Roberto Roganti Grog
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martedì 22 aprile 2025
MONDADORI n.33 - Rudolph Stratz: Il terrore nel castello
Nella Baviera di metà ottocento, in un ottobre umido e fosco, si ritrovano nel maestoso castello di Vogelode, proprietà del barone Leopoldo di Vogelschery, dove esso vive con l’amata moglie Cetta e i suoi bambini (scusate i nomi Italianizzati, ormai lo sapete) amici d’alto lignaggio del padrone di casa per cacciare nell’imponente riserva del castello, famosa in tutta la Baviera.
La compagnia è eterogenea, e tra tutti spicca lo sconcertante conte Giovanni Deodato Oetsch, uomo dissoluto, avventuriero impavido e mistico teorico che crede nei fantasmi e nella reincarnazione, generoso e liberale coi servi ma odioso e attaccabrighe coi suoi pari. Quest’uomo ha il merito di attirare su di se tutta l’attenzione, nel bene e nel male, e anche se nessuno lo stima tutti ne hanno paura, soprattutto perché su di lui pesa l’atroce sospetto di aver assassinato il fratello per usurparne soldi e proprietà. Il sospetto è pesante, ma nessuno ha mai potuto provare niente, e il conte Oetsch si gode beato il presente.
Ma una sera, al castello arriva con suo marito la baronessa Metta Safferstatt, ex cognata del conte Oetsch e sua principale antagonista; la baronessa apparentemente giunge a Vogelod col marito perché legata a un’affettuosa amicizia con Cetta, ma in realtà i suoi scopi sono ben altri, e inizia un serrato e tesissimo gioco delle parti dove nessuno può dirsi al sicuro…
lunedì 21 aprile 2025
Edward D. Hoch: Il settimo assassino
In pieno deserto, presso l’Oasi della Tranquillità, viveva il grande principe Alla-Khad, in un castello che sorgeva dal deserto come un castello di sabbia da una spiaggia. Alla-Khad era più che un principe: era il dominatore di un reame senza confini, un’area vagamente definita che sulle mappe viene indicata da un tratteggio incerto, racchiuso da linee di puntini. Ed era ricco al di là dei sogni più assurdi dei suoi antenati, grazie al petrolio che non aveva mai visto e che vendeva ad americani mai incontrati da vicino. Il denaro che fluiva incessante bastava a soddisfare ogni desiderio suo e delle sue mogli, che erano molte. Con tutto quel denaro Alla-Khad non aveva nemici: o, al massimo, uno solo.
Il nemico era un principe rivale, Jamarra, il cui regno, pur avendo confini non ben precisati, non racchiudeva petrolio. Jamarra, una volta all’anno, rendeva omaggio con una visita al grande Alla-Khad, ma non c’era alcuna umiltà nell’atteggiamento di Jamarra. La visita regolarmente cominciava male e finiva peggio finché, al termine della più disastrosa di quelle occasioni, Alla-Khad invocò ciò che sapeva di poter vincere.
— Guerra! — urlò, battendo sul tavolo la scimitarra. — Guerra!
— Niente guerra, amico mio, — replicò Jamarra, con voce roca. — Non ho bisogno di una guerra, per sconfiggerti. Manderò contro di te sette assassini, e tra un anno esatto tutto ciò che i miei sguardi abbracciano diverrà mio.
Con quella minaccia, si allontanò dal castello di Alla-Khad, e una quiete più profonda scese sullo sterminato deserto...
Il primo assassino arrivò tre settimane dopo, nel cuore della notte, scalando le mura del castello con una daga ingemmata tra i denti. Le guardie lo uccisero prim’ancora che avesse toccato terra dall’altro lato. Compiaciuto, Alla-Khad ordinò ricompense per tutti, e la vita, al castello, continuò come sempre.
Il secondo assassino arrivò un mese dopo, travestito da soldato della guardia. Balzò dai ranghi di uomini in turbante mentre Alla-Khad faceva un giro di ispezione, e soltanto la devozione di una delle mogli salvò il principe da morte certa. La donna che aveva fatto scudo ad Alla-Khad venne sepolta con tutti gli onori e il cadavere dell’assassino venne gettato in pasto alle poiane.
Dopo l’attentato, Alla-Khad divenne più prudente. Convinto ormai che la minaccia di Jamarra fosse seria, smise di passare in rassegna la guardia e passò la maggior
parte del suo tempo in compagnia delle mogli e dei fidi consiglieri. Per qualche mese, tutto andò bene...
Il terzo assassino venne di notte, e si introdusse nella vasta camera in penombra dove il principe dormiva. Si svegliò solo all’ultimo istante, atterrito, e la lama gli scalfì l’orecchio e affondò nel guanciale. Nel lottare con l’assassino, nella penombra, il principe scoprì che si trattava di una delle sue mogli predilette. Fu con profonda amarezza che ne ordinò l’esecuzione, il mattino dopo.
Sapeva, ormai, che occorrevano misure drastiche per salvaguardare la propria vita dalla lega di assassini di Jamarra. Da quel giorno, non rimase mai più in compagnia
sabato 19 aprile 2025
Felix
Felix the Cat (inizialmente chiamato Master Tom e noto in Italia anche come Mio Mao) è un personaggio immaginario creato nel 1917 negli Stati Uniti dall'animatore Otto Messmer modellato sulla figura di Charlot per lo studio di Pat Sullivan ed è uno dei grandi personaggi del cinema di animazione statunitense degli anni Venti protagonista di cortometraggi oltre che di una serie a fumetti pubblicata fino al 1967.
Primo vero divo del mondo dell'animazione, ha raggiunto da subito un successo planetario, godendo negli anni venti del Novecento di una popolarità pari a quella di Charlot. A metà strada tra Krazy Kat di George Herriman, creato un decennio prima, e Oswald il coniglio fortunato e Topolino di Walt Disney (si ritiene che questo personaggio abbia influenzato Disney per la realizzazione di Oswald e di Topolino) il personaggio prodotto dai Pat Sullivan's Studios fu il più grande successo e la prima star nel mondo dei cartoon negli anni del cinema muto e un grande successo anche nei fumetti.
Nacque nel 1919 nel cortometraggio Feline Follies, animato da Otto Messmer e prodotto da Pat Sullivan. Il successo continua negli anni cinquanta arrivando a produrre 264 cortometraggi animati per la televisione che verranno distribuiti in tutto il mondo. Nel 1988 venne realizzato un lungometraggio a cartoni animati. Sia nei cartoni animati che nei fumetti, il personaggio è un gatto dotato di una logica assurda e surreale protagonista di storie ambientate sullo sfondo della vita di tutti i giorni così come in contesti surreali o fantascientifici.
venerdì 18 aprile 2025
James Gunn: L'omino di panpepato
La trasformazione di Andrew Martin cominciò il 4 di luglio del 2076. Sarebbe anche potuta non avvenire per niente, se Andrew non avesse iniziato a porsi delle domande sullo scopo dell'esistenza. «Lo scopo della vita» borbottava immerso in una profonda introspezione «è evitare il dolore.»
In realtà stava pensando al dolore inflitto alla psiche dagli altri e a quanto sarebbe stato meglio non far caso a quel che dicevano o facevano o, ancor meglio, non averci a che fare per niente. Comunque, come tante cose nella vita, cominciò per caso. A dire il vero, fu la rarità delle rarità, un incidente di macchina. Con le strade automatizzate e i comandi controllati dai computer, un'auto si poteva scontrare con un'altra, o con un oggetto immobile, solo in caso di guasto totale, e persino i guasti erano programmati in modo da assicurare la massima sicurezza. Nel caso di Andrew, però, un microprocessore andò in panne in uno snodo critico, mandando in corto gli ingranaggi sterzanti e le misure di sicurezza, e facendo sì che il veicolo si scagliasse verso e sotto il sedere di un autoarticolato a guida computerizzata.
Certo, l'airbag avvolse Andrew in un abbraccio da innamorata, ma non riuscì a proteggergli del tutto le gambe, e il piede sinistro fu maciullato oltre ogni possibilità di ripristino. Il computer dell'automobile, dopo aver fatto cilecca nella sua incombenza fondamentale, avvertì con fulminea pignoleria lo stato di salute di Andrew, avvolse un laccio attorno alla gamba, iniettandovi poi un antidolorifico e un sedativo, e chiamò un'ambulanza, che arrivò con gran fragor di pale ancor prima che il bracciale emostatico necessitasse di rimozione.
Andrew riaprì gli occhi sullo sterile candore di un soffitto d'ospedale. Sulla parete di sinistra una finestra si apriva su un prato soleggiato pieno di fiorellini di campo rossi, gialli e azzurri. Nel mezzo gorgogliava un torrentello. Oltre il prato si stagliava una foresta verdeggiante che arrivava in lontananza fino ai picchi azzurri delle montagne ricoperte di neve.
«Cos'è successo?» chiese Andrew.
«Lei si trova nell'ospedale regionale cinque sette due» rispose il computer con voce femminile gentile e coscienziosa. «È stato coinvolto in un incidente automobilistico...»
«Un incidente di macchina!» l'interruppe Andrew.
«Un incidente automobilistico» ripeté il computer. «Il suo piede sinistro è stato schiacciato. L'abbiamo rimpiazzato con una protesi effe due uno otto tre. Riesce a muovere le dita del piede sinistro?»
Eccome se si sentiva di muovere le dita del piede sinistro. Andrew fece scivolare la gamba da sotto la leggera coperta termica, sollevandola per un'ispezione. Sopra la caviglia l'arto evidenziava qualche livido, ma per il resto la gamba, piede compreso, non appariva cambiata. Riusciva benissimo a muovere le dita, senza dolore alcuno. «Sei sicura che sia il piede sinistro?»
«Non commettiamo mai errori» rispose accondiscendente il computer. «Riesce a stare in piedi sul rimpiazzo?»
Andrew gettò le gambe oltre il bordo del letto per alzarsi in piedi sul tiepido pavimento elastico. Al polpaccio sinistro provava un residuo di dolenzia, e un minimo di rigidità alla schiena e al collo, però il piede sinistro stava benone. Anzi,
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