lunedì 30 giugno 2025

Alfonso Ferrari Amores: Un pezzetto di stagnola



Il mio amico Joaco Migueles, amante del vino e filosofo, mi guardò e ammiccò,
mentre mandava giù un altro sorso di La Rioja.
— Guarda qui, — disse. Posò il bicchiere ed estrasse di tasca un ben ripiegato pezzo di stagnola, del tipo in cui vengono avvolte le sigarette e le tavolette di cioccolato.
— È a prova d’acqua, per il tetto, — disse, sorridendo orgogliosamente. — L’ho trovato stamane lungo la strada. È l’ideale per coprire i buchi.
Alzai gli occhi alle travature della piccola capanna che Joaco divideva con la sua seconda moglie, tra le dune di sabbia argentine di La Magdalena. L’azzurro cielo lucente del pomeriggio afoso occhieggiava qua e là, fra le travi, con aste di sole che sembravano bruciare fori sempre più larghi intanto che io guardavo.
— Non c’è tempo da perdere, amico mio, — dissi, rannuvolando il suo sorriso soddisfatto. — Ho sentito tuonare in lontananza, mentre venivo qui. Tra poco avremo la pioggia, ed è meglio che me ne vada.
— Oh, no, no! — esclamò lui. — Resta qui a chiacchierare ancora un po’. È un’esistenza solitaria, la mia, qua in mezzo al deserto. E quando mia moglie è fuori... — Mi fissava rattristato, accarezzando il bicchiere di vino come se anche quello fosse un amico caro. I bicchieri da vino di Joaco sono grandi come vasi, dato che lui può versarci, in una sola volta, l’intero contenuto di una bottiglia.
— Be’, — dissi, esitando, — mi tratterrò un’altra mezz’ora.
Sospirò di contentezza e si appoggiò all’indietro nella poltroncina di vimini, dall’altro lato della tavola...
Una delle qualità del mio compagno, che rendevano tollerabile la sua compagnia in quelle insopportabili giornate torride, era il suo poco forbito ma infallibile talento per la conversazione: o, diciamo meglio, per il soliloquio. Sapevo perciò che la ragione per cui voleva che mi trattenessi più a lungo, prima di far ritorno in città, non era il desiderio di ascoltare la mia voce. Al contrario...
— Questo pezzetto di stagnola, amico, — cominciò a dire, — contiene una grande lezione. — Joaco mi fissava da sotto le grosse sopracciglia irsute, per vedere se mi mostravo interessato. Assentii, senza compromettermi.
— Dimostra che, per quanto povera sia l’esistenza di un uomo... — con un gesto indicò il suo abituro, — egli può migliorarla, facendo tesoro di ogni piccolezza che venga a trovarsi sul suo cammino.
— Già, forse hai ragione, — commentai, allungandomi a riempire il mio bicchiere; avevo la gola secca per l’aria asciutta e torrida.
Joaco restò qualche istante in silenzio, tirandosi penosamente il labbro inferiore. Poco dopo, si schiarì la gola e riprese: — Mi ricorda qualcosa, vedi. Una volta, vivevo in Patagonia... tanti anni fa, quand’ero giovane. Conducevo una vita miserabile, laggiù, ma imparai ad essere soddisfatto di quella che conduco ora.
— Be’, è una bella cosa, — dissi.
— Ero povero come un mendicante, allora. Stavo a Rio Negro: El Nireco, per essere esatti. Per mesi e mesi vissi in una vecchia cisterna asciutta, che avevo trasformato in una camera da letto. Tutti gli altri guadagnavano bene facendo gli sterratori. Ma io no.
«Non ero tagliato per lavorare dall’alba al tramonto, come un cavallo da tiro. Così, tiravo avanti nella mia esistenza da povero. Quanto ti ho detto della mia modesta abitazione basterà a spiegarti perché, quando cominciò la neve, non trovai difficile scegliere tra la mia gelida cisterna e una branda nel retrobottega di un erborista di Viedma, che m’aveva offerto un posto di commesso.
«Così ero là, unico residente del negozio, quando un giorno chi ti capita in bottega se non il ricco Don Hellmuth, il più infame prepotente e picchiatore di mogli della provincia. Un tipo losco e subdolo, anche, come mai ce n’è stato uno! Bene, quel giorno chiacchierammo di mille cose e, alla fine, venimmo a parlare di prodotti vegetali e di erbe.
«Al momento opportuno, io gli accennai come per caso la mia teoria che, se era vero che il diabete consisteva in un eccesso di zucchero nel sangue, sembrava a me che il mangiare funghi velenosi – che uccidono appunto privando il sangue di quella stessa sostanza – poteva riuscire efficace, in dosi accuratamente calcolate, a guarire il diabete. Era una semplice questione di logica.
«Don Hellmuth ci pensò su un momento, poi mi domandò: “Avete dei funghi velenosi, in bottega?”.
«Per tutta risposta mi chinai sotto il banco, tirai fuori due sacchi, e li misi davanti a Hellmuth.
«“Questi sono i mangerecci”, dissi indicando uno dei sacchi. “Gli altri sono velenosi. Sembrano identici, vero?”
«Don Hellmuth disse di sì, meravigliato dall’identico aspetto delle varietà velenose e non velenose.
«“Pensate un po’” continuai. “Se venissero serviti separatamente, su due piatti, nessuno potrebbe distinguere quelli velenosi da quelli mangerecci. Naturalmente sarebbe saggio tenere sempre a portata di mano un antidoto... Non si sa mai.”
«“E quale antidoto?” domandò Don Hellmuth, rivelando un grande interesse per quella questione di funghi velenosi. Non mi ero sbagliato, nel giudicarlo.
«“Quello stesso zucchero di cui si parlava prima. Una soluzione molto concentrata di glucosio. Basterebbe iniettarla o inghiottirla.”
«“Datemi un po’ di tutt’e due quelle qualità di funghi”, disse impetuosamente lui. “E l’antidoto!”
«Mentre intascavo il denaro per i funghi e la bottiglia di antidoto, osservai: “Naturalmente, se l’antidoto fosse a portata di mano di... ehm... di un nemico che
avesse mangiato, mettiamo, i funghi velenosi, sarebbe meglio forse truccare la bottiglia, così il nemico non riconoscerebbe l’antidoto e non lo prenderebbe.”
«“Come si potrebbe fare? Per truccarla, voglio dire”, domandò Don Hellmuth, fissandomi attraverso le palpebre socchiuse.
«Aprii un cassetto, tirai fuori una etichetta con su un teschio e due ossa incrociate e, sotto, la scritta VELENO. La incollai alla bottiglia di antidoto.
«“Là!” dissi. “Ora soltanto voi e io sappiamo che questo non è quello che indica l’etichetta. Cercate di non dimenticare questo fatto importante, amico mio!”
«Ora, per caso, quella stessa sera, la moglie di Don Hellmuth venne a rifugiarsi nel mio negozio. Era una indigena giovane e molto bella, che Don Hellmuth, tutti lo sapevano, picchiava senza misericordia.
«Mi raccontò come, dopo aver cenato con zuppa di funghi, lui l’avesse scaraventata fuori di casa, rincorrendola con una frusta. Don Hellmuth, crudele quanto era ricco e avaro, aveva spesso simili accessi di collera. Ah, se ci penso! Quella figliola piangeva come un bambino! E le donne erano talmente scarse, da quelle parti.
«Così, mi attaccai al telefono, chiesi di Don Hellmuth e, come sentii la sua voce, gridai eccitatissimo: “Ascoltatemi bene! Ho fatto un errore con quei funghi. Presto! Quelli innocui sono i velenosi e quelli...”
«Seppi, il giorno dopo, che l’avevano trovato morto: ucciso da una dose di cianuro. Il dottore analizzò il contenuto della bottiglia che Don Hellmuth aveva vuotato fino in fondo e sentenziò: “Veleno... proprio come c’è scritto sull’etichetta. Evidentemente, Don Hellmuth si è suicidato.”
«In seguito, naturalmente, ci furono quelli che mi guardavano con sospetto. Sai com’è, avevo sposato la vedova. Ah, che terno al lotto di donna! Così bella e... così ricca!»
Il cielo si era oscurato, nel frattempo, e il tuono si faceva udire di nuovo, rimbombando sopra le aride pianure che si stendevano a perdita d’occhio. Joaco guardò i buchi nel tetto della capanna, poi abbassò lo sguardo sul pezzo di stagnola posato sul tavolo. Sorrise.
— Era il mio pezzetto di stagnola, proprio come quello che ho trovato oggi... qualcosa che mi aiutava a migliorare la mia umile esistenza. — Ridacchiò tra sé e sé. — Mah! Puoi bene immaginare che causa di pettegolezzi fu il nostro matrimonio. Una fonte di chiacchiere senza fine tra tutti gli invidiosi, si capisce. Be’, quelli vedono l’impronta del denaro su qualsiasi cosa. E pensare che lei era così bella... così amabile!
Scossi lentamente la testa e mi alzai, per andarmene. Ma Joaco mi mise una mano sul braccio.
— Subito dopo, a Don Hellmuth, fecero tanto di regolamentare autopsia. E fu così che dimostrarono, tra parentesi, che i funghi da lui mangiati erano innocui, perfettamente innocui!
Joaco tornò ad ammiccare, sollevò il bicchiere contro luce e l’osservò, da intenditore. — Ma che cosa credevano, eh? Figuriamoci se io avrei venduto dei funghi velenosi!

 

sabato 28 giugno 2025

Gibernetta



Gibernetta fa il suo esordio sul Corriere dei Piccoli con il numero 18 del 4 maggio 1958. Le avventure proseguono fino al 1965, per tornare brevemente nel 1974.


 

venerdì 27 giugno 2025

Reginald Bretnor: Sala d'aspetto



Il dottor Milo Cade non aveva mai voluto divorziare da Millicent, e non perché lei
l’avesse mantenuto agli studi, e nemmeno perché avesse potuto fondare la Clinica
CadeGrabow solo grazie alla posizione della famiglia di lei, e neanche perché fosse
la madre dei suoi figli.
Era troppo prudente, in senso finanziario, e questa era una delle ragioni per cui
non avrebbe mai divorziato: ne sarebbero seguite spartizioni di proprietà, pagamenti,
parcelle agli avvocati. Aveva ugualmente le sue avventurette occasionali, discrete ed
economiche, che non lo responsabilizzavano. Più soldi faceva, e ne faceva tanti,
meno gli piaceva spendere.
E poi, fino dai primi anni appassionati del loro matrimonio e del suo successo, si
erano andati allontanando sempre più uno dall’altra, e più diventavano estranei, più
aveva bisogno di lei.
Aveva bisogno di lei, come certi uomini hanno bisogno di un pallone da prendere
a calci, o come certe donne di un puntaspilli psicologico. Una volta se n’era venuta
nel suo studio, passando davanti alla gente triste ed ansiosa che aspettava, speranzosa
ed impaurita, piena di disperazione e di dolore, con gli occhi stupidamente fissi alle
stampe di cattivo gusto appese alle pareti, o sfogliando senza vederle le pagine di
riviste monotone e noiose, tutta gente che aspettava pazientemente (ecco perché si
chiamano pazienti!), e l’aveva trovato che giocava a ramino con il rappresentante di
una casa farmaceutica. Più tardi, a casa, l’aveva rimproverato per questo, e lui, con
brutalità, le aveva detto di tenere il suo dannato naso fuori dai suoi affari. Un medico,
e specialmente un chirurgo affermato, deve far riconoscere la sua autorità, la sua
supremazia: non c’è posto per stupide debolezze nell’immagine che dà al mondo di
sé.
— Lascia che aspettino! Gli fa bene — le disse. — È come addestrare i cani. Se li
batti si metteranno su due zampe a guaire per te. Carezza le loro testoline e ti morsicheranno
una gamba. Non ho avuto alcuna denuncia per negligenza, io, no?
Ed era vero: non ne aveva mai avute. Un po’ alla volta lei comprese chi avesse
sposato: non un uomo con una vocazione, ma un eccellente tecnico, un meccanico
specializzato senza amore per le macchine su cui lavorava.
I bambini crebbero. Andarono all’università, poi si sposarono, ma anche allora lei
non fu capace di lasciarlo. Si dedicò a diverse cause: salvare questo, salvare quello,
salvare balene e testuggini e inutili uccelli. Queste cose lo mandavano su tutte le furie
e derideva in pubblico gli interessi di lei, mentre in privato le teneva lezioni sulla
sopravvivenza del più forte. Lei allora tentò con la religione, col risultato di renderlo
ancor più furioso, suscitandogli un disprezzo freddo e feroce, che non riusciva a
combattere: era sempre stata una donna tenera, dolce, devota e remissiva.
Quando fu diagnosticata la sua ultima malattia, dolorosa e prolungata, e le fu detta

Commissario Richard



Italia, 1936 / Ezio D'Errico

A capo della seconda brigata mobile della Sureté parigina, il commissario Emilio Richard è un vecchio funzionario richiamato in servizio.
È grande e grosso, calvo e con le sopracciglia cespugliose. Vive in un appartamentino piccolo borghese con la sorella Genoveffa, ansiosa e protettiva, e dalla finestra del suo ufficio al Quai des Orfèvres, ingombro di oggetti inutili, si vede un pezzo di una torre di Notre-Dame.



Onesto, cocciuto ed estremamente ligio al proprio dovere, oltre che molto fiducioso nella giustizia umana, il commissario Richard ha grandi doti di umanità e riesce sempre a immedesimarsi nei pensieri e nei sentimenti della vittima e del colpevole.
«Il mio metodo - spiega una volta al suo giovane nipote - è un modo di intendere la vita e gli uomini... credi, si tratta sempre di comprensione e di umanità. Io mi
affeziono al mio personaggio come un amatore di antichità si affeziona al pezzo di scavo che le sue mani delicate e robuste liberano dalle macerie della città seppellita da millenni sotto la cenere del vulcano ... ci vuole pazienza, tenacia, amore... una mossa falsa e la statua va in briciole. Oh ... badiamo bene di non andare a ripetere in giro queste cose, se no mi pigliano per un pazzo... ».



Nel personaggio del commissario Richard, che non crede ai metodi della polizia scientifica, c'è molto del commissario Maigret di Georges Simenon, che dal 1934 aveva abbandonato il suo popolare personaggio per dedicarsi a lavori più impegnativi, riprendendo le sue avventure soltanto all'inizio degli anni Quaranta. l romanzi con il commissario Richard sono stati pubblicati da Mondadori.

 

giovedì 26 giugno 2025

URANIA n.42 - Jhon W. Campbell Jr.: L'atomo infinito



Ritorna Aarn Munro, il gioviano dalla mente sovrumana, che i lettori hanno imparato ad ammirare nel romanzo Avventura nell'Iperspazio pubblicato in questa collezione. Questa volta Aarn Munro combatte contro il popolo dei Centauri: i Centauri mitologici dell'antica Grecia, i quali dopo millenni, riscoprono, attraverso un diario lasciato dal Centauro Chirone, loro avo, che esiste un sistema solare di cui fa parte un verde pianeta meraviglioso: la Terra. I Centauri che non possono più vivere sui pianeti del loro remoto sistema, cercano di conquistare la Terra. Ma sulla Terra c'è Aarn Munro, il geniale Aarn Munro. Questo romanzo narra l'epopea della guerra di Aarn Munro contro il civilissimo, progredito popolo dei Centauri. E, inseguendoli, Aarn scopre l'Universo Azzurro e lo stesso segreto della vita, l'atomo da cui si sprigiona l'immensa energia che forma l'intero universo: una stella microscopica, un'ardente massa di fuoco, le cui radiazioni sconvolgono ogni legge fisica nota, ogni concezione umana... L'atomo infinito è l'arma invincibile che rende inutile qualsiasi guerra e porta infine la pace fra i popoli dei Centauri e quello del nostro sistema solare. E' un romanzo meraviglioso, che insegna la poesia dell'infinito.

 

mercoledì 25 giugno 2025

Ada Gentile

 


Ada Gentile, pianista, compositrice e musicista italiana, è nata ad Avezzano, in Abruzzo, il 26 luglio 1947, ha frequentato il conservatorio di musica di Santa Cecilia a Roma, ottenendo il diploma in pianoforte e composizione sotto la guida di Irma Ravinale. Ha proseguito gli studi presso l'accademia nazionale di Santa Cecilia laureandosi con Goffredo Petrassi.

Dal 1986 al 1989 ha ricoperto la carica di direttore artistico dell'orchestra da camera Goffredo Petrassi, dal 1993 al 1997 ha fatto parte del consiglio di amministrazione della Biennale di Venezia, dal 1996 al 1999 ha diretto il teatro lirico di Ascoli Piceno. Dal 1978 è direttore artistico del festival di musica contemporanea Nuovi Spazi Musicali che si è svolto a Roma per 33 anni in sedi prestigiose.

Le sue opere  sono state eseguite in teatri lirici, sale da concerto e scuole musicali di livello internazionale.

Nel 2000 il Vaticano ha commissionato ad Ada Gentile un’opera per coro, orchestra e voce recitante (“Cantata per la pace”) che è stata eseguita in prima mondiale a Roma, alla Basilica S. Maria degli Angeli, il 30 Dicembre 2000, in chiusura dei “Concerti per il grande Giubileo”, con la voce recitante di Arnoldo Foà. 

Nel video live di questa opera la voce recitante è quella di Alessandro Quasimodo. 
Si tratta di Tre episodi per voce femminile, voce recitante, coro ed orchestra, su testi di Salvatore Quasimodo e Ivana Manni.
Orchestra giovanile di Roma, direttore Vincenzo Di Benedetto.
Coro "Ars Nova" di Roma, Maestro: Valentina Rivis
"Corale Domenico Stella"
"Coro Città di Piero di Sansepolcro
Maestri: Paolo Fiorucci e Bruno Sannai


martedì 24 giugno 2025

Matt Taylor - Vacanze separate, 1954









 

MONDADORI n.42 - Arturo Lanocita: Quaranta milioni

 


Sul Lago di Carezza, in uno di quegli enormi alberghi di lusso che, negli anni tra le due guerre, erano approdo dell’élite internazionale, tra le ombre cupe dei boschi e il dantesco panorama dolomitico, in piena stagione estiva avviene un delitto sensazionale quanto misterioso. Una ragazza è trovata uccisa da una stilettata inferta da mano ignota. E qualche attimo dopo il macabro rinvenimento, il corpo scompare senza lasciare traccia. Un mistero che sembra insolubile agli atterriti ospiti dell’albergo e anche alla polizia, subito accorsa sul luogo da Bolzano. Le ipotesi più bizzarre e più illogiche vengono formulate nell’ansia di scoprire un filo indicatore. Tutta la zona altoatesina, dal Lago di Carezza a Vipiteno, sino a Cortina, a Tarvisio, a Dobbiaco, e anche in Austria, a Graz, viene perlustrata senza che il minimo elemento concreto aiuti a risolvere l’enigma, a risalire alle ragioni che possono aver armato la mano omicida. Forse, esiste solo una via da seguire: un’astronomica somma di denaro.


lunedì 23 giugno 2025

Jerome L. Johnson: Poliziotto fino in fondo



Era una calda, dolciastra giornata di primavera, a Minneapolis. Fermo in un vicolo, a due passi da Lake Street, fissavo i resti di Bill Fischer, che era stato mio amico, mio collega, nonché un ottimo poliziotto. Giaceva supino, tra sgangherati bidoni per la spazzatura, e sul suo petto largo si raggrumavano due grosse macchie di sangue.
Anche più tragica da guardare era la sua faccia. Un lungo taglio correva lungo il collo, partendo dall’orecchio sinistro, mentre un altro, più breve, andava dall’angolo destro della bocca fino al mento. Il sangue si era sparso e raggrumato anche sul volto.
Il capitano Benson era fermo accanto a me. — Dio, — mormorò, — è orribile. Nessuna idea, O’Hara?
— Nessuna. Niente testimoni, niente indizi.
— E il coltello?
— Non l’abbiamo trovato. — M’inginocchiai ed esaminai la mano destra di Bill. — Questa mano presenta delle escoriazioni, capitano. Sembra che Bill sia riuscito a mandare a segno qualche sventola.
Lui si schiarì la gola. — Lo dici tu alla sua famiglia, o debbo farlo io?
— Lo farò io, — dissi. — Andrò prima di tutto alla scuola, a parlare con Billy.
Andai in macchina fino al Liceo Jefferson, uno di quegli istituti scolastici nuovi che sorgono un po’ fuori città, sparpagliati attraverso il verde, con tanto spazio per le attrezzatura sportive e i parcheggi. Lasciai la macchina all’altezza della fermata dell’autobus, percorsi un tratto a piedi ed entrai nell’edificio principale. Bill Fischer junior insegnava scienze sociali, al Jefferson, ed era anche allenatore della squadra di rugby. Tutti lo chiamavano amichevolmente Billy, per distinguerlo dal padre.
Sedemmo l’uno di fronte all’altro, nell’ufficio personale del preside, che il signor Beach ci aveva messo gentilmente a disposizione, allontanandosi subito dopo per andare in cerca di un supplente.
Ci si aspetta della forza d’animo, da un pezzo d’uomo come Billy, e infatti lui ne dimostrava molta. Era pallidissimo ed evidentemente stravolto dal dolore, ma restava padrone dei suoi nervi. Volle sapere tutti i particolari.
— Stamattina non si era fatto vivo. Non aveva telefonato, non aveva lasciato alcun messaggio. Poi, verso le dieci, un’unità di pattuglia l’ha trovato in quella stradina. — Gli descrissi le due ferite da coltello che il padre aveva nel petto.
Si lisciò il mento. — Nient’altro?
Esitai, e alla fine gli parlai di quei due orrendi tagli al collo e alla faccia. Lo spettacolo, in sé, era stato orribile; ancora più orribile era descriverlo. Gli mostrai il

sabato 21 giugno 2025

Pierino




Pierino, in Italia, è un personaggio tradizionale legato alla comicità e, più specificamente, alle "barzellette di Pierino". È spesso associato a uno spilungone furbo, pasticcione e che pone domande ingenue e spropositate, spesso con doppi sensi, a situazioni e personaggi "adulti". Il personaggio è ispirato al fumetto creato da Antonio Rubino negli anni '10 del XX secolo e pubblicato sul Corriere dei Piccoli.

Pierino è un altro dei tanti personaggi che Rubino inventò, quasi che le idee gli venissero in mente per continue combinazioni, come con le figure geometriche dei suoi disegni. Anche in questo caso si racconta di un mondo assurdo: Pierino vorrebbe sbarazzarsi per sempre di un pupazzo che non sopporta; lo butta in mare, fuori dalla finestra, nel camino, lo sotterra in un campo, lo lega alla coda di un gatto randagio, ma sempre, per una serie di concomitanze, il pupazzo viene riportato a casa e restituito al proprietario. Sembra quasi che il pupazzo abbia vita propria e si diverta a torturarle Pierino. 

venerdì 20 giugno 2025

Phyllis MacLennan: Conversione religiosa



Murdoch McMurdoch aprì il boccaporto e non credette ai suoi occhi. Invece del
chiassoso ed affaccendato spazioporto che aveva tutti i motivi di aspettarsi, vide una
scura e silenziosa foresta primordiale, avvolta nella foschia. Richiuse il boccaporto
con un colpo e si girò di scatto verso il computer.
— Questo non è Caritas — accusò indignato.
— Non ho detto che lo fosse — ribatté il computer. La sua monotona voce metallica
riuscì ad esprimere una vena di malumore. — Non è colpa mia se non sai leggere.
— Come, non so leggere! — Raccolse il suo diario, lo sfogliò rapidamente finché
trovò un foglio di carta con una lunga lista di numeri, e li lesse velocemente, trionfante.
— Ed è qui che siamo: sul pianeta di tipo Terra, più vicino a quelle coordinate —
disse il computer.
Murdoch deglutì.
— Li ho forse copiati male?
Il computer rispose: — Sì. — Non aggiunse, come avrebbe fatto certamente il suo
superiore alla Missione PanGalattica della Fratellanza di tutti gli Esseri Senzienti,
che sarebbe stata una sorpresa se lui li avesse copiati bene.
— Oh, no! Non di nuovo! — gemette Murdoch. — Sono stato così attento! — Ma
nonostante tutta la sua attenzione sbagliava quasi sempre, e questa volta l’aveva fatta
proprio bella. Era riuscito a smarrire non solo se stesso (poca cosa), ma una grande
astronave costosa, piena di materiale didattico per la Missione su Caritas. Se il
Quartier Generale l’avesse saputo! Ma forse non l’avrebbero scoperto se non fosse
stato costretto a tornare a Zolta per ricontrollare le coordinate.
— Puoi progettare da qui un viaggio fino a Caritas? — chiese con ansia al computer,
la faccia, di solito rosata, ora pallida per la preoccupazione.
— Sì. Ci vorranno circa tre ore per esaminare le carte stellari di questa zona, per
identificare la nostra posizione...
— Bene. Fallo — interruppe lui, risollevato. Si sarebbe preoccupato di Caritas al
suo arrivo. Nel frattempo, sapere che non avrebbe dovuto affrontare Padre Bordelas
era una consolazione sufficiente. Avanzò verso il visore d’osservazione e contemplò
il panorama Giurassico. Dopo un mese nello spazio, sarebbe stato bello fare una
passeggiata sulla terraferma, benché lo scenario fosse un po’ torvo: felceti paludosi,
primitivi e giganteschi, gimnosperme sconosciute, e rampicanti che salivano tra di
essi come serpenti... là fuori ci sarebbe potuto essere qualunque cosa.
— Paese di dinosauri — disse a se stesso, ridacchiando, affascinato dalla sua
vivace immaginazione, perché pensò di aver visto tre creature simili che avanzavano
lentamente verso la nave.
— Dinosauri?
Premette la faccia contro lo schermo.
Non se li era immaginati. Erano proprio là, sembravano fratelli minori del
Tyrannosaurus Rex: grandi quasi quanto lui, grigi, simili a lucertole, con un numero
impressionante di denti ben visibili mentre parlavano fra di loro, proprio così, e con
gli arti anteriori coperti di pelle avvizzita portavano ceste di foraggio. Nessun dubbio
che fossero creature senzienti. Li guardò con aria intenta, mentre il suo zelo
missionario saliva a galla. Pensò di uscire ad incontrarli, per dir loro qualche parola
sulla Fratellanza,.. forse avrebbe potuto persino convertirne uno. La bellezza di
quest’idea lo rapì. Si immaginò di fronte a un pubblico di lucertole affascinate,
mentre conquistava i loro cuori con la sua eloquenza ispirata; giungendo poi a
Caritas, con molto ritardo e grande spreco di carburante, è vero, ma portando con sé il
tesoro inestimabile di un nuovo intero pianeta risvegliato alla Fede.
Allora non sarebbero stati certo duri con lui. Fino a quel momento non gli avevano

Riccardo Finzi



Italia, 1978 / Luciano Secchi

Arrivato a Milano dalla provincia lombarda forte del suo diploma di investigatore privato ottenuto per corrispondenza seguendo i corsi della scuola Volontà & Abnegazione, Riccardo Finzi ha aperto un 'agenzia investigativa all'ultimo piano
di via dei Franchi 3 bis. 



Nonostante non ispiri poi una grande fiducia né ai suoi collaboratori né ai possibili
clienti, soprattutto per il suo comportamento e i suoi metodi un po' eccentrici, è uno che si dà da fare e che si butta a capofitto nei casi che gli sono di volta in volta affidati, risolvendoli sempre brillantemente, in un modo o nell'altro. Tanto che
dopo essersi scontrato nella sua prima avventura con il commissario Salimbeni, della questura centrale, stringe con lui un rapporto d'amicizia cementato anche dalla stima e dal reciproco rispetto.



Dopo aver chiarito il mistero dell'uccisione in Brianza di una ragazza della buona società, che la polizia non riusciva a risolvere, questo simpatico e un po' strampalato personaggio si è imbattuto in diversi altri casi intricati, sempre risolti grazie alla collaborazione di un ex appuntato dei carabinieri, ora in pensione,
Giuseppe Marchini, detto Ciammarica, e della signora Pina Parenti, una vedova di mezza età che abita al piano di sotto dell'investigatore privato, per il quale cucina
e tiene in ordine la casa-ufficio.


Questo personaggio è stato portato sullo schermo nel 1979 nel film Agenzia Riccardo Finzi, praticamente detective, diretto da Bruno Corbucci e interpretato da Renato Pozzetto, che ha reso alla perfezione il personaggio del volenteroso investigatore.



Le avventure di Riccardo Finzi sono state pubblicate dall'Editoriale Corno e riproposte, alla fine degli anni Ottanta, dalla Max Bunker Press, la casa editrice fondata e diretta da Luciano Secchi. 


 

giovedì 19 giugno 2025

URANIA n.41 - L. R. Johannis: C'era Una Volta Un Pianeta...



Tra l'orbita di Marte e quella di Giove, a una distanza media dal Sole di 450 milioni di chilometri gravitano, in ampia triplice fascia, i cosiddetti pianetini, o asteroidi. Con dimensioni che vanno da poche decine di metri di diametro a massimi - come ad esempio Cerere e Vesta - di sei o settecento chilometri, gli asteroidi sono numerosissimi. Si calcola che possano arrivare fino a 50.000, vera polvere di mondi, ciottoli del cielo, dalla misteriosa origine. Quale, infatti, l'origine di questo sciame di frammenti di roccia, gravitante esattamente là dove, secondo le leggi della dinamica celeste, dovrebbe trovarsi un pianeta di massa equivalente almeno a quella terrestre? Molte sono le ipotesi avanzate dalla scienza per spiegare questo enigma cosmico. Si, c'era una volta un pianeta tra Marte e Giove, gravitante lungo l'orbita attualmente occupata dallo sciame di pianetini... Ma che fine ha fatto? Scoppiò, forse, per essersi avvicinato troppo al quel colosso dall'enorme forza gravitazionale ch'è Giove? O, come acutamente immagina L. R. Johannis, popolato in epoche remotissime da una razza intelligente ed evoluta, esplose per avere troppo usato dell'energia nucleare, del cui segreto era giunto in possesso? Rapporti strettissimi legarono il pianeta suicida al suo vicino Marte e alla lontana Terra, priva ancora di vita intelligente; e una grande emigrazione cosmica ebbe inizio... Ma leggiamo questo straordinario romanzo, dove fantasia, scienza, fervida narrativa si fondono a creare un autentico scritto di poesia cosmica.

 

mercoledì 18 giugno 2025

Rosalina Abejo


Rosalina Abejo (Tagoloan, Misamis orientale, 13 luglio 1922; Fresno, California, 5 giugno 1991) è stata una suora, compositrice, direttrice d'orchestra e insegnante di musica filippina.
Nacque da Pedro Abejo y Villegas e Beatriz Zamarro y Madronal, persone piuttosto in vista nella loro città e strettamente imparentate con i proprietari di un'orchestra. La piccola crebbe quindi in un ambiente di famiglia intriso di musica e ricevette i primi insegnamenti dalla zia Suor Rosario Madroñal.
Dopo aver conseguito il diploma di insegnante elementare, sentendo la vocazione fin da bambina, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale si unì alla Congregazione delle Religiose della Vergine Maria. Durante il noviziato, fu organista, pianista, e responsabile del coro del monastero, cominciò a scrivere canzoni e diede lezioni di pianoforte alle consorelle e ad alcuni principianti.

Ottenne nel 1949 il diploma di pianoforte presso la Scuola di Musica del Collegio Santa Scolastica e nel 1957, dopo aver completato il suo baccalaureato in musica, acquisì un master di specializzazione nella composizione, presso la Università filippina femminile (PWU). Per la sua laurea si tenne un recital dove furono eseguite sue composizioni dalla Pilipino Youth Symphony Orchestra diretta dal professor Luis Valencia con le stelle nazionali della lirica Aurelio Estanislao e Fides Cuyugan e la pianista Carmencita Lozada. Per affinare ulteriormente il suo talento musicale, proseguì gli studi negli Stati Uniti e in Europa dal 1962 al 1964.

Tuttavia in questi anni non si limitò alla personale formazione musicale, ma, rispondendo alla propria vocazione religiosa, cercò di apprendere dall'Occidente i metodi e le tecniche più moderne per trattare con persone fisicamente e mentalmente disabili. Perciò ella non solo prese lezioni di musicoterapia presso l'Università del Kansas alla scuola di Gaston Thayer, ma anche fece stage e periodi di assistenza in varie istituzioni statunitensi specializzate nel settore, tra cui la Clinica Meninger, la Fondazione Copper per i Ritardati e i Malformati e la Fondazione medica degli alcolizzati, tossicodipendenti e malati di mente.

Nel 1978 emigrò negli Stati Uniti, dove si unì alle Suore internazionali statunitensi per la comunità cristiana e divenne il capo del dipartimento musicale del seminario Pio X del Kentucky. Nel paese americano continuò la sua opera di "apostolato musicale" e di composizione. 
Morì il 5 giugno 1991; è sepolta all'Irvington Memorial Cemetery di Fremont, California.


"The Guerrilla Symphony" ritrae debolmente in suoni musicali la vita eroica condotta dai filippini durante gli anni angoscianti della Seconda Guerra Mondiale.
In compagnia di soldati poco preparati ma coraggiosi, molti filippini vagavano montagne foreste sconosciute, escogitando strategie per resistere ad assalti inaspettati.
Pur combattendo una gara senza speranza, rimasero imperterriti. Umiliati dalla sconfitta, sopportarono con ammirevole dignità l'oppressione e le atrocità del nemico. Fedeli fino alla fine e fiduciosi in giorni migliori, guardarono qualunque raggio di speranza fosse visibile fino ai dolci giorni della liberazione.

Un'atmosfera molto pacifica inizia la composizione con gli archi che entrano tremante in toni sommessi per consentire ad un tema suggestivo, "Bahay Kubo", di emergere dal corno. Uccelli cinguettanti si uniscono al quintetto mentre le onde si agitano, si precipitano ed echeggiano nell'arpeggio dell'arpa.

All'improvviso gli aerei ruggiscono! Le bombe esplodono! I tamburi ovattati suggeriscono l'avvicinarsi del nemico. Risuonano i sonagli delle mitragliatrici. Gli ottoni intonano il tema dello Star Spangled Banner mentre i legni rispondono con il tema dell'inno nazionale filippino. I temi frammentari si rincorrono correndo quasi con costernazione. Si sentono bombardamenti. Esplosioni!
Il nemico alla fine vince. Il Kamigayo è intonato dal fagotto affiancato dai fiati e dagli ottoni. È l'era dell'Occupazione. Dolore, sofferenza e oppressione riempiono l'atmosfera mentre i violini cantano melodie piene di pathos.

Atterraggio a Leyte! Finalmente la liberazione! Un'aria Balitaw suggerisce il ripristino della vita gioiosa e pacifica della gente. L'intera orchestra intona maestosamente un frammento dell'inno nazionale filippino mentre si avvicina a un climax improvviso. Così si chiude la sinfonia in un solo movimento.
 

martedì 17 giugno 2025

Josep Pla - Confidenze del signor Salvat, 1932











 

MONDADORI n.41 - Edgar Wallace: I tre giusti




Quando una ragazza in cerca d'impiego legge sul giornale un'offerta di lavoro che sembra tagliata su misura per lei, è ovvio che cerchi di non farsela sfuggire. Tanto più se, come è il caso per Mirabelle Leicester, il compenso è interessante. Tanto interessante da nascondere una trappola. Fortunatamente ci sono i tre Giusti, George Manfred, Leon Gonsalez e Raymond Poiccart e, con alleati del genere, anche le situazioni più pericolose possono risolversi per il meglio, perfino quando si ha a che fare con un misterioso mamba che lascia dietro di sé una scia di morti avvelenati.
 

lunedì 16 giugno 2025

Henry Slesar: Esperto in memoria



Olin Mearns sedeva da solo nell’aula improvvisata sopra il ristorante “El Greco” e si teneva il volto tra le mani. Sapeva che non avrebbe mai dimenticato quella giornata, ma ciò non era insolito. La sua professione era quella di ricordare le cose e di addestrare gli altri in questa pratica. Era un insegnante di Memoria. E ai bei tempi la sua classe, nel Britt Buildings nella Quarantaduesima strada, contava dai venti ai trenta studenti al semestre. Dopo dieci minuti dall’inizio del corso era in grado di dare un nome a ogni volto, impresa che non finiva mai di colpire i suoi allievi.
Naturalmente la cosa gli riusciva molto più facile ora, dato che in classe non aveva mai più di cinque o sei studenti, una triste realtà che l’aveva costretto a lasciare l’indirizzo sulla Quarantaduesima strada per un alloggio più piccolo sopra il ristorante “El Greco”, in centro dove la cosa più notevole del suo corso era l’odore di olio di oliva bollente. Uno dei suoi pochi studenti era stata Penelope Walz, che era la causa della sua attuale infelicità. Aveva compiuto proprio quel giorno 24 anni, e aveva un volto che Olin non riusciva a dimenticare, anche se ci si provava a una bella figura, anche se un tantino rigogliosa. Inoltre aveva un cervello simile a un colino.
Era stata quell’ultima caratteristica a interessare Penelope al piccolo annuncio pubblicitario che Olin faceva uscire regolarmente sul Daily News:
Non dimenticate mai un volto! Non dimenticate mai un nome! Non dimenticate mai un fatto che potrebbe essere essenziale per il vostro lavoro e per il vostro successo! In solo quattro brevi settimane Olin Mearns, laureato in filosofia, vi aiuterà a sviluppare una memoria perfetta.
Proprio quella mattina a Penelope la memoria imperfetta era costata per la quarta volta in quell’anno l’impiego di segretaria. Lavorava per un avvocato di nome Nerdlinger, ma raramente ricordava il suo nome. Quel giorno il signor Nerdlinger in persona era entrato in ufficio e Penelope aveva detto: — In che cosa posso esservi utile? — Era in quell’ufficio da quattro mesi. Quando se n’era andata si era persino scordata di prendere lo stipendio.
La verità è che Olin era riuscito a fare ben poco per le capacità mnemoniche di Penelope. Il loro incontro era memorabile per una ragione diversa: Olin si era innamorato appassionatamente e senza speranza per la prima volta nei suoi quarantanove anni di vita. Penelope ne era stata piuttosto compiaciuta da 
corrispondergli nonostante la differenza di età, la modestia del fisico di Olin e il fatto che i suoi capelli fossero solo un ricordo. Era il cervello che l’aveva colpito, quel vasto magazzino di fatti, situato sotto la sua calvizie.
Ma quel pomeriggio, quando era arrivato con il regalo di compleanno per lei, nell’atteggiamento di Penelope c’era qualcosa di assai diverso dal solito.
— Che cos’hai tesoro? — le aveva chiesto Olin. — Non ti piacciono le rose?
— Mezza dozzina — aveva detto Penelope in tono acido. — Pensa, portare a qualcuno una mezza dozzina di rose!
— Tesoro, ti ho detto che devo tagliare le spese.
— Tu devi tagliare le spese! — aveva esclamato Penelope. — E io? Sai che mi aumentano l’affitto di questo appartamento di trenta dollari al mese? Sai quanto denaro devo al droghiere? E il prestito che dovevi farmi?
Olin aveva deglutito faticosamente rimpiangendo che vi fossero cose che Penelope non dimenticava.
— Tesoro, sai come sono andati male gli affari in questi ultimi tempi. Questo trimestre non ho ancora fatto alcuna nuova iscrizione...
— E l’anello che dovevi comperarmi? — lo aveva accusato lei. — Che cosa ne è stato di quello? Davvero, Olin, per essere un insegnante di memoria a volte tu di memoria ne hai molto poca!
— Tesoro, sto aspettando che le cose si mettano meglio. È un problema economico,

sabato 14 giugno 2025

I Ronfi






I Ronfi sono un gruppo di personaggi immaginari protagonisti di una omonima serie a fumetti realizzata da Adriano Carnevali dal 1981 al 1995 e pubblicata sul Corriere dei Piccoli.

I personaggi sono piccoli roditori antropomorfi con enormi orecchie pendenti, dal carattere pigro e presuntuoso.

venerdì 13 giugno 2025

Craig Strete: Madre di stoffa, cuore di orologio



La mia intenzione era di ucciderlo, ma non avevo idea che l’avrei fatto veramente.
Mi sono meravigliato di me stesso. Ma a volte perdo il controllo, credo. Ammattisco,
spacco le cose, rompo le finestre, getto escrementi d’animale contro la gente della
domenica. Matto, ecco cosa pensano che sia. Ma non m’importa cosa pensano, m’importa
solo che mi uccideranno. Di questo m’importa.
M’importa questo fatto, che mi uccideranno. Non importerebbe a tutti? Provate a
chiedere a chiunque stia in queste gabbie: tutti vi diranno la stessa cosa. A nessuno
piace essere ucciso. Tranne forse ai serpenti. A volte mi chiedo se i serpenti sappiano
quando sono vivi e quando no. I serpenti sono creature indifferenti.
Forse sarebbe meglio che mi uccidessero. E questa volta spero che facciano le cose
per bene. Non ho più voglia di sopportare ancora tutto. Sono stanco di stare qui su
questa paglia sporca alla mercé della gastrite del guardiano. Pasti regolari? Direi di
no. Una volta era Braddock il mio guardiano, e allora la gente mi voleva bene. Mi
davano da mangiare al minuto spaccato, e io ero tutto lustro e coccolato. La gente
veniva per me, allora. Ero un figurino, allora. Sissignore, proprio così.
Ma adesso, da quando hanno trovato il corpo di Braddock parzialmente divorato,
con gli intestini di fuori, come segatura uscita da una bambola di pezza, noi animali
dobbiamo accontentarci di quello che ci danno, che non è molto. Il nuovo guardiano
dev’essere un demente, da come beve e tutto il resto, e quando ha lo stomaco in
subbuglio credete che ci dia da mangiare? Neanche per sogno.
Le cose hanno preso una brutta piega da quando ho ucciso quell’uomo. Una volta
stavo nella stessa gabbia di Flippy e Jumpo, ma adesso sono solo. Forse sono soltanto
troppo vecchio. Ecco una delle cose cui andiamo soggetti: diventare troppo vecchi. I
muscoli s’induriscono e perdiamo la memoria. Capita che una settimana ascoltiamo
gli «oh!» e gli «ah!» dei bambini che ci guardano, e che la settimana dopo non si riesca
nemmeno a ricordare una sola delle acrobazie, e il pelo comincia a cadere. Così
vanno le cose.
Quando ero giovane, invece, mi volevano bene. Non ricordo mia madre. Loro la
portarono via e mi diedero questa cosa di stoffa con un orologio dentro. Naturalmente
non era lo stesso che avere una madre, però serviva allo scopo. Era meglio che non
avere alcun tipo di madre, così la pensavo io. La stoffa era tanto soffice, quasi

Mister Reeder



Gran Bretagna, 1925 / Edgar Wallace

Ex collaboratore di Scotland Yard, John G. Reeder («Un uomo di poco più di cinquant'anni, con un viso lungo, i capelli di un grigio argenteo e un paio di lunghe basette che, per fortuna, distraevano l'attenzione dalle sue grosse orecchie sporgenti») ha poi lavorato per un certo periodo al servizio di un gruppo di banchieri prima di sistemarsi nell'ufficio del pubblico ministero dove, grazie alla sua straordinaria memoria e alla sua "mente criminale", è diventato uno dei maggiori esperti nel risolvere casi di truffa e falsificazione.



Da quando ha esordito nel romanzo The mind of Mr J.G. Reeder (1925), questo personaggio si è raramente separato da un grande ombrello nero, anche se c'è il sole, dato che nel manico è nascosta una affilatissima lama di coltello. Porta
sempre con sé anche un revolver ben oliato in una tasca interna. 
Preciso e pignolo tanto da risultare antipatico, questo personaggio sembra incapace di provare emozioni e non s'è mai innamorato. «L'amore è un'esperienza meravigliosa - dirà una volta a un poliziotto. - Ne ho letto spesso».



Questo personaggio è stato interpretato da Gibb McLaughlin in un film del 1938, Mr Reeder in room 13, e da Hugh Burden in una serie di telefilm inglesi trasmessi anche dalla televisione italiana nel 1977. 


giovedì 12 giugno 2025

URANIA n.40 - John W. Campbell Jr.: Avventura nell'iperspazio



W. Campbell Jr., l'autore di queste straordinarie avventure di fantascienza, è già noto al lettore di Urania per il suo romanzo "Martirio Lunare". E' laureato in fisica nucleare e le scoperte, le invenzioni del protagonista, Aarn Munro sono tutte scientificamente, anche se soltanto teoricamente, credibili. Aarn Munro, il protagonista, è nato su Giove, da pionieri colonizzatori. Un giorno, provando un'astronave potentissima, si scontra con un asteroide e viene proiettato nell'iperspazio, in un universo tetradimensionale, dove conosce altri mondi e altre civiltà. I lettori seguiranno Aarn Munro nelle sue meravigliose avventure, conosceranno con lui l'infelice popolo di Myrya, costretto ad immergersi in un letargo di migliaia di anni quando il proprio pianeta, allontanandosi dal suo sole, si raffredda e si copre di ghiacci; conosceranno i Tornani, discendenti della Terra fatti schiavi dai Seeset, rettili simili a coccodrilli la cui intelligenza e la cui scienza sono pari, se non superiori, a quella degli esseri umani... e impareranno attraverso questo movimentato e meraviglioso racconto la storia dell'universo o per lo meno quale, secondo la nostra scienza, si suppone sia la storia dell'universo, delle stelle e dei loro pianeti, dalla nascita alla morte, ossia dalla loro formazione alla dissoluzione ultima della materia che li compone.
 

mercoledì 11 giugno 2025

Aldemaro Romero Zerpa

 

(Valencia, 12 marzo 1928 – Caracas, 15 settembre 2007)

Romero è stato un compositore venezuelano prolifico e compose una vasta gamma di musica, caraibica, jazz, valzer venezuelano, opere per orchestra, orchestra e solista, coro e orchestra, musica da camera e opere sinfoniche di grandi dimensioni. Iniziò gli studi musicali con il padre, Rafael Romero. Nel 1941 si trasferì a Caracas e si esibì come pianista in saloni e sale da ballo. Nel 1949 si recò in tour a Cuba e quindi a New York. Nel 1952 ritornò a Caracas e vi fondò la sua orchestra da ballo. Nel 1951 firmò un contratto con la RCA Victor per registrare, con una grande orchestra, quello che sarebbe diventato un album di grande successo nella serie "Dinner in ...", con musica popolare latino-americana. Con l'etichetta RCA pubblicò il suo primo LP Dinner in Caracas, con il quale vennero battuti tutti i record di vendite in Sud America fino ad allora. In seguito, registrò numerosi LP in diversi paesi. In Italia realizzò due fra i suoi album più noti: La Onda Màxima (1972) e Onda Nueva Instrumental (1976), con la partecipazione di Pino Presti al basso elettrico e Tullio De Piscopo alla batteria.

Romero è stato il creatore di una nuova forma di musica venezuelana, nota come "Onda Nueva" (onda nuova), derivata dallo joropo e influenzata dalla brasiliana bossa nova. Ha avuto anche un ruolo importante nel campo della musica classica. Nel 1979 Romero fondò l'Orchestra Filarmonica di Caracas, della quale è stato il primo direttore. Ha anche diretto la London Symphony Orchestra, la English Chamber Orchestra, l'Orchestra della Radio / TV rumena e la Royal Philharmonic Orchestra. Era il padre di Aldemaro Romero Jr., biologo famoso negli Stati Uniti e Ruby Romero de Issaev, produttore e direttore marketing per l'Art Balletto della Florida a Miami.

Nel 1969 Romero ricevette il premio per la pace dagli intellettuali sovietici, in occasione del Festival del Cinema di Mosca per la sua colonna sonora per il film epico Simón Bolívar. Ha anche ottenuto il primo premio come compositore e direttore d'orchestra al Maiorca Palms Festival, al Festival Musicale dei Giochi Olimpici in Grecia e nel Festival della canzone latina in Messico. Per il suo intenso lavoro, ha ricevuto numerosi riconoscimenti nel suo paese. Nel 2000 ha ottenuto il Premio Nacional de Musica e nel 2006 la laurea honoris causa presso l'Università di Carabobo, l'Università del Zulia e l'Università degli Studi Lisandro Alvarado di Barquisimeto.

Aldemaro Romero morì a Caracas il 15 settembre 2007, all'età di 79 anni.


Concerto ridente per contrabbasso e orchestra
Il Concerto per contrabbasso e orchestra in sol maggiore di Risueño è il primo concerto per contrabbasso “autentico” che abbia mai eseguito. In una tonalità allegra come il Sol maggiore, il contrabbasso incarna un discorso che parla di amore, speranza, nobiltà e di un amore che apre le braccia al mondo.
Dedicato a Michael Berti, questo concerto è già stato eseguito in anteprima nel nostro Paese dal contrabbassista Joel Novoa, dall'Orchestra Sinfonica Municipale di Caracas e dal maestro R. Saglimbeni. È importante sottolineare che per la sua prima mondiale l'opera è stata completamente modificata sia nelle parti soliste che nell'orchestrazione e nella tonalità proposte da Aldemaro Romero. Le modifiche apportate da J. Novoa nella parte solista, così come nella modifica della tonalità del concerto, ricevettero la necessaria autorizzazione dal compositore mentre era in vita; l'orchestrazione venne modificata con l'aiuto del maestro Saglimbeni. Vale la pena notare che l'accordatura del contrabbasso proposta dal compositore è stata modificata anche dal maestro Joel Novoa.
Il compositore incluse anche una cadenza da suonare a metà del primo movimento, ma non la scrisse. Per questo motivo è stato scritto appositamente per questa occasione dal compositore venezuelano residente in Germania, Efraín Oscher, anch'egli nato a Valencia. 


martedì 10 giugno 2025

Mario Vugliano, La seconda volta che fu imbecille, 1942








MONDADORI n.40 - Freeman Wills Crofts: L'incendio nella brughiera



"L'incendio doveva essere divampato con estrema violenza. Tranne una rimessa, separata dal corpo principale dell'edificio, tutto era stato divorato dalle fiamme. Tetto, pavimenti, scale, finestre e persiane: tutto era scomparso. E in quel rovente ammasso di macerie, fra quelle mura crollanti e annerite, dovevano trovarsi i cadaveri di Simon Averill e di John e Flora Roper! Per Ruth fu un colpo terribile."
E' stato un incidente? La polizia nutre seri dubbi in proposito; quando poi apre la cassaforte e ci trova ciò che non avrebbe dovuto esserci, si convince che qualcuno aveva tutto l'interesse a bruciare la casa nella brughiera. Ma chi? Pieno di colpi di scena, questo caso sarà clamorosamente risolto solo grazie all'abilità dell'ispettore French di Scotland Yard.


lunedì 9 giugno 2025

W.W. Jacobs: Il custode di suo fratello



Anthony Keller, pallido e sconvolto, raggiunse barcollando la piccola anticamera e chiuse silenziosamente dietro di sé la porta dello studio. Solo mezz’ora prima era entrato in quella stanza con Henry Martie, e Martie non ne sarebbe uscito mai più, almeno finché non lo avessero portato fuori.
Tolse l’orologio dal taschino e ve lo rimise, senza guardarlo. Si lasciò cadere su una sedia, cercando di controllare il tremito delle gambe, e si sforzò di pensare. L’orologio oltre la porta chiusa batté nove colpi. Gli restavano dieci ore: dieci ore prima che la donna che si occupava della sua casa venisse al lavoro.
Dieci ore! Sembrava che il cervello si rifiutasse di funzionare. C’erano tante cose da fare, tante cose cui pensare. Dio! Se avesse potuto rivivere gli ultimi dieci minuti... Se solo Martie non avesse detto che la sua visita era improvvisa e che nessuno ne sapeva niente...
Andò nella stanza sul retro, aprì l’armadietto e trangugiò un mezzo bicchiere di whisky liscio. Gli sembrava assurdo che la stanza avesse esattamente lo stesso aspetto di prima. Era sempre la stessa bella stanza, con le acqueforti alle pareti, e il libro che stava leggendo, aperto sul tavolo come lo aveva lasciato quando Martie aveva bussato alla porta. Poteva quasi sentirli adesso, quei colpi...
Trattenne il fiato, con un gemito. Il bicchiere vuoto gli si ruppe in mano. Qualcuno stava bussando alla porta. Per un momento restò immobile, tremando, poi, leccandosi il sangue sulla mano, tolse di mezzo con il piede i frammenti di vetro e si fermò, senza sapere bene che fare. I colpì alla porta si ripeterono, così forti e insistenti che, per un attimo, temette che potessero svegliare quell’orribile cosa, nella stanza accanto. Poi, andò alla porta e l’aprì. Un uomo basso e robusto,

sabato 7 giugno 2025

Bilbolbul




Bilbolbul è un personaggio immaginario protagonista di una omonima serie a fumetti ideata da Attilio Mussino e pubblicata dal 1908 sul Corriere dei Piccoli; è il primo personaggio ricorrente dei fumetti di ideazione italiana a essere pubblicato in Italia.

Il personaggio è un bambino africano che vive piccole avventure surreali e strane nel suo villaggio collocabile nell'Africa orientale, allora al centro della politica coloniale italiana. La caratteristica principale era la peculiare abilità di adeguarsi fisicamente a quello che gli veniva raccontato diventando letteralmente rosso per la vergogna o verde di rabbia o con gli occhi fuori dalle orbite a seguito del fatto che comuni modi di dire come "rosso dalla rabbia" o "avere un buco nello stomaco" nel suo caso diventavano reali fintanto che non veniva aiutato da qualcuno. Queste metafore erano i commenti in rima che comparivano sotto la vignetta in quanto le storie a fumetti dell'epoca, in Italia, venivano realizzate senza nuvolette sostituite da testi in rima che narravano le vicende descritte.

La serie esordì sul primo numero del Corriere dei Piccoli, supplemento del Corriere della Sera, il 27 dicembre 1908 e proseguì nel corso del 1909, per poi riapparire ciclicamente (nel 1913, nel 1922 e infine nel 1933) raggiungendo le 56 tavole.


Attilio Mussino (Torino, 25 gennaio 1878 – Vernante, 16 luglio 1954) è stato un illustratore, fumettista e pittore italiano.

Formatosi presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, già da studente collabora con i giornali satirici «La Luna», «Il fischietto» e «Pasquino». In questi anni porta avanti contemporaneamente sia l’attività pittorica che quella di illustratore, ma è proprio in quest’ultima che raggiunge i risultati migliori. Mussino è senza ombra di dubbio tra i più prolifici illustratori italiani, soprattutto per i libri per bambini e ragazzi.

Nel 1908 nasce il «Corriere dei Piccoli» e nel primo numero Mussino pubblica una tavola a fumetti con la prima storia di Bilbolbul, simpatico e pestifero bambino africano che vive avventure paradossali in un’Africa quasi surreale. La collaborazione con la prima testata a fumetti italiana continua per diversi anni e dalla sua penna nascono numerosi personaggi disegnati sia con tratto umoristico che realistico, come i Cinesini, che risolvono ogni difficoltà grazie ai loro codini, e Sor Spacconi, esploratore in grado di catturare qualunque tipo di animale esotico. Tra il 1910 e il 1911 Mussino crea altri personaggi come Topofino, Toccatutto e Ciabatta che diventano cari ai piccoli lettori del periodico. Sempre per il «Corriere dei piccoli» crea Schizzo, un bambino che rivive in sogno gli avvenimenti, per lo più politici, dell’epoca; l’ispirazione arriva senza dubbio da Wilson McCay creatore di Little Nemo. Dotato di fervida fantasia e anche estremamente prolifico, nel 1911 illustra per l’editore Bemporad un’edizione di Pinocchio. Questa edizione diventa un classico nell’iconografia del burattino e rivela la raffinatezza e l’eleganza del disegno di Mussino, con un’evidente adesione allo stile liberty con le sue cornici e decorazioni floreali. Si tratta sicuramente di una delle edizioni più belle e famose del capolavoro di Collodi. Al popolare burattino l’autore resta legato a lungo, tanto che negli ultimi anni di vita scrive un’autobiografia illustrata intitolata Pinocchio al microfono.

Muore il 16 luglio 1954 a Vernante, in provincia di Cuneo.