venerdì 25 novembre 2022

The Falcon



The Falcon, Stati Uniti, 1940 / Michael Arlen

È una serie d'avventura a sfondo spionistico incentrata sulle avventure dell'agente segreto Mike Waring, conosciuto come The Falcon. Sul piccolo schermo fu trasmessa una serie di 39 episodi, dal 1954 al 1956, dove il protagonista era interpretato da Charles McGraw, favorito dal proprio aspetto vigoroso, dalla voce roca e dai lineamenti marcati che ne fecero un perfetto interprete nel genere noir.


Interpretato sul grande schermo da George Sanders, da Tom Conway e da John Calvert, questo personaggio naturalmente non ha nulla a che fare con l'omonimo ladro gentiluomo creato dallo statunitense Jacques Futrelle nel 1912.


Creato nel 1940 da Michael Arlen (nato nel 1895 in Bulgaria da genitori armeni come Dikran Kuymijan e naturalizzatosi inglese con quel nome), The Falcon è un simpatico avventuriero ironico e disincantato che si guadagna da vivere assumendo incarichi rischiosi e ben retribuiti. Sensibile al fascino femminile - è stato sposato due volte e dimostra un discreto interesse per il gentil sesso - talvolta agisce anche "in proprio", soprattutto se si tratta di cavare dai pasticci qualche bella ragazza.


Ha diversi passaporti (intestati a Gay Falcon, al colonnello Rock, al giornalista Spencer Pott e a nomi altrettanto "improbabili"), ma nessuno conosce il suo vero nome né il suo passato. Lui stesso vi fa cenno solo di tanto in tanto (assicurando di aver fatto anche il cacciatore di balene, l'agente segreto e il ballerino professionista), ma non è detto che si tratti proprio della verità. Anzi, conoscendo la sua ironia, si sarebbe portati a credere che nelle sue parole non c'è proprio nulla di vero.


giovedì 24 novembre 2022

Alla Pavlova


(Vinnycja, 13 luglio 1952)

La famiglia Pavlova si trasferì a Mosca nel 1961 e Alla studiò musica all'Accademia musicale di Gnessin di Mosca. È stata allieva di Armen Shakhbagyan, un compositore di solida reputazione nel 1970, prestando particolare attenzione alle opere di Anna Achmatova, che ha influenzato buona parte della sua produzione musicale fino al 1990.
Dopo essersi diplomata nel 1983, Pavlova si trasferì nella capitale bulgara Sofia, dove lavorò all'Unione dei Compositori Bulgari e all'Opera nazionale bulgara. Tornò a Mosca tre anni dopo.
Dal 1986, Pavlova ha lavorato per il consiglio della Russian Musical Society di Mosca, prima di trasferirsi a New York nel 1990.

Dopo il suo arrivo a New York, Pavlova scrisse per sua figlia Irene una raccolta composta da semplici pezzi per pianoforte ispirati alle fiabe di Hans Christian Andersen. Durante la prima metà del 1990 le sue composizioni si alternavano tra lieder e pezzi minori per pianoforte. Nel 1994, Pavlova compose il suo primo lavoro importante, la Sinfonia nº 1 "Addio Russia", che intende esprimere la malinconia e le sensazioni dolorose provate dalla compositrice nel lasciare il suo paese d'origine. Il lavoro è articolato in un unico movimento, e costituito da un ensemble di due violini, un violoncello, un pianoforte, un flauto, e un ottavino, che è stato eseguito in Russia da solisti dell'Orchestra filarmonica di Mosca appena due giorni dopo la sua apertura.
Pavlova ha atteso per quattro anni a comporre il suo primo lavoro sinfonico, di soli quattro minuti per pianoforte e archi, ispirato dalla morte di Shakhbagyan. Poi tornò a rifugiarsi nei lieder, componendo brani come "Mi manchi... ma lasciami andare" all'inizio di settembre 2001. Come Cristóbal Halffter modificò la sua composizione Adagio in forma di Rondo in seguito agli attacchi terroristici dell'11 settembre; Pavlova è rimasta sconvolta da questi attacchi, in particolare perché ha vissuto molto vicino a ground zero, così decise di ridedicare il brano alla memoria delle vittime.

La sua prima opera sinfonica che seguì l'Elegia, la Sinfonia nº 2 "per il nuovo millennio" (1998), è stato probabilmente il suo lavoro più ambizioso: dopo essere stata riveduta i quattro anni successivi, fu incisa su CD da Vladimir Fedoseev, che in seguito sarebbe diventato uno degli interpreti più rappresentativi di Pavlova in Russia eseguendo e incidendo la sua quarta sinfonia, e contribuendo a rafforzare la reputazione di Pavlova nel suo paese natale. Oltre a consolidare il suo prestigio, la seconda sinfonia rappresenta un importante punto di svolta nella carriera di Pavlova, in quanto nelle opere successive ha abbandonato la musica da camera a favore delle composizioni per grandi orchestre. 

Nel 2000, ha suggellato questo cambiamento di orientamento con la monumentale Sinfonia nº 3; questo lavoro, ispirato ad un monumento di New York a Giovanna d'Arco, si caratterizza per la sua intensa portata espressiva ed è considerato il suo capolavoro. Fedele alla sua politica di revisione, Pavlova ha continuato a modificare questa composizione, aggiungendovi una chitarra quale elemento decorativo.
La messa a punto di questa sinfonia è proseguita nel 2002, anno in cui Pavlova ha composto un secondo concerto, un monologo con violino solista in cui ha nuovamente impiegato un'orchestra d'archi. Pavlova ha elaborato nei due anni successivi la sua prima realizzazione incidentale, quella della danza Sulamith, che porta in scena un racconto di Aleksandr Kuprin di ispirazione biblica, ne deriva una suite sinfonica lunga tre quarti d'ora.


Le più recenti composizioni di Pavlova annoverano una Quinta sinfonia (2006), una Sesta sinfonia (2008) e una Thumbelina Ballet Suite (2008/2009), che sono state pubblicate da Naxos.
La sua musica si ispira ai grandi maestri russi del ventesimo secolo (Prokofiev, Shostakovich, Rachmaninov, ecc.), e ciascuna delle sue opere sembra attraversata dal tema dello sradicamento e dell'esilio. 

martedì 22 novembre 2022

Alice Mary Smith


da sposata Alice Mary Meadows White
(Londra 19 May 1839 – 4 December 1884)

La Smith è nata a Londra, terzo figlio di una famiglia relativamente agiata. Ha mostrato attitudine per la musica fin dai suoi primi anni e ha preso lezioni private da William Sterndale Bennett e George Alexander Macfarren, pubblicando la sua prima canzone nel 1857. Nel novembre 1867, anno del suo matrimonio con un avvocato, Frederick Meadows White, fu eletta Donna Associato professionale della Royal Philharmonic Society. Nel 1884 fu eletta membro onorario della Royal Academy of Music. Lo stesso anno, dopo un periodo di malattia in cui si recò all'estero per cercare di riprendersi, morì di febbre tifoide a Londra.
Tra le sue composizioni da camera ci sono quattro quartetti per pianoforte, tre quartetti d'archi e una sonata per clarinetto (1870). Le sue composizioni orchestrali comprendono sei ouverture da concerto e due sinfonie. La sua prima sinfonia, in do minore, fu scritta all'età di 24 anni ed eseguita dalla Musical Society di Londra nel 1863; la seconda, in la minore, fu scritto per il concorso di Alexandra Palace del 1876, ma non fu mai presentata.
Smith compose due grandi brani per il palcoscenico: un'operetta, Gisela of Rüdesheim per coro, orchestra e solisti, eseguita nel 1865 alla Fitzwilliam Music Society, Cambridge, e The Masque of Pandora (1875), per la quale l'orchestrazione non fu mai completata.

L'opera di Smith comprende una delle più grandi raccolte di musica corale sacra di una compositrice e comprende sei inni, tre cantici (e l'inizio di un quarto), oltre a una breve Cantata Sacra dell'esilio, basata su episodi di Esther di Jean Racine. I suoi inni Chi ha i beni di questo mondo e Dalle acque di Babilonia furono eseguiti in un contesto liturgico a St. Andrew's, Wells Street da Sir Joseph Barnby nel febbraio 1864, rendendoli il primo esempio registrato di musica di una compositrice ad essere utilizzato per il liturgie della Chiesa d'Inghilterra.
Nel 1880 rivolse la sua attenzione alla scrittura di cantate su larga scala, tutte pubblicate da Novello and Co. Questi includevano Ode to the North-East Wind per coro e orchestra, Ode to The Passions (1882), la sua opera più lunga, eseguita all'Hereford Festival in quell'anno, e due cantate per voci maschili negli ultimi due anni della sua vita. Nel suo necrologio, suo marito afferma che stava lavorando a un'ambientazione della poesia The Valley of Remorse di Louisa Sarah Bevington per coro, solisti e orchestra, tuttavia, non esiste alcun manoscritto a sostegno di questa affermazione. Delle sue quaranta canzoni, il suo lavoro più popolare è stato il duetto vocale O che stavamo cantando noi due.
Secondo un necrologio in The Athenaeum del 13 dicembre 1884: "La sua musica è caratterizzata da eleganza e grazia ... potenza ed energia. Le sue forme erano sempre chiare e le sue idee libere da eccentricità; le sue simpatie erano evidentemente per il classico piuttosto che per la scuola romantica".


La Sinfonia in do minore è composta da fiati in coppia, due corni, due trombe, tre tromboni, timpani e archi. È in quattro movimenti:

I. Grave - Allegro ma non troppo - Smith ha usato le sinfonie di Mendelssohn come modelli. Il movimento inizia con un'introduzione malinconica seguita da un aumento del tempo e un ingresso di 4 battute al primo tema suonato dalle viole.
Questo breve motivo in do minore viene passato attraverso le corde prima di essere ampliato. Altri strumenti lo riprendono fino a quando una sezione di transizione fa emergere il secondo tema in mi bemolle maggiore suonato nei primi violini.
Il motivo viene ripetuto e ampliato prima di condurre direttamente a un altro tema ancora, un motivo suonato dai corni e risposto dai legni: questo tema viene anche ampliato e ripetuto fino a quando non conduce direttamente al primo tema che appare brevemente in maggiore fino a quando l'introduzione iniziale del movimento annuncia la ripetizione dell'esposizione. La sezione di sviluppo inizia con il primo tema e Smith subisce molti cambiamenti chiave quando vengono enfatizzati alcuni frammenti del tema. Anche il secondo tema passa attraverso un'elaborazione che è invasa da segmenti del primo tema. Una sezione di transizione porta la ricapitolazione dei temi. Il primo tema ritorna nella coda e porta a un aumento del tempo e alla fine enfatica del movimento.

II. Allegretto amorevole - Il secondo movimento elimina trombe e timpani, in musica simile alle opere per pianoforte del signorile salotto vittoriano. La Smith usa il modificatore di tempo amorevole, un termine usato da Mendelssohn per la musica di un sentimento simile.

III. Allegro ma non troppo - Poco meno mosso - La Smith non usa ripetizioni in questo breve movimento simile a uno scherzo. La qualità della scrittura per i fiati in questo movimento, così come gli altri tre, mostrano che la Smith aveva una buona sensazione per il colore dell'orchestra.

IV. Allegro maestoso - Un rondò con il tema principale in do maggiore. Ci sono fugaci momenti di dramma e circa nel mezzo del movimento un assolo per oboe che ritorna su un tema nel primo movimento. Gli archi entrano e suonano un pizzicato accompagnamento alla sezione cadenzata, c'è una chiusura parziale e ritorna il tema principale. Una coda avvolge il movimento nella buona tradizione mendelssohniana.

La Smith ha continuato a comporre molte altre opere per orchestra, inclusa un'altra Sinfonia in la minore. Nel 1883 fu eletta membro onorario della Royal Academy Of Music, un premio che veniva conferito solo ai compositori più illustri e affermati. Ha continuato a comporre le opere più orchestrali di qualsiasi compositrice inglese nel 19° secolo.
Non era conosciuta solo in Inghilterra, poiché la sua fama era tale che negli Stati Uniti il ​​New York Times pubblicò un lungo necrologio quando morì nel 1884 di febbre tifoide all'età di 45 anni. 

venerdì 18 novembre 2022

Evaristo


Evaristo, Argentina, 1983 / Carlos Sampayo e Francisco Soiano Lopez

Creato dallo sceneggiatore argentino Carlos Sampayo, che nel 1975 aveva dato vita ad Alack Sinner insieme al connazionale José Munoz, Evaristo è un commissario di polizia di Buenos Aires con un fisico alla Nero Wolfe e un passato misterioso alle spalle. Come l'ispettore Maigret di Georges Simenon, è in grado di calarsi fino in fondo nell'atmosfera del delitto e di immedesimarsi nei pensieri e nei sentimenti delle vittime e dei colpevoli.


Non molla mai la sua preda, anche se talvolta la consegna del criminale alla giustizia è del tutto secondaria, e non esita a lasciare libero qualche pesce piccolo se questo può portarlo a qualcosa di più consistente. Questa interessante serie non ha purtroppo avuto successo presso il grande pubblico e la produzione è stata interrotta dopo poco più di una dozzina di avventure.

da fumettologica.it, articolo di Davide Scagni

Una manciata di brevi episodi segnano il percorso, breve ma significativo, di un piccolo grande personaggio della historieta argentina. I sedici racconti di otto-sedici pagine di Evaristo, burbero commissario nella Buenos Aires degli anni Cinquanta, furono pubblicati negli anni Ottanta in Argentina su due riviste, Superhumor e Fierro, e tradotti in Italia sui primi numeri de L’Eternauta prima e su Lanciostory poi.



Gli autori di Evaristo, Carlos Sampayo e Francisco Solano Lopez, due giganti del fumetto sudamericano e non solo, attinsero ai cliché della narrativa noir per portare avanti una riflessione amara sulla realtà argentina a loro contemporanea. Come spesso accadeva nel fumetto argentino, l’uso degli stilemi tipici dell’immaginario (americano) era rovesciato in un’ottica critica e anticolonialista.



Ispirato a un personaggio realmente esistito – un certo Evaristo Meneses, commissario di polizia di Buenos Aires, ritiratosi a vita privata prima che la sua fama venisse intaccata dalla dittatura militare – Evaristo è un character complesso e fuori dagli schemi: generoso ma violento, severo e apprezzato dalla gente, ma anche misantropo, razzista e maschilista. La sua idea di giustizia è stata appresa non dai libri ma dalla strada, e i suoi metodi non convenzionali incarnano un codice morale che spesso contrasta con la legge ufficiale.



Un “uomo delle istituzioni”, insomma, che tuttavia sceglie di non identificarsi mai del tutto nel sistema che rappresenta, preferendo semmai seguire logiche più anarchiche improntate a un lucido e disincantato pragmatismo. In una delle sue storie più riuscite, Terrore in città, Evaristo scopre che due sicari sono arrivati a Buenos Aires per ucciderlo. A complicare le cose, un ragazzo sconosciuto si presenta da lui dicendo di essere suo figlio, ma viene allontanato senza tanti scrupoli. Nel frattempo un leone è fuggito dallo zoo, seminando il panico tra i cittadini: ma il leone non è che un cucciolo incapace di fare del male, confuso e immobilizzato dall’imprevista libertà. Anche Evaristo è un leone spaventato: entrambi sono “esseri persi” e inglobati in un meccanismo più grande di loro. 



Così il lettore di queste storie, come quel leone mansueto, si muove prudentemente per le strade di una Buenos Aires vivace e chiassosa, superbamente illustrata da Francisco Solano Lopez. Il disegnatore argentino fornisce qui, ancor più che su L’Eternauta, una delle sue prove più mature, rappresentando con tratto robusto e dettagliato una città brulicante di automobili e denaro, di bambini picchiati dalla polizia, di zingari e baracche, di vendette che si consumano a distanza di anni, di atti di generosità e di razzismo, di amicizie che si rafforzano o si tradiscono, di volti carichi di stanchezza, di corpi che svelano le loro ferite e cicatrici e che da tempo hanno perso la loro innocenza. Nel bianco e nero di Solano Lopez, dal tratteggio fitto ed espressivo, prende forma una realtà quasi tangibile, che affascina e spaventa.


Dal canto suo, Carlos Sampayo ricorre frequentemente a bruschi sbalzi temporali e improvvisi cambi di scena, senza l’ausilio di didascalie o soluzioni utili a facilitare l’esperienza del lettore. Rallenta la narrazione, ne scardina la linearità, quasi appesantendo lo scorrere degli eventi per esprimerne la complessità, come se volesse costringere il lettore allo stesso sforzo richiesto ai protagonisti per sbrogliare il groviglio di una realtà complicata, di una città, Buenos Aires, (e di un paese, l’Argentina) che si rifiuta di essere domata. Ma in Evaristo di Sampayo e Solano Lopez la rappresentazione del mondo si fa ancora più violenta, ancora più scandalosa: si carica di tensione e di complessità ed esonda in tutta la sua drammaticità politica. Il sedicesimo ed ultimo capitolo del personaggio, Il cerchio atroce delle minacce, è un duro atto d’accusa contro le dittature argentine del Ventesimo Secolo.



Nel suo ultimo episodio, Evaristo si trova per le mani un dossier contenente documenti compromettenti su un complotto civile-militare di dimensioni nazionali. Mentre gli amici e i colleghi intorno a lui vengono uccisi uno dopo l’altro, lui è accusato di corruzione e atti illegali: rassegnato, non può che cedere alla violenza del potere. Così, questa storia chiude definitivamente ogni ulteriore discorso sul personaggio, ne sancisce la sconfitta e lo condanna al silenzio. 
Non c’è più scampo per le anime perse come Evaristo, leone fuggito dalla gabbia rassicurante di un fumetto e ora disperso nella gabbia più grande del mondo reale. Il suo futuro è già scritto nel triste passato dei suoi autori: è la dittatura sanguinaria di Jorge Rafael Videla, quel potere invincibile che riscrive la realtà e fa scomparire le persone. Un potere di fronte al quale anche il fumetto non può più proclamarsi innocente.


giovedì 17 novembre 2022

Louis Charles Bonaventure Alfred Bruneau


(Parigi, 3 marzo 1857 – Parigi, 15 giugno 1934)

Nato a Parigi, Bruneau studiò violoncello da giovane al Conservatorio di Parigi e suonò nell'orchestra Pasdeloup. Ben presto iniziò a comporre, scrivendo una cantata, Geneviève de Paris, ancora giovane. Nel 1884 fu eseguita la sua Ouverture Heroique, seguita dalle sinfonie corali Léda (1884) e La Belle au bois dormant (1886). Nel 1887 produsse la sua prima opera, Kérim.


L'anno successivo Bruneau incontrò Émile Zola, avviando una collaborazione tra i due uomini che durerà due decenni. L'opera Le Rêve di Bruneau del 1891 era basata sull'omonima storia di Zola e negli anni a venire Zola avrebbe fornito il soggetto per molte delle opere di Bruneau, tra cui L'attaque du moulin (1893). Lo stesso Zola scrisse i libretti per le opere Messidor (1897) e L'Ouragan (1901). Altre opere influenzate da Zola includono L'Enfant roi (1905), Naïs Micoulin (1907), Les Quatres journées (1916) e Lazare (prodotta postuma nel 1954). Altre opere liriche di Bruneau contenevano temi di Hans Christian Andersen (Le Jardin du Paris nel 1923) e Victor Hugo (Angelo, tyran de Padoue nel 1928). Le opere orchestrali di Bruneau mostrano l'influenza di Wagner. Altre sue opere comprendono il suo Requiem (1888) e due raccolte di canzoni, Lieds de France e Chansons à danser.

Bruneau è stato decorato con la Legion d'onore nel 1895. Morì a Parigi.

martedì 15 novembre 2022

Arnold Edward Trevor Bax


(Streatham 8 novembre 1883 – 3 ottobre 1953)

La sua prolifica produzione comprende musica vocale, opere per coro, brani per musica da camera e opere per pianoforte solo, ma è meglio conosciuto per la sua musica orchestrale; oltre a una serie di poemi sinfonici, scrisse anche sette sinfonie.

Nacque a Streatham, periferia di Londra, nel 1883, da Alfred Ridley Bax (1844–1918) e sua moglie Charlotte Ellen (1860–1940). Di famiglia benestante, fu incoraggiato dai suoi genitori a intraprendere la carriera musicale; a partire dai 13 anni cominciò a comporre le sue prime musiche e frequentò il conservatorio di Hampstead, negli anni '90 dell'Ottocento. Nel settembre del 1900 cominciò a studiare presso la Royal Academy of Music di Londra, dove fu allievo di Frederick Corder e Tobias Matthay. Corder ammirava le opere di Wagner, la cui musica influenzò lo stile di Bax nei suoi primi anni. In seguito osservò che "per una dozzina di anni della mia giovinezza mi sono crogiolato nella musica di Wagner fino all'esclusione quasi totale - fino a quando non sono venuto a conoscenza di Richard Strauss - di qualsiasi altra". Bax studiò privatamente anche le opere di Debussy, la cui musica, come quella di Strauss, all'epoca era disapprovata negli ambienti accademici.

Bax era un ottimo pianista, dotato di talento e di tecnica, ma non aveva alcun desiderio di intraprendere la carriera da solista; grazie al contributo della sua famiglia, di origini benestante, non aveva bisogno di lavorare per percepire un reddito, cosa che gli permetteva di proseguire la carriera musicale nel modo in cui voleva. Dopo aver terminato gli studi, Bax visitò Dresda, dove assistette all'esecuzione di Salome di Strauss e ascoltò per la prima volta la musica di Mahler, che definì "eccentrica, prolissa, confusa, eppure sempre interessante". In questo periodo scoprì la poesia di William Butler Yeats che, dichiarerà in seguito, "sarà per me più importante di qualsiasi musica scritta nei secoli". La poetica di Yeats lo avvicinò anche al folklore celtico, portandolo a scrivere poesie che pubblicherà con lo pseudonimo di Dermot O'Byrne.

Bax visitò la costa occidentale dell'Irlanda nel 1902 e scoprì che "in un momento il Celta dentro di me si è rivelato". La sua prima composizione nata da questa esperienza fu una canzone in dialetto irlandese, The Grand Match. Musicalmente, Bax si allontanò dall'influenza di Wagner e Strauss che caratterizzò il periodo accademico, per lasciarsi ispirare maggiormente dal folklore celtico. Nel 1908 iniziò un ciclo di poemi sinfonici chiamato Eire, descritto dal suo biografo Lewis Foreman come l'inizio dello stile più maturo del compositore. Il primo di questi brani, Into the Twilight, fu eseguito per la prima volta da Thomas Beecham e dalla New Symphony Orchestra nell'aprile 1909 e l'anno successivo, su iniziativa di Elgar, Henry Wood commissionò il secondo poema del ciclo, In the Faëry Hills. L'opera suscitò pareri contrastanti; il Manchester Guardian elogiò il lavoro, soffermandosi sulle sonorità in grado di creare la giusta atmosfera, mentre The Observer trovò l'opera "molto indeterminato e insoddisfacente, ma non difficile da seguire". Il Times evidenziò in alcuni punti il "linguaggio piuttosto di seconda mano", derivato da Wagner e Debussy, sebbene "c'è ancora molto che è del tutto individuale". Una terza opera del ciclo, Roscatha, non fu mai eseguita durante la vita del compositore.


Nel 1910 Bax visitò la Russia; a San Pietroburgo scoprì il balletto e ebbe modo di conoscere la cultura musicale russa, che lo portarono a comporre una sonata per pianoforte, i brani per pianoforte, May Night in the Ukraine e Gopak, e la sonata per violino, dedicata a Natalia Skarginska. Tornato in Inghilterra, nel gennaio 1911 sposò la pianista Elsita Luisa Sobrino. Bax e sua moglie vissero prima a Londra, per poi trasferirsi in Irlanda, prendendo una casa a Rathgar. Ebbero due figli, Dermot (1912–1976) e Maeve Astrid (1913–1987). A Dublino Bax ebbe modo di frequentare i circoli letterari della città.
Negli anni del dopoguerra la fama di Bax crebbe, facendolo diventare una figura importante nel panorama della musica britannica. Le opere che scrisse durante gli anni della guerra furono eseguite in pubblico e iniziò a comporre sinfonie.
La prima sinfonia di Bax fu scritta tra il 1921 e il 1922, e quando fu pubblicata ottenne un grande successo; i critici trovarono il lavoro oscuro e severo, apprezzandone le sonorità. L'opera venne replicata ai Proms per diversi anni dopo la prima esecuzione. La terza sinfonia, completata nel 1929, rimase per qualche tempo tra le opere più popolari del compositore.

Negli anni '30 Bax compose le ultime quattro delle sue sette sinfonie. Scrisse inoltre la popolare Overture to a Picaresque Comedy, del 1930, diverse opere per gruppi da camera, tra cui un nonetto del 1930, un quintetto d'archi del 1933, un ottetto per corno, pianoforte e archi scritto nel 1934, e il suo terzo e ultimo quartetto d'archi del 1936. Il concerto per violoncello, composto nel 1932, venne dedicato a Gaspar Cassadó, che però abbandonò rapidamente l'opera dal suo repertorio.
Visse la sua maturità compositiva all'ombra di compositori come Ralph Vaughan Williams e Edward Elgar e venne considerato come un compositore minore fino alle soglie della seconda guerra mondiale, quando, per opera del direttore Adrian Boult, molte delle sue composizioni vennero eseguite presso il grande pubblico. Gli anni trenta furono i migliori per Bax, che nel 1937, vista la grande popolarità, venne insignito del titolo di Cavaliere Commendatore dell'Ordine Reale Vittoriano.

Dopo l'inizio della seconda guerra mondiale, Bax si trasferì nel Sussex, stabilendosi al White Horse Hotel, Storrington, dove visse per il resto della sua vita. Abbandonò la composizione e completò un libro di memorie sui suoi primi anni, Farewell, My Youth. 
Sebbene tenuto in grande considerazione dai musicisti e dagli intellettuali inglesi della sua epoca, non sfuggì alla depressione e ricorse all'abuso di alcool. Il suo ultimo lavoro, dal titolo "What is it like to be young and fair" è un ciclo di madrigali scritti per l'incoronazione di Elisabetta II.

Bax morì nell'ottobre del 1953 durante una visita a Cork, per insufficienza cardiaca. Fu sepolto nel cimitero di St. Finbarr. 

venerdì 11 novembre 2022

Ellery Queen

 

Ellery Queen, Stati Uniti, 1929 / Ellery Queen

Laureato a Harvard, incredibilmente colto, amante delle citazioni in greco e in latino, collezionista di libri rari, sofisticato e un po' irritante, Ellery Queen è un giovane scrittore di romanzi polizieschi, ma ha lavorato anche per il cinema e durante la Seconda guerra mondiale ha scritto soggetti di film per l'esercito.
Alto, occhialuto, dinoccolato, potenzialmente affascinante, il suo comportamento interpersonale è caratterizzato soprattutto da un certo impaccio e da una certa riservatezza, che possono renderlo davvero adorabile ai lettori, ma anche da una certa petulanza e da un atteggiamento da primo della classe che contribuiscono a renderlo un po' antipatico.


Anche se non possiamo non osservare che con il passare del tempo i suoi atteggiamenti sono cambiati ed egli è diventato meno pedante e più umano. Del resto, come ha notato Marco Polillo, nel corso degli anni questo personaggio ha cambiato anche «modo di vestire, modo di parlare, carattere, addirittura l'aspetto fisico, a testimonianza di un'attenzione particolare posta dai due autori non solo ai mutamenti di gusto del pubblico, ma anche a quelli, più profondi, dovuti alla continua trasformazione ed evoluzione della società e, di conseguenza, della realtà di tutti i giorni».



Figlio di un bonario ispettore della squadra omicidi di New York, che lui chiama "pater" e che puntualmente aiuta nei casi più difficili, Ellery Queen è considerato da molti l'erede spirituale di Sherlock Holmes per la sua mente analitica, e risolve sempre brillantemente i casi di cui si occupa. Sin dal primo titolo della serie - La poltrona n. 30 (The roman hat mystery, 1929) - in molte delle sue avventure gli autori fanno precedere la soluzione da una vera e propria "sfida al lettore", chiamandolo esplicitamente a risolvere l'enigma sulla base delle indicazioni che sono state via via disseminate lungo il racconto.



Rigorosamente confinate entro lo schema del romanzo-enigma, queste prime avventure di Ellery Queen sono peraltro caratterizzate da una coerenza intellettuale e da una lucidità enigmistica davvero esemplari. Dal romanzo-enigma si passa talvolta al romanzo-gioco, proponendo enigmi straordinari e fuori dal comune che, come ha notato Thomas Narcejac, sono sempre concepiti apposta per dare scacco matto al lettore.



La casa delle metamorfosi (Halfway house, 1936) apre una seconda fase nell'opera di Fredric Dannay e Manfred B. Lee, i due autori che si nascondono sotto lo pseudonimo di Ellery Queen, una fase che continuerà fino all'inizio degli anni Sessanta. Il tessuto narrativo si ispessisce, mentre una certa inquietudine serpeggia con insistenza nelle storie, nelle quali il coinvolgimento del giovane Ellery Queen è spesso personale. Le vicende introducono tonalità drammatiche e apparati simbolici che valgono ad allargare sensibilmente lo schema del tradizionale romanzo poliziesco. 


I due autori fanno in questo periodo rifulgere le loro doti, sostanzialmente misconosciute, di una scrittura fertilissima e mordace, ovattata e distesa tanto quanto quella della Christie è altisonante nelle sue escursioni nel terreno dell'introspezione psicologica. Negli anni Sessanta le avventure del giovane scrittore-detective torneranno sulla falsariga del romanzo-enigma: nella
vicenda il problema iniziale nasce spesso dalla necessità di decifrare un elemento-chiave lasciato dalla vittima prima di morire.




Dal 1935 al 1942 il personaggio di Ellery Queen è stato portato nove volte sullo schermo e gli attori che hanno impersonato il giovane scrittore-detective sono stati, nell'ordine, Donald Cook, Eddie Quillan, Ralph Bellamy (quattro volte) e William Gargan (tre volte). 
Per nove anni, a partire dal 1939, Ellery Queen è stato ospitato dalla stazione radio della CBS per un programma settimanale di originali polizieschi scritti dagli stessi Dannay e Lee. Queste trasmissioni incontrarono un grandissimo favore tra gli ascoltatori, e così, a partire dal 19 ottobre 1950, il personaggio è apparso anche sul piccolo schermo, dove è stato interpretato da sei attori in cinque diverse serie televisive americane. 



Il primo è stato Richard Hart, sostituito l'anno successivo da Lee Bowman. Poi è toccato a Hugh Marlowe (che già aveva interpretato Ellery Queen alla radio), a George Nader, a Lee Philips


Infine allo svagato e dinoccolato Jim Hutton (morto improvvisamente nel 1979, a quarantun anni), indubbiamente il più popolare di tutti, anche per la grande cura con la quale venne realizzata quest'ultima serie, un delizioso revival ambientato negli anni Quaranta, con il classico confronto finale dei sospettati in una camera chiusa, solitamente l'appartamento del geniale investigatore dilettante. 


Saltuariamente vi furono partecipazioni straordinarie di molti attori famosi come Joan Collins e Vincent Price. C'è anche un tv movie del 1971, con Peter Lawford nei panni di Ellery Queen, pilot di un serial mai realizzato.




giovedì 10 novembre 2022

Antonio Buzzolla


(Adria 2 marzo 1815 – Venezia 20 marzo 1871)

Dal padre, Angelo, direttore della cappella del duomo di Adria e della locale Società filarmonica, apprese le prime nozioni musicali e l'uso degli strumenti (violino, pianoforte e organo). Fu poi inviato a Venezia alla scuola del Bizzolati, entrando a far parte, nel 1831, dell'orchestra del teatro La Fenice, dapprima in qualità di flautista, poi di violino di fila. Il 3 dicembre 1836 venne rappresentata al teatro Gallo (ex S. Benedetto) il suo primo lavoro teatrale: l'opera semiseria Il Ferramondo (libretto d'ignoto), replicata a Trieste e a Mantova. Grazie al successo ottenuto, poté recarsi nel 1837 a Napoli, presso il conservatorio S. Pietro a Maiella, per seguire i corsi regolari di composizione di Donizetti, e successivamente, di S. Mercadante. Invitato da Donizetti, compose per una festività della corte napoletana una cantata, che fu accolta, insieme con altri pezzi vocali da teatro, con favore anche dal pubblico del teatro S. Carlo. A Napoli, inoltre, si fece apprezzare come cantante di ariette e canzonette in dialetto veneziano che egli stesso aveva iniziato a comporre. Nel 1840 ritornò a Venezia, dove, dopo un anno dedicato ancora allo studio, ebbe luogo il 31 maggio 1841 al teatro La Fenice la prima esecuzione della sua opera Mastino I della Scala (libretto di G. Fontebasso), cui fece seguito il 14 maggio 1842 nello stesso teatro l'opera buffa Gli avventurieri (libretto di F. Romani), che ottenne anch'essa buon successo. Del 1842 è pure la sua prima composizione sacra, una Messa a quattro parti e piena orchestra, scritta per la Società di S. Cecilia ed eseguita nella basilica di S. Marco; continuò, inoltre, nello stesso anno, la produzione di quelle canzonette e anette veneziane cui dovrà, più tardi, una gloria duratura, iniziandone la pubblicazione.

Nel 1843 il Buzzolla si recò alla corte di Berlino come direttore d'orchestra del teatro d'opera italiana e per l'onomastico del re, Federico Guglielmo IV di Prussia, compose una cantata che gli valse l'insegnamento della musica alle principesse nipoti del re e l'invito a dirigere anche i concerti di corte. A questo periodo risalgono i suoi numerosi viaggi all'estero a scopo di studio e quale direttore d'orchestra, dapprima in Germania (alla corte di Dresda fu incaricato di scrivere anche un'Ouverture perl'inaugurazione di una mostra locale), poi in Polonia e in Russia, riscuotendo ovunque consensi, e infine, nel 1846, in Francia, meritandosi una speciale considerazione come direttore d'orchestra del Teatro dell'Opera italiana a Parigi. Nel frattempo aveva fatto due brevi ritorni ad Adria: nel settembre 1845 per prendere parte all'esecuzione di una messa composta dal suo amico e condiscepolo G. B. Casellati e all'inizio del 1846 per dirigere una propria messa. 

Rientrato in Italia definitivamente, fu a Venezia, dove in S. Marco venne eseguita una sua bellissima Messa da requiem per quattro parti e grande orchestra, quindi, il 24 febbr. 1848, al teatro La Fenice, l'opera Amleto (libretto di G. Peruzzini), che piacque moltissimo, ma che non poté essere replicata a causa delle agitazioni politiche del momento che facevano trascurare gli spettacoli. Per le storiche giornate insurrezionali di Venezia non mancò di comporre un inno patriottico dal titolo Siresista ad ogni costo, eseguito nel marzo 1849 nello stesso teatro La Fenice alla presenza dei membri del governo provvisorio. Nell'agosto 1849, cessato il blocco di Venezia, egli accettò di comporre, ancora per il teatro La Fenice, l'opera Elisabetta di Valois (libretto di F. M. Piave), che vi fu rappresentata il 16 febbr. 1850. Iniziò poi la carriera musicale ufficiale come direttore sostituto della cappella di S. Marco, e nel 1855, morto il maestro G. A. Perotti, gli successe nella carica di direttore, rinunciando ad altre cariche e possibilità maggiori per dedicarsi alla musica sacra, di cui fu considerato il compositore migliore del tempo.

Insieme con G. Trombini, con il conte G. Contin di Castelseprio e altri, nel 1867 promosse l'istituzione del liceo e della Società di concerti B. Marcello, e la sua fama in quel momento era tanta che nel 1868 fu invitato da Verdi a collaborare, insieme con altri celebri musicisti, alla composizione di una messa funebre per l'anniversario della morte di Rossini, messa che doveva essere eseguita in S. Petronio a Bologna il 14 nov. 1869. Il Buzzolla compose il suo pezzo, precisamente il primo Requiem aeternam in sol minore, ma varie circostanze impedirono l'esecuzione di questa progettata messa.

Morì a Venezia il 20 marzo 1871.


Secondo il giudizio di A. Bazzini, fu "un buon musicista" e la sua copiosa produzione di musica sacra, sinceramente ispirata ed estremamente dotta, fu assai stimata. Subì anch'egli, tuttavia, l'influsso esercitato dalla musica teatrale e profana del tempo, come, del resto, le sue stesse opere teatrali risentono dei difetti tipici dell'epoca. Fu anche eccellente didatta (nel 1851 gli era stato affidato l'allora giovanetto A. Boito e, più tardi, fra i tanti allievi ebbe anche R. Drigo), ma soprattutto rimase celebre per le canzonette e ariette veneziane, opere che lo stesso Rossini giudicava insuperabili e di cui si deliziava nel suo salotto a Passy.

Queste "piccole melodiche gemme sapientemente armonizzate" (Casellati), spesso a carattere popolaresco, sono veri modelli di grazia e di freschezza e, allo stesso tempo, di profondità; hanno il pregio, inoltre, di mantenersi lontane da sentimentalismi e da elementi leziosi. Tra le più famose si ricordano: Serate a Rialto, canzonette a una voce con accompagnamento di pianoforte, Il gondoliere, raccolta di dodici ariette veneziane, dedicata a G. Comploy, Album vocale n. 4, su parole di G. Peruzzini, Sei ariette veneziane, su poesie di diversi, 5 ariette veneziane, su testi di L. Zanetti e G. Buratti, I giardinieri, duetto in dialetto veneziano, a tenore e basso, e ancora La campana del tramonto, composta a Kissingen nel 1841, sulle parole dell'Ave Maria (in cui la melodia si appoggia su una nota sola del basso, il do, a imitazione del suono di una campana), La desolada, La farfala, Un baso in falo, Un ziro in gondola, Mi e ti, El fresco, El canto, ecc., quasi tutte edite da Ricordi a Milano. Altre composizioni rimaste sono: il salmo Miserere, a tre voci con accompagnamento di melodium, contrabasso e violoncello, Milano, la Cantata funebre dei caduti di Solferino e S. Martino per l'inaugurazione degli ossari e, incompiuta, l'opera teatrale in dialetto veneziano La Puta onorata. 

martedì 8 novembre 2022

Antonio Bertali


(Verona marzo 1605 – Vienna, 1 aprile 1669)

Nato a Verona nel marzo 1605, come si deduce da una iscrizione posta sotto un suo ritratto, si hanno scarse notizie sulla sua prima giovinezza. In una lettera di A. Liberati a O. Persapegi viene citato come ottimo musicista, discepolo di S. Bernardi. Dedicatosi giovanissimo allo studio del violino, raggiunse presto una eccezionale padronanza dello strumento, tanto che la fama del suo talento si diffuse oltre i confini della sua città. Sembra che nel 1623 egli giungesse a Vienna; un anno dopo dovette iniziare la sua attività presso la corte: da una Resolution del 17 luglio 1666 risulta che era stato al servizio della casa d'Austria per quarantadue anni; nello Status particularis Reg. S. C. Maiestatis Ferdinandi II de anno 1636-67 è indicato col nome "Bertalay" al quarto posto dei "musici strumentales" per la sua attività di esecutore di strumenti ad arco, e forse anche a tastiera. Il 1° apr. 1637 egli entrò sicuramente come strumentista nella Hofkapelle di Vienna; nel 1641 sembra che sia stato nominato vice maestro della cappella imperiale, succedendo a P. Verdina. Il 1° ott. 1649 fu chiamato a succedere a G. Valentini nella carica di maestro di cappella con lo stipendio di 1200 fiorini. Risale sicuramente a questo periodo la sua più significativa attività di compositore di corte, tanto che nel 1652 l'imperatore, per attestargli la sua stima, lo inviò per una missione a Dresda. Il favore di cui godeva presso la corte fa costante e duraturo e gli permise di dominare il teatro viennese fino alla sua morte, avvenuta a Vienna il 1° apr. 1669.

Compositore versatile e fecondissimo, il Bertali si dedicò al genere profano e a quello religioso, ma la sua fama è legata soprattutto alla creazione di quel genere spettacolare di opera di corte che raggiungerà il suo culmine con A. Cesti e A. Draghi. La sua produzione fu copiosissima: circa seicento opere, in gran parte perdute, per lo più cantate, oratori, composizioni religiose e strumentali, oltre a numerose opere drammatiche composte ed eseguite per la corte austriaca. Nella Distinta Spezificatione dell'Archivio Musicale per il servicio della Cappella e Camera… di Leopoldo I (citata dal Liess) figurano moltissime musiche sacre per varie festività liturgiche, oltre a undici Sonate con trombe solenni, dodici Sonate da camera a 3, 5 e 8 voci, quaranta Composizioni morali e spirituali per la camera a voce sola (e a più voci, fino a 6) con diversi instrumenti e centotrentaquattro Composizioni amorose a 1-8 voci. Fra le composizioni celebrative sono da ricordare il melodramma Le allegrezze del mondo (libretto di P. Bonarelli, Vienna, Teatro di corte, 21 genn. 1631) per le nozze di Ferdinando II con Maria Anna, infanta di Spagna; la Missa Ratisbonensis per la dieta di Ratisbona del 1636; un Requiem per la morte di Ferdinando II; Theti, favola drammatica su libretto di D. Gabrielli, rappresentata al Teatro ducale di Mantova nel carnevale 1652, in occasione di una visita degli arciduchi d'Austria Ferdinando Carlo, sua moglie Anna Maria e Sigismondo Francesco. Nel 1653, quando Ferdinando III si recò a Ratisbona per la dieta imperiale con un seguito di sessanta musicisti, fu affidato al Bertali l'incarico di comporre un'opera: il 20 febbraio venne rappresentato L'inganno d'amore, su libretto di B. Ferrari, al quale l'Allacci attribuì nella sua Drammaturgia (Venezia 1755, col. 453) erroneamente anche la musica.


Con quest'opera, si può affermare che abbia avuto inizio il periodo aureo dell'opera viennese, che sotto Leopoldo I raggiungerà il suo apice. L'opera italiana, prediletta dall'imperatore, dominerà a lungo il teatro austriaco e verranno composte opere di grande originalità in contrasto con i canoni legati al cerimoniale di corte. Si hanno in questo periodo due tendenze, l'una conservatrice rappresentata dal Bertali e dallo spagnolo F. Sances, l'altra progredita e innovatrice che in A. Cesti avrà il massimo esponente. Significative, a tal riguardo, furono le seguenti opere del Bertali su libretto di A. Amalteo: Il Re Gelidoro (Vienna, Teatro di corte, 9 febbr. 1659), Gli amori di Apollo con Clizia, "festa teatrale" (ibid., 9 giugno 1660), Il Ciro crescente (anche Il Ciro riconoscente), tre intermezzi per Il pastor fido e per i suoi balletti (Laxenburg, Teatro di corte, 9 giugno 1661), Pazzo Amor "operetta per la nascita dell'imperatrice Eleonora" (Vienna, Teatro di corte, 18 nov. 1664), L'Alcindo (libretto e prologo di A. Draghi, ibid., carnevale 1665) e Cibele e Ati, intermezzo per le nozze di Leopoldo I (ibid., dicembre 1666). Anche nel "Reiterballett", una particolare forma di spettacolo allora in gran voga a Víenna, derivato dalla fusione dello sfarzo scenografico teatrale dell'epoca con le reminiscenze dei torneamenti a cavallo dei secoli precedenti, il Bertalilasciò un'impronta considerevole con La contesa dei numi ovvero La contesa dell'aria e dell'acqua, una festa teatrale a cavallo su testo di F. Sbarra, per la quale egli compose la musica delle parti vocali e J. H. Schmelzer quella dei balletti. Lo spettacolo, rappresentato al Teatro di corte il 24 genn. 1667 e poi replicato il 31 dello stesso mese per il matrimonio di Leopoldo I con Margherita Teresa di Spagna, fu grandioso per la partecipazione di numerosissimi artisti e per l'impiego di oltre cento strumenti ad arco, trombe, strumenti a percussione e fiati. Nel campo dell'oratorio in italiano, destinato alla cappella e alla corte e denominato "oratorio per il santo sepolcro" per distinguerlo dalla "rappresentazione sacra" iniziata nel 1700 (Della Corte-Pannain), il Bertali compose Maria Maddalena (testo di A. Draghi, 1663), Oratorio sacro (senza titolo, 1663; Eitner) e La strage degli Innocenti (a 5 voci con sinfonie, 1665), oratori di cui lo Schering mise in evidenza l'ardito disegno armonico e la forza degli "a solo", oltre alla vigorosa espressione drammatica.

Varia e interessante, ma purtroppo in gran parte perduta, la produzione religiosa del Bertali, che influì negativamente sulla formazione di uno stile tipicamente tedesco. Si può notare, però, che i tentativi di J. Stadlmayr, S. Bernardi e dello stesso Bertali di fondere la grande lezione polifonica palestriniana con effetti sonori in cui la coralità a più voci assumeva una nuova risonanza melodica e armonica, sorretta da fantasiosi ornamenti corali e orchestrali, determinarono un singolare stile misto che ebbe fortuna. Composizioni religiose del Bertali sono conservate manoscritte a Kremsmünster, Upsala, Monaco, Strasburgo, Darmstadt e Vienna (Österreichische National Bibliothek).

Ma forse l'aspetto più personale dell'arte del Bertali si trova nella produzione strumentale, tanto che Johannes Beer nei suoi Musikalischen Diskursen (Norimberga 1719) lo elogiò come uno dei più significativi compositori del suo tempo. Particolare rilievo assume la "canzone": molto ornata con impiego di strumenti a fiato, rivela spesso una chiara tendenza per la "sonata a trio", frequentemente per due violini e tromba. Lo stile strumentale delle sue sonate è raffinato ed evoluto; tra "tutti" e "soli" si nota una mirabile fusione che nella tematica e nella strumentazione rivela già le caratteristiche dello stile concertato, che assume aspetti nettamente virtuosistici. Tra tutte le sonate, per lo più in forma bipartita, la Sonata a 6 per 2 violini, viola da braccio, 2 viole tenore e organo (o viola da gamba) del 1663 rispecchia un evidente desiderio di innovazioni tecniche. Delle composizioni strumentali si ricordano il Thesaurus musicus trium instrumentorum, pubblicato a Dilligen nel 1671, ma privo del nome dell'autore, e l'importante raccolta del 1672 Prothimia suavissima sive duodena secunda sonatarum selectissimarum, quae nunc prima editione in Germania prodierunt cum tribus, quatuor instrumentis redactae. Et basso ad organum autore… A. B… (s.l., ma forse Dilligen). Sul frontespizio della copia conservata alla Bibliothèque Nationale di Parigi è aggiunto, manoscritto, il nome "Bertali". 

venerdì 4 novembre 2022

Eischied

 

Eischied, Stati Uniti, 1979/ Mark Rogers

Preceduta da un tv movie, Eischied: only the pretty girls die, con un duro e poco ortodosso poliziotto di New York, sospettato (ingiustamente) di corruzione, che riesce a intrappolare un giovane psicopatico che fa a pezzi le donne, questa breve serie (tredici episodi da 50 minuti trasmessi dal 21 settembre 1979 al 27 gennaio 1980) è incentrata su Earl Eischied (Joe Don Baker), capo del dipartimento di polizia di New York. 


Duro e decisamente antipatico, questo personaggio conduce a modo suo le varie indagini nelle quali è di volta in volta impegnato e non esita a ricorrere alla violenza per raggiungere i suoi scopi. Inizialmente in diretta concorrenza oraria con Dallas, la serie non fece presa sul grande pubblico e venne ben presto sospesa.
Sino a quel momento specializzato in parti da cattivo e da killer, Joe Don Baker sembrava decisamente fuori posto nei panni del poliziotto.
Tra gli altri interpreti possiamo ricordare Alan Oppenheimer (Finnerty), Alan Fudge (Kimbrough), Suzanne Lederer (Carol Wright) e il gatto Waldo Kitty come P.C., la mascotte di Eischied.


giovedì 3 novembre 2022

Antonio Bazzini


(Brescia, 11 marzo 1818 – Milano, 10 febbraio 1897)

Bazzini è nato a Brescia. Da ragazzo era un allievo di Faustino Camisani. A 17 anni è stato nominato organista di una chiesa nella sua città natale. L'anno successivo si è incontrato Paganini e fu completamente influenzato dall'arte e dallo stile di quel maestro. Paganini incoraggiò Bazzini a iniziare la sua carriera concertistica quell'anno e divenne rapidamente uno degli artisti più apprezzati del suo tempo. Dal 1841 al 1845 visse in Germania, dove fu molto ammirato Schumann sia come violinista che come compositore, oltre che da Mendelssohn (Bazzini ha tenuto la prima sua esibizione privata Concerto per violino). Dopo un breve soggiorno in Danimarca nel 1845, Bazzini tornò a Brescia per insegnare e comporre. Nel 1846 ha suonato Napoli e Palermo. Nel 1849-1850 fece un tour in Spagna e dal 1852 al 1863 visse Parigi. Ha concluso la sua carriera concertistica con un tour del Olanda nel 1864.

Tornato ancora una volta a Brescia, Bazzini si dedicò alla composizione, abbandonando gradualmente le fantasie operistiche virtuosistiche e i pezzi caratteristici, che avevano formato gran parte dei suoi primi lavori. Ha composto un'opera Turanda nel 1867 e produsse una serie di cantate drammatiche, opere sacre, aperture di concerti e poesie sinfoniche nei due decenni successivi. Tuttavia, il suo più grande successo come compositore è stato con le sue composizioni di musica da camera. Nel 1868 divenne presidente della Società dei Concerti di Brescia, e fu attivo nella promozione e nella composizione per società di quartetti in Italia. Nel 1873 divenne professore di composizione presso il Conservatorio di Milano, dove insegnava Catalani, Mascagni, e Puccini, e in seguito divenne direttore nel 1882. Bazzini morì a Milano il 10 febbraio 1897.


Bazzini è stato uno degli artisti più apprezzati del suo tempo e ha influenzato il grande compositore d'opera Giacomo Puccini. Il suo lavoro più duraturo è la sua musica da camera, che è scritta nelle forme classiche della scuola tedesca e gli è valsa un posto centrale nel rinascimento strumentale italiano del XIX secolo. Di particolare rilievo è il suo Quartetto per archi n. 1, che vinse il primo premio della Società dei Quartetti di Milano nel 1864. La sua musica è caratterizzata da una tecnica altamente virtuosistica, espressiva senza troppi sentimenti. Bazzini suonava un violino di Giuseppe Guarneri, che alla sua morte passò a M. Soldat-Roeger.

Gli artisti che hanno registrato la sua musica includono Chloë Hanslip. Ma molti violinisti virtuosi di gran lunga più noti si sono distinti impegnandosi a registrare la sua diabolica difficoltà La ronde des lutins (o Danza dei Goblin, con i suoi passaggi estesi di doppi arresti rapidi, armonici artificiali in doppi registri (utilizzando tutte e quattro le dita sinistre) e pizzicato sinistro. Questi includono Bronislaw Huberman, Jascha Heifetz, Yehudi Menuhin, David Garrett, James Ehnes, e Itzhak Perlman. 

martedì 1 novembre 2022

Antonio Maria Bononcini


(Modena 18 giugno 1677 – 8 luglio 1726)

Fratello minore del più noto Giovanni. Studiò musica assieme al fratello Giovanni sotto la guida di Giovanni Paolo Colonna a Bologna e nel 1693 scrisse la sua prima composizione, un Laudate pueri e poco dopo 12 sonate per violoncello: l'unico compositore che prima di lui aveva composto delle sonate per violoncello fu Domenico Gabrielli. Nel novembre del 1696 entrò nella Congregazione di Santa Cecilia a Roma e nel 1698 compose la serenata La fama eroica in onore del cardinale veneziano Giorgio Vivente Cornaro, il quale probabilmente lo assunse al suo servizio.
Verso il 1700 Antonio giunse con il fratello a Vienna, dove assieme a Giovanni entrò nell'orchestra della corte imperiale di Vienna e nel 1702 furono Berlino, dove Georg Philipp Telemann ascoltò una loro esecuzione. Tornato a Vienna, Bononcini nel 1705 fu nominato Kapellmeister del futuro Carlo VI e tra quest'anno e il 1711 compose diversi lavori per la corte asburgica: in tutto scrisse 13 cantante, 6 serenate, 4 oratori e un'opera (Tigrame). Con la salita al potere di Carlo IV, i fratelli Bononcini non furono più confermati al servizio della corte viennese e quindi tornarono in Italia.


Nel 1713 tornò nella città natale, dove si sposò con Eleonora Suterin, dalla quale ebbe 5 figli. Concluse la sua carriera di compositore mettendo in scena altre 10 opere per i teatri di Venezia, Roma e di altre città italiane. 
Antonio Maria percorse, nella prima fase della sua attività, le grandi vie del fratello Giovanni, facendo dono delle sue risorse artistiche e suscitando entusiasmi e lodi: fu, dunque, a Roma, violista ammirato, presso il Cardinale Pamphily dal 1689, poi dal 1704 al 1711 alla Corte di Vienna.
Le persone più colte si onoravano di essergli amiche. Rientrato a Roma nel 1714 tra plausi, omaggi e fiducia in un avvenire sempre più splendente, il suo talento musicale ebbe grande peso sulla bilancia dell'opinione pubblica, sicché non gli mancarono allievi qualificatissimi, tra cui Stòlzel. Però nutriva un vivo desiderio che era gioia e tormento insieme: stabilirsi nella sua Modena. Lo realizzò.


Dal 1716, infatti, al 1721 è direttore d'orchestra al Teatro Molza e, nel 1720, al Teatro Rangoni; dal 1721 alla morte è nominato Maestro di Cappella alla Corte Estense dal duca Rinaldo d'Este. Faticò senza sosta; ricorderemo musiche sacre e d'occasione, qualche Oratorio e circa una quindicina di opere teatrali, alcune delle quali di incerta attribuzione tra lui e il fratello Giovanni. Grande successo ebbe, in particolare, l'opera teatrale « Camilla regina dei Volsci » (Napoli 1696 e Vienna 1697).