Nel 1939, quando uscì Ipnosi (Dividend on death), il primo romanzo poliziesco con Mike Shayne, l'investigatore privato dai capelli rossi di Miami, il New York Times scrisse che Brett Halliday era «Un narratore inesperto», affermando
nello stesso tempo che sarebbe certo diventato popolare «presso quei lettori che domandano storie disinvolte, rozze, violente».
Nonostante non siano mancate anche altre critiche - le obiezioni più comuni si riferiscono alla superficialità dei personaggi, all'eccessiva compiacenza della violenza, al cinismo di Mike Shayne e al suo qualunquismo -, la profezia del New York Times i è avverata in quanto questo autore si è davvero conquistato un vasto pubblico dedicando al suo personaggio una cinquantina di romanzi, popolati da donne bellissime, banditi di mezza tacca, inseguimenti, scazzottature, sbronze e via di questo passo.
Alto quasi un metro e novanta, scorbutico e sempre pronto a menar le mani, una vera passione per il cognac Martell, Mike Shayne lavora per un breve periodo a New York, come investigatore per la Worldwide Agency, prima di trasferirsi a Miami, che in seguito abbandona per New Orleans, dopo la morte della giovane moglie alla quale era molto legato.
Questo personaggio è stato protagonista negli anni Quaranta di una dozzina di pellicole, da Mike Shayne, private detective, diretto nel 1940 da Eugene Ford, a Too many winners, diretto nel 1947 da William Beaudine.
Due soli attori hanno ricoperto il ruolo del protagonista: Lloyd Nolan e Hugh Beaumont.
Protagonista di un serial radiofonico a partire dal 1934, il detective privato creato da Brett Halliday giunge sul piccolo schermo dal 30 settembre 1960 al 22 settembre 1961 in una serie di telefilm da 50 minuti interpretati da Richard Denning e ambientati a Miami.
Può essere infine curioso ricordare che nel romanzo Avventura a mezzanotte (She woke to darkness, 1954), Mike Shayne cava dagli impicci addirittura il proprio creatore, a New York per partecipare all'annuale premiazione dei Mystery Writers of America e ingiustamente accusato di omicidio.
Nikolai Pavlovich Budashkin (1910-1988) - Compositore sovietico, artista popolare della RSFSR (1972). Vincitore di due premi Stalin (1947, 1949), autore di musica folcloristica per film, melodie per fisarmonica a bottoni, domra, danza, canzoncine e sofferenza. È nato il 6 agosto del 1910 nel villaggio di Lyubakhovka. Nel 1917 si trasferì a Chita con la sua famiglia, dove ha studiato alla scuola di FZU, ha lavorato in una fucina, ha suonato in una banda di ottoni amatoriale e in un'orchestra di strumenti popolari russi nell'angolo rosso di una fabbrica di motori a vapore. Nel 1929 entrò nel rabfak MGK intitolato a Tchaikovsky. Ha studiato con Glier e Myaskovsky. Nel 1936 fu chiamato al servizio militare nell'Armata Rossa. Nel 1937 si diplomò al conservatorio nella classe di composizione. Nel 1938 si laureò alla scuola di specializzazione, lavorò come assistente nel dipartimento di strumentazione. Nel 1939 stipulò un accordo con l'autore per la scrittura di "Rhapsodies for Jazz". Durante la Grande Guerra Patriottica, fu compositore della direzione politica della DKBF. Nel 1945-1951 fu assistente del capo dell'Orchestra statale di strumenti popolari russi NP Ossipov, per la quale scrisse molte opere. Nel 1965 iniziò a insegnare presso l'Istituto statale di cinematografia di Mosca: prima come assistente professore e dal 1973 come professore nel dipartimento di strumentazione e lettura di spartiti. Ha scritto musica per opere teatrali, lungometraggi e film d'animazione. Morì a Mosca il 31 gennaio 1988.
Nikolai Budashkin è stato uno dei più eminenti compositori di musica «estrada» russa, un nuovo genere musicale della prima metà del XX secolo nato nell'ex Unione Sovietica, un genere che univa il meglio della musica classica e musica folk. Il giovane compositore ricevette il Premio Stalin per le sue composizioni popolari e accessibili, rappresentate più chiaramente dalle sue opere per ensemble di Balalaika e orchestre di Balalaika (spesso ispirate alla musica popolare). La leggenda del lago Baikal è un bellissimo esempio del suo lavoro; il compositore ha utilizzato abili reminiscenze del «Tema di Lara» in una delle scene pittoresche di questo pezzo commovente.
"Abbagliante! Inimitabile! Fantastico!" – queste sono le reazioni tipiche alle esibizioni dell'Orchestra Ossipov Balalaika. Un critico australiano ha scritto: «Una sorta di tsunami musicale si è abbattuto sulla sala, tutto era immerso nelle melodie russe, profonde e vaste come un oceano. Semplicemente non riesco a trovare le parole! Stavo singhiozzando come un bambino. È stato un sogno meraviglioso...»
Evgeny Svetlanov nato a Mosca il 6 settembre 1928 e ivi morto il 3 maggio 2002, proveniva da una famiglia di musicisti e artisti. I suoi genitori erano entrambi membri della compagnia del Teatro Bolshoi e sua madre, nata Kruglikova, è apparsa nel ruolo di Tatyana in "Eugene Onegin" e ha interpretato il ruolo principale in "Madame Butterfly": fin dalla prima infanzia, Evgeny è stato affascinato dal teatro e, ad esempio, è apparso come figlio di Cio-Cio-San sul palcoscenico lirico più prestigioso dell'Unione Sovietica (fu proprio in ricordo di questo ricordo che diresse la sua ultima rappresentazione dell'opera di Puccini a Montpellier, un mese prima della sua morte – così il ciclo fu concluso).
Studiò alla scuola Gnessin fino al 1951 e al Conservatorio di Mosca fino al 1955, frequentando le classi di direzione d'orchestra di Mikhail Gnessin e Yuri Chaporin, di cui successivamente registrò oratori e cantate; il suo insegnante di pianoforte fu il grande Heinrich Neuhaus; il suo mentore nella direzione d'orchestra fu Alexander Gauk, fondatore dell'Orchestra Sinfonica di Stato dell'URSS nel 1936 e figura emblematica dell'interpretazione moderna. Come spiega Svetlanov: “Prima della Rivoluzione, anche se c’erano degli eccellenti direttori d’orchestra, come Balakirev e Rubinstein, non esisteva una vera scuola di direzione russa: Gauk la creò e anche solo per questo il suo nome dovrebbe rimanere negli annali della nostra storia musicale. ”.
Svetlanov tenne i suoi primi concerti come direttore d'orchestra alla radio già nel 1953, quando era ancora studente. Due anni dopo ritornò al Bolshoi come assistente principale: nel 1962 fu nominato direttore principale, diventando direttore principale onorario nel 1999, quando diresse una nuova rappresentazione de “La serva di Pskov”. Aveva acquisito familiarità con le grandi opere di Čajkovskij, Rimskij-Korsakov, Borodin e Mussorgskij, oltre a un gran numero di balletti che gli hanno permesso di perfezionare la sua tecnica e la sua conoscenza della letteratura musicale russa affrontando i vincoli dell'alternanza di spettacoli in un teatro di repertorio. Nel 1964 guidò la prima tournée del Bolshoi in Italia, che si rivelò un successo clamoroso.
L'anno successivo, Evgeny Svetlanov rilevò l'Orchestra Sinfonica di Stato dell'URSS, che conosceva da dieci anni, e diresse l'orchestra per oltre trentacinque stagioni, spaziando dai concerti in abbonamento a Mosca (e in tutta l'Unione Sovietica) ai successi fenomenali all'estero. Durante la sua permanenza con l'orchestra il maestro ha registrato un'antologia di musica russa che copre l'intero periodo romantico e post-romantico fino ai tempi moderni. Si è trattato di un compito monumentale che Svetlanov ha condotto metodicamente per venticinque anni interpretando, sia su disco che in sala da concerto, il repertorio tedesco (da Mozart a Schönberg, con una spiccata preferenza per Mahler) e francese (Debussy, Ravel e Dukas, con la notevole eccezione di Berlioz).
Nel 2000 venne licenziato dal ministro della cultura della Russia, Michail Švydkoj, dall'Orchestra sinfonica di Stato della Russia per il motivo addotto che Svetlanov avesse passato troppo tempo a dirigere all'estero e poco tempo a Mosca.
Un compositore, Evgeny Svetlanov, lo era a pieno titolo, ma anche in modo intermittente. Sebbene abbia avuto contatti con Shostakovich, Prokofiev, Khachaturian e Rodion Shchedrin, il suo stile personale ha poco a che fare con quello dei suoi famosi contemporanei: è, per sua stessa ammissione, piuttosto “conservatore”, intriso di reminiscenze popolari e una spontaneità emotiva indiscutibilmente disarmante. I suoi gusti musicali molto eclettici lo hanno portato, come creatore, a mantenere viva una tradizione post-romantica derivante da Miaskovsky, di cui è sempre stato un ardente difensore, e da Rachmaninov.
Oltre alla “sua” orchestra, dalla quale venne licenziato in modo incomprensibile in fin di vita (“Non voglio assolutamente cercare di indovinare i veri motivi del mio licenziamento. Penso che ci porterebbero molto lontano. Altro anche di quanto alcuni possano supporre…”), Svetlanov ha diretto numerosi gruppi occidentali.
Direttore d'orchestra, compositore, pianista, autore e anche pescatore, calciatore dilettante, Svetlanov ha avuto un profondo impatto sulla scena musicale della seconda metà del XX secolo. Morì nella sua casa, a Mosca, la notte tra il 3 e il 4 maggio 2002. Aveva settantatré anni. Salutato anche dal presidente Putin come uno degli ultimi giganti della cultura russa, riposa accanto a sua madre nel cimitero moscovita di Vagankovo.
Un’affascinante giovane donna, Sofia De Florio, è intrappolata nel gioco malato di un assassino.
Sofia ha chiesto aiuto, ma l’aiuto non è arrivato in tempo.
Non poteva nascondersi, combattere o fuggire. Vittima innocente della mente contorta di un killer seriale.
Dotato di una mente acuta e perspicace, l'investigatore privato Roberto Pignatelli, che si occupa del caso di Sofia De Florio, figlia di un suo caro amico, si rende subito conto che questo non è un omicidio ordinario: per le strade di Taranto circola un serial killer, una teoria confermata da Ginevra Landi, una brillante e stravagante giornalista indipendente.
Studiando più a fondo il modus operandi di questo folle assassino, Roberto Pignatelli e Ginevra Landi scoprono l’ossessione del killer.
Roberto Pignatelli si impegna in una caccia all’uomo che lo porterà su percorsi tortuosi che non avrebbe mai pensato di attraversare.
L’assassino lo costringerà a fare ciò che nessun altro è mai riuscito a realizzare prima: confrontarsi e affrontare il suo doloroso passato.
Mentre il killer imperversa in città, dimostrandosi più furbo e sfuggente di chiunque Roberto Pignatelli abbia mai cacciato, le scommesse sulla sua identità aumentano. In una corsa disperata contro il tempo.
Fino a che Roberto Pignatelli non riuscirà a trovarlo e catturarlo, nessuno sarà al sicuro.
Importante spiegazione: si tratta di un libro strano, un po’ giallo, un po’ romantico e un po’ storico. Ho imbastito una storia poliziesca light attorno alla storia di un pittore locale molto apprezzato nel 1500, ma al giorno d’oggi, purtroppo, sconosciuto ai più. Insomma, c’è un morto, c’è l’amore, c’è la storia dell’incidente di Pellegrino da Modena, avvenuto esattamente 500 anni fa.
Se avete letto i miei precedenti scritti, questo risulterà non più ambientato nell’anno precedente, bensì nello stesso anno della pubblicazione, in onore del pittore modenese Pellegrino Aretusi o Munari, colpito a morte tra il 20 e il 21, e deceduto il 27 dicembre 1523.
«Tu sei un agente, Pat. Sei tenuto a osservare norme e regole precise. C'è gente sopra di te. Io sono solo. Posso prendere chi voglio a calci nel ventre senza la minima conseguenza. Nessuno può farmi perdere il posto. Forse nessuno ci farà molto caso e un giorno verrò eliminato, ma ho pur sempre la licenza di investigatore privato, ho il privilegio di portare un 'automatica, e hanno paura di me. Il mio odio è tenace, Pat. Quando saprò chi sta dietro a tutta questa faccenda, qualcuno desidererà non aver mai cominciato. Un giorno, tra non molto tempo, avrò la rivoltella in pugno e l'assassino davanti a me. Lo guarderò bene in faccia. Gli piazzerò un proiettile dritto in pancia e quando sarà steso sul pavimento, gli farò saltare i denti a calci ... ».
In queste frasi, che indirizza una volta a un ufficiale di polizia, che vuole far rispettare la legge ma che certo non può comportarsi come lui nel dare la caccia ai criminali, Mike Hammer ("hammer" vuoi dire martello, in inglese. «Io credo che ogni uomo, in fondo, desideri essere un martello - ha detto una volta Mickey Spillane, - in grado di picchiare sodo sulla testa del prossimo») esprime con chiarezza la sua "filosofia" e il suo stile di vita.
Duro tra i duri, questo personaggio è forse il più violento di tutti gli investigatori privati della narrativa poliziesca. Basti pensare che qualcuno ha calcolato che nei primi sei romanzi di Spillane con Mike Hammer ci sono ben 58 morti, di cui 38 uccisi dallo stesso protagonista!
Grintoso e strafottente, non si tira mai indietro di fronte al pericolo e ritiene di essere sempre dalla parte della ragione, spesso picchiando (o sparando) indiscriminatamente a chi non la pensa come lui. Come scrive Carlo Scaringi, «il gusto per la caccia può essere anche un elemento positivo per un investigatore, ma quando alla caccia si unisce anche il gusto del sangue, dell'uccidere, della vendetta privata, allora si devia dai binari della convivenza civile e anche un personaggio che, sulla carta, persegue ideali di giustizia, può
diventare pericoloso come un fuorilegge».
Epigono della cosiddetta scuola dei duri di Hammett e Chandler (anche se certi critici considerano i suoi romanzi una sorta di parodia involontaria dell'hard-boiled novel, tanto sono caricati ed esagitati), questo personaggio, protagonista di numerose avventure piene di azione e di colpi di scena, appare per la prima volta nel 1947 in Ti ucciderò (I, the jury ). Un amico dell'investigatore viene ucciso e Mike Hammer («Se ci pensate e andate a leggervi i romanzi in cui figura - dice Spillane, vi accorgerete che io non ho mai dato di lui una descrizione precisa. Questo perché Mike Hammer è soprattutto una proiezione mentale») giura solennemente di scovare l'assassino e di fargli fare la stessa fine.
Costi quello che costi. «I miei fan - ama dire Spillane - credono che Mike Hammer, il personaggio che compare in quasi tutti i miei romanzi, sia autobiografico, ma non è vero affatto. Io sono socievole, tranquillo pieno di entusiasmo per i bambini. ( ... ) Da quando ho ottenuto il successo, non scrivo
più per divertirmi. II posto dove preferisco vedere il mio nome è un assegno e non un libro. E, se non ho bisogno di quattrini, è inutile che scriva: ecco perché, per nove anni, dal 1952 al 1961, non ho scritto niente. lo sono uno scrittore e non un autore; uno scrittore è come un fabbricante, un costruttore, è un uomo d'affari. Io scrivo una pagina in pochi minuti e termino un libro in due settimane. Scrivo quello che si vende».
Tra i numerosi film tratti dai romanzi critti da Mickey Spillane (pubblicati in Italia da Garzanti e da Mondadori), il più interessante è probabilmente Un bacio e una pistola, diretto nel 1955 da Robert Aldrich e interpretato da Ralph
Meeker.
Nonostante Spillane tenda a escludere qualsiasi riferimento con Mike Hammer, bisogna ricordare che ha posato per alcune copertine ed è stato addirittura protagonista della versione cinematografica di The girl hunters, 1963.
Il rude e cinico investigatore privato creato da Mickey Spillane è stato interpretato sul piccolo schermo da Darren McGavin (nel 1958) e da Stacy Keach, indubbiamente il più incisivo dei due, protagonista di una serie di telefilm dal titolo lunghissimo (Mickey Spillane's Mike Hammer: Murder me, murder you), 49 episodi da 50 minuti andati in onda dal 26 gennaio 1984 dopo essere stati preceduti da un pilot da 110 minuti.
Accanto a Stacy Keach, che in seguito avrebbe interpretato lo scrittore
Ernest Hemingway, troviamo Lindsay Bloom nei panni della sua formosa segretaria, Don Stroud in quelli del capitano di polizia Pat Chambers e Danny Goldman in quelli di Ozzie, il suo informatore di fiducia.
Può essere curioso ricordare che prima di dare il suo benestare alla CBS per la produzione di quest'ultima serie, Mickey Spillane pose tre condizioni: che gli episodi fossero girati a New York, che Mike Hammer fosse sempre circondato da belle donne e che usasse una 45 automatica invece di una meno maschile
38.
Le avventure di Mike Hammer sono state realizzate anche a fumetti dallo statunitense Ed Robbins.
Keiko Abe è una compositrice e suonatrice di marimba giapponese. È stata una figura primaria nello sviluppo della marimba, in termini di espansione sia della tecnica che del repertorio, e attraverso la sua collaborazione con la Yamaha Corporation, ha sviluppato la moderna marimba da concerto a cinque ottave.
Abe iniziò a suonare lo xilofono mentre era alla scuola elementare di Tokyo, in Giappone, studiando con Eiichi Asabuki. All'età di 13 anni, ha vinto un concorso per talenti della NHK e ha iniziato a esibirsi professionalmente in diretta radiofonica. Ha frequentato l'Università Gakugei di Tokyo dove ha conseguito una laurea e un master in educazione musicale. Ha iniziato a lavorare nella Nippon Columbia, nella NHK e in altri studi di registrazione mentre era al college.
Nel 1962, lei e due amici (che erano anche studenti di Asabuki) fondarono lo Xebec Marimba Trio, eseguendo musica popolare, arrangiamenti di canzoni popolari e alcuni arrangiamenti di Abe. Registrarono più di sette album tra il 1962 e il 1966. Durante questo periodo, tenne il suo programma sulla televisione giapponese, istruendo gli scolari a suonare lo xilofono, così come un programma radiofonico chiamato "Good Morning Marimba". Ha anche iniziato la sua carriera discografica, pubblicando 13 album nell'arco di cinque anni.
Nel 1963, la Yamaha Corporation cercò suonatori di marimba giapponesi per aiutarli nella progettazione dei loro nuovi strumenti; Keiko è stata scelta per le sue idee originali e chiare sul suono e sul design della marimba, in particolare per il suo concetto di come la marimba dovrebbe essere in grado di fondersi con gli ensemble, ad esempio, allontanandosi dalle incoerenze e dalla mancanza di concentrazione degli strumenti a percussione folk. Le sue idee per il suono desiderato degli strumenti guidarono la progettazione della Yamaha e, negli anni '70, ne iniziò la produzione. Inoltre, su sua richiesta, l'estensione della nuova marimba è stata estesa da quattro ottave a cinque, che è diventata lo standard per i solisti. Da allora Abe è stata strettamente associata a Yamaha e la loro prima serie di bacchette per percussioni per tastiera porta il suo nome.
Oltre a esibirsi, è una compositrice. La sua musica è pubblicata principalmente da Xebec Music Publishing, Tokyo e Schott, Giappone. Le sue composizioni, tra cui "Michi", " Variazioni sulle canzoni per bambini giapponesi" e "Dream of the Cherry Blossoms", sono diventate standard del repertorio della marimba. Abe è attiva nel promuovere lo sviluppo della letteratura per la marimba, non solo scrivendo brani lei stessa, ma anche commissionando opere ad altri compositori e incoraggiando i giovani compositori. Uno dei quartetti di percussioni più eseguiti con marimba, "Marimba Spiritual", di Minoru Miki, è tra i tanti lavori commissionati e supportati da Abe, ed è a lei dedicato. Ha aggiunto almeno 70 composizioni al repertorio. Usa l'improvvisazione come un elemento importante nello sviluppo delle sue idee musicali che poi utilizza nelle sue composizioni.
Oltre al suo intenso programma di composizione, tournée e registrazione, Abe è stata docente e poi professoressa presso la Toho Gakuen School of Music di Tokyo dal 1970. È stata la prima donna ad essere inserita nella Percussive Arts Society Hall of Fame nel 1993.
Abe utilizza la marimba YM-6100. Questo moderno design di marimba da concerto, con cinque ottave di estensione, è stato sviluppato con Abe in collaborazione con la Yamaha Corporation in un periodo di quindici anni (dal 1969 al 1984).
Nel maggio 2021 è stata uno dei 10 nuovi membri eletti all'Accademia reale svedese di musica, insieme a Marika Field, Katarina Karnéus, Jonas Knutsson, Sten Sandell, Đuro Živković, Richard Sparks, Giancarlo Andretta, Stefan Dohr e Quincy Jones.
Prism Rhapsody (2009)
E' un concerto di marimba tour de force che presenta alcune esecuzioni molto appariscenti. Con sezioni a sei bacchette, diverse cadenze e un finale aggressivamente veloce che non lascia mai scendere l'energia, questo pezzo è una scelta eccellente per le competizioni di concerti. Durante il concerto, il musicista dovrà impegnarsi in una lieve improvvisazione, in un gioco molto veloce con due bacchette e in alcune situazioni complicate di timing tra il solista e l'accompagnamento.
Nato a Lovanio il 10 ottobre 1862 e morto nella Regione di Bruxelles-Capitale, 29 agosto 1940, vinse il primo premio in un concorso musicale locale a soli 11 anni e successivamente si iscrisse al Conservatorio di Bruxelles. Il suo insegnante principale era Louis Brassin, ex allievo di Ignaz Moscheles, sebbene prendesse lezioni anche da altri membri dello staff dell'istituto, tra cui Joseph Dupont, François-Auguste Gevaert e Fernand Kufferath.
Dopo essersi diplomato con il massimo dei voti al Conservatorio all'età di 17 anni, De Greef si recò a Weimar per completare i suoi studi con Franz Liszt. Fu allievo di Liszt per due anni.
Dopo il soggiorno a Weimar, De Greef intraprese la carriera di pianista, viaggiando molto. Era amico di Edvard Grieg, di cui aveva suonato pubblicamente il Concerto per pianoforte nel 1898, e che lo definì "il miglior interprete della mia musica che abbia mai incontrato". Inoltre, ha goduto dell'appoggio di Camille Saint-Saëns. Il critico britannico Jonathan Woolf ha scritto: "De Greef era, sotto tutti gli aspetti, un musicista intensamente musicale, non sensazionalista, eloquente e impressionante e pur non essendo contrario ad alcune delle tattiche interventiste dei suoi contemporanei (ritocco della partitura) rimase con simpatia sempre modesto".
De Greef compose una notevole quantità di musica, praticamente tutta inascoltata. Tra le sue opere ci sono due concerti per pianoforte. Era un insegnante devoto e ha insegnato pianoforte al Conservatorio di Bruxelles per molti anni.
Dei due concerti per pianoforte di de Greef, il secondo, che risale al 1930, è il più originale. È un'opera cupa che risente dell'influenza di Franck e, cosa interessante, un po' di Rachmaninov. Il primo movimento, Angoisse - Agitato, è intensamente drammatico. C'è sofferenza, c'è agitazione e tristezza. Racconta un'appassionata storia d'amore che ero ansioso di ascoltare fin dalle prime note, e alla fine sono molto felice di averlo fatto.
Il secondo movimento, Separazione - Lento ma non troppo, è pieno di desiderio e rassegnazione. Questa è musica meravigliosa con sottili accenni a Beethoven, Mendelssohn e persino Wagner.
Il movimento finale, lento alla Rachmaninov, termina in modo pacifico con una sfumatura di malinconia deliziosa.
Come nel Concerto n. 1, la scrittura per pianoforte è molto abile e, sebbene a volte virtuosistica, non lo è mai gratuitamente. I concerti per pianoforte di de Greef riempiono un vero vuoto nel repertorio concertistico e meritano un posto nel mondo fortemente slavo-teutonico del concerto per pianoforte.
Mauro Sighicelli è nato e vive a Modena, in Italia, dal 1957. Pensionato ex insegnante, attualmente docente di scrittura creativa. Ha pubblicato 28 libri, tra gli ultimi: Il cammello con tre gobbe (collana Senza Scarpe, giugno 2020), La donna perfetta (L’Erudita edizioni Roma, febbraio 2022), Doppia coppia (Ad Astra Edizioni Brindisi, luglio 2022), Fuga dalla Transnistria (2024). È stato premiato al salone di Torino 2023 per il miglior personaggio maschile nell’ambito dei racconti gialli con il commissario Bertini, di sua creazione.
Tenente (e in seguito ispettore) del distretto di polizia di New York, Michael Lord è un poliziotto serio e coscienzioso che nello svolgimento delle indagini è spesso coadiuvato da un amico, lo psicologo Rees Pons, che svolge un ruolo più o meno simile a quello del dottor Watson nelle storie di Sherlock Holmes.
Della sua vita privata non sappiamo praticamente nulla, dato che Charles Daly King la ritiene evidentemente irrilevante ai fini della trama dei suoi romanzi polizieschi, costruiti con un accuratissimo e per lo più felice senso delle
geometrie e delle proporzioni, con una capacità di accumulo di materiali
psicologici sorprendente.
Non è certo un caso che il primo romanzo di King, In alto mare (The Obelist at sea, 1932), presenti infatti quattro soluzioni diverse a uno stesso enigma (un omicidio compiuto su un piroscafo) offerte da altrettanti psicologi - ovviamente di differente scuola! - che l'autore fa di volta in volta comparire in scena con una malcelata dose di ironia.
Naturalmente le quattro soluzioni si riveleranno errate e il mistero verrà invece risolto da Michael Lord, il giovane poliziotto che è presente in altri sei romanzi di questo autore.
Questo racconto è un fantastico, un fantasy se vogliamo. L’ho scritto di getto in memoria dell’amico Federico Fava, prematuramente scomparso pochi giorni prima di ricongiungersi con la sua metà, in Giappone. Il destino lo ha tradito, ma io ho pensato di renderlo immortale. Era già nelle mie corde, ne avevo anche parlato con lui, di sfruttare la sua nuova vita a Sendai, nella prefettura di Miyagi, per qualche mia indagine. La sua morte non mi ha fermato! Ho scritto egualmente il racconto, come doveva essere, con al mio fianco Federico, che continua a vivere sulla carta. Non è più nella nostra vita, ma sarà presente in alcuni miei racconti, un ex agente di polizia fa sempre comodo a un becchino investigatore, che deve condurre indagini fin nella terra del Sol Levante.
Un abbraccio Federico, ci rivedremo presto in altre avventure…
Prefazione
Ho conosciuto Federico Fava presso l’associazione Amici del Libro a Modena. Era uno dei responsabili, si occupava di lettura a voce alta e teneva corsi di lingua giapponese. Scherzavamo insieme su cibo, libri e amici comuni, in un rapporto ormai quasi quotidiano. Aveva deciso di tornare in Giappone per ricongiungersi con la moglie, in un viaggio, forse, senza ritorno nel breve periodo. Il destino, però, è stato avverso e pochi giorni prima della partenza un malore è stato fatale. Credo abbia lasciato un vuoto enorme non solo a me, ma anche a tutti quelli che gli volevano bene. Come quando si spegne una luce e nessuno è più in grado di riaccenderla.
Poi Roberto Roganti ha avuto l’idea di farlo rivivere nei panni di un personaggio dei suoi racconti. Così, leggendo questo libro, si può ritrovare Federico tra le pagine, stavolta nei panni di un ex-poliziotto. A me sembra una bella idea, non solo un tributo dovuto, ma anche un modo per farlo sentire ancora vicino, di regalare una illusione, anche se solo sulla carta.
Ringrazio Roberto Roganti perché ha provato a trasmettere una emozione e scavando dentro l’anima di un personaggio di fantasia, forse, ha contribuito a tenere accesa quella luce che sembrava dovesse non accendersi più.
Parigi 14 ottobre 1859 - Chatou, Seine-et-Oise 30 maggio 1923
Paul Alexandre Camille Chevillard è stato uno dei più importanti direttori d'orchestra francesi, nonché un compositore serio.
Figlio del violoncellista Alexandre Chevillard, Camille Chevillard studia pianoforte al Conservatorio di Parigi nella classe di Mathias, dalla quale esce nel 1880 con un secondo premio. Privo di formazione accademica in composizione, nel 1882 scrive il sua primo lavoro, un Quintetto con pianoforte. In quegli anni è assistente del direttore Charles Lamoureux (di cui sposerà la figlia), in particolare allorché questi dirige la prima rappresentazione francese di Lohengrindi Wagner all’Eden-Théâtre nel 1887. Chevillard svolge attività di pianista, fondando la Société Beethoven nel 1889 e formando il Trio Chevillard-Hayot-Halmon nel 1895. Nel 1897 viene nominato direttore d’orchestra dei Concerts Lamoureux e ne diventa presidente in capo alla morte del loro fondatore nel 1899. Portato soprattutto per il repertorio germanico (Schumann, Beethoven, Wagner) e la musica russa, Chevillard, che è considerato uno dei migliori direttori del suo tempo, partecipa così al primo Festival d’Alsace-Lorraine nel 1905 al pari di Mahler e Strauss. Notiamo che dirige la prima esecuzione dei Nocturnes e de La Mer di Debussy, il quale tuttavia ne apprezza pochissimo il lavoro in quelle occasioni. Diventato docente di musica d’insieme al Conservatorio di Parigi nel 1907, Chevillard conclude la propria carriera come Direttore musicale all’Opéra dal 1915 fino alla morte nel 1923. Come compositore s’inserisce in una tradizione post-romantica influenzata da César Franck. Nel suo catalogo figurano lavori cameristici, pezzi orchestrali, mélodies, e un buon numero di trascrizioni e orchestrazioni.
Le opere di Camille Chevillard si distinguono per uno stile allo stesso tempo personale, solido e raffinato. Includono trio, quartetto e quintetto per pianoforte e archi; un quartetto d'archi; una sonata davvero notevole per violino e pianoforte; una sonata per violoncello e pianoforte; pezzi più piccoli per violino e violoncello; una serie di variazioni e un Etude chromatique per pianoforte; una ballata sinfonica; un poema sinfonico: Le chène et le roseau; una Fantaisie Symphonique e canzoni.
Rolland gli attribuisce il merito di aver per primo attirato l'attenzione del pubblico parigino sulla musica russa, mentre lamenta la mancanza di simpatia di Chevillard verso la scuola moderna nativa. Il suo modo di dirigere era forte, preciso e attento, con un calore comunicativo maggiore di quello del suo predecessore.
Cortot plays Chevillard, Theme & Variations in G Op.5 ~ Phonola recording Leipzig C.1908
Inspiegabilmente, quest'opera molto francese è scomparsa dal repertorio, tuttavia ecco una registrazione nientemeno che di un pianista come Alfred Cortot che ne mostra efficacemente le qualità.
Il tema è elaborato in dieci variazioni, con l'influenza di Faure ovvia ma non molto evidente. È interessante notare che alcuni sembrano quasi essere di Ravel. La data di questa composizione è sconosciuta ma probabilmente risale a prima del 1900. La fotografia di Cortot (completa di baffi piuttosto appariscenti) è stata scattata nello studio Hupfeld, forse lo stesso giorno in cui è stato registrato questo rullo. Il titolo scompare dai cataloghi Hupfeld dopo il 1914, quindi questa versione a 88 note deve essere piuttosto rara.
Alexey Shor è nato a Kiev nel 1970 ed è immigrato in Israele nel 1991. Vive principalmente negli Stati Uniti, è un compositore molto prolifico e noto, con all’attivo già 5 concerti per violino, balletti e canzoni, praticati da diversi musicisti nel mondo. Il suo stile si affida totalmente alla tonalità, dove la struttura quadripartita dell’organismo tradizionale si fonde con una materia narrativa di chiara matrice russa. Il sinfonismo di Shor si dipana all’insegna dell’unità poetica e della coerenza, rintracciabile negli otto brani del suo From my Bookshelf, suddivisi tra: Cinderella, Don Chisciotte, Tom Sawyer, Quasimodo, Queen or Hearts, D’Artagnan, King Matt the First, Romeo e Giulietta. Musica piacevole, brillante, non pretestuosa che ripercorre generi ritmici già ascoltati, ma animati da una inquietudine interiore, con slanci e cadute improvvise, spesso ridimensionati nell’ambito di una soave malinconia, anche per una orchestra che vuol essere in secondo piano, come a creare un paesaggio lontano.
Le sue composizioni sono state suonate in alcuni dei più prestigiosi teatri.
Nel 2018, Shor è stato premiato con la cattedra onoraria al Komitas State Conservatory di Yerevan. Le partiture di Shor sono state pubblicate da Breitkopf & Hartel e P. Jurgenson.
Shor è Compositore in Residenza della Malta Philharmonic Orchestra Academie e della Armenian State Symphony Orchestra e ha anche un Dottorato in matematica.
Travel Notebook (2016)
Suite di 7 brani per pianoforte e orchestra. Realizzata durante i suoi viaggi, l’opera continua una lunga tradizione che risale a secoli addietro, quando molti dei grandi compositori del passato hanno trovato ispirazione per le loro composizioni durante i viaggi. Ad esempio, Liszt scrive i suoi "Années de pèlerinage" dopo aver visitato Svizzera e Italia, Albeniz compone brani per pianoforte ispirandosi a diverse regioni della Spagna, e più recentemente "Des Canyons aux Etoiles" di Messiaen è stato scritto dopo una visita al Great Canyon. L'elenco potrebbe naturalmente continuare all'infinito...
Tipico della musica di Shor, “Travel Notebook” è scritto in uno stile neoclassico, con una forte enfasi sulle melodie e sull'armonia tradizionale. Tutti i pezzi, tranne il primo, sono ispirati dalla visita di luoghi particolari, anche se la musica riflette non solo gli stili musicali caratteristici di quei luoghi ma piuttosto alcune delle impressioni e ispirazioni dell'autore durante i suoi viaggi.
La suite si apre con una lirica "Wayfarer's Prayer" che non è associata a nessun luogo in particolare ma piuttosto evoca vari sentimenti legati al viaggio in generale: tristezza per un luogo che si sta lasciando, eccitazione e speranza, ansia per l'ignoto che ci aspetta...
Il secondo pezzo dal titolo "La Rambla" è ispirato a Barcellona, alla famosa strada nel centro della città catalana. Il poeta spagnolo Federico García Lorca una volta disse che la Rambla era "l'unica strada al mondo che vorrei non finisse mai". La musica riflette l'eccitazione e l'energia del luogo che sarà immediatamente riconoscibile da chiunque abbia mai visitato Barcellona.
"Addio" è stato scritto dopo una visita a Roma ed è un saluto musicale agrodolce che Shor dedica all'antica civiltà romana.
Il "Luxembourg Garden" è un giardino molto famoso e popolare a Parigi, che occupa un posto di rilievo nel romanzo di Victor Hugo I miserabili. La musica riflette lo spirito romantico di questo luogo.
Il "Rubicon" (Rubicone) è un fiume poco profondo nell'Italia nord-orientale, appena a sud di Ravenna. Nel 49 a.c. Giulio Cesare guidò un'unica legione sul Rubicone per raggiungere Roma. In tal modo, infranse deliberatamente la legge rendendo inevitabile una guerra civile. Da allora, l’espressione "attraversare il Rubicone" è sopravvissuta per riferirsi a qualsiasi individuo o gruppo che si impegna irrevocabilmente in una linea d'azione rischiosa.
"Sorrow" è stato ispirato da una visita a Venezia e riflette la profonda tristezza davanti ai panorami di una delle città più belle del mondo che lotta per sopravvivere alle sfide moderne (inquinamento, numero eccessivo di turisti, infrastrutture fatiscenti, costi elevati, ecc...).
Il pezzo conclusivo intitolato "Horseman" è stato scritto dopo una visita alla Royal Ascot Race, ma più che l’aspetto del luogo la musica descrive l'eccitazione, l'energia e trambusto di una corsa di cavalli.
Vive a Bologna, la città in cui è nata e dove ha sempre abitato. Ed è proprio Bologna lo scenario di quasi tutti i suoi romanzi e racconti.
Ha creato una investigatrice bolognese, Stella Spada, della quale ha pubblicato 10 romanzi gialli e diversi racconti (tutti con la casa editrice Damster/Edizioni del Loggione), per la quale ha ricevuto nel 2022 il premio Ispettore Sarti (alla memoria di Gianni Cavina) per la migliore protagonista letterario-seriale femminile, consegnato nell’ambito di GialloFestival.
Molti dei suoi racconti sono contenuti in antologie come ad esempio i libri delle collane “Brividi a Cena”, “Le donne che fecero l’impresa” (Edizioni del Loggione) e la più recente antologia “Noir in abito sa sera” (Damster).
L’unico suo romanzo non di genere noir è “Pensieri e parole”.
Stati Uniti, 1984 / Michael Mann e Anthony Yerkovich
James "Sonny" Crockett (Don Johnson) e Ricardo Tubbs (Philip Michael Thomas) sono due agenti della squadra narcotici di Miami, in Florida. Protagonisti di storie indubbiamente spettacolari anche se più curate nelle scenografie e nel loro look che nelle trame, spesso un po' assurde e incredibili, i due agiscono sotto copertura e lavorano, spesso in contrasto con il loro capo,
il tenente Martin Castillo (Edward James Olmos), lontano dal quartier generale.
Crockett è un playboy divorziato, vive su un battello insieme a un alligatore,
indossa abili costosi e gira in Ferrari. Tubbs, originario di New York, si è fatto mandare in Florida per cercare gli assassini di suo fratello e non è certo da meno. Nonostante sembrino più indossatori che poliziotti, non si tirano certo indietro quando si tratta di menar le mani o di inseguire a folle velocità
qualche spacciatore per le strade della città.
Grazie alla cura dei particolari, alla musica rock (che spesso prende addirittura
il posto dei dialoghi) e al ritmo (molti episodi sono girati come se fossero dei videoclip), questa serie, andata in onda per quattro stagioni a partire dal 16 settembre 1984, ha ottenuto un successo indubbiamente superiore ai suoi meriti.
Di tanto in tanto vi facevano capolino anche star del rock del calibro di Frank Zappa, Tina Turner e Little Richard.
Pabst nacque Christian Georg Paul Pabst nel 1854, in una famiglia di musicisti nella capitale della Prussia orientale , Königsberg (ora Kaliningrad). Studiò pianoforte con il padre e poi a Vienna con Anton Door e a Weimar con Franz Liszt . Il giovane Pabst ebbe un incontro fortuito con Anton Rubinstein quando si recò a Königsberg come responsabile dei programmi culturali.
Si trasferì a Riga, allora nell'impero russo, come abile pianista nel 1875. Nell'autunno del 1878 accettò l'invito di Nikolai Rubinstein a insegnare al Conservatorio Imperiale di Mosca. In Russia era conosciuto come Pavel Pabst. Fu nominato professore di pianoforte al Conservatorio nel 1881, dopo la morte di Rubinstein, e lì insegnò per il resto della sua vita. Tra i suoi allievi c'erano Sergei Lyapunov, Nikolai Medtner e Alexander Goldenweiser.
Gli studenti di Pabst portarono la grande tradizione del romanticismo russo nel XX secolo. Pabst era considerato uno dei più grandi pianisti del suo tempo, ammirato anche dal grande Franz Liszt. Lui e il giovane Sergei Rachmaninoff hanno eseguito insieme numerosi concerti. Fino al 2005 Pabst era conosciuto come compositore solo per le sue trascrizioni per pianoforte della musica per il balletto e l'opera di Čajkovskij. Ha anche suonato il concerto per pianoforte di Anton Arensky ed è stato il solista alla sua prima. Le trascrizioni per pianoforte di Pabst furono ammirate dai più importanti pianisti dell'epoca e furono considerate alla pari di quelle dello stesso Liszt.
Morì improvvisamente nel 1897 a Mosca e fu sepolto nel cimitero di Vvedenskoye. La corona funebre della Società Musicale Russa conteneva l'epitaffio: "All'artista onorato - professore instancabile - difficilmente semplicemente un uomo".
Nel 1882 scrisse la sua unica opera orchestrale, il Piano Concerto per pianoforte in mi bemolle maggiore. Le prime esecuzioni furono a San Pietroburgo e a Mosca, con Pabst come solista e sotto la direzione di Anton Rubinstein. Il Concerto per pianoforte di Pabst è un capolavoro virtuosistico in tre movimenti, della durata di 33 minuti, pieno di melodie meravigliose e una parte solista diabolicamente difficile ma lirica.
Pabst scrisse anche un Trio in la maggiore per pianoforte, violino e violoncello, dedicato ad Anton Rubinstein.
Grogghino deve risolvere un caso strano. Durante la personale dell’amico scultore Loris Roncaglia, un braccio in marmo viene sostituito da uno vero. Riuscirà a scoprire di chi è, ma soprattutto chi ha ammazzato il padrone del braccio?
Questo racconto mi è stato commissionato dallo scultore Loris Roncaglia, me lo ha chiesto una sera e in pochi giorni l'ho coniato... una storia veloce, triste e con un finale imprevedibile.
Nikolayevsk-on-Amur, Russia 11/11/1894 - New York 26/4/1965
Aaron Avshalomov è stato un compositore russo. Nacque a Nikolajevsk-na-Amure, piccola città basata sul commercio navale nell’estremo oriente, nella Siberia orientale, dove suo nonno aveva avviato un'attività redditizia dopo essere stato esiliato dal Caucaso negli anni '70 dell'Ottocento. Apparteneva a una famiglia di “ebrei della montagna”, gruppo etnico dell’odierno Daghestan (nel Caucaso orientale) trasferitasi in estremo oriente nella seconda metà del XIX secolo. Dopo un breve periodo di studi di medicina e al conservatorio a Zurigo si trasferì a San Francisco in seguito allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre, per poi trasferirsi quasi immediatamente a Pechino, dove aprì una libreria. Qui fu enormemente colpito dall’approccio cinese alla musica e si dedicò da autodidatta alla composizione. Dopo un’altra breve parentesi negli Stati Uniti negli anni ’20 si trasferì a Shanghai dove c’era all’epoca un’enorme comunità di russi, commercianti (in particolare provenienti dall’estremo oriente russo, dalla Manciuria cinese e da Harbin attratti dalla crescita della città), ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste, artisti e controrivoluzionari o “russi bianchi”.
Avshalomov lavorò come bibliotecario dal 1928 al 1943, al tempo stesso dedicandosi alla composizione; per anni cercò di unire “oriente” e “occidente”, cercando di fondere le melodie e i ritmi della Cina alla tradizione orchestrale europea, ricorrendo spesso a scale pentatoniche e strumenti a percussione dell’Asia orientale. Componendo opere come Kuan Yin (1925), Le ore del crepuscolo di Yang Guifei (1933), La grande Muraglia (1941). Nei suoi lavori si possono anche notare influenze della tradizione musicale indiana e indocinese, ma anche della musica tradizionale e della tradizione letteraria ebraica.
Durante gli anni dell’occupazione giapponese della Cina fu prima ai domiciliari, poi venne nominato direttore dell’Orchestra Sinfonica di Shanghai tra il 1943 e il 1946, per poi trasferirsi ancora negli Stati Uniti, dove morì nel 1965. Il figlio Jacob, nato a Qingdao nel 1919 e anch’egli musicista, contribuì a far conoscere i lavori del padre.
Il Concerto per flauto e orchestra (1935) è un ottimo esempio del suo particolare linguaggio; le melodie quasi cinesi saldate con l'orchestrazione e il sapore russo creano una trama coinvolgente e leggera, con momenti memorabili e frequenti cambi di colore. In tre movimenti - un Andante su larga scala, un espressivo centrale e un vivace finale - due cadenze e molta melodia e passaggi virtuosistici; è un eccellente pezzo da concerto e da concorso meno conosciuto.
La musica ci accompagna fin da prima di avere percezione del nostro esistere: probabilmente già nella pancia della mamma ci arrivano suoni e, perché no, qualche canzone (quindi, future mamme, badate bene a cosa ascoltate durante la vostra gravidanza!). Tra ascolti passivi e involontari e cavalcate sonore frutto di scelte ed esplorazioni, ci raggiunge da molteplici fonti, dalla radio al telefonino, in uno spazio che oggi sempre più si comprime in dimensioni d'ascolto figlie di questi tempi frenetici e superficiali. C'è musica di sottofondo, che, quando non risulta addirittura fastidiosa, non lascia comunque traccia nella visita ai nostri più o meno disattenti padiglioni auricolari, e c'è musica che vuole da noi essere accolta ben più in profondità dell'orecchio, nella speranza (talvolta la pretesa!) di mischiarsi al respiro, alla danza, financo al bacio di corpi innamorati. Un elemento impalpabile ma più che mai potenzialmente condizionante la nostra stessa esistenza, nel nostro umore, nei nostri pensieri, addirittura nelle prestazioni fisiche se pensiamo che la musica viene considerata doping in molti sport se la si ascolta in gara.
A tal proposito, ricordo con orgoglio quanto ci raccontò un importante funzionario dell'Anticrimine impegnato contro i mafiosi in Sicilia: prima di compiere interventi importanti, per darsi la carica lui e la sua squadra ascoltavano a tutto volume la nostra I Cento Passi (e vi assicuro che questo aneddoto Carmelo Pecora non lo conosceva, sebbene il protagonista del suo racconto faccia la stessa cosa)!
Fa riflettere (oltre che un po' disperare) il fatto che oggi la sua importanza spesso non venga riconosciuta ed essa sia quasi relegata a orpello voluttuario di un'architettura di vita ormai tristemente sbilanciata sul facile consumo, sull'apparenza, sulla superficialità di rapporti umani trattati e vissuti come prodotti di un supermercato. Ma tant'è, che molta musi ca che mi gira intorno di questi tempi mi pare proprio avvilupparsi in una spirale di banalità e triste mediocrità che sembra la fotografia sonora dei sospiri di molte anime arrese al grigio ritornello produci, consuma, crepa in salsa precaria.
Poveri loro, io mi tengo ben strette tante mie canzoni, rifugi droghe naturali e incredibili personali navicelle spazio-temporali!
Ricordo ancora quel giorno di dicembre dell'83 quando ascoltai per la prima volta Sunday Bloody Sunday degli U2, la versione in studio dell'album War: i riverberi e gli echi del violino mischiati alle mitragliate di chitarra elettrica e rullante che uscivano dalla vetrina di un negozio nella stradina che conduceva alla piazza della mia città. E ricordo anche le sensazioni che avevo mentre camminavo in quel tardo pomeriggio. Quando ascolto questa canzone riesco ancora, chiudendo gli occhi, a sentire il profumo delle frittelle dell'ambulante e il suono sordo dei miei passi sulle poche dita di neve caduta timidamente qualche ora prima in quella fredda giornata ormai così (ahimè) lontana. Questo è il potere della musica, delle canzoni che più amiamo: di richiamare emozioni e ricordi, addirittura percezioni fisiche e visive che rimangono come catturate e incise nella nostra anima, e lì dimorano per sempre, pronte a essere rievocate da quei nostri suoni.
C'è un disco bellissimo di Nick Cave, Murder Ballads, composto di brani che sono letteralmente canzoni assassine, legate a una tradizione che risale a ben prima della nascita del jazz, del rock e della musica pop moderna. Ballate popolari, folk e blues, in cui si narra di storie di crimini efferati e delle tristi sorti delle vittime, raccontate spesso in prima persona dall'assassino o dal protagonista ammazzato. Questo disco, nonostante gli argomenti alquanto truculenti e paurosi, ha avuto un successo enorme, e risulta ancora oggi il migliore album dell'artista australiano come risultato commerciale: la musica può quindi risultare la colonna sonora perfetta per le più disparate narrazioni. E più che mai per quelle noir...
Ma quanto tempo abbiamo per ascoltare con attenzione una canzone? E quanta voglia? Temo che per pochi oggi valga ancora la vecchia regola del sedersi comodamente e predisporsi a un ascolto attento di un intero disco, che impone di passare un mezzo pomeriggio o una intera serata con la musica da- vanti a uno stereo... Magari leggendo un buon libro, attività che spesso si può abbinare, occupando sostanzialmente parti diverse del cervello che, anziché andare in conflitto, possono felicemente procedere assieme in una sinergia d'emozioni. Ecco, le storie narrate in questa antologia meriterebbero davvero di essere vissute (più che semplicemente lette) assieme alle canzoni che ne caratterizzano la trama, non tanto quale sottofondo, ma come vera e propria colonna sonora del racconto. Penso proprio che gli autori stessi abbiano idealmente guardato alle canzoni, alla musica che citano, con questo ruolo, quasi a voler far risuonare le pagine nella loro narrazione. E questo è il mio augurio, che queste pagine noir possano colorarvi più che mai la lettura anche grazie alla loro colonna sonora, che, sebbene questo sia un libro, sono sicuro che un po' di ritmo e qualche frase melodica sapranno richiamare nel vostro animo di lettori.
"Pecora nera" di una famosa famiglia di cavallerizzi, assi del circo da cinque generazioni, il giovane Merlini sceglie di fare il prestigiatore e, dopo essere diventato famoso come il Grande Merlini, si ritira a vita privata aprendo un negozietto a New York: "La bottega magica", così si chiama. Si trova a Time
Square e, secondo Ross Harte, il giornalista che narra in prima persona le avventure del mago, «può fornire fantasmi e spettri, se si vuole, e miracoli di vario genere mediante una cerimonia cabalistica quanto mai semplice che consiste nel pagare il prezzo segnato sul catalogo per ogni fornitura».
Il mago Merlini esordisce come investigatore dilettante in Death from a top hat (1938), interessante storia di alcuni delitti che colpiscono maghi e illusionisti. Dopo una serie di colpi di scena, il nostro eroe naturalmente svela il mistero lasciando con un palmo di naso l'ispettore Homer Gavigan, della squadra omicidi.
Nel 1939 Tod Browning ha girato Miracles for Sale, un film basato sul primo romanzo di Rawson.
Nel 1942 Herbert I. Leeds ha diretto The man who wouldn't die, una vistosa
manipolazione di un altro romanzo di Clayton Rawson, The footprints on the ceiling (1940). Basti pensare che in questo film il personaggio del mago Merlini è stato sostituito da Mike Shayne, l'investigatore privato creato nel 1939 da Brett Halliday e già portato sullo schermo!
La seconda avventura del mago Merlini, Muori, muori (The headless lady, 1940), è stata pubblicata da Longanesi. Le altre dovrebbero essere inedite in Italia.
Compiuti gli studi di violino a Varsavia e Parigi, iniziò assai presto a farsi applaudire come concertista di altissima classe in tutta Europa e dal 1860 al '72 fu violinista di corte a Pietroburgo. Fu anche insegnante al Conservatorio di Bruxelles, ma non abbandonò mai la carriera concertistica, che lo impose al mondo come uno dei maggiori virtuosi del secolo.
Noto soprattutto come esecutore, anche la sua produzione musicale va considerata essenzialmente dal punto di vista della evoluzione e delle innovazioni della tecnica violinistica. Egli innestò la grande scuola di Paganini sulla sensibilità musicale slava, arricchendo il violino di effetti impensati, ampliandone la tavolozza timbrica e le possibilità tecniche. Il suo modo di trattare lo strumento è tipicamente slavo, non immune da influssi zigani, ed egli può a buon diritto essere considerato l'iniziatore e insieme il massimo rappresentante della scuola violinistica polacca. Oltre ai due concerti per violino e orchestra, compose una gran quantità di pezzi per il suo strumento,
con o senza accompagnamento di pianoforte e di orchestra:
Concerto n. 2 in re minore per violino e orchestra op. 22 (1870)
Opera più matura ed equilibrata della precedente, questo Concerto non presenta difficoltà tecniche superiori a quella ma è infinitamente più interessante dal punto di vista musicale. Vi sono melodie vibrate e toccanti, la costruzione è chiara e ben delineata, l'istanza tecnica non prevale su quella
espressiva e insomma si può a ragione affermare che questo lavoro merita pienamente il favore che ancora oggi gli dimostrano esecutori e pubblico.
Composto nei tre tempi tradizionali, il Concerto è cosi suddiviso: "Allegro moderato" collegato senza interruzione, mediante una breve frase del clarinetto solo, alla seguente "Romanza" ('Andante non troppo'), e finale "Allegro moderato (à la zingara)," in cui bene si palesano le influenze sullo stile di Wieniawski del violinismo zigano.