venerdì 19 dicembre 2025

Philip St. John: Razzi verso il nulla, n.67

  



Il mistero avvolge il campo sperimentale di White Sands, Nuovo Messico, divenuto nel 1981 il più grande campo sperimentale del mondo per razzi interplanetari: vero e proprio universo di scienziati e tecnici chiuso in se stesso. Ma un altro mistero sembra gettare su White Sands la sua cupa ombra: dove vanno a finire tutti gli scienziati e i razzi che, partiti in volo sperimentale scompaiono senza lasciar traccia? Chi sono le enigmatiche ombre che si muovono, nottetempo, tra i bianchi edifici di White Sands? E' vero che giganteschi razzi, di tipo sconosciuto a White Sands, decollano dalle zone polari per ignota destinazione? Questo ed altri enigmi assillano Daniel Cross, giovane scienziato di White Sands: il quale, quando scopre che anche suo padre e sua madre scompaiono dalla Base senza lasciar traccia decide ch'è venuto il momento di vederci chiaro...
 

Sherlock Time



Argentina, 1958 / Héctor G. Oesterheld e Alberto Breccia

Strano investigatore privato, dalla massiccia corporatura e il volto squadrato, che sembra dominare tanto il tempo quanto lo spazio e assomiglia più a un pugile che a un tipo deduttivo. Infatti è soprattutto un uomo d'azione e non si tira mai indietro quando si tratta di menare le mani. 



Tra i numerosi casi risolti, possiamo ricordare quello di una serie di misteriose sparizioni provocate da alcuni extraterrestri che, grazie a una serie di ingegnose "trappole", prelevavano esseri umani per studiarne il "funzionamento".


 

Progressive Spin, puntata 27


Moron Police - Pachinko, Pt. 1
Stereolab - Immortal Hands
Obiymy Doschu - Thruths
Anna von Hausswolff - The Iconoclast
Cen-ProjekT - Gregor Titan Volkov



 

giovedì 18 dicembre 2025

Lo sceriffo Fox


L'abile e indomito Fox, sceriffo dalle piume corvine attivo nel West di Grattas City, popolato prevalentemente da animali antropomorfi come lui, vive il suo miglior ciclo di avventure sulle pagine di Cucciolo, tascabile pubblicato dalle Edizioni Alpe di Milano e per cui fra gli anni Cinquanta e Sessanta ha avuto un rilevante ruolo creativo e di coordinamento Giorgio Rebuffi, ideatore dello stesso Fox e di tutto il cast di interpreti della saga, a cominciare dal poco sveglio Conny, il coniglio aiutante di Fox, e dal villain per tutte le stagioni Baffos. Rebuffi è l'autore dei testi e dei disegni delle due rare avventure di Fox dello sfogliabile: Caccia al bisonte e Meglio lo scopone, uscite su due numeri del quindicinale Cucciolo: il 1 5 e il 23 del1956.

Il personaggio è raffigurato come un corvo bonario nero ed allampanato caratterizzato da un grosso becco. Gira vestito da sceriffo, con cappello da cow boy, stivali con speroni, stella appuntata sul gilet, guanti e revolver, e si muove in un immaginario far west popolato da altri animali antropomorfi fra cui Conny, un coniglio che funge da aiutante e che diventa nel tempo una sorta di co-protagonista in grado di sbrogliare un gran numero di brutte situazioni, e Baffos, un gatto che impersona il ruolo del cattivo un po' imbranato.






SNMN, puntata 27



Serena Schintu - Oggi no
Grazia Di Michele feat. Kenyatta Beasley - Cada cosa es preciosa
Stefano D'Orazio - Ci metto il cuore
Charlie Risso - Bad Instinct
Valerio Pontrandolfo - 
Mirkotek - Mi sto innamorando
Nùma - Quando canta Simone Cristicchi
MadAoki - Revolutionary Sound
IDKs Punk - Far From Home
Mystic alma - Romance
Oscar's Band - Statale 36
Unkle Kook - The Wedding
Tales Of Oneira - Mirrors of Another Self
Bandeep - Affari tuoi



 

mercoledì 17 dicembre 2025

Scott Lindroth

(Cincinnati, 16 gennaio 1958)

Nato a Cincinnati, Ohio, e cresciuto vicino a Fond du Lac, Wisconsin, Lindroth ha conseguito il DMA e il MM in Composizione presso la Yale University School of Music e una laurea triennale in Composizione presso l' Eastman School of Music. 
Compositore e insegnante americano residente vicino a Durham, nella Carolina del Nord. È entrato a far parte della facoltà della Duke University nel 1990, dove è Vice-Rettore per le Arti e Professore Associato di Musica "Kevin D. Gorter"; tra i suoi colleghi alla Duke figurano i compositori Stephen Jaffe, John Supko e Anthony Kelley. Lindroth tiene corsi di laurea triennale in teoria musicale, composizione e musica elettronica, oltre a seminari di specializzazione su argomenti legati alla composizione. Nella primavera del 1995, è stato Professore Assistente Visitatore di Musica alla Princeton University .

Dice di se stesso:
Sono un compositore di musica strumentale e vocale. I miei lavori più recenti sono  T120 , un trio per pianoforte composto per l'Horszowski Trio (2021) e un Quintetto per sassofono soprano e quartetto d'archi (2019). Il mio progetto attuale è un quartetto per flauto e tre archi, commissionato dall'Electric Earth Concert Series. 

Il mio insegnamento si concentra sugli aspetti tecnici della musica, includendo lezioni di teoria musicale, composizione e trascrizione. Insegno anche un corso intitolato "Musica e cervello" con Tobias Overath, un collega in psicologia e neuroscienze. Questo corso esplora la fisiologia e la psicologia dell'udito e della cognizione musicale, uno studio che mi ha permesso di riconsiderare idee che conosco bene da una prospettiva completamente diversa, con il risultato che idee "vecchie" sono tornate "nuove". Interessi più marginali includono alcuni aspetti della tecnologia musicale: campionamento dal vivo ed elaborazione del segnale, sonificazione e composizione assistita da computer.  

Oltre a questi interessi professionali, mi piace lavorare con le macchine utensili e andare in moto sulle strade secondarie della Carolina del Nord. 


T120
Una première in tempo di pandemia offre la possibilità di un'attesa ancora più intensa. Scott Lindroth, il cui nuovo lavoro "T120" sarà presentato al pubblico in un'esibizione al Baldwin Auditorium il 9 ottobre alle 20:00, afferma di rendersi conto ora più che mai di quanto sia prezioso riunirsi per vivere insieme un'opera d'arte.

"Penso che sia un'emozione ancora più grande per tutti noi che lavoriamo nel mondo delle arti performative poter tornare sul palco, rendendoci conto di quanto sia speciale quel rituale", ha affermato Lindroth, professore di musica alla Duke. "E quando questo ti viene tolto, ti rendi conto di quanto sia meraviglioso e importante potersi riunire e vivere questa esperienza condivisa".

"T120" di Lindroth sarà eseguito dall'Horszowski Trio, insieme a "Per Vera" dello studente di musica Ryan Harrison (anch'esso in prima esecuzione) e al "Trio n. 1 in Re minore, op. 63" di Robert Schumann. Lindroth è entusiasta di affidare il suo brano alle sapienti mani dell'Horszowski Trio, il cui lavoro è stato descritto come "agile, persuasivo" (The New York Times) e "eloquente e avvincente" (The Boston Globe). Ha incontrato il trio in occasione di un'altra première nel New Hampshire, dove i suoi colleghi Jonathan Bagg, professore di pratica musicale alla Duke University, e Laura Gilbert hanno presentato una sua nuova opera nella loro serie di concerti, Electric Earth Concerts.

Nelle sue note di programma, Lindroth scrive che "T120" è strutturato in due movimenti. "Il primo è ispirato dall'esperienza del movimento in avanti, a volte ad alta velocità, attraverso una varietà di terreni, superfici e condizioni meteorologiche", ha detto Lindroth. "Quando le condizioni sono giuste, provo euforia, serenità, leggerezza d'animo e un benessere indescrivibile. Il secondo movimento segue senza pause e punta a finalità espressive completamente diverse: una meditazione sulle perdite personali che hanno avuto luogo negli ultimi anni".

Lindroth voleva esplorare la collisione della vita quotidiana con eventi esterni difficili. "Abbiamo la nostra vita quotidiana con cose di cui siamo preoccupati e su cui lavoriamo, e ci sono alti e bassi, ma stiamo facendo progressi. E poi succede qualcosa dall'esterno e cambia completamente la nostra prospettiva, portandoci fuori da quello schema banale", ha detto.

"Nella seconda parte emergono elementi che si trovano nel primo movimento, ma vengono ricontestualizzati", ha continuato. "Qualcosa che ha un'identità in un contesto può avere un'identità completamente diversa da questa nuova prospettiva, e adoro questo della musica: le stesse note possono essere multivalenti, completamente diverse, a seconda del contesto. Trovo questo davvero emozionante, prezioso e potente. Questa musica è un tentativo di prendere cose accadute nel quotidiano e inserirle in questo nuovo contesto, osservando come cambiano."



Leonard Tushnet: A che serve una invenzione se non serve?


Io sono un uomo pratico, cosa che a volte i miei figli (ma vivi e lascia vivere!) non sono, nonostante il loro cervello. Uno a testa. Se non fossero due, gemelli, e se i loro due cervelli fossero in una testa sola, questa testa saprebbe più cose di tutti gli scienziati del mondo messi insieme, ve lo dico io. Comunque sono in grande considerazione, e lavorano con incarichi di responsabilità per una grossa ditta di pellicole fotografiche. Non ne faccio il nome perché ai ragazzi potrebbe non far piacere. Non so come la pensino. Anche se dovrei saperlo. Li ho allevati personalmente, dato che hanno perso la madre quando avevano otto anni, e devo dire che non è stata un’impresa facile. Io non mi sono risposato, perciò ho dovuto pensare al lavoro, e contemporaneamente mandare avanti la casa. Comunque i ragazzi sono sempre stati bravi. Dio li benedica!
Larry ha la passione dei laser. È un sistema per proiettare la luce. Non so come funzioni esattamente perché non ho avuto la loro istruzione. Non ho fatto l’università. Leo, invece, è appassionato di magia. Ed è molto bravo, devo dire. I ragazzi hanno collaborato parecchio tra loro nel costruire trucchi e illusioni assai ingegnose. La cantina è piena di questi loro apparecchi. E vengo al punto.
Larry ha costruito un apparecchio per ottenere un’illusione ottica che serviva a Leo. Sapete, come quando si vede qualcosa che invece non c’è. Lo si può fare con gli specchi. Larry ha usato il laser, ed è arrivato a ottenere quelli che lui chiama ologrammi. Sembrano fotografie ma non lo sono. I negativi appaiono come un ammasso di punti e di macchie, ma quando sono proiettati sullo schermo si ha l’impressione di poter girare attorno all’immagine. È a tre dimensioni. Lo so che è difficile crederci se non lo si vede coi propri occhi. Una immagine normale è piatta, è una foto, insomma, e rimane identica da qualsiasi angolo la si guardi, ma l’immagine ottenuta con la proiezione di un ologramma è autentica, e se ci si sposta a destra o a sinistra si ha una visione diversa da quella che si ha guardando di fronte.
Dunque, come ho detto, Larry costruì questi ologrammi per Leo. E proiettò le

martedì 16 dicembre 2025

Piero Bernardini - Scusi ha ucciso lei il professore Sanguinetti, 1949








Ken Follett: Il treno di mezzanotte per l’ignoto




Il conducente stava pensando alle vincite della lotteria, allo champagne, al prepensionamento, ad una vacanza in Giamaica e alle belle ragazze in bikini quando, con la vista annebbiata dai suoi sogni a occhi aperti, vide una stazione e schiacciò il freno.
Il capotreno stava leggendo un’edizione economica che raccontava le confessioni di un lattaio e quest’ultimo era appena stato invitato in un monolocale da due ragazze in veste da camera quando la vettura si fermò. Automaticamente, il capotreno pigiò il bottone per l’apertura delle porte.
Poi alzò lo sguardo dal libro, si rese conto del suo errore e chiuse subito le porte.
Il conducente si riprese dalle sue fantasticherie sulla Giamaica, si rese conto anche lui del proprio errore ed aggrottò le sopracciglia con aria perplessa.
Il treno si allontanò.
Janet era sulla banchina e si stropicciava gli occhi. Si era svegliata di soprassalto e, rendendosi conto di aver oltrepassato Euston da un pezzo, era scesa di corsa proprio mentre si stavano chiudendo le porte.
Mentre le luci del convoglio svanivano si lasciò scappare un’imprecazione. Si era addormentata su un libro di storie dell’orrore e l’ultima stazione che ricordava era quella di Hendon Central. Era mezzanotte. Doveva esserci ancora un altro treno nell’altra direzione.
I suoi tacchi facevano un rumore fastidioso sul cemento mentre si dirigeva verso il cartello che indicava l’uscita. Le luci della stazione sembravano molto fioche e lei dovette scrutare in lontananza per vedere dove finiva la banchina.
Seguì i cartelli di metallo arrugginito che indicavano la linea diretta a nord.
La panchina di legno era coperta da uno spesso strato di polvere. «Tipico dei trasporti londinesi» pensò. Frugò nella borsetta per cercare un fazzolettino di carta e pulì un pezzetto della panchina, poi appallottolò il fazzolettino e lo lasciò cadere in un cestino per i rifiuti.
«Non ci sono mai abbastanza cestini» rifletté automaticamente. «Se li mettessero, le stazioni non diventerebbero così sporche...» Però, stranamente, quella banchina non era affatto sporca. C’era soltanto uno spesso strato di polvere. Dappertutto. E l’aria odorava di muffa.
Rabbrividì e guardò con impazienza l’orologio. Era ora che arrivasse quel treno...
Qualcosa le passò velocemente sui piedi e lei fece un balzo; lasciandosi scappare un gridolino. Poi vide un topolino che spariva in un piccolo buco nel muro. — Oh, che schifo! — esclamò.
Si guardò in giro imbarazzata, ma non c’era nessuno sulla banchina che potesse aver sentito il suo grido. Non poteva più sedersi: chissà, forse c’era un nido di

lunedì 15 dicembre 2025

Edgar Wallace: Maschera bianca, n.67

  


"Maschera Bianca" è il soprannome che la stampa ha affibbiato ad un bandito che è solito fare irruzione nei lussuosi ristoranti del West End di Londra, con il volto coperto appunto da una benda bianca, e impadronirsi dei gioielli delle signore presenti. Il giornalista Michael Quigley assiste a uno di questi raid e inizia ad indagare sull'identità del criminale. Al tempo stesso, è preoccupato per la ragazza di cui è innamorato, Janice, che sta subendo il fascino di un bellimbusto appena arrivato dal Sudafrica, Donald Bateman. La pista di Maschera Bianca conduce Michael in una delle zone più malfamate di Londra, Tidal Basin, dove Janice lavora come volontaria in una clinica per i bambini poveri gestita dal dottor Marford. La faccenda è resa ancora più complessa da un omicidio, commesso per la strada quasi sotto gli occhi di un poliziotto di ronda: la vittima è Donald Bateman. C'è forse un legame tra il morto e Maschera Bianca? Il sovrintendente Mason e il sergente Elk scoprono ben presto che non si tratta del solito crimine di routine in quel pericoloso quartiere e, aiutati anche dal giornalista, cercano di fare luce su un delitto complicato e ingegnoso.
 

domenica 14 dicembre 2025

Polar Express (2004): il film che ogni Natale mi ricorda perché credevo davvero

 


Polar Express è un film d’animazione del 2004 che per me non è mai stato “solo” un film di Natale. È uno di quei titoli che tornano ogni anno come un rituale personale, perché parlano a una parte fragile e preziosa che crescendo rischiamo di mettere a tacere.
La storia è semplice solo in apparenza. In realtà Polar Express racconta un momento preciso della vita: quando inizi a dubitare, quando senti che qualcosa di importante sta cambiando dentro di te, quando credere non è più automatico. Ed è proprio questo che lo rende così potente. Non ti prende in giro con magia urlata o buoni sentimenti facili. Ti accompagna piano, nel silenzio della notte, tra neve, luci lontane e domande non dette.
Ogni volta che lo guardo sento un misto di meraviglia e malinconia. Meraviglia perché riesce ancora a farmi sentire piccola, come quando il Natale sembrava infinito. Malinconia perché mi ricorda quanto sia facile perdere quella sensazione crescendo. Polar Express non parla solo ai bambini: parla soprattutto agli adulti che fingono di non averne più bisogno.
L’atmosfera è uno dei suoi punti di forza più grandi. È fredda, notturna, sospesa. Non c’è caos, non c’è rumore inutile. C’è attesa. E quell’attesa è profondamente natalizia, più di qualsiasi decorazione o canzone allegra. È l’attesa di qualcosa che non sai spiegare, ma che senti importante.
L’animazione, spesso discussa, contribuisce a questa sensazione quasi onirica. I personaggi sembrano muoversi in un mondo che non è del tutto reale, come se fossero dentro un ricordo o un sogno d’inverno. A me questo non ha mai disturbato, anzi: rende il film diverso, riconoscibile, unico.

Polar Express è un film che non cerco per ridere, ma per sentire. È una carezza e allo stesso tempo un richiamo. Mi ricorda che crescere non dovrebbe significare chiudere tutto, ma scegliere cosa tenere con sé.
È per questo che, ogni Natale, torno sempre lì. Non per nostalgia sterile, ma per ricordarmi che credere, a volte, è un atto di coraggio.

venerdì 12 dicembre 2025

Wilson Tucker: Tele-Homo Sapiens, n.66

 



E' legge di natura che una specie più progredita attraverso la selezione naturale, le variazioni ereditarie e le improvvise, inesplicabili mutazioni, tenda non solo a sostituire ma spesso a distruggere la specie più rozza e imperfetta dalla quale discende, ma in cui non si riconosce più. Come si spiega, per esempio, che con la comparsa degli evoluti e superiori uomini di Cro-Magnon - la specie umana dalla quale l'uomo moderno potrebbe discendere in linea retta - i rozzi, bestiali uomini di Neanderthal scomparvero totalmente nel giro di poche generazioni? Quale odio per i loro troppo evoluti congeneri spinse questi a liberarsi di così bestiali cugini? o quali pratiche mostruose e belluine presso i neanderthaliani ispirarono ai Cro-Magnon una ripugnanza tale per quei sileni da non potersene liberare che col loro sterminio? Un mutante, quando dia chiari segni di aver raggiunto in sé certi particolari processi della specie che lo differenziano nettamente dalla specie da cui proviene, suscita l'odio e il rancore nei suoi meno dotati congeneri, che non gli perdonano le sue superiori facoltà. E' odiato come mostro, come scherzo di natura, è perseguitato. Le sue più evolute capacità gli permettono comunque di difendersi, di trovare gli altri suoi pari, di costituirsi in nucleo di difesa, di attaccare finalmente la specie matrigna che non li riconosce più e distruggerla. Oppure, possono anche verificarsi casi diversi da questi, che obbediscono a leggi psicologiche naturali. Paolo Breen, per esempio, il protagonista, è dotato di poteri telepatici così estesi e manifesti da rivelare come la specie umana tenda a un tipo d'evoluzione orientato sullo sviluppo e la generalizzazione delle facoltà paranormali, latenti quasi in ogni essere umano. Posizione di privilegio, per Paolo, e anche di gravissimo rischio. Soprattutto quando i suoi straordinari poteri finiscono per intercettare le attività del F.B.I. con relativa politica atomica e altre faccende internazionali. Tele-Homo Sapiens è un romanzo eccezionale: fantastico all'aspetto, si basa in realtà su dati di fatto rigorosamente scientifici; tutto vi è possibile, perchè non va dimenticato che la fantasia di oggi può essere la realtà di domani.

  

Sherlock Holmes


Gran Bretagna, 1887 / Arthur Conan Doyle

Nato il 6 gennaio del 1854 (è un Capricorno con ascendente Scorpione), Sherlock Holmes è ancora oggi uno dei detective letterari più noti se non addirittura "il" detective per antonomasia. «Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, dev'essere la verità» è una delle sue frasi celebri. E ancora: «Dicono che il genio consiste in un'illimitata capacità di curare i particolari. È una pessima definizione, ma si applica al lavoro dell'investigatore». 



Dopo aver risolto il suo primo "caso" quando era ancora studente a Oxford (uno studio in rosso), a 27 anni incontra il dottor Watson, suo futuro amico e biografo, e vanno a vivere insieme, per risparmiare sull'affitto, al 221-B di Baker Street, a Londra, dove ancora oggi molti fan continuano a scrivergli e dove da qualche anno c'è la sua casa-museo.



Alto e magro, dal volto «affilato, vivace, incorniciato dai copri orecchi del suo berretto da viaggio» e dalle lunghe mani «sensitive e nervose», Sherlock Holmes è molto suscettibile e capace di fanciulleschi entusiasmi, è dotato di una notevole intelligenza analitica (interessandosi più al particolare che al tutto) e gli piace stupire e meravigliare grazie al suo eloquio brillante e alla sua logica implacabile. Il suo maggior difetto, «Se pur difetto può chiamarsi, fu sempre una e trema ripugnanza a comunicare i propri progetti agli altri prima che il momento dell'azione fosse venuto». Riserbo «che va in parte attribuito al suo carattere dominatore, poco proclive ad ascoltare osservazioni o consigli, nonché a una certa passione per i colpi di scena stupefacenti e improvvisi dalla quale non aveva mai saputo liberarsi».



A parlare così di Sherlock Holmes è naturalmente il dottor Watson, che in un 'altra occasione così descrive il suo ineffabile amico: «Il suo fisico, di per se stesso, era tale da attirare l'attenzione dell'osservatore più superficiale. La statura di Holmes superava il metro e ottanta, era tanto magro da parere più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti, salvo in quei periodi di torpore di cui ho fatto cenno; il naso affilato e un poco adunco conferiva alla sua faccia un'espressione vigilante e decisa. Anche il mento, quadrato e pronunciato denotava in lui una salda volontà. Aveva le mani sempre macchiate d'inchiostro e di sostanze chimiche, eppure possedeva una straordinaria delicatezza di tatto, come avevo osservato vedendolo
manipolare i suoi fragili strumenti».



Dopo diversi giorni di convivenza e di studio sul suo nuovo coinquilino, il dottor Watson scopre che Sherlock Holmes è uno strano miscuglio di straordinaria sapienza e di ignoranza totale. Prova a elencare queste cognizioni - «l. Letteratura: zero; 2. Filosofia: zero; 3. Astronomia: zero; 4. Politica: scarse; 5. Botanica: variabili. Conosce a fondo caratteristiche e applicazioni della belladonna, dell'oppio e dei veleni in generale. Non sa nulla di giardinaggio e di orticultura; 6. Geologia: pratiche ma limitate. Riconosce a prima vista le diverse qualità di terra. Dopo una passeggiata, mi ha mostrato certe macchie sui suoi pantaloni indicando,
in base al loro colore e alla loro consistenza, in qual parte di Londra avesse raccolto il fango dell'una o dell'altra; 7. Chimica: profonde; 8. Anatomia: esatte, ma poco sistematiche; 9. Letteratura sensazionale: illimitate. A quanto pare, conosce i particolari di tutti gli orrori perpetrati nel nostro secolo ; 10. Suona bene il violino; 11. E abilissimo nel pugilato e nella scherma; 12. È dotato di buone nozioni pratiche in fatto di legge inglese» -, ma poi, scoraggiato, decide di lasciar perdere,
dato che non riesce a trarre nessuna considerazione da dati così contrastanti, e butta la sua lista nel fuoco.



Nonostante gli avesse dato la fama e una certa agiatezza economica, non tutti sanno che Arthur Conan Doyle non amava Sherlock Holmes e nell'aprile del 1893 decise addirittura di farlo morire. «Sono a metà dell'ultimo racconto di Sherlock Holmes - scrisse alla madre,- al termine del quale il gentiluomo scompare per non tornare mai più. Sono stufo anche solo di sentirlo nominare». E così, mentre
lotta con il professor James Moriarty nei pressi delle cascate di Reichenbach, in Svizzera, Arthur Conan Doyle lo fa piombare in un precipizio.



«Non l'avesse mai fatto! - ha ricordato Alberto Tedeschi nell'introduzione a un Omnibus Mondadori. - La reazione del pubblico è unanime, violenta, e l'autore viene subissato da una valanga di lettere di protesta, alcune delle quali lo ingiuriano, accusandolo di 'assassinio'. Cedendo alla pressione popolare, Conan
Doyle pubblica, nel 1902, il suo terzo romanzo, Il mastino dei Baskerville, la cui vicenda, come spiega il narratore Watson, è precedente all'episodio in cui Sherlock Holmes 'ha trovato la morte'. Ma il ripiego non è sufficiente e, ben presto, l'autore è costretto a rivelare che Sherlock Holmes è vivo e vegeto. È uscito miracolosamente incolume dall'avventura in cui 'si credeva che fo se morto'». 



Così le sue imprese continuano con altri romanzi e altri racconti. Tra le numerose versioni teatrali con questo personaggio meritano di essere ricordate almeno Under the dock (1893), recitata in Gran Bretagna da C.H.E. Brookfield, e Sherlock
Holmes (1897), recitata negli Stati Uniti da William Gillette.
Tra i numerosissimi attori che hanno interpretato sullo schermo il detective creato da Arthur Conan Doyle possiamo ricordare John Barrymore, Basil Rathbone
(protagonista anche di un lungo serial televisivo), Christopher Lee, John Neville (in Notti di terrore del 1965, Sherlock Holmes incontra Jack lo Squartatore) e Nicol
Williamson (in Sherlock Holmes: soluzione sette per cento, del 1976, il celebre detective incontra Sigmund Freud).



Raccontate in numerose versioni teatrali, cinematografiche, radiofoniche e televisive, le sue avventure hanno naturalmente ispirato più o meno direttamente anche diversi fumetti. Tra i più interessanti possiamo ricordare una serie di Edith
Meiser e Frank Giacoia negli anni Cinquanta, una di William Barry negli anni Settanta e una di Giancarlo Berardi e Giorgio Trevisan pubblicata su L'Eternauta nel 1986. Numerose anche le versioni umoristiche e satiriche.



Può essere infine curioso ricordare che non solo Sherlock Holmes è uno degli investigatori privati più conosciuti della letteratura poliziesca, ma è addirittura protagonista di racconti e romanzi di molti altri autori. Da John Dickson Carr (Il dossier Conk Singleton) a Esther L. Nasch (L'innamorata di Sherlock), da Ellery Queen (Uno studio in nero) a Nicholas Meyer (La soluzione sette per cento) ad
Alexis Lecaye (Marx e Sherlock Holmes e Einstein e Sherlock Holmes).
Il mito di Sherlock Holmes non conosce limiti. Tanto che Isaac Asimov ha curato un'antologia di racconti di fantascienza, Sherlock Holmes nel tempo e nello
spazio, pubblicata da Mondadori nel 1990, dove lo spirito del popolarissimo
detective si incarna di volta in volta in animali, robot, extraterrestri e così via.



Sempre a titolo di curiosità citiamo anche una serie televisiva americana, Holmes
and Yoyo, una situation comedy andata in onda nel 1976, con un agente investigativo della polizia di Los Angeles, il sergente Alexander Holmes (Richard B. Sbull) e il suo compagno Yoyo (John Schuck), un robot dall'aspetto umano dotato di un cervello (elettronico) analitico all'ennesima potenza. 

Ovviamente ometto di ricordare tutti i film e le fiction degli ultimi trenta anni, ma che ognuno di noi conosce bene.

  

Progressive Spin, puntata 26


Leap Day - Pride Before The Fall
Ring Van Möbius - False Dawn
Abrete Gandul - Tráfico de Influencias


 

giovedì 11 dicembre 2025

Il colonnello Caster'Bum




Il fumettista romano Lino Landolfi, occupatosi a più riprese di avventure del Far West sulle pagine del settimanale cattolico Il Vittorioso, riprende questo tema su Il Giornalino delle Edizioni San Paolo. Su testi dello sceneggiatore e scrittore Claudio Nizzi, nel 1970 Landolfi illustra le storie dell'infido colonnello Caster'Bum, il cui nome richiama beffardamente quello del leggendario generale Custer. Sfortunatamente, Caster'Bum incontra sulla sua strada il giovanissimo pellerossa Piccolo Dente, la cui ingenuità e inclinazione a combinare guai vanificano i disonesti propositi del colonnello. Le storie delle pagine seguenti risalgono agli esordi della saga: Caster'Bum contro Piccolo Dente (da Il Giornalino n. 28 del12 luglio 1970) e La battaglia di Little Tricorn (da Il Giornalino n. 40 del4 ottobre 1970). Piccolo Dente divenne poi il protagonista assoluto di una lunga serie di racconti comici, per un totale di quasi 800 tavole. 

Caster’Bum è l’ambizioso comandante di Fort Okay e per realizzare il suo sogno di diventare generale deve vincere una guerra contro gli indiani, ma casca male: la tribù che vive nel suo territorio è quella degli Assaibonis, di cui fanno parte il pacifico capo Caldaia Fredda, che non ha nessuna voglia di fare la guerra, e suo figlio, il simpaticissimo Piccolo Dente.

Lo stile caricaturale ma allo stesso tempo realistico ha decretato il successo della serie e ha fatto diventare Piccolo Dente la mascotte del Giornalino, che nell’ultima pagina lasciava spazio ad una tavola autoconclusiva con protagonista proprio il piccolo indiano. 




SNMN, puntata 26


Irene Loche - Zhero
Moris -E Andiamo
Aua - Fortune
CommonXperience - Ritorno a Casa
Oslavia - Cosa Resta
Stonale - Vola da lei
Massimiliano Martelli - Connessi
Eczema - Diagnosi
Fuoricentro - Amanda Lear
Tosello - Salto nel vuoto, feat Edda
Emmedimodesto - Emme
Klaudia DG - Me ne frego
Meggie York - disposable person
Nico Zandolino - Non Fermarti (Take Your Time)


 

mercoledì 10 dicembre 2025

Julia Perry


(Lexington, 25 marzo 1924 - Akron, 24 aprile 1979)

Julia Perry (1924-1979), nata a Lexington, Kentucky, è una compositrice afroamericana la cui carriera è spesso citata nelle discussioni sui compositori neri e americani e sul loro successo in Europa. Perry era la figlia del Dr. Abe Perry, che un tempo accompagnò Roland Hayes in tournée. Fin da giovane, il talento musicale fu incoraggiato, tuttavia non si dedicò allo studio del pianoforte fino a due anni dopo aver preso lezioni di violino. Conseguì la laurea triennale e magistrale al Westminster Choir College e compose la cantata profana "Chicago" per la sua tesi nel 1948. Continuò a studiare in istituzioni come la Julliard School of Music e il Berkshire Music Center, producendo la sua opera più famosa, lo Stabat Mater, tre anni dopo. Tra il 1952 e il 1957, Perry studiò all'estero, in Europa, con Nadia Boulanger in Francia, vincendo il Boulanger Grand Prix, e con Luigi Dallapiccola, che ottenne due borse di studio Guggenheim in Italia. In questo periodo, produsse la sua opera "The Cask of Amontillado". Dopo essere tornata in patria nel 1960, compose Homunculus C.F. e assunse un incarico presso la facoltà del Florida A&M College. Più avanti nel decennio, Perry ottenne ampi consensi negli Stati Uniti e fu eseguita da numerose orchestre rinomate, tra cui la New York Philharmonic, spingendo l'etichetta discografica di musica classica Classical Recordings a noleggiare alcune delle sue composizioni nel 1969. A seguito di due ictus che ne compromisero la capacità di comporre, Julia Perry morì nel 1979 all'età di 55 anni, dopo aver composto dodici sinfonie, due concerti, tre opere e vari brani minori nel corso della sua carriera.

Julia Perry compose il suo Stabat Mater nel 1951 e lo dedicò a sua madre. Fu il brano che lanciò la sua carriera. 
Da allora è stato ampiamente eseguito sia in Europa che negli Stati Uniti. Composto per voce di contralto e orchestra d'archi, tratto dal poema latino di Jacopone da Todi in una traduzione del compositore, lo Stabat Mater, secondo il suo autore, "si compone di tre personaggi: Gesù, Maria e lo spettatore. Nella prima parte del dramma, lo spettatore si tiene in disparte osservando la maestosa visione. Nella seconda parte, desiderando condividere il peso, esprime il suo desiderio con le parole "fac me cruce custodire".
È diviso in dieci sezioni. La concezione vocale, sebbene drammatica o quasi operistica, è grata, propriamente lirica e altrettanto sorprendente quanto l'ampia esecuzione e la fama leggendaria dell'opera stessa.

La Perry ha iniziato a diversificare la sua tecnica di composizione e a sperimentare con la dissonanza. Lo Stabat Mater, è composto per contralto solista e orchestra d'archi. Essa incorpora la dissonanza, ma rimane all'interno della classificazione della musica tonale. Questi pezzi incorporano tecniche compositive più moderne, come l'armonia quartale, che dispone gli accordi in quarte piuttosto che in terze e quinte.

Thomas M. Disch: Principio di aprile o fine di marzo



Una normale tazza da caffè. Il manico, per una pretesa di eleganza, era esageratamente piccolo. Un lieve e impalpabile velo di zucchero in polvere caduto dai biscottini Hostess sulla punta delle dita. Sulla superficie scura del caffè poteva vedere il riflesso della lampada fluorescente che aveva sopra la testa, un cerchio luminoso tremolante spezzato in un punto soltanto. Quando si sarebbe alzato dal tavolo avrebbe baciato la moglie. Si chiamava Alice. O Bernice. Gli sedeva di fronte, e teneva una tazza di caffè marrone in mano. Il suo caffè, per contrasto, era nero. Marca Yuban Disco Verde.
Si chiamava Bernice. Non Alice.
Si alzò da tavola e baciò la moglie.
— Ti auguro una buona giornata — disse Bernice. Indossava un abito da casa di cotone blu stampato a fiori gialli e rosa, mentre le tende della cucina rappresentavano diversi tipi di frutta e vegetali: mele, banane, ananas, pomodori, sedano, zucche.
L’armadio conteneva un soprabito nero e un cappello grigio. Li mise e si guardò allo specchio. Lui si chiamava Brice. Non c’era niente d’insolito o di rimarchevole nella sua faccia.
L’orologio da polso e il pendolo erano concordi nel segnare le otto e dieci. Il pendolo era una piccola casetta che ospitava dodici piccoli omini, uno per ora. Veniva dalla Foresta Nera della Germania. Alle nove lui si sarebbe trovato seduto alla scrivania del suo ufficio, pronto a cominciare la giornata di lavoro.
Mentre camminava verso la macchina, si domandò se un orologio da polso fosse un regalo adatto per il compleanno della moglie. Voleva regalarle qualcosa che fosse una sorpresa, qualcosa di particolare. La sua macchina era una Dodge Coronet 500 del 1971, o una Oldsmobile Coronado, con i sedili ricoperti. Come d’abitudine si legò le cinture di sicurezza sulla spalla e sotto il braccio prima ancora di accendere il motore. Guidò fino in fondo alla Muskegan Avenue, cercando accuratamente di evitare il nuovo buco nell’asfalto, e girò a sinistra nella

martedì 9 dicembre 2025

Giuseppe Willomitzer - Elena e l'ufficiale, 1933






 

Edgar Allan Poe: Il cuore rivelatore



Questo è vero, sono un uomo nervoso, spaventosamente nervoso, e le sono sempre stato; ma perché pretendete che sono pazzo? La malattia mi ha reso i sensi più acuti - mica me li ha distrutti - logorati. E già avevo l'udito finissimo, e tutto ho sentito del cielo e della terra. Anche dell'inferno ho sentito parecchio. Com'è dunque che sarei pazzo? State attenti! E osservate con quanto senso, con quale calma sono capace di raccontarvi tutta la storia.
Come in principio l'idea mi venne non è possibile dirlo; ma una volta che mi entrò in testa ne fui ossessionato notte e giorno. Un motivo, non c'era. La passione non c'entrava per nulla. Gli volevo bene, al caro vecchietto. E lui non mi aveva fatto alcun male. Mai mi aveva offeso. Né io volevo il suo oro. Fu per il suo occhio, credo. Sicuro, fu per quello! Aveva un occhio che pareva un occhio di avvoltoio, azzurro chiaro, con un velo sopra. Ogni volta che quell'occhio si posava su di me, mi si gelava il sangue; e così, lentamente, a grado a grado, mi misi in testa di togliergli la vita, al vecchio, e in tal modo sbarazzarmi per sempre dello sguardo di quell'occhio.
Ecco il punto! Voi mi credete pazzo. E i pazzi non sanno quel che fanno. Se mi aveste visto, invece! Se aveste visto con quanta assennatezza operai; con quanta circospezione, dissimulazione, previdenza! Mai ero stato tanto gentile col vecchio come durante la settimana che precedette l'assassinio. E ogni sera, verso mezzanotte, giravo la maniglia della porta che metteva nella sua camera e aprivo:

lunedì 8 dicembre 2025

Henry Wade: Il delitto nel municipio, n.66

 


 Durante una seduta del consiglio comunale, l'assessore Trant accusa l'amministrazione di essere coinvolta in un losco affare di terreni edificabili. La polemica infiamma la seduta e il sindaco è lieto di doverla interrompere per l'ora del tè. Durante la pausa, qualcuno chiude per sempre la bocca allo scomodo assessore, anche se Trant ha avuto il tempo di tracciare due lettere prima di morire: S. I. 

 

domenica 7 dicembre 2025

Chevelle: la band che mi strappa l’anima e me la rimette a fuoco

 

Ci sono band che ascolti per compagnia, e poi ci sono i Chevelle. Loro non entrano dalle orecchie: entrano dritti nello stomaco, dove restano a vibrare anche dopo la fine di un brano. Non hanno bisogno di effetti speciali, di pose, di frasi studiate. Hanno una sola arma: un’onestà sonora che spacca il silenzio e si incolla alla pelle.

La voce che scava e solleva
Pete Loeffler ha un modo unico di modulare la tensione emotiva. Canta come chi conosce bene le crepe interiori, le fratture invisibili che ti fanno tremare e ti tengono sveglio la notte. Ogni parola ha il peso di qualcosa che è stato vissuto davvero. Non c’è artificio, non c’è posa: solo una sincerità così tagliente da diventare liberatoria.

Riff che diventano un corpo a corpo
Il suono dei Chevelle è costruito su una robustezza che non cade mai nella prevedibilità. I riff arrivano come onde scure, precise, capaci di farti perdere l’equilibrio per poi restituirti fiato e postura. È una musica che non chiede il permesso: ti prende, ti scuote, ti rimette a fuoco. E ogni volta sembra nuova, anche quando conosci già ogni nota.

Un legame che non si spezza
Da fan, quello che mi colpisce ogni volta è la capacità del trio di trasformare la tensione in un abbraccio sonoro. Non è solo energia. È riconoscersi. È sentirsi capiti da una band che non ti ha mai visto, ma che sembra conoscere i tuoi temporali interni. I Chevelle hanno il raro dono di fare compagnia nei momenti in cui non vuoi parlare con nessuno.

Perché continuano a contare
In un panorama rock sempre più omologato, i Chevelle restano ciò che molti inseguono ma pochi raggiungono: autenticità emotiva con potenza controllata. Non cercano l’hype. Non inseguono trend. Mantengono la loro rotta e lasciano che sia il suono a parlare. E per chi li segue, questa coerenza diventa un porto sicuro, una certezza concreta in mezzo al rumore.


Maurice Leblanc - La frontiera, 1916






 

venerdì 5 dicembre 2025

Jerry Sohl: Pionieri dell'infinito, n.65

  



Il dottor Costigan aveva ideato e costruito il suo stranissimo "Ago" a scopo sanitario, soprattutto per favorire le ricerche della scienza medica nel campo della radioscopia e radioterapia. Ma fu solo dopo che una grande compagnia elettronica mise a sua disposizione un milione di dollari che Costigan costruì un "ago" così grande che nella sua cruna poteva entrare un uomo. E quando vi entrò un uomo - Glenn Bascher - quegli scomparve e nessuno più lo rivide. Naturalmente, la polizia e la stampa s'interessarono del mistero, subodorando un delitto. Erano ben lontani dall'immaginare che l'ago del professor Costigan costituiva una via di comunicazione tra la nostra realtà dimensionale e...l'Infinito: cioè i mondi spaziali e temporali paralleli e quasi uguali al nostro. Una serie di circostanze drammatiche lancia alcune centinaia di persone - senza possibilità di ritorno - nell'Infinito: in una terra cioè selvaggia e poetica, così uguale e diversa dal nostro pianeta!... Dove una nuova società e una nuova legge a poco a poco vengono create dai Pionieri (anche se involontari) dell'Infinito. Il nuovo Eden ha inizio...
 

Vita su un pianeta nervoso, di Matt Haig

 

Trama

E se il mondo in cui viviamo fosse congegnato per renderci infelici?
E se invece potessimo fare qualcosa al riguardo?
Il mondo ci sta confondendo la mente. Aumentano ondate di stress e ansia. Un pianeta frenetico e nervoso sta creando vite frenetiche e nervose. Siamo più connessi, ma ci sentiamo sempre più soli. E siamo spinti ad aver paura di tutto, dalla politica mondiale al nostro indice di massa corporea.
Come possiamo rimanere lucidi su un pianeta che ci rende pazzi? Come restare umani in un mondo tecnologico? Come sentirsi felici se ci spingono a essere ansiosi?
Dopo anni di attacchi di panico e ansia, queste domande diventano questione di vita o di morte per Matt Haig. Che inizia a cercare il legame tra ciò che sente e il mondo intorno a lui. Vita su un pianeta nervoso è uno sguardo personale e vivace su come sentirsi felici, umani e integri nel ventunesimo secolo.


Mio parere

La prima sensazione che questo libro lascia addosso è una corrente leggera che attraversa il torace. Non è una promessa di cambiamento. Non è un insegnamento mascherato. È un contatto diretto con la parte più vulnerabile del vivere moderno. Quella parte che nessuno ammette volentieri. Quella che ogni giorno prova a resistere alla pressione continua dell'ambiente, del rumore, delle richieste costanti.

Vita su un pianeta nervoso colpisce perché non tratta il malessere come un enigma da risolvere. Lo tratta come una condizione reale che appartiene a chiunque abbia un corpo e una mente immersi in un mondo che non conosce tregua. Non c'è un tono tecnico. Non c è una postura da esperto. C'è una voce che parla con sincerità e ti permette di osservare te stessa con più calma, come se un velo si sollevasse e tu potessi finalmente guardare la tua stanchezza con meno giudizio.
La scrittura di Matt Haig è composta da un ritmo che non corre e non rallenta. Si muove in modo naturale. Ti porta a riflettere su quanto la modernità abbia trasformato la mente in una spugna che assorbe informazioni senza avere il tempo di espellerle. Ti spinge a riconoscere che la connessione continua non è un semplice accessorio della vita. È un elemento che modella il sistema nervoso, lo strattona, lo carica di stimoli che non finiscono mai. E questa consapevolezza non arriva con violenza. Arriva con delicatezza e precisione.

Il valore più profondo del libro nasce dal modo in cui l'autore parla della fragilità. Non come difetto. Non come ostacolo. Ma come una forma naturale di intelligenza emotiva. Una sensibilità che permette di percepire ciò che un mondo frenetico vorrebbe ignorare. Leggendo, si comprende che la vulnerabilità non è qualcosa da cancellare. È un punto di contatto. È un luogo dove riposare. È una parte della vita che chiede spazio invece di essere soffocata.
Chi pratica o ama la mindfulness riconosce subito la filosofia di fondo. Non c è nulla di forzato. Non c'è la promessa di un cambiamento immediato. C'è un invito a rallentare, a osservare, a respirare con più attenzione. Non come tecnica esterna. Ma come modo di stare nel mondo. La consapevolezza diventa un occhio che guarda ciò che accade dentro e fuori senza creare conflitto. È l'idea che la pace non è assenza di stimoli ma capacità di scegliere quali stimoli meritano di essere accolti.
Questo libro offre una cosa che pochi testi contemporanei riescono a dare. Una compagnia silenziosa. La sensazione di avere accanto qualcuno che non giudica, non corregge, non pretende. Le pagine funzionano come un dialogo intimo. Ti permettono di riconoscere che la fatica che porti addosso non è segno di debolezza ma risultato di una relazione complessa con un mondo che costringe il corpo a un attenzione costante.

La forza di questo libro non deriva da una struttura narrativa. Deriva dalla sua onestà. L'autore non si finge immune alla fatica. Non costruisce la figura di chi ha capito tutto. Al contrario. Apre la porta alle sue stesse difficoltà. Le mostra senza vergogna. Le usa come strumenti per creare connessione. È questo che rende il testo autentico. È questo che permette al lettore di riconoscersi senza paura di essere giudicato.
Man mano che si procede, emerge una riflessione costante sulla necessità di recuperare un ritmo umano. Non un ritmo basato sulle scadenze. Non un ritmo modellato sulle richieste della tecnologia. Un ritmo che assomiglia di più al battito naturale, a una presenza costante che non ha bisogno di correre. Un ritmo che appartiene alla vita e non al mercato dell'attenzione.

Vita su un pianeta nervoso è un invito a ricordare che prima di tutto siamo esseri viventi. Non algoritmi. Non sistemi chiusi. Non contenitori di notifiche. Siamo corpi che respirano. Siamo emozioni che cercano un posto sicuro. Siamo persone che hanno bisogno di silenzio tanto quanto hanno bisogno di ossigeno.
E quando un libro riesce a restituire questa verità con una voce limpida e umana, significa che ha fatto esattamente ciò che promette. Ha riportato la mente al suo centro. Ha dato spazio a ciò che troppo spesso viene ignorato. Ha permesso di vedere la fragilità come una forma di forza.

Questo non è un libro che ti chiede di cambiare. È un libro che ti ricorda che puoi finalmente essere come sei senza combatterlo ogni giorno.


Tenente Sheridan


Italia, 1959 / Mario Casacci e Alberto Ciambricco

Dopo aver esordito nel 1959 nella trasmissione a quiz Giallo Club, il tenente Ezechiele Sheridan (Ubaldo Lay), grintoso funzionario della squadra omicidi di San Francisco dall'eterno trench chiaro, diventa in seguito protagonista di veri e propri teleromanzi - La donna di fiori (1965), La donna di quadri (1968), La donna di cuori (1969) e La donna di picche (1972) - e di un serial di cinque episodi autoconclusivi da un 'ora ciascuno: Sheridan squadra omicidi (1967).




I vari episodi sono quasi sempre in interni, con una San Francisco che gli spettatori non scorgono mai, visto che per ragioni di economia si passa da un interno all'altro mentre i pochi esterni sono girati di solito in campagna, quasi sempre di notte. In una sola occasione, nell'episodio Soltanto una voce, si abbonda di esterni, ma si tratta di un caso eccezionale: il tenente Sheridan è infatti stato mandato in missione speciale a Roma, dove si muove con una certa disinvoltura.
 

L"'americanità" della serie era stata affidata alla maschera del protagonista e a qualche comparsa di colore che si aggirava in divisa sul luogo del delitto.
Famoso attore radiofonico, Ubaldo Lay (1917-1984) si calò con convinzione nei panni dello spigoloso tenente Sheridan, restandone però "prigioniero", dato che a causa del successo ottenuto ebbe qualche difficoltà a proporsi in altri personaggi
anche se, per esempio, è stato poi uno splendido patrigno nel romanzo sceneggiata tratto dal David Copperfield di Charles Dicken.  


A metà degli anni Settanta Ubaldo Lay-Sheridan è per qualche tempo testimonial di un aperitivo "vigoroso", ruolo che una decina d'anni dopo sarà "ereditato" da Telly Savalas-Kojak.


Può essere infine curioso ricordare che nel 1984 il tenente Sheridan ha condotto, come se fosse un caso poliziesco, una curiosa Indagine sui sentimenti su Raitre, un'inchiesta che si avvaleva di Alberto Abruzzese come "informatore" e delle "testimonianze" di Anna Benassi, Luigi Comencini, Vittorio Storaro e altri noti personaggi.




«Mai come questa volta - leggiamo su un comunicato stampa della Rai - l'esperto investigatore si sente tagliato fuori, incapace di dare un senso uniforme ai mille
tasselli del mosaico che è andato faticosamente componendo. Tuttavia nel finale, dopo che avrà visto sulla pelle del suo 'informatore' quanto può essere rischioso voler mettere il naso fino in fondo nell'universo dei sentimenti, dopo che avrà toccato il massimo del coinvolgimento, proprio nel momento della rinuncia a un lavoro che 'credetemi, non fa per me', Ezy Sheridan saprà con un ultimo guizzo di ironia riconoscersi nel meccanismo di finzione che solo può offrire un senso alla sua 'impossibile' indagine».

 

giovedì 4 dicembre 2025

Wolverine


"Wolverine: Evoluzione" è il titolo di una storia a fumetti di Wolverine pubblicata da Panini Comics, che esplora il rapporto complesso e violento tra Wolverine e Sabretooth. La storia, scritta da Jeph Loeb e disegnata da Simone Bianchi, svela un legame inaspettato e profondo tra i due mutanti, risalente a un passato lontano, forse addirittura all'alba dei tempi.
 
In dettaglio, "Wolverine: Evoluzione" è un volume che fa parte della collana "Wolverine" (2003-2009). La trama si concentra sulla lotta fratricida tra Wolverine e Sabretooth, due mutanti con un legame profondo ma conflittuale, i cui destini sono intrecciati da decenni di sangue e vendetta. Il fumetto esplora le origini di questo legame, rivelando un'antica connessione tra i due personaggi, che va oltre la semplice nemesi. 

Il volume, pubblicato da Marvel Enterprises, è composto da 144 pagine e disponibile in inglese. La versione in italiano è pubblicata da Panini Comics. È stato pubblicato il 5 marzo 2008 e la sua lettura è consigliata a un pubblico di età superiore ai 15 anni. 

Oltre alla trama principale, la storia contiene elementi che approfondiscono la mitologia di Wolverine, come la sua rigenerazione e la sua storia personale, inclusi i suoi rapporti con altri personaggi come Sabretooth. 

In sintesi, "Wolverine: Evoluzione" è una storia che approfondisce il rapporto tra Wolverine e Sabretooth, svelando un passato condiviso e un legame più profondo di quanto si potesse immaginare.  


 

  

mercoledì 3 dicembre 2025

Jenő Takács


(Siegendorf, 25 September 1902 – Eisenstadt, 14 November 2005)

Musicista longevo, spentosi alla veneranda età di 103 anni, Jenö Takács incorpora nella sua musica elementi nazionalistici dell’Austria e dell’Ungheria, recepisce inoltre, viaggiando per quasi tutta la sua vita, idee e impressioni di altri paesi, quali Egitto, Filippine, Giappone e Cina. Compositore prolifico, è conosciuto soprattutto come valente insegnante di pianoforte e attraverso le sue pubblicazioni didattiche.

Jenö Takács nasce nel piccolo villaggio di Siegendorf, a sud di Vienna, ungherese (Cinfalva) fino al 1921. Ancor prima dei vent’anni è già attivo come pianista eseguendo concerti in Germania, Ungheria e Jugoslavia. Le sue prime composizioni risentono dell’impressionismo francese. Tra il 1921 e il 1926 Jenö Takács risiede a Vienna dove completa la sua formazione all’Accademia di Musica e Arti drammatiche, allievo di Joseph Marx per la composizione e di Paul Weingarten per il pianoforte; all’Università studia con Guido Adler, il padre della musicologia moderna.
Nel 1927 Jenö Takács si reca in Egitto per insegnare pianoforte al Conservatorio del Cairo; vi rimane cinque anni che impiega anche nelle ricerche sulla musica araba. Si trasferisce poi a Manila, dove per due anni insegna pianoforte e composizione all’Università delle Filippine; nel contempo programma una serie di concerti in Cina, Giappone e Hong Kong. Jenö Takács ritorna al Cairo nel 1934, poi, nel 1938, si stabilisce in Austria. In reazione alla politica culturale nazista, Takács si trasferisce in Ungheria rinunciando alla cittadinanza austriaca. Nel 1942 ottiene la nomina a direttore del Conservatorio di Pécs; nel 1948 fugge dalla dittatura comunista e si trasferisce a Grundlsee in Stiria. Dal 1949 Jenö Takács si divide tra Europa e Stati Uniti effettuando concerti e insegnando; nel 1952 gli viene offerta la cattedra di pianoforte e composizione presso l’Università di Cincinnati in Ohio. Messo in pensione nel 1970, Jenö Takács ritorna a Siegendorf rimanendovi per il resto della sua vita.

La sua lunga attività compositiva mette in luce una sorprendente pluralità stilistica. I primi lavori di Jenö Takács sono ricchi di colori impressionistici e mostrano l’influenza della musica folcloristica ungherese; le ricerche sulla musica arabo-egiziana e sulla musica popolare filippina ispirano molte composizioni di quel periodo, come, ad esempio, la Suite Araba per due pianoforti Op. 15 (1929) e Goumbri per violino e pianoforte Op. 20 (1931). Negli anni ’40 Jenö Takács prende spunto da melodie e danze antiche ungheresi rielaborandole per essere eseguite con strumenti moderni; dopo il 1949 ritorna a forme classiche scrivendo numerose Partite e Toccate. La musica degli ultimi anni è praticamente una sintesi di elementi dei periodi precedenti.


Negli anni '60 Takács si allontanò ulteriormente dalla tonalità tradizionale e mostrò un interesse più pronunciato per i metodi dell'allora avanguardia: Dialoghi per violino e chitarra, Op. 77 (1963), includono effetti sonori e segni di espressione non musicale; Saggi in Suono per clarinetto e pianoforte, Op. 84 (1967), contiene cluster ed elementi indeterminati. Ma non perse mai di vista il fatto che la musica deve coinvolgere il suo pubblico e, anche durante i suoi periodi più avventurosi, scriveva musica con un appello molto diretto, e compose nuovamente arrangiamenti di musica popolare e folk antica, ad esempio Serenata su Antiche Danze Contadine di Graz per orchestra, Op. 83 (1966), orchestrata per una varietà di forze per garantire un massimo di esecuzioni. Durante questo periodo compose anche opere pedagogiche.