giovedì 31 luglio 2025

URANIA n.47 - James Blish: Mondi invisibili



Tutti siamo più o meno a conoscenza che il nostro essere è formato da due entità: una guidata dai ragionamenti, dall'educazione dalla religione, dalle abitudini che ci fanno agire in un dato modo. Ci sono poi in noi delle forze ancora sconosciute, gli effetti delle quali possono dare dei risultati sconcertanti. Uomini dotati di queste forze e che si sono dedicati al potenziamento di esse, formano una Società, la Società per le Ricerche Psichiche, in apparenza a scopo scientifico, in realtà per dominare il mondo in tutti i campi, con qualunque mezzo, fino all'omicidio. Un uomo dall'animo semplice, Danny Caiden, portentosamente dotato di forze psichiche, si trova a lottare contro questa accolta di persone senza scrupoli che, dopo aver cercato inutilmente di farne un neofita, ne decreta la morte. L'amicizia di due uomini, uno psichico e uno scienziato, fornirà a Danny i mezzi per debellare la Società per le Ricerche Psichiche colpendola nel suo uomo più forte. L'aiuta a far ciò Sean Hannessy che va verso la morte sapendo di morire e la sua fine illumina di una luce calda e umana la strana vicenda dominata dai freddi calcoli della scienza. Riuscirà Danny a superare le irrealtà reali della sequenza sigma? Accetterà Marla di condividere il nuovo mondo che Danny le ha fatto intravedere? Certamente il lettore resterà affascinato da questo mondo che Urania gli presenta. Ognuno di noi può avere in sé illimitate possibilità psichiche, senza rendersene conto. Ancora una volta la fantascienza ha precorso la scienza?

 

mercoledì 30 luglio 2025

William Levi Dawson

 

(Anninston, September 26, 1899 – Montgomery, May 2, 1990)

William Levi Dawson era un compositore, direttore di coro e professore afroamericano specializzato in musica popolare religiosa nera. Nacque il 26 settembre 1899 ad Anniston, in Alabama, da Eliza Starkey e George Dawson, il primo dei loro sette figli. Suo padre, ex schiavo, era un bracciante analfabeta. Nel 1912, Dawson scappò di casa per studiare musica a tempo pieno presso il Tuskegee Institute (oggi Università) sotto la guida del presidente Booker T. Washington. Dawson si pagava la retta lavorando come bibliotecario musicale e come operaio nella Divisione Agraria dell'istituto. Partecipò anche come membro della banda e dell'orchestra di Tuskegee, componendo e viaggiando molto con i Tuskegee Singers per cinque anni; aveva già imparato a suonare la maggior parte degli strumenti quando si diplomò alla divisione delle scuole superiori nel 1921.

I successivi quattro anni (1921-25) di Dawson furono dedicati al conseguimento della laurea triennale. Si iscrisse a composizione e orchestrazione al Washburn College di Topeka e a teoria e contrappunto all'Horner Institute of Fine Arts di Kansas City, dove nel 1925 si laureò in teoria musicale e composizione. Mentre era ancora studente universitario, dimostrò il suo genio nella composizione di musica da camera e, allo stesso tempo, si mantenne come direttore musicale al Kansas Vocational College di Topeka, Kansas, e alla Lincoln High School di Kansas City, Missouri.

Nel 1926, Dawson si trasferì a Chicago, Illinois, per studiare composizione all'American Conservatory of Music, dove conseguì il master nel 1927. Dawson divenne famoso a livello nazionale anche tra il 1926 e il 1930 come trombonista con la Redpath Chautauqua e la Chicago Civic Symphony Orchestra; e nel 1929-1930 come direttore di banda locale, vincendo prestigiosi concorsi per direttori di banda indetti dal Chicago Daily News (1929) e il Wanamaker Competition per i brani "Jump Back, Honey, Jump Back" e "Scherzo" (1930).

Nel 1928, la tragedia colpì Dawson: la moglie Cornella Lampton morì entro il primo anno di matrimonio. Per i successivi sette anni Dawson trovò rifugio nel lavoro fino al matrimonio con Cecile Demae Nicholson nel 1935 ad Atlanta, in Georgia.

Nel settembre del 1930, Dawson accettò l'invito del Tuskegee Institute a dirigerne la School of Music, incarico che mantenne fino al suo pensionamento nel 1955. Come direttore, Dawson modernizzò il dipartimento e assunse docenti di talento. Di conseguenza, il coro di 100 voci del Tuskegee divenne un ensemble di fama mondiale, noto soprattutto per le sue esibizioni di grande impatto all'inaugurazione del Radio City Music Hall di New York nel 1932. Quell'anno, il coro si esibì alla Casa Bianca per il presidente Herbert Hoover e a Hyde Park, New York, per il futuro presidente Franklin D. Roosevelt. Nel 1946, il coro infranse la barriera razziale alla Constitution Hall di Washington DC, diventando il primo coro afroamericano a esibirsi lì. (Nel 1939, la sala gestita dalle Figlie della Rivoluzione Americana aveva negato alla cantante Marian Anderson l'opportunità di cantare davanti a un pubblico eterogeneo.)

Le composizioni di Dawson includevano musica da camera, sebbene noto per aver infuso musica popolare dell'Africa occidentale nelle sue composizioni, le sue migliori opere orchestrali e corali si basavano su spiritual come la sua Negro Folk Symphony (1934), eseguita dalla Philadelphia Orchestra in prima mondiale. 

William Levi Dawson morì il 2 maggio 1990 ed è sepolto alla Tuskegee University, dove la sua eredità continua attraverso il Golden Voices Choir.

La Negro Folk Symphony, la sua prima sinfonia, viene presentata il 20 novembre 1934 alla Carnegie Hall di New York dall’Orchestra Sinfonica di Filadelfia diretta da Leopold Stokowski. Registra un immediato, strepitoso successo ma, inspiegabilmente, sparisce dalla circolazione; la Negro Folk Symphony rimane l’unica sinfonia composta da Dawson, dopo questa non ne scriverà altre.
Questa sinfonia articolata in tre movimenti nasce con l’idea di coniugare la musica degli spirituals negri nella forma usata dai compositori della scuola romantico-nazionalista europea; Dawson affermava di non voler imitare Beethoven o Brahms, inoltre, nelle note del programma per la Carnegie Hall, specificava di avere utilizzato temi molto popolari conosciuti come Negro Spirituals, melodie che aveva appreso da sua madre sin dall’infanzia.

I movimento: The Bond of Africa (Il legame dell’Africa)
La sinfonia inizia con un accenno di blues, un motivo presentato dal corno e subito ripreso da fiati e tromboni; gli archi entrano con una sequenza che si snoda simile a una colonna sonora cinematografica. Il primo movimento è costituito sostanzialmente da due temi principali. Il primo motivo è originale di Dawson e vuole rappresentare la congiunzione del primo africano fatto schiavo con la sua terra natia; la contromelodia, introdotta dagli oboi, è basata sul negro spiritual Oh M’Lit’l Soul Gwine-A-Shine. Sono presenti allusioni a temi classici come l’Ouverture della Carmen di Bizet e della Sposa Venduta di Smetana.

II movimento: Hope in the Night (Speranza nella notte)
Il movimento centrale è particolarmente suggestivo. Richiama, come indicato dal compositore, “l’atmosfera della vita monotona di un popolo i cui corpi sono stati cotti dal sole e sferzati con la frusta per duecentocinquanta anni; le cui vite sono state proscritte prima della loro nascita”. Questa parte della sinfonia non utilizza melodie derivate da spirituals, propone invece un tema lamentoso del corno inglese sostenuto dal pizzicato degli archi; l’atmosfera dolorosa poi si attenua. I tre colpi di gong fanno riferimento alla Trinità, simbolo di speranza; alcuni passaggi evocano il linguaggio blues di “Summertime” di Gershwin.

III movimento: O Le’ Me Shine, Shine Like a Morning Star! (Oh, risplendimi, risplendi come una stella del mattino!)
Finale abbagliante e frenetico che raffigura una prospettiva più aperta; Dawson immagina uno scenario in cui i bambini giocano, liberati dalla disperazione derivante dalla loro eredità di schiavi. Due sono le melodie afroamericane incorporate, la prima è indicata nel titolo, è Hallelujah, Lord, I Been Down Into the Sea.


martedì 29 luglio 2025

Michail Zostcenko - 10 rubli e 65 copechi, 1949





 

MONDADORI n.47 - Edgar Wallace: L'abate nero



Lord Harry Alford è il conte di Chelford, un piccolo paese a sud di Manchester. Da anni lord Alford persegue ossessivamente la ricerca del tesoro che un suo avo all'epoca dei Tudor avrebbe nascosto: mille verghe d'oro e la mitica ampolla contenente l'Acqua della vita donata da un sacerdote azteco a Cortés. Gli antichi documenti che studia Harry sembrano confermare la teoria per cui il tesoro dovrebbe trovarsi nella tenuta di Fossaway Manor. Richard Fallington Alford è il fratellastro di Harry. È lui, Dick, il reale amministratore della vasta tenuta agricola dei Chelford. I due fratelli non condividono solo lo stesso tetto, ma anche lo stesso amore. Infatti Richard è innamorato di Leslie Gine, la fidanzata di Harry. Richard nega a sé stesso l'evidenza a causa della lealtà che lo lega al fratello: infatti Harry sta per fissare la data delle nozze con Leslie. Arthur Gine, fratello e tutore di Leslie, è un noto avvocato, titolare di un grosso studio della City londinese. Alle spalle dei Chelford si agitano oscure trame. La quiete è turbata dapprima dalla comparsa di miss Mary Wenner, la segretaria personale di Harry, allontanata rudemente da Richard qualche tempo prima perché sospettata di mirare ad un matrimonio di interesse. Miss Wenner non si arrende di fronte al fatto di aver perso l'occasione della sua vita ed è convinta di poter arrivare al tesoro dei conti di Chelford. Anche Arthur Gine persegue i suoi interessi a discapito di Harry: ormai è sull'orlo della bancarotta a causa dei debiti di gioco che hanno prosciugato il patrimonio in dote alla sorella. Arthur vuole sfruttare il matrimonio imminente a proprio vantaggio facendo firmare a Lord Alford alcune cambiali. Fabran Gilder, il capoufficio di Gine, ha un segreto: dietro gli allibratori con cui Arthur ha dilapidato migliaia di sterline si celano alcune società create allo scopo da Fabrian. Ma il suo vero obiettivo ora è quello di poter sposare Leslie e trama a tal fine utilizzando come informatore Thomas, un domestico degli Alford. Ma l'ombra più oscura e terribile che aleggia sulla casata di Harry e Dick è la maledizione dell'abate di Chelfordbury che nel medioevo venne fatto assassinare su ordine del secondo conte di Chelford. L'Abate Nero è ricomparso di notte tra le rovine dell'antica abbazia e terrorizza gli abitanti del luogo.


 

lunedì 28 luglio 2025

David Morrell: È autunno e abitiamo in una casa di campagna...



È autunno e abitiamo in una casa di campagna, la casa di mia madre, la casa in cui sono cresciuto. Sono stato al villaggio e mi ha colpito il modo in cui niente sia cambiato, eppure è cambiato tutto, perché ora sono più vecchio e vedo le cose diversamente. È come se fossi qui, contemporaneamente, ora e allora, a un tempo con la mente di un ragazzo e con quella di un uomo. È uno sdoppiamento così strano, così intenso, così sconcertante, che mi sento indotto di nuovo a lavorare, a cercare di dipingere.
Così, studio il negozio di articoli casalinghi, i barili di granaglie, i pilastri gemelli che reggono il terrazzo dell’albergo soprastante, sul quale uomini e donne dal volto di cera vengono a sedersi, a dondolarsi e ad osservare. Sembrano quelle stesse persone d’età che vedevo da ragazzo, il legno dei pilastri e la terrazza sembrano altrettanto scheggiati.
Dimentico del tempo che passa, mentre lavoro, mi rimetto in cammino verso casa solo al tramonto. La giornata è stata calda ma ora, in camiciola, ho freddo, e dopo circa un chilometro vengo colto da un acquazzone improvviso e costretto a lasciare la strada sassosa per rifugiarmi sotto un albero, dalle foglie già scure e ingiallite. La pioggia diventa torrenziale, m’investe diagonalmente, inzuppandomi; stringo il collo della mia sacca di tela per proteggere il quadretto e i colori, e decido di mettermi a correre; ho i calzini spugnosi dentro le scarpe, quando finalmente imbocco il sentiero che porta alla casa e al granaio.
La casa e il granaio. Quelli e mia madre, loro soltanto sono cambiati, come se fossero una cosa sola; deformati, soggetti all’usura delle intemperie, scricchiolanti e contorti nelle giunture, sono di un grigio così diverso dal bianco di cui mi sovvengo come ragazzo. Questo posto sta indebolendo mia madre, che sembra in

domenica 27 luglio 2025

José Russotti: Chiantu d’un figghiu ‘n pena (A Mariacatina)


Fu na fridda matina i frivaru
quannu i to’ occhi si stutànu pi sempri,
c’a motti stampata subbra u mussu
e i cosi lassati a mità. 
Ma nd’o tempu chi scussa u duluri, 
spaja ancora u ma’ sgumentu!

Tuttu rristau femmu commu tannu,
c’a nivi subbra i purricara 
e u chiantu amaru, 
chi sapi di pergurari ‘i lacrimi.

Oh matri di sempri e di ora! 
Matri senza crisantemi e caluri! 
Quannu a sira 
mettu a facci attegghiu ô to’ cori, 
sentu ancora u focu d’a to’ peddi!

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Pianto di un figlio in pena
Fu un freddo mattino di febbraio / quando i tuoi occhi si spensero per sempre, / con la morte incisa sulle labbra / e le cose lasciate a metà. / Ma nel tempo che abbrevia il dolore, / dilaga ancora il mio sgomento! // Tutto è rimasto come allora, / con la neve sulle pulicarie / e il pianto amaro, / che sa di pergolati di lacrime. // Oh madre di sempre e di ora! // Madre senza crisantemi e calore! // Quando la sera / metto il mio volto accanto al tuo cuore, / sento ancora il fuoco della tua pelle!

 

sabato 26 luglio 2025

Il paese dell'alfabeto



"Il Paese dell'Alfabeto" è il titolo di una serie a fumetti creata da Luciano Bottaro, pensata per introdurre i bambini al mondo dell'alfabeto in modo divertente.

Nato sul Corriere dei Piccoli n. 14 del 7 aprile 1974, si tratta di un paese in cui ogni abitante è identificato anche graficamente da una lettera dell'alfabeto come il professor P, il cavalier O, il semplice A, i gemelli B, i fratelli T, il ragionier R e così via. Quando i personaggi si dispongono in modo da formare una parola, ottengono effetti correlati alla parola stessa: per esempio, se i gemelli B, il cavalier O, il signor M e il pacifico A si dispongono in modo da formare la parola "bomba", si verifica un'esplosione, oppure se le sorelle L il marinaio F e i due buontemponi A salgono su un'imbarcazione, la fanno affondare inavvertitamente quando si dispongono a formare la parola "falla". Il primo episodio vede la partecipazione di Punto, un bambino facente parte del gruppo dei segni di punteggiatura, che funge da commentatore e interfaccia con i giovani lettori, ma che appare molto di rado.




 

venerdì 25 luglio 2025

Isaac Asimov: Halloween



Quando Haley arrivò sul posto, il giorno di Ognissanti, nelle buie ore del primo mattino, la faccenda era tutt’altro che finita. Il plutonio era sparito e il ladro giaceva raggomitolato come un mucchietto di stracci in fondo alle scale del venticinquesimo piano dell’albergo. Il medico legale stava chino su di lui, ma era chiaro che non avrebbe più parlato. Secondo il rapporto ricevuto da Haley, aveva detto soltanto una parola: «Halloween», ed era morto.
Haley mantenne inespressivo il suo volto indurito di quarantenne. Per qualche attimo studiò Sanderson, il capo del servizio di sicurezza della centrale nucleare. Lo conosceva già, ma non aveva alcuna opinione su di lui, né buona né cattiva. In quel momento, con gli sbiaditi occhi azzurri luccicanti nella penombra, sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
Haley lo chiamò in disparte e domandò: — Chi era il ladro? Il rapporto non è chiaro in proposito.
— Lavorava alla centrale.
— Questo lo so. Era un fisico nucleare? Un agente della sicurezza?
— No. Soltanto un impiegato. Non aveva niente a che fare con la ricerca.
— Peggio ancora. Come poteva un semplice impiegato avere accesso al plutonio?
Sanderson prese un’aria tormentata. — Questo è stato un errore da parte nostra. Davamo tanto per scontata la sua presenza che non lo vedevamo più. Errore umano, — concluse, scuotendo la testa.
— Il movente? — domandò Haley.
— Ideologia, — rispose Sanderson. — Si è fatto assumere alla centrale soltanto per realizzare questa bell’impresa. Lo sappiamo perché ha lasciato un biglietto, non ha potuto resistere, doveva vantarsi di averci fatto fessi. Era fra quelli che pensano che le centrali atomiche siano un pericolo mortale; che porteranno al furto su larga scala di plutonio, alle bombe fatte in casa, al terrorismo e al ricatto nucleari.
— Insomma, voleva dimostrare che tutto ciò è possibile?
— Proprio così. Intendeva dare pubblicità alla cosa e sollevare l’opinione pubblica.
— È molto pericoloso il plutonio che ha rubato?
— Per niente. È una piccola quantità. Si potrebbe tenere il contenitore in una mano. Non era nemmeno destinato al nucleo di fissione, serviva ad altri scopi, e certo non basta per fabbricare una bomba, gliel’assicuro.
— Ma che pericolo rappresenterebbe per un individuo che lo tenesse su di sé, o in casa?
— Nessuno, se lo lascia nel contenitore. Altrimenti, chiunque venisse a contatto con esso subirebbe gravi danni fisici, magari a lunga scadenza.
— Comincio a capire perché la gente potrebbe allarmarsi, — disse Haley.
Sanderson aggrottò la fronte. Ma questo non prova niente. È stato un errore che non si ripeterà e, in ogni caso, il sistema d’allarme ha funzionato. Gli siamo stati subito alle calcagna. Se non fosse riuscito a entrare in questo albergo e noi non avessimo temuto dì spaventare i clienti...
— Perché non avete informato subito l’FBI?
— Se fossimo riusciti a prenderlo da soli... — borbottò Sanderson. — L’intera faccenda sarebbe rimasta nascosta, anche al Bureau. Errori e tutto.
— Be’...
— Ma alla fine ci avete informati. Dopo la morte del ladro. Ne desumo che non avete il plutonio?
Gli occhi di Sanderson sfuggirono lo sguardo fermo di Haley. — No, non lo abbiamo. — Poi, sulla difensiva: — Non potevamo agire troppo apertamente. Ci sono centinaia di persone qui, se si diffondeva la voce che c’erano guai e questi venivano messi in relazione alla centrale...
— Allora, anche se aveste preso il ladro e recuperato il plutonio, lui avrebbe vinto e voi perduto. Sì, lo capisco. Quanto tempo è rimasto nell’albergo? — Haley guardò il suo orologio. — Ora sono le tre e trentacinque.
— Tutto il giorno. Solo quando è stato abbastanza tardi per poter agire più apertamente siamo riusciti ad intrappolarlo sulle scale. Abbiamo tentato di catturarlo e lui ha cercato di scappare. È scivolato... ha battuto la testa contro la ringhiera, dopo esser volato giù per una rampa, e si è fratturato il cranio.
— E non aveva il plutonio su di sé. Come sapete che non se n’è liberato prima di entrare nell’albergo?
— Uno dei miei uomini l’ha quasi preso, a un certo punto, e ha visto il contenitore.
— Così, durante le ore in cui è riuscito a sfuggirvi, può aver nascosto quella roba, una scatoletta, in un punto qualunque d’un albergo di ventinove piani, con novanta camere per piano... più i corridoi, gli uffici, i locali di servizio, il seminterrato, il tetto... e noi dobbiamo ritrovarla, vero? Non possiamo permettere che il plutonio

giovedì 24 luglio 2025

URANIA n.46 - Erik Van Lhin: Sfere di fuoco



La scienza ci autorizza a credere che ci siano possibilità di vita su Mercurio? E' quanto l'Autore stesso si domanda nell'interessantissima premessa intitolata: Vita sotto una cupola. La vicenda vera e propria si svolge nel'ambiente d'incubo del piccolo, misterioso pianeta. Uomini venuti dalla Terra sono riusciti a costruire su Mercurio villaggi protetti da enormi cupole ermetiche, in cui vivono ingegneri e minatori con le loro famiglie. Uno di questi villaggi resta isolato dagli altri, proprio mentre sta per scoppiare uno dei terribili uragani magnetici che, provocati dalle "macchie" del vicino Sole, infieriscono periodicamente sul pianeta. Il razzo inviato per portare in salvo in altro villaggio più sicuro gli uomini e le loro famiglie, precipita durante il viaggio. Non rimangono che quindici giorni di tempo. Un vecchio esploratore e un ragazzo partono su un vecchio trattore, con un automa di tipo antiquato, per raggiungere un luogo dove possano chiedere soccorso per radio. Ma chi li guida in quel villaggio pazzesco, in quel mondo desolato e rovente? Johnny. Johnny è un essere straordinario; una sfera incandescente di energia pura, una forma di vita intelligente di Mercurio, pianeta che, perennemente immerso nel campo magnetico solare, conosce aspetti elettromagnetici e un'evoluzione così complessa dei loro fenomeni, inconcepibile per noi terrestri. E Johnny vuol bene a Dick, il ragazzo. Il romanzo è la storia di questo epico viaggio attraverso Mercurio. E insegna una verità essenziale: che ogni forma di vita ha legami universali e comuni, che danno forza alle azioni attraverso la grande comunicazione della reciproca comprensione.
 

mercoledì 23 luglio 2025

Florence Beatrice Price

 


(Little Rock, 9 aprile 1887 – Chicago, 3 giugno 1953) 

Nata a Little Rock, Arkansas, si formò al Conservatorio di musica del New England e fu attiva a Chicago dal 1927 fino alla morte avvenuta nel 1953. È famosa per essere stata la prima donna afroamericana riconosciuta come compositrice sinfonica e la prima ad avere una propria composizione suonata da un'importante orchestra.
Ha composto oltre 300 lavori: quattro sinfonie, quattro concerti, lavori corali, canzoni d'autore, musica da camera e musica per strumenti solisti. 
Nel 2009, un'ampia collezione di sue opere e documenti è stata rinvenuta nella sua residenza estiva abbandonata.

Suo padre, James H. Smith, era l'unico dentista afroamericano della città e sua madre, Florence Gulliver, era un'insegnante di musica che si occupò dell'educazione musicale di base della figlia.
Florence frequentò la scuola presso un convento cattolico e nel 1901, all'età di 14 anni, si diplomò come migliore studentessa della sua classe. Nel 1902 si iscrisse al Conservatorio di musica del New England a Boston, Massachusetts, con un programma di doppia laurea: organo e didattica del pianoforte. In un primo momento si fece passare per messicana per evitare la discriminazione contro gli afroamericani, dichiarando di essere nata a Pueblo, in Messico.

Tra gli insegnanti che Price ebbe al Conservatorio, vi fu il compositore George Chadwick. Si laureò nel 1906 con il massimo dei voti, conseguendo la laurea in organo e l'abilitazione all'insegnamento.
 
Nel 1910 tornò in Arkansas dove si dedicò per un breve tempo a insegnare, quindi si trasferì ad Atlanta, in Georgia, dove diventò direttrice del dipartimento di musica di quella che oggi è la Clark Atlanta University, un'università storicamente afroamericana. Nel 1912 sposò l'avvocato Thomas J. Price. Rinunciò al suo posto di insegnante e tornò a Little Rock, nell'Arkansas, dove il marito aveva lo studio, e insieme ebbero tre figli. Price ebbe difficoltà a trovare un impiego in una città dove la segregazione razziale era molto accentuata.

Dopo aver subito una serie di discriminazioni a Little Rock, la famiglia Price decise di trasferirsi. Come molte famiglie afroamericane che vivevano nel profondo sud, si spostarono verso il nord in quella che fu detta la Grande Migrazione, stabilendosi a Chicago.

Qui Florence iniziò un nuovo e appagante periodo: fece parte della Chicago Black Renaissance, studiò composizione, orchestrazione e organo con i principali insegnanti della città. Durante il suo soggiorno si iscrisse in vari periodi al Chicago Musical College, al Chicago Teacher's College, all'Università di Chicago e all'American Conservatory of Music, studiando lingue e materie umanistiche oltre alla musica.

In questa città Florence si dedicò all'approfondimento della composizione, dell'orchestrazione e dell'organo. Nel 1928 pubblicò quattro brani per pianoforte.

Nel 1931 le difficoltà finanziarie e le violenze subite da parte del marito indussero Florence Price a divorziare. Rimasta sola con i figli da crescere, lavorò come organista per le proiezioni dei film muti e, sotto pseudonimo, scrisse canzoni per spot radiofonici. In quegli anni visse da amici finché non si stabilì presso la sua studentessa e amica Margaret Bonds, anche lei pianista e compositrice afroamericana. Questa amicizia mise in contatto Price con lo scrittore Langston Hughes e con il contralto Marian Anderson, ambedue figure di spicco nell'ambiente culturale dell'epoca, che contribuirono al futuro successo di Price come compositrice. 

All'inizio del 1933, Maude Roberts George, presidente della Chicago Music Association, critica musicale per il Chicago Defender e futura presidente della National Association of Negro Musicians, acquistò la prima sinfonia di Florence Price per inserirla in un concerto dedicato alla musica afroamericana, eseguito dalla Chicago Symphony Orchestra sotto la direzione di Frederick Stock, nell'ambito dell'Expo 1933. Sebbene questo concerto, come la fiera in generale, fossero intrisi di un clima di discriminazione verso gli afroamericani che in quegli anni caratterizzava tutti gli Stati Uniti, l'iniziativa di Maude George rese Florence Price la prima donna afroamericana ad avere la propria musica eseguita da un'orchestra statunitense di prim'ordine. 
Morì d'infarto il 3 giugno 1953, a Chicago.

Quantunque europea di formazione, la musica di Price è compiutamente americana e getta le sue radici nel sud degli Stati Uniti.
In quanto cristiana praticante, utilizzava spesso la musica della chiesa afroamericana come materiale di partenza, anche incorporando elementi spiritual nelle sue composizioni, enfatizzandone la ritmica sincopata.

La sinfonia n.1 fu composta tra il gennaio 1931 e l'inizio del 1932, mentre Price si riprendeva da una frattura al piede, con la quale vinse il primo premio di 500 dollari per un'opera sinfonica. Il premio portò a Price il riconoscimento nazionale e catturò l'attenzione del direttore Frederick Stock della Chicago Symphony Orchestra . 
In questa sinfonia, Price fa appello a molteplici fonti di ispirazione sia dalla tradizione classica occidentale che dagli idiomi musicali neri. La più ovvia è la sua sostituzione del convenzionale scherzo del terzo movimento con una danza Juba, ma allo stesso modo l'influenza degli spiritual afroamericani può essere ascoltata in molti dei temi pentatonici utilizzati in tutta l'opera. 

I. Allegro ma non troppo
Il primo movimento è scritto in forma sonata , con deviazioni nella ricapitolazione . I temi principali dell'esposizione sono prevalentemente basati sulle scale pentatoniche di Mi minore e Sol maggiore . Dopo la sezione di sviluppo , viene declinata una ricapitolazione tradizionale del materiale di apertura e invece i temi vengono frammentati e combinati per portare il movimento a una conclusione sorprendente.

II. Largo, maestoso
Il secondo movimento si apre con un tema simile a un inno suonato da un coro di ottoni. Il tema è composto nella forma strofa-ritornello e presenta interiezioni di flauti e clarinetti. Una sezione contrastante in Do♯ minore segnata Poco più mosso funge da intermezzo tra le affermazioni del tema dell'inno. Dopo una lunga sezione di sviluppo, il tema dell'inno ritorna di nuovo, questa volta decorato con un clarinetto obbligato e campane da cattedrale. Il movimento si conclude dolcemente con un accordo di Mi maggiore suonato dagli archi.

III. Danza Juba: Allegro
In questo movimento Price evoca l' accompagnamento musicale della danza afroamericana Juba, una derivazione americana della danza africana Djouba e delle danze caraibiche Majumba. Questo tipo di musica da ballo presenta l'uso di vivaci percussioni corporee e melodie allegre suonate sul violino . Lo spirito di questa danza è catturato nelle battute iniziali con la melodia pentatonica sincopata nei violini, l' accompagnamento pizzicato ' oom-pah ' negli archi più bassi e l'inclusione dei tamburi africani, che sostituiscono le percussioni corporee. Questo movimento è in forma di Rondò .

IV. Finale: Presto
Il tempestoso tema principale del movimento finale è in mi minore e coinvolge l'intera orchestra. Il movimento è scritto in una forma di rondò libera, con ripetizioni del tema principale interrotte da passaggi più calmi con orchestrazione e consistenza ridotte . Il movimento si sviluppa in una frenetica coda prestissimo che porta l'opera a una conclusione drammatica.


martedì 22 luglio 2025

H. Arany - L'invenzione di Zozò Goubet, 1932







 

MONDADORI n.46 - R. A. J. Walling: Sei a tavola



Il pranzo offerto dal finanziere Bardolph a cinque suoi conoscenti fu preceduto da pessimi auspici. E infatti esso finì assai malamente, con la morte di uno dei commensali, e con la scomparsa degli altri cinque. Al come di quella morte, e al perché di quella scomparsa vi conduce una lettura attraentissima, cui rimprovererete soltanto d’esser finita troppo presto.

 

lunedì 21 luglio 2025

Joan Richter: Gelide pietre



Quando i poliziotti se ne andarono – i due che erano venuti in macchina da Nairobi e i due africani che erano venuti a piedi dal posto di polizia sull’altra sponda del fiume – Matua chiuse la casa padronale e tornò nella sua casupola dietro i filari di alberi. Aggiunse qualche pezzo di carbone alle braci del fornello che aveva lasciato ardere basso durante la sua assenza, sventolò un poco per fare alzare la fiamma e rimise a cuocere la pentola di carne e fagioli. Poi, sedette sugli scalini di pietra, per pensare.
In alto, il cielo era di un azzurro terso, con qualche candido fiocco di nuvole. Se alzava lo sguardo, poteva a scorgere le cime degli arbusti che crescevano giù al fiume; i fiori scarlatti e le larghe foglie verdi nascondevano le tegole arancioni del posto di polizia locale.
Bianchi o neri, i poliziotti erano tutti uguali, indotti dall’autorità che dava loro l’uniforme a credersi più importanti di quanto non fossero in realtà. Il suo amico Tano non faceva eccezione. Da quando Tano era entrato nella polizia, non c’era più amabilità in lui, non c’era più traccia dell’allegria e della bonarietà di un tempo. Soltanto quando i pesanti stivaloni erano sfilati e messi da parte, e quando una ciotola colma di pombe appena fatto cominciava a gorgogliargli nello stomaco e a scaldargli la vene, ecco che Tano si addolciva in volto, le labbra si aprivano, il riso gli risonava in gola. Ma, ugualmente, non più come un tempo.
Quel giorno, Tano non era venuto come amico. Come gli altri tre, era venuto in veste di poliziotto, calzando tanto di stivaloni. Un calcio di quegli stivali, e un uomo sarebbe finito a terra, in ginocchio. Matua l’aveva visto ripetersi molte volte, un fatto del genere. E, ogni volta, aveva sentito uno strano rimescolio allo stomaco.
La prima volta era stato al villaggio, tanti anni prima, quando lui e Tano erano ragazzi. La polizia era tutta composta di bianchi, allora, che arrivavano con divisa e stivali, facendo roteare le mazze. Quella volta, cercavano un uomo. Matua non ricordava più di quale crimine l’uomo fosse accusato, ma ricordava come lui e Tano avessero assistito, dall’ombra di una delle capanne, al momento in cui l’uomo era stato trovato, percosso, preso a calci e, finalmente, trascinato via.
Matua allontanò da sé quel ricordo e si appoggiò contro la pietra dei gradini, sospirando. Le cose erano cambiate, ma non nel modo che lui aveva sognato. L’indipendenza era venuta e ora gli africani indossavano le uniformi di polizia fianco a fianco Con gli europei. Tano era uno di loro. Matua soffriva ancora di più nel vedere un africano prendere a calci un altro africano.
Tuttavia, quel giorno in Tano aveva notato una timidezza che l’aveva sorpreso. Lo stesso si poteva dire dell’altro che era venuto dal posto di polizia al di là del fiume, ma la mente veloce di Matua non tardò a trovare una spiegazione. I due negri si sentivano a disagio in presenza del grosso e rosso inglese la cui uniforme era più elaborata della loro e che era venuto in macchina da Nairobi, con un poliziotto indiano che gli faceva da autista. La faccia dell’inglese era gonfia e giallastra, con tante striature violacee sulle guance. Sopracciglia color ruggine si aggrottavano al di sopra di due gelidi occhi celesti, folti baffi rossicci tremolavano a ogni parola, nascondendo le labbra umide e rosse. L’indiano, invece del regolamentare berretto, portava un turbante Sikh inamidato e fissava Matua con occhi duri e brillanti; ma si manteneva anche lui silenzioso, all’inizio dell’interrogatorio.
— Quand’è stata l’ultima volta che avete visto il Bwana vivo? — aveva domandato l’inglese.
Matua aveva aperto la bocca, ma senza parlare. Tanto tempo prima aveva imparato che non conveniva a un africano povero come lui mostrare di conoscere perfettamente il linguaggio dei bianchi. A fingersi ignoranti si poteva dire di meno e apprendere di più. Il suo silenzio era stato ricompensato. Come lui si aspettava, la domanda era stata ripetuta in swahili.
— Dopo cena, — aveva risposto. — Il Bwana dire che non volere niente altro, così

sabato 19 luglio 2025

Il collegio della delizia



"Il Collegio della Delizia" è il titolo di un racconto in rima scritto da Renato Simoni, noto anche come Re Si, con le illustrazioni di Antonio Rubino. Il racconto, pubblicato a puntate sul "Corriere dei Piccoli" a partire dal 9 novembre 1913, narra le vicende di un gruppo di studenti annoiati che inscenano una ribellione contro i loro insegnanti. 

Trama:
Gli studenti del collegio "La Delizia" si ribellano, accusando gli insegnanti di averli resi "sciocchi e rammolliti" a causa della mancanza di disciplina. 
Un anziano saggio interviene per risolvere la situazione e, alla fine, la scuola viene ricostruita con il nome "Il Dovere", con grande soddisfazione di tutti. 
In sintesi, "Il Collegio della Delizia" è un racconto per ragazzi che, attraverso una storia divertente e illustrata, affronta il tema della disciplina e dell'importanza di un'educazione equilibrata. 



 


venerdì 18 luglio 2025

Vittorio Catani: Storia di Nino



Le mie prime indagini sul caso di Nino riguardarono l’insolita circostanza dell’incidente
automobilistico. Solo in un secondo momento, dai colloqui con i genitori,
seppi che i signori Ernesto e Magda Rosati avevano adottato il bambino. Nino era
stato prelevato a quattro anni e meno da un orfanotrofio nell’entroterra di Barcellona,
in Spagna, ma delle sue origini i Rosati non possedevano notizie certe.
Nella mia qualità di comandante della vicina stazione di polizia di Foligno ero
stato chiamato ad occuparmi dei limitati eventi connessi con l’incidente, e nulla mi
avrebbe obbligato ad estendere le mie investigazioni indietro nel tempo; tuttavia mi
risolsi di farlo a titolo – lo dico subito puramente personale. Intuivo che il caso di
Nino nascondeva qualcosa di inconsueto, e non avrei avuto pace finché non ne fossi
venuto a capo.
Fu così che poche settimane dopo l’inizio di questa storia – era una bigia mattina
di settembre – mi ritrovai a circa duemila chilometri di distanza a salire faticosamente
una scalinata intagliata in un paesaggio brullo e pietroso che portava su un’alta
collina, all’Orfanado “Sinite parvulos”. Balbettando uno spagnolo approssimativo
esibii le mie credenziali. Poco dopo venni ricevuto dal direttore, padre Jorge.
L’Orfanado era di solida pietra scura, spoglio, arredato con essenziale mobilio
spagnolo di pregio. Padre Jorge mi aspettava. — Señor Comandante...
— Ermanno Dorigo, padre — lo interruppi io. — La prego, la circostanza m’impone
di chiederle di abbandonare i formalismi.
Fortunatamente il mio interlocutore si esprimeva in un accettabile italiano.
Rispose: — Certo, señor Dorigo. La notizia che lei ha fatto precedere alla sua visita
mi provoca grande costernazione. Ricordo benissimo “el niño"... Una creatura particolarmente
sensibile, sa. Oh, scusi, penso ancora a lui come a “el niño” (voi direste
“il bambino”), come lo chiamavamo qui. Devo ritenere che “Nino” derivi da questo
nostro vezzo? Bene, comunque lui venne subito battezzato, qui dentro. Rammento
bene quel mattino. Lo chiamammo Benjamin Ireneo, un nome che però rimase solo in
queste vecchie pratiche — e padre Jorge batté una mano su una cartella.
— Padre, forse lei ha già intuito il motivo della mia visita. Le mie incombenze di
lavoro non c’entrano, ma io devo sapere tutto su “el niño”.
Padre Jorge sorrise appena, il che bastò a creare sul suo volto una ragnatela di
rughe. — Capisco il suo sentimento, questa... accorata empatia, direi, che prendeva

giovedì 17 luglio 2025

URANIA n.45 - Wilson Tucker: Signori del tempo



In questo fantasioso, avvincente romanzo che si svolge nei tempi nostri, l'autore, Wilson Tucker, immagina che due persone, un uomo e una donna, unici superstiti di un razzo interplanetario esploso durante un viaggio verso la Terra più di 10.000 anni prima, continuino a vivere sul nostro pianeta, dato che conservano una facoltà della loro razza: quella di una vita lunghissima. Tutti e due vedono passare i millenni sulla Terra e portano tra gli uomini le loro usanze, i loro miti religiosi, le loro scoperte scientifiche, che lentamente, attraverso i secoli, gli uomini assorbono. Ed ecco che siamo arrivati alla nostra era, l'era atomica. L'uomo, ormai rassegnato a finire la propria vita, per lunga che possa essere, sulla Terra, è buono, saggio e sereno. La donna invece, che tende a un solo scopo, ritornare sul proprio pianeta d'origine, a qualsiasi costo, spinge gli uomini a costruire un razzo interplanetario. E' lei che suggerisce agli scienziati delle varie epoche le loro scoperte, che li aiuta, che li suggestiona. E l'uomo della Terra finisce per arrivare a costruire il razzo sul quale ella potrà finalmente raggiungere la sua patria. Ma per raggiungere questo scopo la donna uccide, tradisce, mente: è la forza del male. Questo, a grandi linee, la trama di questo meraviglioso romanzo che vi farà risalire i secoli fino al tempo in cui l'uomo era ancora un mammifero che lottava per affermare la sua giovane specie sulla Terra. E' un viaggio appassionante, a cui l'autore vi invita.

 

mercoledì 16 luglio 2025

Fanny Cäcilie Mendelssohn-Bartholdy

(Amburgo, 14 novembre 1805 – Berlino, 14 maggio 1847)

Fu nipote del filosofo Moses Mendelssohn e sorella del compositore Felix Mendelssohn; suo nipote fu il matematico Kurt Hensel, nato dall'unico figlio di lei, Sebastian.

Nacque ad Amburgo, prima figlia del banchiere Abraham Mendelssohn (figlio del filosofo Moses Mendelssohn, che più tardi cambiò il nome della famiglia in Mendelssohn Bartholdy) e della moglie Lea Salomon, nipote dell'imprenditore Daniel Itzig.

Fanny ebbe la possibilità di usufruire degli stessi insegnamenti dati al fratello Felix, condividendo numerosi insegnanti, fra cui Carl Friedrich Zelter. Come Felix (che nacque nel 1809), Fanny mostrò precocemente una grande abilità nel comporre musica (la sua prima composizione, scritta nel 1819, all'età di quattordici anni, è una raccolta di 12 gavotte, la cui partitura è andata perduta). I frequenti ospiti del salotto di casa Mendelssohn, negli anni intorno al 1820, fra i quali c'erano Ignaz Moscheles e Sir George Smart, erano meravigliati dal talento dei due giovani fratelli Mendelssohn.

Tuttavia, fu limitata dai pregiudizi del tempo nei confronti delle donne, pregiudizi sostenuti, pare, anche dal padre che non tollerava la sua attività di compositrice. Egli le scrisse nel 1820: "La musica forse diventerà la professione di Felix, mentre per te può e deve essere solo un ornamento". Il fratello Felix, invece, la supportava sia come compositrice che come artista, anche se era cauto sull'idea che lei pubblicasse le sue opere a proprio nome. Lui comunque la aiutò ad arrangiare un certo numero di componimenti che lei pubblicò a suo nome, e lei in cambio lo aiutò con considerazioni critiche sulle sue partiture, che lui considerava molto costruttive.

Dopo un corteggiamento durato sette anni e nonostante l'opposizione della madre, nel 1829 Fanny sposò il pittore Wilhelm Hensel, che incoraggiò la sua produzione artistica e dal quale ebbe un figlio, chiamato Sebastian in onore di Johann Sebastian Bach. In seguito, le sue opere furono sempre suonate insieme a quelle del fratello durante i concerti che si tenevano nella casa di famiglia, a Berlino. Il suo debutto pubblico al pianoforte avvenne nel 1838, quando si esibì eseguendo il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1, op. 25 di Felix.

Morì il 14 maggio 1847 a causa di complicazioni seguite ad un ictus che la colpì durante le prove di un'opera sinfonico-corale del fratello, Die erste Walpurgisnacht (op. 60).

Forse il suo capolavoro più maturo è l'imponente e virtuosistico Trio in re minore op. 11, per pianoforte, violino e violoncello, in quattro movimenti (1846-1847), eseguito poco prima della sua morte, a Berlino, durante i concerti domenicali delle Henselschen Sonntagmusiken (al pianoforte, l'Autrice). Fanny scrisse in ogni caso una quantità ragguardevole di composizioni: circa 300 lieder, 150 pezzi pianistici, nonché duetti e terzetti vocali, musiche per coro e da camera, oratorî, cantate, ouvertures e brani per orchestra. Le sue opere sono oggi pubblicate soltanto in minima parte. In anni recenti, tuttavia, la sua musica è diventata più nota grazie ad esecuzioni nel corso di concerti e alla pubblicazione di CD, oltre che a ricerche condotte sulla creatività musicale femminile, di cui Fanny è una delle poche esponenti della prima metà del XIX secolo.


Il Trio per pianoforte in re minore , Op. 11, di Fanny Mendelssohn fu concepito tra il 1846 e il 1847 come regalo di compleanno per la sorella e pubblicato postumo nel 1850, tre anni dopo la morte della compositrice.

Il trio è in quattro movimenti:
Allegro molto vivace
Andante espressivo
Lied : Allegretto
Allegretto moderato

Nel 1847, un critico anonimo della Neue Berliner Musikzeitung trovò nel trio "... ampie e imponenti fondamenta che si elevano attraverso onde tempestose in un meraviglioso edificio. Sotto questo aspetto il primo movimento è un capolavoro e il trio è estremamente originale". 
Angela Mace Christian si riferisce al brano su Grove Music Online come "una delle sue opere da camera più impressionanti". 


martedì 15 luglio 2025

Lydia Capece - Un bacio, seimila lire, 1947







 

MONDADORI n.45 - Edgar Wallace: Il reduce dal Marocco



Chi è l'enigmatico Jim Morlake, proprietario dell'avito castello di Wood House, che tanto interesse suscita in Diana Carston la bella figlia del conte di Creith? Morlake è uno strano tipo - scassinatore se si bada alle apparenze - che ha soggiornato a lungo in Marocco. Alla ragazza si interessa però anche Robert Hamon, un personaggio che, a sua volta, conosce il Marocco come le tasche della sua giacca. E in Marocco, anzi a Tangeri, costui ritorna, seguito come un'ombra da Jim Morlake. E' un documento irraggiungibile che Morlake insegue da tempo e che ha avuto la triste prerogativa di essere legato ad alcuni inspiegabili omicidi. Ma, inseguendo il documento, Jim Morlake insegue anche Diana Carston attraverso un intrecciarsi complicato di avvenimenti nei quali sono implicati molti altri personaggi.
 

lunedì 14 luglio 2025

Ron Goulart: Allucinazione



Lo stava osservando da alcuni minuti, forse, perché quando Rog alzò gli occhi dalla tavola da disegno e guardò a destra lo vide là, oltre la finestra. Sembrava grigio nella luce che entrava dalla vetrata dello studio. Rog Fillbaker si appoggiò lentamente all’indietro, gli occhi sul grosso cane fermo là all’esterno. Ripulì il pennino con lo straccio appeso all’estremità del tavolo da disegno, chiuse la bottiglia dell’inchiostro. Il grosso danese abbassò la testa e il pelo gli si rizzò sul largo dorso.
Rog scostò lo sgabello e si alzò. — Va’ via, — disse.
Il cagnone abbassò maggiormente la testa, mostrando le zanne. Tirava vento attraverso lo Stretto di Long Island e alcune foglie secche turbinavano sopra la schiena arcuata dell’animale.
Rog batté col pugno sulla vetrata. — Su, vattene. Torna dal tuo padrone.
Il grosso danese ringhiò e cominciò ad abbaiare, con un latrato aspro e rimbombante. Intanto, non smetteva di fissare Rog.
— Questa storia deve finire, — disse Rog. — Sono già in ritardo rispetto al termine di consegna. Vattene, smettila di darmi fastidio! — Attraversò rapidamente il pavimento rivestito da una stuoia e aprì la portafinestra che guardava verso il mare. — Va’ via, capito? Andiamo, qui non è permesso l’ingresso ai cani.
Il vento marino investì Rog, facendolo rabbrividire. Gli alberi stormivano, tra una pioggia di foglie morte. Ora Rog non sentiva più il cane. Guardò le luci di Bridgeport, al di là dello Stretto, ascoltò il suono della risacca un centinaio di metri sotto di lui. Distrattamente, allacciò gli ultimi due bottoni del giaccone di lana verde che indossava per lavorare.
Il cane era scomparso quando Rog fece il giro del cottage di tre stanze che gli serviva da studio. Rog aguzzò la vista, scrutando gli alberi che cominciavano qualche decina di metri più in là e si stendevano per diversi acri. Non riusciva più né a vedere il cane né a sentirlo. Si fermò all’esterno della finestra e guardò dentro la stanza, verso il tavolo da lavoro e il foglio da disegno che vi stava appuntato sopra. Il disegno rappresentava un grosso cane danese.
Il dottor Zansky si rilassò un poco, dietro la sua scrivania, e si versò nel palmo un po’ di lozione per le mani, massaggiandosi poi le lunghe dita screpolate dal vento. — Spesso penso a quanto si debba star meglio in California, — osservò.
— Sì, ma... e i miei problemi? — domandò Rog dalla poltrona di cuoio nero che stava dall’altro lato della scrivania. — Da un certo tempo, finiamo sempre per metterci a parlare dei vostri.
Il dottor Zansky versò ancora un po’ di crema liquida nel palmo della sinistra. — Siete preoccupato, Rog?
— Non lo so. — Rog fissava le veneziane chiuse dietro la testa reclinata dello psichiatra. — Sono tormentato dall’idea di non riuscire a rispettare i termini di consegna.
Finito di massaggiare le palme, il dottor Zansky cominciò a lisciare il dorso.
— Perché, vedete, — continuò Rog, — si tratta di una grossa responsabilità:

sabato 12 luglio 2025

Marmittone



Marmittone è una serie a fumetti creata da Bruno Angoletta.
Pubblicato per la prima volta nel gennaio del 1928, il fumetto racconta le avventure del soldato semplice Marmittone (il cui nome deriva da "marmitta", la grossa pentola nella quale vengono cotte le razioni alimentari dei soldati), un tipo non troppo sveglio ma di buona volontà che, per via di gaffes o semplicemente per pura sfortuna, finisce in prigione alla fine di ogni avventura. Il fumetto è stato pubblicato da Il Corriere dei Piccoli fino al 1940, poche settimane prima dell'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale.

Marmittone è considerata una parodia dei valori fascisti del militarismo e della virilità ed è stato descritto come "il più coerente ed irriducibile scorretto antagonista dello stereotipo del soldato di ogni dittatura".
 

venerdì 11 luglio 2025

Jack C. Haldeman II: Topi nello spazio



Gli scarafaggi non mi danno fastidio. Sono i topi che mi fanno impazzire.
Gli scarafaggi vivono dietro il pannello di controllo del propulsore principale.
Escono solo quando è buio. Ma non mi creano problemi. Però quando un topo mi
passa galleggiando a zero davanti alla faccia, con quella brutta coda spelacchiata che
si contorce e le zampette che si agitano freneticamente, be’, allora penso davvero che
non mi paghino abbastanza.
Prima avevo un lavoro fantastico: pilotavo gli ipersonici della Pan American sulla
rotta New York-Sidney. Solo io e le hostess a portare avanti e indietro i passeggeri
della “Grande Mela” agli antipodi. Tre giorni di lavoro e cinque di riposo. Una meraviglia.
Avevo una lussuosa uniforme, e tutti mi chiamavano “signore”. Adesso parlo
con le formiche per non impazzire. Questa volta si sono infilate nella dispensa. È un
disastro.
Con la Pan Am ebbi qualche contrasto. Io volevo più soldi e meno ore di lavoro.
Loro offrivano meno soldi e più ore. Così cominciai a leggere gli annunci economici
sui giornali.
Una compagnia cercava piloti per le O’Neill. La paga era buona, e non avrei più
dovuto vedermela con gli ubriachi. Niente è più sgradevole di un ubriaco che infila la
testa nella cabina mentre cercate di calcolare la planata su Sidney e allo stesso tempo
di evitare il volo della Delta delle 8,15. Volare sull’ipersonico è come fare un viaggio
su un grosso ascensore, e quando un ubriaco entra e vede l’orizzonte scivolare via sul
vetro della cabina, di solito restituisce quello che ha appena mangiato. È successo
varie volte, e non c’è niente di peggio.. Eccetto forse i topi. Sì, probabilmente i topi,
ora che ci penso. Soprattutto i topi.
Le O’Neill sono splendide. Stanno lì sospese fra la Terra e la Luna come l’ottava
meraviglia del mondo. Non riesco ancora a credere che si sia andati d’accordo tanto a
lungo da riuscire a costruirle, eppure è così e adesso eccole là. Sei fantastiche colonie
spaziali abitate soltanto da diecimila persone.
L’idea venne a qualcuno molto prima che io nascessi, altri poi si misero insieme e

Robocop



Stati Uniti, 1987 / Edward Neumeier e Michael Miner

Catturato da una banda di gangster cui stava dando la caccia, un coraggioso poliziotto da poco in servizio è torturato e ucciso. Ma qualcosa di lui rimane viva e i suoi resti cerebrali sono innestati in un avveniristico robot-umanoide praticamente
invulnerabile e invincibile, che il capo della polizia di Detroit utilizza in via sperimentale negli incarichi più pericolosi. 



Manovrato da sofisticati congegni elettronici e inguainato in una pesantissima corazza antiproiettili, Robocop è un superpoliziotto, una vera e propria inarrestabile macchina da guerra che volge con grande efficacia i compiti che gli
vengono di volta in volta affidati.


                           

Ma il robot-umanoide ha la memoria dell'agente ucciso e, avendo riconosciuto i suoi carnefici, dà loro una caccia spietata, sterminandoli uno a uno e uccidendo il loro capo, un insospettabile funzionario della polizia.


Diretto con mano sicura dall'olandese Paul Verhoeven e giocato più sui trucchi e sugli effetti speciali che sull'interpretazione di Peter Weller (che aveva esordito sullo schermo nel 1979 con un piccolo ruolo in Il ritorno di Butch Cassidy e Kid, di
Richard Lester), Robocop è un film di fantascienza perché descrive qualcosa che non esiste ancora (e che forse non esisterà mai), ma è in realtà ambientato in un immediato futuro che porta solo alle estreme conseguenze la violenza contemporanea.


Accolto da un grande successo di pubblico negli Stati Uniti, questo film ha dato origine a un sequel ancora più violento (con uno scontro titanico tra Robocop e un
altro robot-umanoide ultrasofisticato che avrebbe dovuto prendere il suo posto; ma il cervello utilizzato proveniva da uno psicopatico drogato) 


e a un terzo film, diretto da Fred Dekker e uscito nel 1993, dove Robert Burke ha preso il posto di Peter Weller. 
«Abbiamo cercato di umanizzare l'eroe e di non esagerare la violenza - ha dichiarato Dekker alla stampa. - Robocop 3 è un film a fumetti: potrete farlo vedere
tranquillamente ai bambini».

 

A fine 2012, arriva la conferma ufficiale dell'inizio delle riprese; l'uscita viene datata a febbraio 2014; nel cast Joel Kinnaman nel ruolo di RoboCop, Abbie Cornish, Gary Oldman, Samuel L. Jackson, Michael Keaton, Jay Baruchel, Jackie Earle Haley, Jennifer Ehle, Marianne Jean-Baptiste, Michael K. Williams.





AI film si ispirarono anche diversi fumetti, vari videogiochi e quattro serie televisive, tutti aventi per protagonista un agente di polizia cyborg.

giovedì 10 luglio 2025

URANIA n.44 - Vargo Statten: Universo in fiamme



In un assolato pomeriggio di giugno dell'anno 2000, all'improvviso, senza che nessun aereo sia segnalato dal servizio di vigilanza posto intorno alla Terra intera, il centro di Londra viene bruciato addirittura liquefatto da un'ondata di luce accecante ad altissima temperatura. Chi sarà l'ignoto aggressore? Forse uomini o abitanti d'altri sistemi solari, i padroni dei dischi volanti che da anni continuano a sorvolare la Terra in squadriglie sempre più numerose? Dopo Londra, è la volta di Glasgow, poi di Melbourne... Il capitano Englefield, pilota spaziale, capo del Centro di Sicurezza dell'Inghilterra, è inviato in ricognizione per scoprire i responsabili di così inspiegabili disastri. Il capitano è un uomo coraggioso e uno scienziato di valore: riesce a scoprire dove si trova un apparecchio incendiario, ma il suo aereo viene abbattuto nel mare del Nord. Il capitano è salvato da un disco volante, proveniente da un pianeta artificiale, posto oltre l'orbita di Saturno. Ma l'aggressore è un altro e il capitano Englefield riesce a scoprirlo, finalmente, e a trovare l'arma formidabile di cui l'assassino si serve: la lente cosmica! Il romanzo narra le incredibili ma possibili avventure del capitano Englefield e la sua vittoria. Una sorpresa a ogni pagina! E' un romanzo che si legge tutto d'un fiato.

 

mercoledì 9 luglio 2025

Emilie Luise Frederica Mayer

 

(Friedland 14 maggio 1812 – 10 aprile 1883)

Emilie Luise Frederica Mayer (14 maggio 1812 – Berlino 10 aprile 1883) è stata una compositrice tedesca del periodo romantico , che divenne una delle compositrici più prolifiche del XIX secolo. 

Fu definita un "fenomeno raro" dalla Neue Berliner Zeitung del 1878, perché le sue composizioni non erano solo per pianoforte. Studiò con il compositore di canzoni Carl Loewe e con l'influente insegnante Adolf Bernhard Marx, e le sue numerose opere orchestrali e da camera furono molto apprezzate durante la sua vita.

Mayer visse a Friedland come governante del padre vedovo fino alla sua morte per suicidio nel 1840. Dopo questo evento traumatico, prese la straordinaria decisione di proseguire gli studi musicali a Stettino e Berlino, all'età di quasi trent'anni. Fece numerose tournée con la sua musica prima di stabilirsi prima a Stettino negli anni '60 dell'Ottocento e poi a Berlino nel 1875, fino alla sua morte; la città fu un centro importante per la sua musica, inclusa la sua apprezzatissima Ouverture Faust , con il suo drammatico inizio all'unisono.

Mayer si dedicò quasi immediatamente alla composizione su larga scala, scrivendo le sue prime due sinfonie tra il 1845 e il 1847. Come molti suoi contemporanei, imparò il mestiere copiando e analizzando brani di predecessori come Mozart, Haydn, Beethoven, il suo contemporaneo Ferdinand Hiller e il compositore d'opera Étienne-Nicolas Méhul. Loewe e Marx non furono solo insegnanti scrupolosi, ma, a loro grande merito, entrambi usarono la loro influenza per sostenere le esecuzioni della sua musica. La sua musica, di ottima fattura, fu eseguita in tutta Europa, sebbene il suo successo fosse ostacolato dagli elevati costi di esecuzione delle opere orchestrali (si possono paragonare le lussuose condizioni finanziarie in cui emersero le sinfonie di Brahms). Franz Liszt si offrì di aiutarla arrangiando un quartetto d'archi per pianoforte, un tipico modo di divulgare economicamente il repertorio, ma lei rifiutò.

Dopo il suo ritorno a Stettino nel 1862, Mayer rivolse la sua attenzione alla musica da camera, comprese sonate per violino e violoncello. Come molti suoi contemporanei, prediligeva principalmente forme di matrice classica, sebbene si dedicasse sempre più a sperimentazioni armonicamente. A metà degli anni Sessanta, tornò a Berlino, dove ottenne un notevole successo e numerose esecuzioni. La sua ultima composizione fu il bellissimo Notturno op. 48 dedicato al grande violinista Joseph Joachim. 

Morì il 10 aprile 1883 di polmonite a Berlino e fu sepolta al presso la chiesa della Santissima Trinità, non lontano da Felix e Fanny Mendelssohn.

Diverse enciclopedie contemporanee includevano una sua voce, ma quella traccia fu gradualmente cancellata verso la metà del XX secolo. L'interesse per la sua opera si rinnovò negli anni Ottanta; dal 2000 sono emerse diverse registrazioni.

La composizione di canzoni di Mayer fu senza dubbio appresa da Loewe; le sue prime composizioni furono di Goethe, inclusa una di "Erlkönig". Non scrisse molte canzoni soliste, forse evitandole a causa della loro associazione con la musica femminile e domestica. Oltre alla composizione di "Erlkönig" del 1842, scrisse due raccolte di tre canzoni, Op. 7 e Op. 10 (quest'ultima non menzionata in alcuni cataloghi), oltre ad altre due canzoni per voce e pianoforte, una seconda composizione inedita di "Erlkönig" (ca. 1870) e due canzoni per bambini apparse postume nel 1891. Le sue composizioni sono liriche e di ampia composizione, in uno stile che ricorda i Mendelssohn. Prediligeva poeti affermati come Heinrich Heine, Wilhelm Müller e Helmine von Chezy, nonché contemporanei popolari come Hermann Kletke. La sua Op. 10 comprende un'attraente ambientazione di 'Der Neugierige', la poesia di Müller resa famosa in Die schöne Müllerin di Schubert.

Spesso definita la "Beethoven al femminile", Mayer compose otto sinfonie e numerose opere da camera, sonate per pianoforte e ouverture orchestrali. Nonostante le limitate opportunità per le donne nella musica professionale ai suoi tempi, ottenne ampio riconoscimento ed esecuzione pubblica della sua musica in tutta la Germania. Nel XXI secolo, la sua opera è stata riscoperta e celebrata per la sua maestria, l'originalità e il contributo al repertorio romantico.

La quarta sinfonia è probabilmente il suo miglior lavoro.
Opera ardente e turbolenta degna della sua armatura in si minore, molto mendelssohniana nello stile e degna di essere paragonata alle sinfonie di Raff e Louise Farrenc. Questa sinfonia offre un delizioso movimento lento, simile a una canzone romantica, che fa da sfondo all'energia e alla spinta ritmica del resto dell'opera. Il concerto, tuttavia, è così mozartiano nello stile e nell'impatto che potrebbe essere stato composto negli anni Novanta del Settecento; il che non è un difetto, è semplicemente quello che è ed è molto piacevole a modo suo.