mercoledì 15 maggio 2024

Graziano Gessi: Una sera d'inverno


E’ una serata d’inverno e il cielo è di un grigio triste. Mi ritrovo a passare in quello che era il mio vecchio quartiere. Tutto è cambiato, osservo e ricordo.
Quegli alti palazzi di cemento grigio, edilizia popolare di periferia.
Quella strada che aspettava da anni di essere finita, arrivava dal nulla e finiva nel nulla contro mucchi di ghiaia, era in  terra  battuta, cordone perimetrale del nostro palazzo.
Da un lato mura di cemento, dall’altro in lontananza si poteva vedere la città, con le luci e i suoi colori, di fianco una fila interminabile di baracche di lamiere e di assi di legno, piccoli orti coltivati con cura,   testimoni di quel cordone ombelicale mai tagliato con l'anima contadina.
Lì vicino una vasta  area che era servita come deposito di terra, discarica ora abbandonata, tagliata in due  da un  profondo canale, una fogna a cielo aperto, tra quei mucchi di terra e rifiuti passavamo le nostre giornate.
Quelle colline erano per noi fortini da espugnare, vette da conquistare, posti da esplorare: ciò che era rimasto dopo lo scoppio della terza guerra mondiale, o l’arrivo dei marziani. Quell’acqua nera e putrida per noi era il Rio delle Amazzoni, il Rio Grande, o solo  il posto dove gareggiare con  le barche di carta e tirare i sassi ai ratti, e tutti prima o poi ci siamo  finiti dentro fino alle ginocchia. 
Una cosa di cui solo noi che abitavamo in quel posto potevamo godere era la “Fonderia Arcelli” che, a dispetto degli  anni Ottanta, che erano ormai prossimi, funzionava ancora a pieno ritmo e la fornace era alimentata a carbone, guardare Aldo, il proprietario, che ha mani nude buttava lingotti di ghisa nella bocca della fornace, era come guardare da vicino la porta dell’inferno, la sua figura spiccava nera contro la luce abbagliante della fornace. Dal capannone usciva un denso fumo nero, la fuliggine che la nebbia rendeva più spessa si depositava su ogni cosa e nei nostri polmoni; nelle calde giornate estive si poteva scegliere: tenere le finestre chiuse e arrostire in quei forni di cemento, o lasciare entrare quel poco d’aria e il grigio fumo della fonderia.
Ma nessuno nato nel quartiere si lamentava più di tanto, Aldo e sua moglie Mariuccia erano persone cordiali e sempre disponibili, era impossibile non amarli.
Noi ragazzini sbirciavamo all’interno di quei vetri sporchi, ricordo le sagome di quegli uomini: braccia robuste, i loro occhi rossi come braci,  che spiccavano sui volti neri come il carbone.
Quando si apriva la  bocca del forno era come un orrido mostro che vomitava ghisa incandescente che fuoriusciva con un bagliore accecante, tagliava il buio come un coltello. I lapilli infuocati toccavano il basso soffitto, il rumore assordante  e le grida degli uomini al lavoro davano a quell'ambiente un aspetto infernale.
Il piazzale usato come deposito del carbone era l’unico posto abbastanza ampio per giocare una partita a pallone, alla fine eravamo impolverati e neri come corvi.
II basso capannone di lamiera esiste ancora, la fonderia è ormai chiusa da un pezzo, la neve ha reso bianca ogni  cosa, anche il piazzale del carbone, il canale è stato chiuso e le nostre colline spianate per far posto a un ampio parcheggio di un centro commerciale. 
Gli orti sono diventati giardini e oltre una fila di villette, la strada non è più bianca, è stata asfaltata e non finisce più contro un mucchio di ghiaia, ma arriva direttamente in centro, è ora una via di intenso traffico.
Un’auto passando mi schizza sui piedi della fanghiglia scura e trent’anni di vita.
 

martedì 14 maggio 2024

Luci


 
Giro per le strade,
di notte,
ma non e' mai buio,
sono circondato
da luci, tante luci.

Luci bianche che vengono
verso di me,
luci rosse che si allontanano,
luci gialle che lampeggiano ...
Luci dietro i vetri,
luci sui portoni,
luci sui palazzi,
luci nei negozi ...

E in questi giorni
luci coloratisse dappertutto,
sui balconi, alle finestre, sugli alberi,
attorno alle case ...
Luci blu, rosse,
gialle, verdi, viola,
arancioni, bianche
che lampeggiano,
si alternano,
si rincorrono
e illuminano gioiose,
queste fredde e buie notti
di fine anno.

 

lunedì 13 maggio 2024

Stefano Marcelli: Il dio femmina stuprato nel bosco


LO STRANO CASO DEL BAMBINO DEGLI ALBERI 

Il dottore è stato uno sconosciuto, e uno sconosciuto dovrà cercare di tornare ad essere dopo la guarigione.
SIGMUND FREUD

1

La prima pagina del giornale era quasi interamente occupata dall'immagine di Giacomo Canto.
La grande fotografia a colori, sormontata dal titolo "L'Utopia è finalmente realtà", si imponeva alle colonne degli articoli come il trono di un re tra immobili sentinelle. Dentro un nugolo di bandierine e fazzoletti, agitati in una calorosa ovazione, il premier sorrideva radioso, le sue mani strette e contese da quelle di alcuni cittadini commossi.
Solo a fatica vi si potevano scorgere ritagli del lastricato della piazza non ingombrati dai piedi della gente, perché uomini, donne e bambini, fitti come i petali di una dalia, si protendevano per toccarlo. Come i nasi all'insù dei cadetti sbarbati, che impettiti in file composte bordavano il viale, anche le guglie del duomo partecipavano alla festa. E la sciabola dell'ufficiale fasciato d'azzurro che li teneva nei ranghi sembrava indicare il punto lassù, dal quale, sopra tutto e tutti, la piccola statua della Vergine con le braccia aperte e lo sguardo al cielo concedeva muta la sua benedizione.
Senza lo scudo di una scorta, senza la protezione di armi, né di cortine infrangibili, Giacomo Canto era salutato come leader assoluto della nazione.
Perché premier? Perché leader assoluto della nazione, e non semplice assessore o semplicemente stimato sindaco, magari di Guidizzolo o di Tavèrnola Bergamasca?
Perché è la gente che esagera, non chi scrive. La gente che si accumula nelle piazze, ed esulta o procede in tumulto, esagera sempre, non ci sono eccezioni. Finché vi saranno uomini con sopra un Cielo sconosciuto, sulla Terra si costruiranno scale e piramidi, e qualcuno vorrà essere il primo a salirvi.
Quando un uomo si candida da sé e mette "io" a soggetto di un'azione pubblica è già sospetto di una egoistica volontà di potenza. Ma Giacomo Canto non aveva programmato la sua ascesa al potere. Non un regno a successione filiale, non una storica dittatura; non legiferazioni bicamerali e nemmeno ordinarie burocrazie, ma una forma decisamente nuova di autorità.
Ciò che più feriva il cuore di chi leggeva era quella giacca rossa, quasi fosforescente e tutt'altro che elegante, al possessore della quale le lettere in corsivo del sottotitolo si inchinavano, come umili suore nere genuflesse al passaggio di un vescovo:
"Oggi l'ingresso ufficiale di Canto nel palazzo del governo".
Al di qua del giornale e della fotografia stava la faccia sbigottita del professore.

2

Da qualche tempo, il vecchissimo professore viveva recluso nella sua abitazione di Mantova, in una stradina del centro nei pressi di Palazzo Ducale. Trascorreva i suoi giorni tra la musica e i libri, senza televisione e senza giornali, in pacifico e volontario esilio.
Una governante originaria della provincia di Genova, tale Belandis, genuina e non più giovanissima ma ancora soda e tenace, provvedeva ai suoi bisogni primari. Per lui usciva a fare la spesa, per lui cucinava salubri pietanze kasher, sempre per lui levava polvere e ragnatele, e nella bella stagione lo accompagnava durante le passeggiate che, ritualmente, lui pretendeva.
Nella casa del professore ella disponeva di una stanza tutta per sé, che lasciava soltanto per qualche raro week-end, in cui tornava al paese per far visita ai pochi conoscenti rimasti.
C'era ancora con la testa, il professore, altroché. C'era anche con quella minuta e ciclope, che nonostante l'età si manteneva vigile ed erettile. Anche a questo la signora Belandis provvedeva.
Nella vita, avverte il proverbio, succede di tutto e il contrario di tutto. E non c'è evento che non sia preceduto da inequivocabili segni. La governante, quel mattino, era rientrata con una sorpresa.
"Bisogna che riprendi a informarti di come vanno le cose là fuori", esordì con tono di affettuoso rimprovero verso il professore che, affondato nella poltrona e intento a leggere un libro, le offriva la schiena. "La mente bisogna tenerla attiva. Non solo coi libri e la musica, ma anche con questi".
E posò sul tavolo, sbattendoli leggermente per avere attenzione, alcuni giornali e riviste.
"Lo sai quali sono i nostri accordi...", rispose il professore senza voltarsi, contrariato dall'iniziativa della donna. "Niente giornali e niente televisione qui dentro! L'informazione non allunga di certo la vita, non è mica cultura".
Ciò dicendo mosse appena il capo e sventolò in aria il libro.
"Ma le cose cambiano. E poi...", ribatté lei portando le mani ai fianchi e inclinando il busto in avanti "...ci sono anche altre cose che io faccio fuori dagli accordi, e non sono nemmeno pagata per farle. Non so se mi spiego...".
"Sì, ma piacciono anche a te!", si difese d'impulso il professore, torcendo il busto e guardando male la donna. "E se vuoi ti pagherò anche per quelle".
Detto questo si chinò di nuovo sul libro.


Amava quell'uomo di un amore semplice. Era stato il suo primo uomo, quando ormai pensava che si sarebbe mantenuta vergine fino alla morte. Quando di ciò s'era convinta, lui, il vecchio dottore, con sottili ragionamenti sin dall'inizio visibilmente intessuti intorno a un sol fine: zac!, aveva reciso il suo fiore maturo, in pochi mesi di ripetuti e subdoli assedi.
Di argomenti ne aveva, era stato molto abile a farla piegare, quasi che a lei sembrasse una libera scelta. Così, Novella Belandis, a più di quarant'anni aveva provato tutto del sesso, senza neanche sposarsi, lei, una vita vissuta nella preghiera e nella paura del peccato. Lui, invece, quasi sprovvisto di freni, capace di conciliare le messe con i vizi dell'amore fisico.
La rendeva felice il vivere accanto a una persona famosa. Il professore era stato uno psicanalista importante. Adesso, però, solo per lei teneva le sue conferenze, solo a lei svelava i misteri della vita e della mente. Com'era bello ascoltare per lunghi minuti a bocca aperta i suoi discorsi romantici su Dio, così diversi dal catechismo freddo e assoluto dei preti. Come si emozionava quando le recitava a memoria La giornata di Orazio. Era ipnotizzata dalle labbra carnose, poco insultate dal tempo, che pronunciavano:

Non domandare tu mai
quando si chiuderà la tua
vita, la mia vita...


 

domenica 12 maggio 2024

Alexey Shor + Travel Notebook (2016)

(Kiev, 1970)

Alexey Shor è nato a Kiev nel 1970 ed è immigrato in Israele nel 1991. Vive principalmente negli Stati Uniti, è un compositore molto prolifico e noto, con all’attivo già 5 concerti per violino, balletti e canzoni, praticati da diversi musicisti nel mondo. Il suo stile si affida totalmente alla tonalità, dove la struttura quadripartita dell’organismo tradizionale si fonde con una materia narrativa di chiara matrice russa. Il sinfonismo di Shor si dipana all’insegna dell’unità poetica e della coerenza, rintracciabile negli otto brani del suo From my Bookshelf, suddivisi tra: Cinderella, Don Chisciotte, Tom Sawyer, Quasimodo, Queen or Hearts, D’Artagnan, King Matt the First, Romeo e Giulietta. Musica piacevole, brillante, non pretestuosa che ripercorre generi ritmici già ascoltati, ma animati da una inquietudine interiore, con slanci e cadute improvvise, spesso ridimensionati nell’ambito di una soave malinconia, anche per una orchestra che vuol essere in secondo piano, come a creare un paesaggio lontano.  

Le sue composizioni sono state suonate in alcuni dei più prestigiosi teatri. 
Nel 2018, Shor è stato premiato con la cattedra onoraria al Komitas State Conservatory di Yerevan. Le partiture di Shor sono state pubblicate da Breitkopf & Hartel e P. Jurgenson. 
Shor è Compositore in Residenza della Malta Philharmonic Orchestra Academie e della Armenian State Symphony Orchestra e ha anche un Dottorato in matematica.


Travel Notebook (2016)
Suite di 7 brani per pianoforte e orchestra. Realizzata durante i suoi viaggi, l’opera continua una lunga tradizione che risale a secoli addietro, quando molti dei grandi compositori del passato hanno trovato ispirazione per le loro composizioni durante i viaggi. Ad esempio, Liszt scrive i suoi "Années de pèlerinage" dopo aver visitato Svizzera e Italia, Albeniz compone brani per pianoforte ispirandosi a diverse regioni della Spagna, e più recentemente "Des Canyons aux Etoiles" di Messiaen è stato scritto dopo una visita al Great Canyon. L'elenco potrebbe naturalmente continuare all'infinito...
Tipico della musica di Shor, “Travel Notebook” è scritto in uno stile neoclassico, con una forte enfasi sulle melodie e sull'armonia tradizionale. Tutti i pezzi, tranne il primo, sono ispirati dalla visita di luoghi particolari, anche se la musica riflette non solo gli stili musicali caratteristici di quei luoghi ma piuttosto alcune delle impressioni e ispirazioni dell'autore durante i suoi viaggi.
La suite si apre con una lirica "Wayfarer's Prayer" che non è associata a nessun luogo in particolare ma piuttosto evoca vari sentimenti legati al viaggio in generale: tristezza per un luogo che si sta lasciando, eccitazione e speranza, ansia per l'ignoto che ci aspetta...
Il secondo pezzo dal titolo "La Rambla" è ispirato a Barcellona, alla famosa strada nel centro della città catalana. Il poeta spagnolo Federico García Lorca una volta disse che la Rambla era "l'unica strada al mondo che vorrei non finisse mai". La musica riflette l'eccitazione e l'energia del luogo che sarà immediatamente riconoscibile da chiunque abbia mai visitato Barcellona.
"Addio" è stato scritto dopo una visita a Roma ed è un saluto musicale agrodolce che Shor dedica all'antica civiltà romana.
Il "Luxembourg Garden" è un giardino molto famoso e popolare a Parigi, che occupa un posto di rilievo nel romanzo di Victor Hugo I miserabili. La musica riflette lo spirito romantico di questo luogo.
Il "Rubicon" (Rubicone) è un fiume poco profondo nell'Italia nord-orientale, appena a sud di Ravenna. Nel 49 a.c. Giulio Cesare guidò un'unica legione sul Rubicone per raggiungere Roma. In tal modo, infranse deliberatamente la legge rendendo inevitabile una guerra civile. Da allora, l’espressione "attraversare il Rubicone" è sopravvissuta per riferirsi a qualsiasi individuo o gruppo che si impegna irrevocabilmente in una linea d'azione rischiosa.
"Sorrow" è stato ispirato da una visita a Venezia e riflette la profonda tristezza davanti ai panorami di una delle città più belle del mondo che lotta per sopravvivere alle sfide moderne (inquinamento, numero eccessivo di turisti, infrastrutture fatiscenti, costi elevati, ecc...).
Il pezzo conclusivo intitolato "Horseman" è stato scritto dopo una visita alla Royal Ascot Race, ma più che l’aspetto del luogo la musica descrive l'eccitazione, l'energia e trambusto di una corsa di cavalli.

sabato 11 maggio 2024

Lorena Lusetti

 

Vive a Bologna, la città in cui è nata e dove ha sempre abitato. Ed è proprio Bologna lo scenario di quasi tutti i suoi romanzi e racconti. 

Ha creato una investigatrice bolognese, Stella Spada, della quale ha pubblicato 10 romanzi gialli e diversi racconti (tutti con la casa editrice Damster/Edizioni del Loggione), per la quale ha ricevuto nel 2022 il premio Ispettore Sarti (alla memoria di Gianni Cavina) per la migliore protagonista letterario-seriale femminile, consegnato nell’ambito di GialloFestival.
Molti dei suoi racconti sono contenuti in antologie come ad esempio i libri delle collane “Brividi a Cena”, “Le donne che fecero l’impresa” (Edizioni del Loggione) e la più recente antologia “Noir in abito sa sera” (Damster). 
L’unico suo romanzo non di genere noir è “Pensieri e parole”.