevano esami, tutoraggio, dimostrazioni e workshop, preparazione/revisione/correzione di prove d'esame e consulenza sui contenuti dei programmi.
Scrisse anche materiale didattico: libri di lettura a prima vista, esempi di forme, test orali per tutti i livelli, manuali di tutoraggio, tra cui uno per principianti adulti.
La sua vita dedicata alla musica fu arricchita dalla poesia. Scrisse quasi 500 poesie, alcune delle quali musicate.

Nel 1981 fu nominata Ufficiale dell'Ordine dell'Impero Britannico e nel 1991 Ufficiale dell'Ordine d'Australia. Nel 1993 le è stata conferita una laurea honoris causa dalla Macquarie University e nel 2004 ha ricevuto un premio per i suoi illustri servizi alla musica australiana dall'Australasian Performing Right Association e dall'Australian Music Centre Classical Music Awards.

È stata nominata Patrona della Music Teachers' Association of South Australia e ha istituito il Miriam Hyde Award per l'associazione. Dopo aver fatto parte del Consiglio della Music Teachers' Association of New South Wales dal 1960 al 1991, ne è stata nominata patrona.

Nel 1991 è stata pubblicata la sua autobiografia, intitolata Complete Accord.

Ha festeggiato il suo 80° compleanno nel 1993 con una serie di recital in tutto il paese. All'età di 89 anni, ha eseguito per l'ultima volta il suo Concerto per pianoforte n. 2, con la Strathfield Symphony Orchestra diretta da Solomon Bard. Il suo 90° compleanno, nel 2003, è stato celebrato con concerti e trasmissioni in tutta l'Australia. Dalla metà degli anni '90 in poi, e anche dopo la sua morte nel 2005, la Keys Press (a Perth) e la Wirripang Pty Ltd (a Wollongong) hanno pubblicato più di 100 dei suoi manoscritti per pianoforte, musica da camera e canto.

Miriam Hyde è morta nel 2005, pochi giorni prima di quello che sarebbe stato il suo 92° compleanno.

martedì 30 settembre 2025

Laszlo Lakatos - Lo schiaffo, 1953






 

MONDADORI n.56 - Earl Derr Biggers: Sangue sul grattacielo


In una cena organizzata da Sir Frederick Bruce (ex-direttore del Dipartimento investigazioni criminali di Scotland Yard), vengono invitati il Colonnello John Beetham (noto esploratore), June Morrow (assistente del procuratore distrettuale), Barry Kirk (miliardario), Bill Rankin (giornalista) e il Sergente Charlie Chan. Durante la cena, viene ricordato il vecchio caso della scomparsa di Eve Durand in India. IL caso risale a quindici anni prima e Sir Frederick Bruce confida a Chan di essere a un passo dalla soluzione. Alla fine della cena il Colonnello John Beetham, mostra alcune diapositive del suo ultimo viaggio. Verso la fine della presentazione, viene trovato morto Sir Frederick Bruce nel suo ufficio. Le indagini iniziano e ben presto Chan e June comprendono che per risolvere il caso, dovranno comprendere la scomparsa di Eve Durand. Dopo svariate ricerche si scopre che Eve Durand era effettivamente stata rintracciata da Bruce a San Francisco e l'assassino di Bruce altri non è che Eric Durand, il marito di Eve. Quindici anni prima Eve ed Eric si erano spostati ed essendo Eric un militare, la coppia dovette trasferirsi in India. Eve scoprì che il marito era implicato in un omicidio e confidatasi con Beetham venne aiutata da quest'ultimo a fuggire dall'India. A Bruce andò il caso della scomparsa di Eve, caso che intendeva risolvere a tutti i costi. Eric resosi conto del pericolo rappresentato dal ritrovamento della moglie, decise di rubare la documentazione a casa di Bruce, ma venendone sorpreso, lo assassinò.
 

lunedì 29 settembre 2025

Randye Lordon: Ardere d’odio



Una grigia mattina, svegliandosi, Mitchell Smith decise che era tempo di agire. Si guardava attorno nella misera cameretta e pensava alla sua casa, su nel nord. Dal letto nel quale si era abituato a svegliarsi per ben quindici anni, a quest’ora avrebbe potuto contemplare le foglie della quercia che, al di là della finestra, sembrava stormire per dargli il buongiorno. Invece, si ritrovava a osservare, sulla parete di fronte, il percorso privo di direzione di un insetto.
Cominciò a programmare la giornata. Era sabato. Lei sarebbe stata al lavoro.
Gettate in là le coperte, si sottrasse al calduccio del letto e, a piedi nudi, andò nel bagno. Sorrise alla propria immagine nello specchio e si passò le dita tra i capelli pepe-e-sale. Fece la doccia, la barba, poi si ammirò ancora una volta prima di uscire e affrontare la città che detestava.
Nell’aria c’era il primo freddo dell’autunno. Svoltò nella Broadway. Nel caffè greco stagnava un odore di pancetta e di ammoniaca. Finì la sua terza tazza di caffè, diede una mancia molto generosa al cameriere dall’espressione arcigna e pagò alla cassa.
Durante l’ora e quaranta minuti che occorrevano per percorrere in macchina il familiare tratto di strada tra la città e la sua casa, fischiettò allegramente, rifiutando di permettere a se stesso di pensare. Quante volte aveva detto a lei, lungo quello stesso percorso: «La strada è troppo bella per ingombrarla di pensieri». Svoltò nel lungo viale d’accesso privato e per gli ultimi quattrocento metri guidò in silenzio.
La ghiaia scricchiolava sotto le sue suole di gomma, mentre si avviava a piedi verso la casa. Si fermò a inebriarsi della vista della facciata. La casa aveva cento anni, e lui ne aveva trenta quando l’aveva vista per la prima volta. Lei aveva riso, quando le aveva confidato il suo sogno di comperare «il vecchio rudere sulla collina», come diceva la gente del luogo, ma alla fine si era dichiarata d’accordo. I

sabato 27 settembre 2025

Nick Raider



Nick Raider è un personaggio dei fumetti creato da Claudio Nizzi, protagonista della omonima serie a fumetti poliziesca italiana. Pubblicata dal 1988 al 2005 per 200 numeri dalla Sergio Bonelli Editore che, per la prima volta, pubblica una serie gialla. Nel 2021 il personaggio fa il suo ritorno in una miniserie composta da dieci albi.

Nick Raider è un investigatore della squadra omicidi di New York che, affiancato dal compagno Marvin Brown, investiga sui crimini di sangue commessi nella "grande mela". Il suo mentore, nonché capo diretto, è il tenente Arthur Rayan, il quale cerca senza troppo successo di controllare gli slanci del detective e soprattutto lo difende spesso dalla burocrazia e dall'ostracismo del suo capo, il capitano Vance, che Nick chiama "Ciaocara" per via del suo rapporto succube con la moglie. Non ci sono antagonisti ricorrenti se non la malavita newyorkese rappresentata dall'obesa capomafia Louise Clementi e l'organizzazione criminale nota come Croce Nera che si occupa di prestare assistenza a delinquenti evasi.

Il protagonista è un detective della polizia di New York di origini italiane. Il suo cognome originale è Raidero; i nonni arrivarono in America nel 1928 da un paese dell'appennino toscano e il loro cognome venne cambiato in Raider per errore dell'ufficio immigrazione. Da bambino Nick aveva un'immagine buona e affettuosa di suo padre John, anch'egli poliziotto, fino a quando non si sarebbe incrinata nell'adolescenza quando i rapporti con lui avrebbero assunto una piega conflittuale per colpa della crisi matrimoniale e delle condizioni di salute della madre delle quali il padre viene ritenuto responsabile da Nick. Al termine di un ennesimo litigio e persa ogni fiducia nel padre il giovane Nick decide di andarsene e ritornando a casa solo dopo la morte del padre. La madre è ora in cura in una clinica per malati mentali e alla luce delle esperienze successive Nick comprende meglio la figura paterna recuperando l'antico affetto per lui e decidendo di entrare in polizia per pagare un tributo alla sua memoria.

Oltre al padre, Nick avrà come punto di riferimento il tenente Rayan, vecchio amico di famiglia. Durante la guerra del Vietnam si arruola nella polizia militare. Tornato in patria Nick incomincia la sua carriera come agente di pattuglia nel Bronx sotto l'occhio vigile di un altro mentore, Abraham Reginald King detto Blackbear.


 

venerdì 26 settembre 2025

Rabbino Abie Ingber: Il Natale salvò la vita a mia madre



Qualunque studente del ventesimo secolo potrebbe affermare che l’Olocausto fu uno dei capitoli più oscuri della storia moderna. Nonostante ciò, all’interno di quell’incubo, ci furono momenti di grande umanità e di compassione estremamente confortanti.
Nell’agosto del 1942 mia madre, Fania Pastz, era una delle poche sopravvissute del ghetto di Lutsk, in Polonia. Era una ragazza giovane, di non ancora vent’anni, quando la sua vita venne salvata da virtuosi cristiani che l’uno dopo l’altro incontrò sulla sua strada. Nessuno potrebbe dire perché lei venne risparmiata mentre i suoi genitori, i suoi fratelli e gli altri membri della sua famiglia furono uccisi così brutalmente. Più di una volta dei cristiani evangelici, contadini e abitanti delle campagne, arrivarono proprio al momento giusto per nasconderla in una soffitta, in una cantina o in un pollaio.
Il miracolo di Natale di mia madre iniziò il 19 agosto del 1942, quando un contadino ucraino arrivò nel ghetto e propose un piano per nascondere in città la famiglia di mia madre. Non volendo mettere in pericolo l’intera famiglia con un piano rischioso, mia madre strappò la gialla stella di David che era obbligata a portare cucita sugli abiti, si coprì il capo con uno scialle e, lasciando i propri cari, uscì insieme al contadino per provare la via di fuga. La fortuna li accompagnò e lei riuscì a sgattaiolare fuori dal ghetto senza che né i poliziotti ucraini, stranamente presenti in grande numero, né i soldati tedeschi, raccolti ai confini del ghetto, la fermassero. Il piano prevedeva di ritornare la mattina successiva per far uscire l’intera famiglia. Tuttavia, quando mia madre l’indomani cercò di avvicinarsi al ghetto, venne fermata da un poliziotto ucraino. Credendo che fosse cristiana e non ebrea le consigliò di stare lontana da quella zona. “È circondata a causa di ragioni politiche”.
Gli ebrei avevano vissuto a Lutsk fin dal decimo secolo e la loro fortuna era cresciuta insieme a quella della città che era divenuta, a metà del sedicesimo secolo, un importante centro economico e politico. Ma la mattina del 20 agosto, il giorno in cui mia madre rimase fuori dal ghetto, venne dato un ordine che pose fine a tutto ciò in maniera definitiva. Durante i due giorni successivi, i diciassettemila ebrei del ghetto di Lutsk vennero deportati sulla collina di Polanka, ai margini della città, vennero gettati vivi in un fossato e fucilati. Nessuno degli ebrei che venne trovato nel ghetto potè sottrarsi a quella fine atroce.
La coraggiosa spedizione di mia madre fuori dal ghetto l’aveva salvata. Avendo perduto tutto e tutti, stordita per quanto era accaduto, cercò aiuto presso il contadino che l’aveva guidata e passò i due mesi seguenti nascosta nella canna fumaria del grande forno che si trovava fuori dalla casa.
Ma il 24 dicembre del 1942, la fortuna di Fania Pastz sembrò abbandonarla. Il contadino ucraino che le aveva salvato la vita cominciò a temere che se avesse continuato a darle rifugio, lui stesso si sarebbe trovato in grave pericolo e le chiese di lasciare la sua casa. Mia madre vagò per le sporche strade di campagna, tremando dal freddo nel suo abitino di cotone. La notte stava calando e lei sapeva che la sua vita era prossima alla fine. Riconoscendo la casa padronale del guardiano della contea, ne imboccò il viale d’ingresso. I cani del guardiano l’assalirono, strappandole il vestito e mordendola. Il guardiano, sentendo il latrare dei cani, arrivò impugnando il suo fucile.
“Per favore uccidimi”, implorò mia madre. “Aiutami a seguire la sorte della mia famiglia”.
“Non posso ucciderti questa notte”, rispose l’ufficiale. La fece entrare, divise con lei il cibo della cena della vigilia di Natale, le diede un nuovo abito e un posto per dormire. La mattina dopo, temendo che avrebbe potuto lui stesso essere ucciso per aver salvato un’ebrea, la portò in città e l’affidò a un’altra famiglia cristiana perché la nascondesse. Altri tre cristiani miracolosamente comparvero durante la guerra e le salvarono la vita fino al giorno in cui scese da un solaio durante la liberazione di Lutsk da parte dell’esercito russo nel 1944. Era una dei pochi ebrei ancora vivi in città.
Solo a distanza di molti anni io imparai il detto polacco che recita: “Alla vigilia di Natale anche un gatto randagio ha diritto di vivere”. Il 24 dicembre del 1942 mia madre aveva vissuto come un gatto randagio nella campagna polacca. In quel preciso momento Dio deve aver operato in modo che la vigilia di Natale le salvasse la vita. Sono orgoglioso delle mie origini ebree e del fatto di essere un rabbino, ma non scorderò mai che il Natale ha salvato la vita di mia madre. Buon Natale a tutti voi, da un rabbino pieno di gratitudine.

 

Sarti Antonio, sergente

 


Italia 1974 / Loriano Macchiavelli

Tormentato dalla colite, Antonio Sarti (meglio conosciuto come Sarti Antonio) è sergente di pubblica sicurezza a Bologna. Gira su una 850 scassatissima, gli piace fermarsi ogni tanto a bere un buon caffè e odia le armi da fuoco: il rumore degli
spari gli dà la nausea, e l'odore della polvere bruciata gli fa girare la testa.



Nelle storie di questo personaggio non mancano le critiche alla giustizia autoritaria e repressiva, rappresentata dall'ispettore capo Cesare Raimondi, e accanto al protagonista troviamo spesso uno studente universitario extraparlamentare, Rosas,
più in gamba e più furbo di lui, che quasi sempre giunge intuitivamente per primo alla soluzione, anche se poi è proprio il poliziotto che deve trovare le prove per suffragare le sue ipotesi.



Queste avventure sono gustosamente raccontate da una voce fuori campo, una sorta di alter ego del protagonista, che interviene in prima persona con commenti ironici e ammiccamenti vari al lettore. Ecco un esempio, tratto da Fiori alla memoria (1975): «Vedere Sarti Antonio, sergente, rotolare sotto il trattore mi ha fatto una certa impressione. Secondo me, avrebbe dovuto schivare la mazzata con un rapido
spostamento del corpo e quindi partire all'attacco colpendo l'avversario dal basso con un pugno sul mento. Così, dopo, avrebbe potuto sederglisi sul petto e colpirlo
al viso con la mano aperta, fino a fargli uscire il sangue dalle labbra».



Dal romanzo Passato, presente e chissà (1978) è stato tratto lo sceneggiato televisivo a puntate Sarti Antonio, brigadiere, interpretato da Flavio Bonacci. 



In un nuovo serial tv, andato in onda all'inizio del 1991, questo ruolo è stato affidato a Gianni Cavina. 



Loriano Macchiavelli ha "ucciso" il proprio personaggio nel 1987, in Stop per Sarti Antonio, pubblicato da Cappelli, affiancandogli Poli Ugo, archivista zoppo della questura di Bologna, che nelle sue intenzioni doveva prenderne il posto.

giovedì 25 settembre 2025

URANIA n.55 - Jimmy Guieu: I figli del diluvio



In questo romanzo l'autore sostiene un'ipotesi che si basa sulle teorie di scienziati e pensatori, come Arold C. Urey di Chicago e I. Velikovski: crepacci, vallate e crateri della Terra e della Luna sono stati prodotti da una vera e propria pioggia di meteoriti, probabilmente provenienti da una cometa che sfiorò la Terra nel periodo terziario, e pianeti Marte e Venere non hanno sempre occupato nel sistema solare l'orbita che oggi seguono. Tale sconvolgimento sarebbe stato causato dal passaggio di una cometa, che provocò quello che in tutte le leggende e in tutte le tradizioni religiose, gli uomini chiamano il Diluvio universale. Noi saremmo quindi, secondo l'autore, i discendenti degli uomini di Marte e di Venere che, già molto progrediti e civili nel tempo in cui la Terra non aveva ancora esseri pensanti, sarebbero scesi sul nostro pianeta, sfuggendo alla distruzione, con le loro astronavi. Ciò spiegherebbe la diversa pigmentazione delle quattro razze che popolano il mondo. Su questa affascinante teoria Jimmy Guieu ha costruito un interessante, avvincente racconto. E i nostri lettori seguiranno con curiosità e con ansia la storia delle generazioni che occuparono la Terra nei tempi lontani della preistoria, la storia, che potrebbe essere vera, dei nostri progenitori bianchi, neri, rossi e gialli.
 

mercoledì 24 settembre 2025

Stéphan Elmas

(Smirne, 24 dicembre 1862 – Ginevra, 11 agosto 1937)

 Stephan Elmas, pianista e compositore di origini armene, bambino prodigio, vive a Ginevra dal 1911 ottenendo nel 1925 la cittadinanza onoraria; i suoi nipoti Georges e Grégoire Elmas istituiscono nel 1988 la Fondazione Stephan Elmas, con sede a Courtedoux, allo scopo di conservare e promuovere la sua musica e di sostenere iniziative sanitarie a favore dei bambini armeni malati.
Stephan Elmas nasce in Turchia, a Smirne, in un’agiata famiglia di commercianti. Prestissimo mette in luce le sue innate abilità musicali; studia pianoforte con un pianista del luogo, tale Moseer, inizia a comporre piccoli pezzi per pianoforte e all’età di 13 anni si esibisce in concerto eseguendo brani di Liszt.
Contro il volere dei suoi familiari, ma incoraggiato dal suo maestro, Elmas prosegue i suoi studi in Europa; a Weimar, nel 1879, incontra Franz Liszt che lo consiglia di completare la sua formazione a Vienna sotto la guida del pianista Anton Door e del maestro di composizione Franz Kremm.
Stephan Elmas si dedica completamente al pianoforte; le sue prime opere sono pubblicate dall’editore viennese Wesler. Nel 1881 scrive Sei studi per pianoforte dedicandoli a Franz Liszt; nel 1882 dedica ad Anton Rubinstein il suo primo Concerto per pianoforte e orchestra.
Dopo un breve periodo trascorso a Smirne, nel 1887 Stephan Elmas ritorna a Vienna e fino al 1908 è impegnato in una lunga serie di concerti in tutte le grandi città europee; esegue sue composizioni oltre a brani di Beethoven, Chopin, Schumann.
Dal 1897 Elmas inizia a soffrire di ipoacusia. Nel 1911 si stabilisce definitivamente a Ginevra; continua a comporre e ad insegnare. Nell’estate del 1915 riceve le prime notizie sul genocidio del popolo armeno da parte degli ottomani turchi ed è profondamente sconvolto da questo evento; i suoi familiari, dopo il grande incendio di Smirne del 1922, si rifugiano ad Atene e successivamente lo raggiungeranno in Svizzera. Nell’ultimo periodo della sua vita, afflitto sempre più dalla sordità, Stephan Elmas si isola completamente dal mondo circostante; le sue tribolazioni e i suoi tormenti sono documentati dal ricco epistolario intrattenuto dal 1922 con il giovane giornalista Hagop-Krikor, al quale detterà la sue memorie.
Stephan Elmas lascia molte composizioni per il pianoforte; di maggior successo sono i pezzi da salotto, raffinati ed eleganti. La maggior parte della sua opera,  piuttosto che adeguarsi alle tendenze musicali della sua generazione, segue lo stile dei precedenti compositori romantici.

Quasi subito dopo le vigorose battute iniziali e una salva di ottave del solista che preparano la scena al Concerto per pianoforte n. 1 in sol minore, Elmas ci offre un secondo tema di notevole bellezza con inflessioni chopiniane, prima di lanciarsi, piuttosto alla maniera del compositore polacco, in una serie di passaggi rapidi. Questo cede il passo a un secondo tema lirico, poi a un terzo, seguito da ulteriori pagine di semicrome per pianoforte con un supporto orchestrale minimo, alla Chopin. Segue un episodio avvincente, più rubinsteiniano che chopiniano, in cui pianoforte e orchestra si animano sempre di più, conducendo a una cadenza eroica e al ritorno del tema iniziale. Segue una versione appassionata di questo in tonica maggiore con ottave tonanti sottostanti, prima che la musica si plachi ed Elmas torni a quel delizioso secondo tema. Il resto del movimento si diletta nel trattamento variegato del materiale precedente prima di giungere a una conclusione travolgente con un finale non dissimile da quello della ballata in sol minore di Chopin. Alcuni potrebbero pensare che il secondo movimento in larghetto sia il più originale dei tre. Il suo inquietante soggetto principale, una melodia serena e cantilenante, simile alle ballate da salotto dell'epoca, è in La bemolle maggiore, dopodiché i quattro bemolli vengono sostituiti dai quattro diesis di Do diesis minore per un secondo tema. La musica torna alla tonica per un finale sommesso e velato.

Forse il finale potrebbe essere criticato per essere troppo apertamente debitore a Chopin. Non che il soggetto sia privo di fascino o di interesse, ma Elmas si affida ampiamente a figurazioni e schemi ritmici che ricordano da vicino sezioni di entrambi i concerti di Chopin.

martedì 23 settembre 2025

Claudio Gevel - Un guasto nell'ascensore, 1931







 

MONDADORI n.55 - Edgar Wallace: Una, o due?




Due amici trentenni ex compagni d'università, ora uno ispettore di polizia e l'altro  ingegnere minerario, indagano su una bellissima giovane infermiera che sembra in un momento essere presente in un quartiere di Londra con la divisa da infermiera ma nello stesso momento essere presente dall'altra parte di Londra con un grande impermeabile nero, capelli raccolti e una pistola in mano poco rassicurante...
 

lunedì 22 settembre 2025

Ruth Rendell: La nuova amica



—Ricordi quello che abbiamo fatto l’altra volta?
Da settimane lei aspettava di sentire quelle parole. — Sì?
— Mi domandavo se ti piacerebbe farlo di nuovo.
Ne aveva una gran voglia ma non voleva farlo capire. — Perché no?
— Ti andrebbe per venerdì pomeriggio, allora? Ho la giornata libera e Angie va sempre da sua sorella, il venerdì.
— Non sempre, David, — rise lei.
Rise un poco anche lui. — Questa settimana ci va. Possiamo usare la tua, di auto? La nostra la prenderà Angie.
— Certo. Vengo a prenderti verso le due, d’accordo?
— Lascerò aperte le porte del garage, così potrai addirittura entrarci, senza scendere dalla macchina. Ah, Chris, puoi sistemare le cose in modo da rientrare un po’ più tardi? Mi piacerebbe poter passare insieme l’intera serata.
— Farò il possibile, — promise lei, e poi: — Sì, penso che ci riuscirò. A Graham dirò che devo uscire con la mia nuova amica.
Lui la salutò e le disse arrivederci a venerdì. Christine abbassò il ricevitore. Aveva quasi rinunciato ad aspettarsi una chiamata da lui. Ma un granellino di speranza doveva ancora esserci, in lei, perché non aveva mai lasciato il ricevitore staccato, come usava fare di solito.
L’ultima volta che l’aveva fatto era stato un giovedì di circa tre settimane prima, il giorno in cui era andata da Angie e vi aveva trovato David, solo. Christine aveva preso l’abitudine di staccare il ricevitore durante le ore d’ufficio, per evitare di ricevere telefonate da parte dei clienti della Midland Bank. Il suo numero e quello della Midland Bank differivano per un’unica cifra. Così, verso le nove e mezzo lei staccava il ricevitore e lo rimetteva a posto verso le tre e mezzo. Spesso il giovedì pomeriggio andava a trovare Angie, e senza preoccuparsi di telefonarle prima.
Christine conosceva benissimo il marito di Angie. Se il giovedì si tratteneva un po’ più a lungo, lo vedeva quando lui rincasava dal lavoro. A volte, lei, Graham, Angie e David uscivano insieme. Sapeva che David, come Graham, si occupava di vendite, e dallo stile di vita dell’amica intuiva che David doveva guadagnare meglio. Non lo aveva mai trovato molto attraente, perché sebbene fosse molto alto, aveva qualcosa di femmineo nell’aspetto, e i capelli ondulati e molto biondi.
Graham era di corporatura solida, molto bruno e con la pelle olivastra. Doveva radersi due volte al giorno. Christine aveva cominciato a uscire con lui quando aveva quindici anni, e il giorno del suo diciottesimo compleanno si erano sposati. In sostanza non aveva mai conosciuto altro uomo intimamente, e ora, se le capitava di trovarsi sola con un uomo, si sentiva impacciata e a disagio. Temeva, ecco la verità, che un uomo potesse prendersi delle libertà con lei, e quel pensiero la spaventava immensamente. Per molto tempo si era portata un temperino nella borsetta, per l’eventualità di doversi difendere. Una sera, dopo che erano stati fuori con un collega di Graham e avevano bevuto un po’ più del solito, aveva confidato a Graham quel suo timore.
Lui le aveva dato della sciocchina, ma era parso piuttosto compiaciuto.
— Quando ti sei allontanato per parlare con quelle persone e io sono rimasta sola con John, mi sono sentita così. Terribilmente nervosa. Non sapevo di che cosa parlare.
Graham era scoppiato a ridere. — Non dirmi che pensavi che il povero John facesse qualche approccio nel bel mezzo di un ristorante affollato.
— Non lo so, — aveva risposto Christine. — Non so mai quello che faranno.
— Fin quando non hai paura di quello che posso fare io, — aveva detto Graham, cominciando a baciarla, — il resto non ha importanza.
Non c’era scopo di dirgli, ora, con dieci anni di ritardo, che anche questo le faceva

domenica 21 settembre 2025

Wisława Szymborska: Nulla è in regalo



Nulla è in regalo, tutto è in prestito.
Sono indebitata fino al collo.
Sarò costretta a pagare per me
con me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.
È così che è stabilito,
il cuore va reso
e il fegato va reso
e ogni singolo dito.
È troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
mi sarà tolto con la pelle.
Me ne vado per il mondo
tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l’obbligo
di pagare le ali.
Altri dovranno, per amore o per forza,
rendere conto delle foglie.
Nella colonna Dare
ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio, non un peduncolo
da conservare per sempre.
L’inventario è preciso,
e a quanto pare
ci toccherà restare con niente.
Non riesco a ricordare
dove, quando e perché
ho permesso che aprissero
questo conto a mio nome.
La protesta contro di esso
la chiamiamo anima.
E questa è l’unica voce
che manca nell’inventario.

 

sabato 20 settembre 2025

Julia - Le avventure di una criminologa


Julia è una donna moderna, che ha una concezione moderna della vita e dei rapporti interpersonali. Ha superato di poco la trentina, con capelli corti e scuri ed occhi particolarmente grandi ed espressivi. Lontana dallo stereotipo della top-model, ha una figura naturalmente elegante, con un corpo esile e nervoso e tratti che, senza rientrare nei canoni della bellezza classica, la rendono decisamente affascinante. Si trucca poco, propende per un abbigliamento sportivo ma di classe (con una predilezione per l'insieme pantaloni - camicia - blazer) ma, all'occorrenza, sa sfoggiare anche mises più raffinate. Abita in una tipica villetta primi Novecento alla periferia di Garden City, una tranquilla (ma non troppo!) cittadina del New Jersey. Coltiva l'hobby del cinema anni Quaranta e della musica, e di professione fa la criminologa.

Il lavoro di Julia si svolge su due fronti. Insegna, come assistente, alla Hollyhock University, dove ha stabilito con i suoi studenti un rapporto di reciproca stima e fiducia. La criminologia è una scienza interdisciplinare che si basa sulla psicologia, sulla sociologia, sulla psicanalisi, sul diritto. Insomma, una materia complicata che va spiegata con parole chiare. E le sue lezioni sono così chiare che può capirle anche un neofita. Come libera professionista, invece, presta la propria consulenza a personaggi pubblici o a semplici cittadini. Nella maggior parte dei casi, però, riceve un incarico di lavoro direttamente dalla procura distrettuale e collabora con la polizia.

Il metodo d'indagine di Julia, oltre che sulle conoscenze scientifiche acquisite, si basa su un istinto personale, una straordinaria sensibilità che le permette d'immedesimarsi emotivamente nel criminale di turno e quindi di prevenirne le mosse o di risalire ai motivi che hanno scatenato le stesse. I casi che la interessano riguardano la psicopatologia criminale, i binomi sesso-delinquenza e droga-delinquenza, gli omicidi efferati, il proliferare dei serial killer, il fenomeno della delinquenza giovanile. Il suo intento è naturalmente quello di assicurare i colpevoli alla giustizia, ma soprattutto di capire - ma non giustificare - le profonde pulsioni che hanno spinto i criminali ad agire.

Le storie di Julia sono caratterizzate anche dall'uso di una voce narrante in prima persona, un espediente caro alla scuola californiana dei giallisti, che, nel nostro caso, ci permette di conoscere le riflessioni e le considerazioni della protagonista, in uno stile diaristico, che aggiunge immediatezza agli avvenimenti.

 


venerdì 19 settembre 2025

Raynier Naharaj: Il pane e i pesci di Natale



Alla vigilia di Natale in ogni casa, in quasi ogni parte del mondo, aleggia una tranquilla aria di eccitazione. L’emozione della festività e il calore di avere tutta la famiglia riunita mi riportano alla mente un racconto di Natale che ogni anno mi piace ricordare. È una storia vera anche se può sembrare incredibile. Ed è la prova che i miracoli accadono davvero.
Molto tempo fa, un gruppo di amici decise di spartire con altre persone la gioiosa atmosfera natalizia. Sapevano che parecchi bambini avrebbero trascorso i giorni delle feste in un ospedale nei dintorni, perciò acquistarono dei regali, li incartarono a dovere e, armati di chitarre e voci dolci, fecero visita all’ospedale il giorno della vigilia di Natale. Uno di loro era vestito da Babbo Natale. I bambini furono felicissimi quando videro che era arrivato Babbo Natale e quando il gruppo ebbe terminato di distribuire i regali e di cantare canzoni natalizie, gli occhi dei presenti luccicavano per la commozione. Da quella volta in poi fu deciso che la recita avrebbe avuto luogo ogni anno.
La vigilia di Natale dell’anno seguente la visita all’ospedale fu estesa anche al reparto delle donne e quella dell’anno successivo comprese anche alcuni bambini poveri del vicinato.
Il quarto Natale, dopo aver terminato tutte le visite stabilite, Babbo Natale, guardando nel sacco, si accorse che erano rimasti ancora dei doni.
Così gli amici si misero a pensare quale destinazione era possibile dare a quei regali.
Qualcuno accennò ad alcune catapecchie occupate abusivamente in cui vivevano un paio di famiglie poverissime. Decisero di dirigersi lì, convinti che non ci fossero più di tre famiglie. Ma non appena ebbero superato la cima della collina e furono entrati in quell’area così desolata, ormai era quasi mezzanotte, si accorsero, con estremo stupore, che ai lati della strada c’era un folto gruppo di persone.
Erano bambini, più di una trentina. Dietro le loro spalle non c’erano tre baracche, ma file e file di capanne malandate. Mentre le auto si fermavano, i bambini arrivarono correndo e urlando di gioia.
Avevano atteso pazientemente per tutta la sera Babbo Natale. Qualcuno, nessuno seppe dire con esattezza chi, aveva detto loro che sarebbe arrivato, nonostante il nostro Babbo Natale avesse deciso di dirigersi lì solo qualche minuto prima.
Tutti erano stupefatti, eccetto Babbo Natale. Lui era in preda al panico. Sapeva bene di non avere abbastanza giocattoli per tutti quei bambini. Decise tuttavia di distribuire i doni rimasti solo ai bimbi più piccoli. Quando i pacchetti si sarebbero esauriti avrebbe spiegato ai più grandi come stavano le cose.
Così, nel giro di un istante, egli si trovò appollaiato fuori dalla capote della macchina mentre quella trentina di bambini, puliti e tirati a lucido nei loro migliori vestiti, si disponevano in ordine di altezza, i più piccoli davanti, in attesa del loro turno per ritirare il regalo. I bambini si avvicinavano ansiosi e ogni volta che Babbo Natale affondava una mano nel sacco il suo cuore accelerava il battito per la paura e nella speranza che fosse rimasto ancora un pacchetto. E, proprio per miracolo, ogni volta la sua mano trovò un giocattolo. E quando anche l’ultimo bimbo ebbe ricevuto il suo dono, Babbo Natale lanciò un’occhiata al suo sacco, ormai floscio. Era vuoto, vuoto come avrebbe dovuto essere circa ventiquattro bambini prima.
Si lasciò scappare un respiro di sollievo e disse addio ai bambini. Ma mentre stava per entrare in macchina, pare che quello fosse il giorno libero delle renne, sentì il grido di un bimbo: “Aspetta, Babbo Natale! Aspetta!”. E uscendo di corsa da alcuni cespugli, arrivarono trafelati un bambino e una bambina. Si erano addormentati.
Babbo Natale ebbe un tuffo al cuore. Questa volta era certo di non avere più giocattoli. Il sacco era vuoto. Ma mentre i bambini, senza fiato, si avvicinarono, racimolò un po’ di coraggio e infilò di nuovo la mano dentro il sacco. Ed ecco che all’interno vi trovò ancora due doni.
Tra gli amici del gruppo, ormai diventati adulti, si racconta ancora di quel miracolo della mattina di Natale. Non sanno ancora come spiegare ciò che accadde, se non per il fatto che accadde.
Come mai conosco tanto bene questa storia? Be’, io ero quello vestito da Babbo Natale.