Italia, 1978 l Renato Olivieri
Potrebbe essere questa la perfetta descrizione del commissario Ambrosio, uscito dalla penna di Renato Olivieri, scrittore nato nel piccolo paese veronese di Sanguinetto nel 1925 e morto a Milano nel 2013.
Ambrosio «è un uomo di cultura quieta, di sentire sobrio; che ama la buona pittura, la buona musica, il buon artigianato e – non va dimenticato – le belle donne, vittime o colpevoli che siano» scrive Mino Monicelli.

Malinconico, attento osservatore della natura, dell'animo umano e della vita quotidiana, piena di tragedie piccole e grandi, il commissario Giulio Ambrosio è un poliziotto leale e umano, che cerca sempre di capire cosa c'è dietro ai singoli fatti. Cerca di mantenere un certo distacco nei
confronti delle persone e delle cose, ma spesso gli capita di commuoversi o di ricordare con nostalgia la propria giovinezza. Ha più di cinquant’anni e agisce a Milano, metropoli inquieta dove il delitto sembra essere parte integrante della vita e non un’eccezione a essa. Anche il colpevole è un uomo qualsiasi, quasi a sottolineare che la banalità del male, concetto coniato dalla filosofa Hannah Arendt, potrebbe essere in ognuno di noi. Ma il male non è mai banale, e lo sa bene Ambrosio che di fronte ad ogni orrore si stupisce candidamente e si interroga giungendo spesso alla soluzione da una prospettiva diversa.

Renato Olivieri dice del suo commissario:
La mia vicenda con il commissario Giulio Ambrosio della squadra mobile milanese ebbe inizio nel gennaio del 1976, un martedì, giorno dell'Epifania. Allora era vice commissario, aveva meno di cinquant'anni, e mi pareva dovesse assomigliare all'attore Lino Ventura. Lo descrissi così. E. così è rimasto.
Ricordo che quel giorno, quando cominciai a scrivere la prima frase del mio primo romanzo, c'era nebbia, era uno di quei crepuscoli gelidi che, a Milano, ti invogliano a restare in casa, a pochi passi dal calorifero. La frase me l'ero segnata su un foglietto, la portavo in tasca, ogni tanto cambiavo una parola. Sono ancora convinto che l'inizio di un romanzo sia sempre laborioso, la stessa cosa succede con un quadro o con un articolo. Insomma mi sedetti al tavolo, avevo davanti una Olivetti Valentine rossa, e battei la prima riga: in effetti c'era qualcosa di strano nella morte della signora Kodra. Soddisfatto continuai, almeno un'ora tutte le sere. Nella primavera dell'anno successivo il libro era pronto. Ne ho scritti altri quattro, e ho scritto alcune decine di racconti, molti dei quali sono pubblicati in questo volume. Quando li leggerete, conto di essere a buon punto con il sesto romanzo che avrà, naturalmente, per protagonista il commissario.

Una domanda che mi fanno spesso i lettori e gli amici è questa: Ambrosio è un personaggio autobiografico? Non sono sicuro che lo sia. Tuttavia mi rendo conto che non riesco a scrivere nulla di ciò che non conosco abbastanza a fondo. Un esempio: dato che non m'intendo di musica, Ambrosio non ne capisce gran che, ed è accaduto persino che la moglie Francesca lo abbia abbandonato per un pianista di Roma. A proposito della moglie: nonostante lui si consideri legato a Emanuela, un'infermiera del Policlinico di Milano, ritengo che il ricordo della donna che aveva sposato da giovane, all'inizio della carriera, lo tormenti, qualche volta; non so bene se ciò dipenda dall'orgoglio ferito o da una sorta di vaga nostalgia, o da una specie d'amore.
Fisicamente Ambrosio è un uomo robusto, ha il volto segnato, i capelli appena brizzolati tagliati corti, pesa sugli ottanta chili, è alto un metro e settantotto. Soffre di artrosi cervicale. È di temperamento malinconico; qualche volta, se non lavorasse, potrebbe tendere all'ipocondria. L'impressione che dà, soprattutto alle donne, è di essere un uomo equilibrato, di cui ci si può fidare. In parte è così. Gli pesa la solitudine, forse gli sarebbe piaciuto diventare padre di un paio di ragazzi con i quali andare agli incontri di boxe, l'unico sport che abbia coltivato, per un certo periodo, in gioventù. Ci tiene alla salute, si controlla nel fumo e nell'alcool. E anche nel cibo, per quanto ciò non gli costi gran fatica. A suo modo è un igienista.

Vive in un monolocale, all'ultimo piano di un palazzo liberty, in via Solferino, a due passi dalla sede del «Corriere della Sera». È di sua proprietà. Credo lo abbia acquistato dopo la separazione da sua moglie, per pochi milioni.
Glielo aveva arredato un architetto, per riconoscenza, visto che Ambrosio era riuscito a recuperargli una valigetta piena di documenti che gli era stata rubata nella hall di un albergo di piazza della Repubblica. Pareti a calce, moquette verde, mobili laccati di bianco, alle pareti litografie di Cassinari e di Morlotti. Se Ambrosio fosse meno giudizioso, quel quartierino potrebbe somigliare a una garçonnière, dotata persino di una minuscola terrazza da cui si vede il campanile di San Marco. Sulla terrazza una vite canadese, una forsythia e un glicine. Nel letto a una piazza e mezza dorme da solo, salvo qualche notte con Emanuela, la quale normalmente abita con i genitori in via San Vincenzo, al Carrobbio.
Ambrosio possiede da anni una Golf verde che pensa di cambiare con una Delta grigia. Ma ci vorrà del tempo. Almeno per quel che mi risulta. Tiene l'auto in un garage sotterraneo in via San Marco. Una volta tentarono di ucciderlo con una carabina calibro 30 a cannocchiale proprio mentre usciva con la Golf da quel garage.Il commissario, se può, non mangia a casa. In via Solferino si prepara soltanto qualche toast o due uova al tegame. Gli piacciono le trattorie, soprattutto quando esce con Emanuela. La loro storia d'amore ebbe inizio a Bagutta, alla Vecchia Locanda Solferino, al Tumbun de San Marc, e via discorrendo. D'estate preferisce le trattorie sul Naviglio e d'inverno certi ristoranti della zona di Brera, meglio se hanno le candele sulle tavole.
Di rado va a cena dalla madre, una anziana signora che lo tratta ancora come se lui fosse una recluta, e abita nel vecchio appartamento di piazza Giovine Italia dove viveva con il giudice, e con Giulio prima che si sposasse.
Ambrosio possiede, e porta con sé, una pistola automatica, una Beretta calibro 9, che ha usato poco, con risultati abbastanza deludenti (leggere il racconto La stazione di Porta Genova). Le armi gli piacciono, più che altro per ragioni estetiche: hanno un loro fascino, l'acciaio brunito seduce come il cuoio o il legno di radica. Anche i meccanismi, ben congegnati e costruiti con la maestria degli orologi di marca o dei multipli di Berrocal, lo attraggono, e ci sono momenti che gli va di smontare la sua automatica, di ripulirla, di oliarla, soppesarla.
Di orologi ne possiede due: un Rolex d'acciaio e un Vacheron Costantin in oro bianco, di forma rettangolare, regalo di Francesca prima delle nozze, che qualche volta mette al polso di sera, come gli succedeva nei primi mesi di matrimonio.
In questura dicono che sia uno dei funzionari meglio vestiti, e può essere vero perché Ambrosio indossa abiti che piacciono anche a me. Giacche di lana morbida, camicie azzurre, o a righine bianche e celesti, cravatte regimental, scarpe di gusto inglese. A primavera non è raro vederlo con abiti di gabardine, un po' troppo chiari per uno come lui, disattento e persino maldestro. È un discreto cliente della tintoria, di buona fama, di via Visconti di Modrone. D'estate, soltanto abiti di cotone, in tinta coloniale; salvo uno di lino.
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