Tenente Francis X. Kerrigan, Stati Uniti, 1965 / Joseph Harrington
Apparso per la prima volta nel romanzo The last known address (1965), il tenente Francis X. Kerrigan rappresenta il classico modello del poliziotto statunitense ed è soprattutto paziente e tenace. «Non è più intelligente del lettore - ha detto una volta Joseph Harrington, l'autore - ma solo molto più testardo».
Infatti è soprattutto metodico e cocciuto e non risolve mai i casi di cui si occupa grazie a intuizioni geniali ma soltanto in seguito a un lungo lavoro di routine, dopo aver parlato con un mucchio di gente e aver messo insieme tutte le tessere del mosaico.
Sa di non essere un tipo brillante e se qualcuno lo definisce così - per esempio in La pazienza del tenente Kerrigan (The blind spot, 1966) - arrossisce per l'imbarazzo. «Lui non era brillante. Non lo era e non lo sarebbe mai stato. Neanche i suoi amici più intimi potevano dir questo di lui. Dicevano una quantità di cose lusinghiere: che era ostinato, che lavorava sodo anche per cose non importanti, che non lasciava mai perdere nulla finché non aveva rigirato l'ultima carta e che di solito lui tornava indietro a rimuginare su quelle dannate cose. Ma nessuno l'avrebbe mai potuto definire brillante».
(Pisino 3 febbraio 1904-Firenze, 19 febbraio 1975)
Internato con la famiglia a Graz durante la prima guerra mondiale, vi iniziò gli studi musicali, che continuò in seguito a Trieste e a Firenze con Frazzi. Nel 1930 formò col violinista Materassi un duo dedito alla esecuzione di musica moderna, e nel 1934 venne nominato insegnante al Conservatorio di Firenze, dove risiede tuttora. È stato per breve tempo attivo anche come critico musicale e dal 1951 ha tenuto corsi estivi di composizione a Tanglewood negli Stati Uniti. Dal 1956 ha insegnato anche al Queen's College di New York.
Dallapiccola iniziò la sua attività di compositore con un linguaggio a carattere diatonico, in quel clima tipicamente italiano degli anni tra il '20 e il '30 che vedevano un'entusiastica rivalutazione dell'antica musica strumentale e vocale italiana e una salutare rivolta contro il melodramma verista. Dallapiccola appartiene insomma, con Goffredo Petrassi e altri compositori italiani, a quella generazione di musicisti che - sull'esempio di Malipiero e di Casella - sentirono il bisogno di inserire l'Italia nel vivo contesto dell'evoluzione attuale della musica, rifacendosi peraltro a una tradizione squisitamente nostra. Nacque così quel fenomeno che è stato chiamato "neomadrigalismo," nacque quel gusto strumentale che risente del benefico influsso della nostra migliore tradizione del '600 e del '700. Non a caso anche Dallapiccola, come Petrassi e Ghedini,
incominciò la sua attività con una Partita, forma tipica del '600 italiano, e dedicò gran parte della sua produzione alla musica vocale, con opere che rimangono fondamentali per la comprensione dell'evoluzione della musica in Italia in questi ultimi decenni.
Intorno al 1940 Dallapiccola fu il primo musicista italiano che sentì la necessità di studiare la tecnica dodecafonica e seppe servirsene calandola in una sensibilità formatasi allo studio della migliore tradizione italiana: è proprio per questo che da tutti è sempre stato messo in rilievo il sapore affatto particolare che nella sua opera ha acquistato l'uso della tecnica schonberghiana.
Rimane tipica delle sue opere dodecafoniche la cantabilità distesa, la serenità contenuta dell'espressione, un gusto contrappuntistico baroccheggiante ma sempre terso e lineare. Nelle ultime composizioni Dallapiccola ha risentito, non sappiamo con quanta utilità, delle più recenti conquiste tecniche della giovane generazione seriale.
Dallapiccola è autore di tre opere teatrali (Volo di notte, Il Prigioniero e Ulisse), del balletto Marsia e di molta musica corale e vocale che resta indubbiamente la parte migliore della sua produzione.
Partita per orchestra (con una voce di soprano) (1932)
Al pari di Petrassi e Ghedini, anche Dallapiccola esordì con una Partita. Questo omaggio alla tradizione italiana è reso ancor di più dall'adozione di un terso diatonismo, di un linguaggio di evidente impostazione "neoclassica." Si notano comunque già alcune peculiarità proprie del più personale stile dallapiccoliano: la predilezione per certi timbri rarefatti e raffinati, un lirismo freddo ma sempre avvincente, un piglio drammatico che a tratti conquista l'ascoltatore.
La Partita comprende: "Passacaglia," "Burlesca," "Recitativo e Fanfara" e "Naenia Beatae Mariae Virginis" (quest'ultimo brano con la voce di soprano solista).
(Votkinsk 7 maggio 1840 - Pietroburgo 6 novembre 1893)
Avviato agli studi di diritto, si interessò alla musica fin da fanciullo. Nel 1859 si impiega a Pietroburgo al Ministero della Giustizia, ma continua gli studi musicali in Conservatorio con A. Rubinstein e Saremba, lasciando il Ministero nel 1862. Dal 1866 al '77 insegna armonia al Conservatorio di Mosca diretto da Rubinstein: suoi allievi saranno qui RimskiKorsakov e Taneiev tra gli altri. Un matrimonio infelice con Antonina Ivanovna Miliukova, che dura solo poche settimane, lo porta sull'orlo del suicidio, finché in Nadidda Filaretovna von Meck egli trova la generosa mecenate che gli permetterà di dedicarsi alla composizione per il resto dell'esistenza.
Abbandonato il Conservatorio, la sua vita scorre tranquilla e senza preoccupazioni di sorta. Ormai noto e stimato in patria e all'estero, compie lunghi viaggi e dirige in molte città le proprie composizioni. Nel 1891 viene invitato anche in America, e vi dirige sei concerti: ma dopo due anni, nel momento piu sfolgorante della sua carriera artistica, viene stroncato da un'epidemia di colera. Erano pochi giorni che aveva diretto la prima esecuzione assoluta della "Patetica. "
Di formazione sostanzialmente occidentale, Ciaikovski si orientò nelle sue preferenze musicali verso i francesi (Bizet, Delibes), e verso Grieg, Mendelssohn e Schumann; ammirò moltissimo Mascagni ma il suo idolo era Mozart, al cui esempio si rifece sempre con profonda venerazione. Non amava invece Bach, Brahms, Beethoven e tanto meno Wagner e Handel, dal cui tipo di costruttiva monumentalità istintivamente rifuggiva.
Soprattutto fu assai lontano dalle tendenze della scuola nazionale russa: la sua produzione è caratterizzata da un cosmopolitismo eclettico che fa di lui il tipico rappresentante della tradizione musicale occidentale in Russia, laddove il "Gruppo dei Cinque " cercava di definirsi in senso nazionale, in polemica col cosmopolitismo che allora imperava. Certo anche in Ciaikovski si trovano spesso tracce notevoli del canto popolare russo: ma egli cala questi dati in una sensibilità occidentalizzata, ne smorza le punte e ne modifica le linee, in obbedienza a una coscienza formale tipica della musica occidentale.
Concerto n.1 in si bemolle minore per pianoforte e orchestra op. 23 (1875)
Anton Rubinstein, a cui il Concerto era inizialmente dedicato, criticò l'opera con tale severità da indurre l'autore a "girare" la dedica a Hans von Biilow, che ne fu entusiasta e lanciò il brano in molti paesi d'Europa e d'America: esso divenne ben presto assai popolare, Ciaikovski vi introdusse qualche miglioramento nella parte pianistica (giudicata prima ineseguibile da Rubinstein), e da allora il Concerto rimase uno dei cavalli di battaglia dei pianisti di tutto il mondo.
Ciaikovski si abbandona qui a una magniloquenza non priva di momenti di felice ispirazione. La tecnica del solista vi è trascendentale e non si può certo dire che questa sia un'opera priva di presa sul pubblico: forse la qualità delle idee non è sempre nobile come si vorrebbe, forse in qualche punto l'istanza retorica supera la necessità espressiva, ma nel suo complesso il Primo Concerto merita la sua fama, rimane una pagina caratteristica per la comprensione del mondo musicale del suo autore.
L'introduzione "Allegro non troppo e molto maestoso," di efficacia grandiosa, prelude solennemente all'" Allegro con spirito" in forma di sonata, in cui il solista tende ad acquistare un predominio pressoché assoluto. Il secondo tempo è una romanza in tempo "Andantino semplice," che sfocia in un "Prestissimo" in cui il pianoforte balza virtuosisticamente in primo piano prima di ritornare al movimento lento iniziale. Il finale è un "Allegro con fuoco" dal primo tema vigoroso e leggiadro insieme, con carattere di danza russa.
Erudito oltre ogni dire, pur senza mai ostentare troppo la propria cultura, Fleming Stone ama trascorrere la maggior parte del tempo nella propria biblioteca, a leggere e a pensare, e ne esce soltanto con la soluzione giusta dopo aver analizzato a lungo tutti gli indizi a sua disposizione.
Tranquillo e affabile, riesce sempre ad accattivarsi la fiducia della gente, che gli dice anche cose sino a quel momento taciute ai tutori dell'ordine.
Vive e lavora a New York ed è apparso per la prima volta nel maggio del 1906 in un racconto pubblicato su Alt story magazine e tre anni dopo nel romanzo The clue, prima di una lunga serie. Flemmg Stone è infatti l'investigatore dilettante più famoso creato da Carolyn Wells, che ne ha fatto il protagonista di ben sessantun romanzi.
(Fusignano 17 febbraio 1653 - Roma 8 gennaio 1713)
Si perfezionò nella musica a Bologna, ma ben presto lo troviamo a Roma, come violinista in orchestre di chiesa e di teatro. Dal 1682 al 1708 è direttore dei violini a S. Luigi dei Francesi e dal 1687 anche maestro di cappella del cardinale Benedetto Pamphili, passando tre anni dopo al servizio del cardinale Pietro Ottoboni: qui rimarrà fino alla morte, godendo i favori del cardinale, ammirato per la sua produzione musicale in tutta l'Italia. Venne sepolto nel Pantheon.
Corelli è il maggior rappresentante del barocco strumentale italiano. La sua opera, esclusivamente concepita per strumenti ad arco, raggiunge un respiro e una perfezione formale ignota prima di allora ai maestri italiani. Le sue principali innovazioni ebbero inizio nel campo della sonata a tre, di cui stabilì in quattro il numero dei tempi, per trasferirsi poi anche in campo orchestrale nei 12 Concerti grossi, che sono le sue uniche composizioni per orchestra. Qui il numero dei tempi varia da quattro a otto: da notarsi la distinzione netta tra strumenti soli - "concertino" - e " tutti" orchestrale, un principio formale che resterà fondamentale per tutta la produzione barocca, da Vivaldi ad Albinoni a Tartini a J. S. Bach e Handel.
In qualche tempo dei suoi concerti grossi, si trova un solo violino in opposizione all'orchestra d'archi: ed è ragionevole ritenere che da questi primi modelli abbia preso le mosse la graduale individualizzazione del concerto per violino e orchestra.
L'importanza di Corelli è grandissima anche per l'evoluzione della tecnica degli archi, specie del violino. La sua scuola ebbe seguaci in ogni parte d'Europa: G. B. Somis la rappresentò in Piemonte e, attraverso i suoi allievi, in Francia, Geminiani e altri recarono in Inghilterra, Locatelli in Olanda e Gasparini a Venezia, le innovazioni corelliane. Nelle sue composizioni egli stabilisce le funzioni dei singoli strumenti del quartetto d'archi, tende a mettere in rilievo il violino, introduce una cantabilità e un'arcata espressiva che attingono altezze sublimi e fanno capire quanto la produzione strumentale europea del '700 sia debitrice a lui, grandissimo caposcuola di intere generazioni di musicisti.
Concerto grosso in sol minore ("Fatto per la notte di Natale) op. 6 n. 8
Come dice il titolo, l'occasione è qui particolarmente solenne ed impegnativa: anzi, fu forse proprio questo fatto che spinse il maestro romano a mettere tutta la sua fantasia in questa composizione, che costituisce indubbiamente il punto culminante nella parabola della sua produzione concertistica, e rimane l'esempio più splendido della forma barocca del concerto grosso italiano, definitosi intorno alla fine '600 proprio per merito di Corelli. Il maestro romano raggiunge qui veramente un perfetto equilibrio espressivo: le singole parti del Concerto sono in rapporto armonico tra loro, e il trattamento dei tre strumenti solisti ("concertino" formato da due violini e violoncello) rispetto alla massa degli archi è ispirato a una distesa cantabilità, a una libertà e scioltezza di eloquio tipica della musica barocca italiana e ammirevole per la sua nobiltà espressiva.
Il Concerto comprende: "Vivace-Grave-Allegro," un "Adagio" pervaso di un'espressione tutta interiore, "Allegro," "Vivace," "Allegro" e una "Pastorale" ('Largo,' ad libitum), che costituisce il primo esempio strumentale di questo genere ed è un vero gioiello di perfezione formale ed espressiva.
(Zelazowa-Wola 1 marzo 1810 - Parigi 17 ottobre 1849)
Allievo di Jòzef Elsner al Conservatorio di Varsavia, iniziò giovanissimo a comporre, facendosi altresì conoscere fin dal 1829 come concertista in patria e all'estero. Nel 1830 si stabilì a Vienna e nel 1831 a Parigi, che diverrà la sua patria adottiva. Qui conobbe i maggiori musicisti dell'epoca (Rossini, Cherubini, Liszt, Berlioz, Meyerbeer e tanti altri), e fu molto richiesto come insegnante, concertista e compositore. Un infelice amore con Maria Wodzinska minò ulteriormente la sua salute già provata, ma nel 1837 trovò in George Sand la donna ideale.
Gli attacchi di etisia si fanno tuttavia sempre piu frequenti, e nel 1838 si reca con l'amante a Maiorca. Ritornato a Parigi, riprende nel 1839 l'intensa vita mondana, sempre più ricercato dall'alta società e dagli editori. Nel 1847 si separò dalla Sand, ma il male già lo stava conducendo alla tomba. Tenne l'ultimo concerto parigino nel 1848, poi fu ancora acclamato a Londra e in Scozia, ma rientrò a Parigi esausto, non più in grado di lavorare e di provvedere al proprio sostentamento. Negli ultimi mesi di vita provvidero ad aiutarlo gli amici, fedeli e numerosi, che si era fatto nei momenti più sfolgoranti della sua carriera.
Chopin è il compositore per pianoforte per antonomasia: si può dire che con Liszt egli sia stato se non l'iniziatore almeno il maggiore rappresentante della scuola pianistica romantica. Il meglio di sé lo diede pertanto nei pezzi per il solo pianoforte: studi, notturni, polacche, mazurke, valzer, sonate, scherzi, improvvisi e cosi via. Si avvicinò all'orchestra solo di rado, e anche allora la trattò solo come uno strumento di accompagnamento al pianoforte, che resta sempre il protagonista, lo strumento più adatto a dar voce all'intima espressività che è propria di questo insigne musicista. La grande forma sinfonica non Io attira, ed è per questo che egli si esprime pienamente solo nei pezzi pianistici in forma di danza o di canzone; tant'è vero che le due sole sonate che scrisse per pianoforte, dove l'impegno formale è incomparabilmente superiore che negli altri pezzi, presentano qualche debolezza proprio dal punto di vista della costruzione ed elaborazione tematica. Anche nei pezzi con orchestra non bisognerà dunque cercare lo slancio sinfonico che caratterizza, poniamo, i concerti di un Beethoven o di un Brahms, ma solo il lirismo appassionato di un musicista che ebbe spontaneo il dono del canto.
Concerto n.1 in mi minore per pianoforte e orchestra op. 11 (1830)
Dedicato al grande concertista Friedrich Kalkbrenner, questo Concerto (che nonostante rechi un numero d'opus inferiore, fu composto poco dopo il Secondo) è nato nel segno di un virtuosismo brillante e insieme pieno di fervore melodico. Come sempre in Chopin, il pianoforte è il solo e il vero protagonista, e l'orchestra si limita a esporre i temi o ad accompagnare discretamente i voli poetici del solista. Ma il musicista ha anche la capacità di concentrare intorno allo strumento il vero interesse dello svolgimento musicale e dell'invenzione melodica, così che riesce anche qui a un'opera di alta poesia e di pregnante espressione.
Il primo tempo presenta un primo tema in mi minore e un secondo in mi maggiore, lanciando poi il pianoforte, durante gli sviluppi, in un virtuosismo sempre sorretto da una viva ispirazione melodica.
Il secondo tempo è una "Romanza" in mi maggiore. Anche qui il solista si distende in episodi ora sognanti ora incalzanti, con un carattere che sta tra il notturno e lo studio.
Conclude un "Rondò" in mi maggiore basato su un ritmo elastico di krakowiak, che è una danza popolare polacca in 2/4 dal carattere grazioso: qui ancor più che nei due tempi precedenti il pianoforte è trattato con brillante virtuosità, degna delle opere più mature e più grandiose del maestro polacco che, quando metteva la parola fine a questo Concerto, aveva solo vent'anni.
Ottuso e integerrimo poliziotto pasticcione quanto sfortunato, bistrattato da tutti, Fearless Fosdick è una caricatura paradossale e particolarmente azzeccata di Dick Tracy, il capostipite del fumetto poliziesco creato nel 1931 da Chester Gould, probabilmente l'unico personaggio dei fumetti a essere stato caricaturato a lungo in un'altra striscia.
Dal 1948 al 1956 le sue strampalate avventure sono state infatti inserite saltuariamente nelle storie di Li'l Abner e presentate come la lettura preferita del muscoloso ragazzo di Dogpatch, popolarissimo personaggio creato nel 1934 da Al Capp, che John Steinbeck considerava il miglior scrittore del mondo, tanto da proporlo addirittura per il premio Nobel nel 1953.
Le avventure di Fearless Fosdick sono state pubblicate in Italia da Linus e dai suoi supplementi.
(Firenze 14 settembre 1760 - Parigi 15 marzo 1842)
Studiò a Firenze, iniziando fanciullo a comporre e perfezionandosi a Bologna con G. Sarti, che nel 1779 lo conduceva a Milano e poi a Firenze, dandogli modo di mettersi in luce con le prime opere teatrali. Nel 1784 si reca a Londra, dove qualche sua opera viene ben accolta dal pubblico, e poi a Parigi, dove si lega d'amicizia con Viotti entrando nella cerchia di Maria Antonietta. Nel 1788 si stabilisce definitivamente nella capitale francese, dove continua un'intensa pratica teatrale diventando, dopo la rivoluzione, ispettore e compositore della Banda Repubblicana.
Con la trasformazione di questa in Conservatorio, Cherubini vi diventa insegnante e acquista ben presto notorietà come esponente di un gruppo di musicisti formato da Méhul, Grétry, Gossec e Lesueur. Con l'ascesa al potere di Napoleone, Cherubini fu ostacolato nella sua attività per ben quindici anni, ma la sua fama era ormai saldamente radicata in tutto il mondo musicale: si reca a Vienna dove conosce Haydn, e intanto continua instancabile a produrre per il teatro. Nel 1815 Clementi lo invita a Londra, dove presenta una serie di composizioni nuove, e finalmente, con l'allontanamento di Napoleone, ottiene nuovamente nel 1816 la cattedra al Conservatorio, entrando anche a far parte della direzione della cappella reale. Dall'estero giungono a rendergli omaggio Liszt, Mendelssohn, Weber e numerosi altri musicisti; nel 1822 viene nominato direttore del Conservatorio, rimanendo in questa carica fino alla morte.
Più che dal pubblico del suo tempo Cherubini fu ammirato, per non dire idolatrato, da tutti i maggiori musicisti, a cominciare da Beethoven fino a Spohr, Rossini, Mendelssohn e Wagner.
Nello stile teatrale seppe fondere le peculiarità della riforma gluckiana con un senso solido e imponente dell'architettura, introducendo nell'opera un respiro sinfonico che fin'allora le era ignoto. Nella musica strumentale seppe creare un proprio stile, immune da influenze tedesche eppure pervaso di geniali anticipazioni, anche se la sua misura e il suo controllo corsero talora il pericolo di sconfinare nell'accademismo. La maggior parte della sua produzione è teatrale (una quarantina di opere), sacra (molte messe, requiem, Te Deum ecc.) e comunque vocale (cantate, inni, odi, canzoni).
Sinfonia in re maggiore per archi (1815)
È l'unica sinfonia del maestro fiorentino, composta per la Società Filarmonica di Londra. Egli la ritirò dopo l'esecuzione, rielaborandola più tardi in un quartetto: ma resta un'opera degna di essere ascoltata nella veste originale, ed è particolarmente ricca di quel lirico pathos che Cherubini seppe profondere soprattutto nelle sue migliori opere teatrali e religiose. Il carattere
di questa composizione è peraltro piuttosto tenue, e l'ispirazione, ricca di slancio, è volentieri mantenuta in una struttura quasi cameristica (il che spiega come più tardi l'autore l'abbia potuta trascrivere con vantaggio per un quartetto d'archi).
Vi si risente netta l'influenza del classicismo viennese, ma anche di certa cantabilità tipicamente italiana, ben controllata e guidata dal severo gusto cherubiniano.
Si compone di un "Allegro" iniziale, di un " Larghetto" che predilige le tinte drammatiche, di un "Minuetto" alla Haydn con un bel " trio" in re minore, e di un "Finale" in tempo rapido, ricco d'humour e pervaso di spiriti classici, anche se non cosi profondo nell'espressione come certi finali di Haydn, Mozart o Beethoven.
(Città del Messico 13 giugno 1899-Coyoacán 2 agosto1978)
Sostanzialmente autodidatta, viaggiò in Europa e negli Stati Uniti svolgendo intensa attività come direttore d'orchestra, conferenziere e organizzatore di concerti di musica nuova, tanto da acquistare ben presto una posizione di assoluta preminenza nel quadro della vita musicale del suo paese. Dal 1926 al '28 visse a New York e in seguito fondò a Città del Messico l'Orchestra Sinfonica Messicana che diresse fino al 1948. Diresse altresì l'Istituto Nazionale di Belle Arti ed si dedicò esclusivamente alla composizione.
Sua madre era india, ed egli sentì vivissimo il richiamo della musica americana primitiva. Nello stesso tempo si rivolse con interesse appassionato ai problemi della nuova musica, e fu tra i più battaglieri assertori della necessità di un rinnovamento, di una "musica del futuro " che si servisse anche di strumenti appositamente creati. Di qui il suo interessamento per tutte le novità tecniche, per gli strumenti a percussione meno conosciuti; titoli come Energia, Spirale, Esagono, Poligono, abbondano nella sua produzione e stanno a indicare un radicale allontanamento dalle forme tradizionali. Chavez ha sempre strettamente collegato questa sua sorta di "futurismo" musicale con una salda fede socialista, che traspare in opere come la Sinfonia proletaria o il balletto H.P. dov'è rappresentata la lotta degli operai contro lo sfruttamento capitalista e la vittoria finale.
Oltre che di un libro sulla musica contemporanea, Chavez è autore di un'opera teatrale, di 5 sinfonie e altri pezzi orchestrali, di concerti e numerosa musica corale e da camera.
Toccata per strumenti a percussione (1942)
È una delle composizioni più tipiche del compositore messicano, e anche delle più eseguite, in quanto rivela gli interessi innovatori, l'insaziabile ricerca di nuove fonti di timbro e di sonorità che Chavez aveva del resto sentito vivamente già nella produzione giovanile. Gli strumenti impiegati prevedono sei esecutori, e ve ne sono molti che derivano dall'armamentario percussivo
proprio degli indios: vi sono tamburi, piatti, campane, uno xilofono, gong, timpani, raganelle, gran cassa e cosi via, e in ognuno dei tre tempi della Toccata l'autore mette in rilievo una classe di tali strumenti: in quello d'inizio ("Allegro sempre giusto") balzano in primo piano i diversi tipi di tamburi, nel secondo ("Largo") le campane, i piatti e gli altri strumenti di metallo, nel terzo ("Allegro un poco marziale") predominano gli strumenti di legno. Ne scaturisce una notevole varietà di colori e di timbri, che giustamente fa di questo pezzo uno dei prodotti più tipici della musica americana contemporanea.
Fantomas, Francia, 1911 / Marcel Allain e Pierre Souvestre
Inafferrabile genio del male, abilissimo nei travestimenti oltre che nel dare scacco matto alle forze dell'ordine, Fantomas (Fantòmas, nell'edizione originale), noto anche come il re del terrore, è un criminale
ingegnosissimo, che non si tira indietro di fronte a nulla: dal furto all'assassinio, dal ricatto a ogni possibile e immaginabile azione malvagia. E un eroe negativo, naturalmente, ma la sua scaltrezza e la sua abilità hanno conquistato milioni e milioni di appassionati lettori sin dal suo primo apparire, tanto che il suo nome è diventato proverbiale per indicare una persona sfuggente, sempre pronta a cambiare aspetto e modo di comportarsi.
Creato all'inizio del 1911 da Pierre Souvestre (1874-1915) e da Marcel Allain (1885-1969), conosciutisi per caso nella redazione di un quotidiano parigino, Fantomas è uno dei più famosi eroi negativi del romanzo d'appendice francese, caratterizzato da storie a forti tinte, con continui colpi di scena, che all'inizio del nostro secolo era spesso incentrato su fuorilegge che si prendevano gioco della polizia.
Lanciato con una grande campagna pubblicitaria dall'editore parigino Arthème Fayard, il primo volume di Fantomas uscì nelle librerie francesi il 10 febbraio 1911, ottenendo subito un notevole successo. Questa serie a fosche tinte non conquistò comunque solo il grande pubblico, ma anche molti uomini di cultura. Basti pensare che i poeti Guillaume Apollinaire e Max Jacob fondarono addirittura una "Societé des amis de Fantòmas", mentre i surrealisti esaltarono la saga di questo personaggio per i suoi "valori di letteratura spontanea".
Può essere curioso segnalare che Souvestre e Allain avevano un personalissimo modo di lavorare, ricordato dallo stesso Allain in un articolo pubblicato nel luglio del 1967 su un numero del Magazine Littéraire.
«Quando avevamo stabilito la traccia, tiravamo a sorte chi avrebbe preso i capitoli pari e chi quelli dispari. Dopo facevamo naturalmente degli scambi, a seconda delle possibilità che aveva ognuno di noi. Per sapere chi aveva fatto un capitolo avevamo un trucco: nella prima pagina io mettevo sempre la parola toutefois e Souvestre néanmoins».
Inoltre si divertivano, alla fine di ogni capitolo, a lasciare qualcuno nei guai per vedere come se la sarebbe poi cavata l'altro! Dal 1911 al 1914 i due autori scrivono ben trentadue volumi con le mirabolanti quanto incredibili avventure di Fantomas: ben diecimila pagine.
La serie si interrompe per la Prima guerra mondiale e per la morte di Souvestre. E quando, nel 1919, l'editore chiede ad Allain di riprenderla, l'autore, che aveva sposato la vedova dell'amico, si trova nei guai. L'ultimo volume si era infatti concluso con la morte dei protagonisti. Il poliziotto Juve e il giornalista Fandor, che a Fantomas avevano incessantemente quanto inutilmente dato la caccia, erano morti nel naufragio del Gigantic (dopo la rivelazione in extremis che i due irriducibili rivali - Juve e Fantomas - erano addirittura fratelli gemelli), mentre Fantomas era scomparso in mare e poco dopo la sua maschera era stata vista galleggiare sull'acqua.
Un "problema" apparentemente insuperabile, che Allain risolve però alla grande rivelando ai lettori che Fantomas era stato salvato dal sottomarino che aveva mandato a picco il transatlantico, mentre Juve e Fandor erano stati proiettati su un iceberg al momento del naufragio ed erano rimasti ibernati per dieci anni. Si risvegliano ora nei pressi di Marsiglia, scioltosi l'iceberg sotto i raggi del soIe mediterraneo, pronti a riprendere, con rinnovato vigore, la caccia al re del crimine.
E Allain scrive così una quindicina di titoli, che non ottengono però il successo degli altri e che non sono mai giunti in Italia, mentre la prima serie era stata prontamente tradotta, sin dal 1912, dalla casa editrice fiorentina Salani, che nel 1981 ha provato a riproporla senza suscitare alcun particolare interesse da parte dei nuovi possibili lettori. Ogni volume può essere letto separatamente dagli altri, ma in realtà ogni avventura si riallaccia alle altre e molti personaggi secondari vi fanno di tanto in tanto capolino. E spesso Fantomas impersona più di un personaggio in ogni singola storia, creando non pochi problemi ai poveri lettori, che "divorano" le sue avventure piuttosto acriticamente.
Anche se più di uno aveva osservato che sommando tutte le volte che Souvestre e Allain avevano scritto "sei mesi dopo" si superavano decisamente i cent'anni! Come ha scritto Franco Riccomini in un suo saggio sul mito di Fantomas, «l'azione si svolge in modo serrato, incalzante, e spesso il lettore non fa a tempo ad affezionarsi a un personaggio che questi cade vittima del 'mostro', in modo imprevedibile e quasi sconcertante, come se non esistesse alcuna logica nella sua scomparsa. II piano del re del terrore è sempre diabolico, lungimirante. Nei rari casi in cui un delitto non ha una spiegazione precisa, sovviene la fredda crudeltà dell'esecutore che non concede attenuanti e non ritorna sulle sue decisioni. Non c'è mai una sola volta che Fantomas abbia pietà. La sua fortuna è dovuta forse a questo?»
Dai primi cinque volumi, nel 1913-1914 Louis Feuillade trasse altrettanti film che, come ha scritto Georges Sadoul, «ebbero un successo notevole in tutto il mondo, soprattutto in Russia, e contribuirono a creare negli Stati Uniti la moda dei film a puntate. In essi realismo e fantasia si uniscono in un connubio forse mai più raggiunto con tale felicità di risultato».
All'inizio degli anni Sessanta il genio del male è tornato sullo schermo in una serie di commedie avventurose con Jean Marais nei panni di Fantomas e l'esagitato Luis De Funes in quelli del poliziotto Juve. Film abbastanza simpatici e divertenti, anche se evidentemente il vero protagonista era Juve, mentre Fantomas era ogni volta sconfitto nei suoi sogni di potenza.
Fantomas ha ispirato un personaggio del fumetto messicano, protagonista, dal 1966 al 1969, di una serie di avventure, inizialmente scritte da Jorge Lara Romero e disegnate da suo fratello Rubén, pubblicate in albi simili ai comic books statunitensi. Anch'egli si chiamava Fantomas e anche il suo abbigliamento (frac e mantello nero, cilindro, bastone da passeggio e guanti bianchi) si rifaceva inizialmente alle copertine dei romanzi originali.
In seguito, pur mantenendo lo stesso nome, questo personaggio subisce non poche modifiche, tanto nell'aspetto (ora è un giovane atletico, con una maschera bianca sul viso) quanto nel carattere: pur essendo sempre un grande criminale, ora agisce anche a fin di bene e non esita a utilizzare per i suoi scopi i moderni ritrovati della scienza, così come dispone addirittura di un vero e proprio esercito di agenti segreti che lavorano per lui un po' in tutto il mondo.
Allievo di Massenet ma soprattutto di Franck al Conservatorio di Parigi, fu per dieci anni segretario della Société Nationale, a cui diede notevole impulso programmando numerose opere di compositori francesi contemporanei. La sua produzione sta sotto l'influsso di Franck e di Wagner, tanto che egli può essere considerato uno dei più significativi post-romantici francesi. Trovò però accenti personali nelle melodie, che lo accostano sotto molti aspetti a Fauré e Massenet, facendone in taluni casi un precursore di Debussy.
Compose tre opere teatrali (ma solo una fu rappresentata), musica di scena e molta musica vocale, che costituisce forse la parte migliore della sua produzione. È autore anche di musica da carnera e di alcuni poemi sinfonici oggi pochissimo eseguiti fuori di Francia. Più noti invece anche all'estero la Sinfonia e il Poema per violino e orchestra.
Sinfonia in si bemolle maggiore op. 20 (1890)
Composizione rigogliosa, ricca di effetti strumentali, generosa di idee melodiche e armoniche, questa Sinfonia conserva ancor oggi un suo inconfondibile sapore nonostante vi appaiano evidenti alcune lungaggini. Si noti l'allacciamento e il rincorrersi dei temi nei tre tempi, si notino le atmosfere trasognate, dove il musicista mette abilmente in rilievo uno strumento o un gruppo di strumenti su uno sfondo armonico e timbrico vago, che sembra anticipare talune atmosfere debussiane. Non mancano naturalmente gli effettoni, le sonorità quasi bandistiche, e sono proprio queste che costituiscono la parte più caduca della Sinfonia.
Composta di tre invece dei quattro tempi tradizionali, la Sinfonia si articola nel modo seguente: "Lento-Allegro vivo," "Molto lento " (una sorta di lamento funebre) e "Animato. "
Studiò legge e pianoforte a Parigi, iniziando qui anche gli studi di composizione. Dal 1861 al '79 lavorò come impiegato al Ministero degli Interni, ma lasciò questo posto per dedicarsi interamente alla musica, e dal 1881 diresse il coro dei Concerti Lamoureux. È uno dei più interessanti musicisti francesi di fine '800. Entusiastico ammiratore di Wagner, fu instancabile animatore della "prima" parigina di Tristano ed entrò a far parte del "Petit Bayreuth," circolo wagneriano costituito a Parigi dagli ammiratori del rivoluzionario musicista tedesco. Nonostante l'ammirazione per Wagner, di cui risenti l'influsso, raggiunse nella sua produzione un'espressione personale, che ce lo mostra oggi come uno dei musicisti più significativi per la formazione della moderna scuola francese. Il suo gusto armonico e ritmico, la sua sensibilità per il timbro sono eminentemente francesi, e costituiscono un esempio sicuro a cui si atterranno Dukas, D'Indy e anche il primo Debussy. Oggi ancora le sue composizioni si ascoltano volentieri, testimonianza viva di un'epoca in cui si venivano maturando fermenti decisivi per tutta la musica del nostro secolo.
Oltre ad alcune opere teatrali, Chabrier compose pagine vocali con orchestra, musica sinfonica, molti pezzi per pianoforte e una quantità di liriche, deliziose per freschezza ed eleganza di invenzione.
Espana, rapsodia per orchestra (1883)
La suggestione della Spagna ha operato su molti musicisti da oltre un secolo a questa parte: da Glinka a Debussy, da Saint-Saens a RimskiKorsakov, la letteratura musicale è ricca di pagine rievocative del folclore iberico, che con la vivezza dei suoi ritmi e la peculiarità delle sue melodie non ha mai mancato di impressionare vivamente gli animi sensibili. Chabrier, con Espana, è un rappresentante tipico di questo fenomeno: egli coglie indubbiamente, del folclore spagnolo, gli aspetti piu esteriori, e in fondo bisognerà attendere l'opera di un De Falla per individuare gli elementi della musica popolare spagnola a un alto livello di trasfigurazione artistica. Questo non toglie peraltro alla partitura di Chabrier la sua eleganza di fattura, quella forza rievocativa dei trascinanti ritmi iberici che è un poco vacua ma anche avvincente, colorita e festosa, ravvivata da una sensibilità sottile per la luce e i colori della Spagna. I ritmi che stanno alla base di questa composizione sono quelli della jota e della malaguena: ed essi si fondono in una danza vorticosa, dall'inesauribile piacere sonoro, dando luogo a un affresco sinfonico fresco e pieno di vita. Il gusto francese di un'orchestrazione rutilante e ricca d'effetti si sposa felicemente con i pulsanti ritmi spagnoleschi, realizzando un quadro dalle tinte scintillanti.
Tutta la partitura, in libera forma rapsodica, si svolge in tempo "Allegro con fuoco " ed è costantemente in 3/8.
Fantax, Francia, 1945 / J.K. Melwyn Nash (Marcel Navarro) e Chott (Pierre Mouchotte)
Antesignano dei cosiddetti fumetti neri che nasceranno all'inizio degli anni Sessanta con Diabolik, Fantax è un vendicatore mascherato protagonista di storie molto realistiche per l'epoca.
E' un personaggio immaginario protagonista di una omonima serie a fumetti ideata nel 1946 dallo sceneggiatore Marcel Navarro e dal disegnatore Pierre Mouchot. Fu uno dei primi eroi in costume pubblicati in Francia e divenne fra i più noti del periodo; la serie ebbe un grande successo commerciale ma ebbe problemi con la censura per i contenuti violenti e dovette cessare la pubblicazione nel 1949, a causa della nuova legge sulle pubblicazioni rivolte ai giovani. Riapparve per una serie di otto nuovi episodi nel 1959, sceneggiati da Mouchot e illustrati da Rémi Bordelet.
Indossa una calzamaglia rossa e nera, cappuccio, mantellina e ha una grande "F" stampigliata sul petto. Conduce una personale lotta senza quartiere contro criminali di ogni tipo ed è uno dei primi ad avere dei guai con la censura per certe sequenze particolarmente brutali e violente.
Il personaggio è un giustiziere in costume le cui storie, narrate come se fossero vere, sono nella finzione scenica tratte dalle memorie di Lord Neighbour, alter ego del personaggio, che vive le sue avventure insieme alla moglie Pat.
La storie delle serie vennero presentate come reportage autentici sulle gesta del personaggio del quale gli autori sarebbero stati i biografi; le prime storie riportavano la dicitura "Secondo il rapporto di JK Melwyn-Nash" fino a quando Navarro non abbandonò la serie per poi riportare "Pubblicato con l'autorizzazione speciale di Lord Horace Neighbor" che poi divenne "Secondo la storia di Lord Neighbor".
Allievo della madre e dal 1896 del Conservatorio di Parigi , visse qui per molti anni facendosi conoscere e apprezzare come compositore e concertista e presentando al pubblico francese le opere piu significative dei musicisti italiani dell'ultima generazione. Stabilitosi nel 1915 a Roma fu attivo come pianista, direttore d'orchestra, insegnante e organizzatore, fondando nel 1917 la Società Italiana di Musica Moderna divenuta nel 1923 la Corporazione delle Nuove Musiche.
Insegnante di pianoforte a S. Cecilia dal 1915, dal 1937 diresse il Festival veneziano di musica contemporanea, sempre operando attivamente nel campo dell'organizzazione della vita musicale e per la diffusione della musica moderna, italiana ed estera. Fu altresi attivo come scrittore, critico e conferenziere. Venne prematuramente stroncato da un cancro.
La figura di Casella resta nella musica italiana soprattutto per la sua attività di animatore instancabile: egli fu tra i primi ad avvertire in Italia l'esigenza di un rinnovamento della musica strumentale, a rifarsi allo studio degli antichi compositori italiani e nello stesso tempo a tener conto di quanto si faceva fuori del nostro paese. Svolse così un suo ruolo nella sprovincializzazione della vita musicale italiana, e la campagna che condusse contro la degenerazione del melodramma verista diede buoni frutti per la posteriore evoluzione della musica. D'altro canto, l'appoggio da lui dato al regime fascista e la sua concezione di una musica "mediterranea" adeguata alle caratteristiche della razza latina, lo indussero a un apriorismo teorico che non gli permise di portare avanti con reale coerenza quell'esigenza di rinnovamento della musica che egli stesso aveva vivamente sentito in gioventu e che aveva trovato altrove insignì rappresentanti.
Partita per pianoforte e orchestra op. 42 (1925)
Dopo il 1920 Casella manifestò, come si è detto, un vivo interesse per le forme della tradizione strumentale italiana: cosi nacque questa Partita, forma tipica della musica strumentale italiana del '600; ed è significativo notare che poco dopo Casella anche musicisti italiani di generazioni piu giovani, come Ghedini, Petrassi e Dallapiccola, scrissero delle partite. La Partita di Casella è scritta in uno stile diatonico semplice e scorrevole, e senza essere una delle sue composizioni piu felici rimane un brano di abile fattura, in cui Io spirito dell'antica musica italiana rivive in un discorso sereno, sorretto da un ritmo vigoroso in cui è sempre possibile notare qualche influsso stravinskiano.
I tempi della Partita sono: "Sinfonia " ('Allegro un poco maestoso-Vivacissimo'), "Passacaglia" (un tema 'Andante mosso, ma grave,' 12 variazioni e coda) e "Burlesca" ('Allegro vivacissimo e con brio').