lunedì 31 gennaio 2022

Max Bruch


(Colonia, 6 gennaio 1838 – Friedenau, 2 ottobre 1920)

Dopo aver ricevuto un'ottima educazione musicale nei piu importanti centri musicali della Germania, svolse attività di insegnante e di direttore d'orchestra stabilendosi dopo il 1870 a Berlino senza peraltro abbandonare l'attività direttoriale, che lo portò anzi per alcuni anni anche in Inghilterra, in America e in Russia. Fu infine, dal 1891, insegnante alla Hochschule di Berlino, acquistandosi notevole fama di didatta: qui ebbe tra gli altri come allievo Ottorino Respighi.
Raggiunse in vita notevole rinomanza soprattutto coi suoi lavori corali: oggi è peraltro noto quasi esclusivamente per il Concerto in sol minore per violino e orchestra, una delle pochissime sue composizioni che ancora si conservino nel repertorio.
La sua musica è caratteristica del tardo romanticismo tedesco, e rivela in molti punti l'influenza di Brahms, di cui il Bruch fu amico e grande ammiratore. Essa conserva comunque una facile comunicativa, e nelle pagine migliori è caratterizzata da uno slancio fresco e spontaneo che permette di considerarla tra i frutti piu tipici dell'ultimo periodo del secolo scorso.
La produzione di Bruch è vastissima: oltre ai tre concerti per violino e orchestra, vanno ricordate alcune opere teatrali, 3 sinfonie, molti pezzi per coro e orchestra, per voci soliste, coro e orchestra, e per coro a cappella, oltre a vari pezzi per strumento solo e orchestra (come Kol Nidrei per violoncello e la Romanza per violino) e molta musica da camera. 

È curioso che di tutta la vasta produzione di Bruch sia rimasta oggi in repertorio quasi esclusivamente una composizione che, come questo Concerto per violino, fu composta quando l'autore aveva solo ventotto anni: segno che la maturità e l'esperienza successiva non arricchirono particolarmente la sua ispirazione, che in questo lavoro si presenta amabile e sostenuta da un giovanile e fresco vigore. Dedicato al grande violinista Joseph Joachim (1831-1907), esecutore ammiratissimo da tutti i compositori romantici tedeschi della seconda metà dell'Ottocento - Brahms in testa -, questo lavoro risente l'influsso di Brahms e di Mendelssohn, e non può certo pretendere di essere considerato sullo stesso piano dei più famosi concerti per violino e orchestra del secolo scorso. Nonostante questo è un lavoro gradevole, privo di contrasti drammatici, imperniato su una fluente discorsività melodica in cui lo strumento solista svolge compiti ora eminentemente cantabili, ora elegantemente virtuosistici.


Il primo tempo è intitolato "Preludio," forse proprio per il carattere libero del suo inizio (con le cadenze del violino solista, analogamente a quanto avviene nel Quinto Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven) e per il suo andamento quasi rapsodico. 
Il breve "Preludio" sfocia direttamente nell"'Adagio," dove il violino si libra in un canto delicato ed espressivo, ricco anche di passaggi agilmente virtuosistici, finché il "Finale" funge da vero pezzo forte del Concerto, con i suoi temi slanciati, il suo piglio vigoroso e ricco di idee melodiche, oltre che pieno di risorse per il solista che vi trova modo di mettere in mostra tutte le proprie qualità di suono, di tecnica dell'arco e di agilità.


giovedì 27 gennaio 2022

Padre Brown vs Gilbert Keith Chesterton

 


da oscarmontani.blogspot

Il più dilettante dei dilettanti, ma anche il più professionale! Dilettante perchè lavora "aggratis", professionista perché raggiunge sempre lo scopo. Il suo!
Può un prete cattolico, diciamo anche in linea con la romana chiesa, chiedere parcella? No! Si deve accontentare di aver recuperato la pecorella smarrita. Così era per Padre Brown e per Padre Tobia; così è pure per Don Matteo.
La prima indagine di Padre Brown è raccontata ne La croce azzurra, racconto breve. Mentre approda con un piroscafo ad Harwich,   così viene descritto dal suo autore Gilbert Keith Chesterton:
"Un prete cattolico-romano di statura bassissima, che veniva da un villaggetto dell'Essex. Giunto a quest'ultimo, Valentin smise l'esame e gli venne quasi da ridere. Quel pretucolo era proprio l'essenza delle pianure dell'Essex: aveva un viso rotondo e inespressivo come gnocchi di Norfolk, gli occhi incolori come il mare del Nord, e recava parecchi involti di carta scura, che non riusciva a tenere riuniti. (...) Aveva un grosso ombrello malandato che gli cadeva di continuo; e pareva che non sapesse quale fosse la parte del biglietto da serbare per il ritorno".
Siamo nel 1911, il racconto apparve su di una rivista inglese e successivamente fu raccolto ne L'innocenza di padre Brown (The Innocence of Father Brown). Fu la prima apparizione di una lunga, fortunata e felice serie. Dirà Chesterton nella sua Autobiografia che la prima caratteristica di Padre Brown è di non avere caratteristiche; la sua importanza, di non apparire importante; e che la sua qualità cospicua quella di non essere cospicuo, e che il suo ordinario aspetto esteriore voleva essere in contrasto con la sua attenzione e la sua intelligenza insospettate.
Sempre nella sua Autobiografia, Chesterton spiega poi che quest'omino, uscito di sottecchi dalla sua penna e assurto agli onori della miglior letteratura, era un Uomo Vivo. Uomo Vivo nel senso chestertoniano (cioè uomo che non accetta di essere morto mentre è ancora vivo) ma anche nel senso stretto.
Padre Brown è "il prete cattolico", che s'impiccia degli affari degli altri. Lo fa forte delle raffinate esperienze psicologiche date dalla confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur senza trascurare la scienza e l'esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e sull'introspezione, Avrebbe ottenuto più sostanziose parcelle di Sherlock Holmes, infatti lo fa apparire come un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l'angustia e la meschinità.
L’aspetto più interessante è sicuramente l’umanità del personaggio e dell’investigatore. Per inciso: le qualità umane sono quelle che, nel mondo reale, fanno davvero un bravo investigatore.
Padre Brown intende far valere la giustizia, ma non condanna mai l’uomo, vuole dargli la possibilità del riscatto, della redenzione. Dovrebbe essere il metodo "universale". Il bravo investigatore e il bravo giudice si astengono da giudizi morali e cercano di cogliere, fermo restando l’obbligo di applicare la legge e di fare giustizia,  la dimensione umana e le ragioni anche di chi commette i reati.
Il detective che ha la capacità di capire le motivazioni – anche quelle aberranti – e l’umanità dei criminali, senza mai dimenticare che ci sono delle vittime che hanno diritto di chiedere giustizia, è il detective ideale: giustizia, mai vendetta!
Padre Brown, non pensa alla parcella, ha dalla sua la grazia di Dio e un cervello sveltissimo, che gli consentono di muoversi con agilità nei contesti più diversi, in Europa e in America. Benché sia un prete di campagna ed abbia operato in aree povere e disagiate, noi non lo vediamo mai in parrocchia, bensì impelagato con personaggi della media e alta borghesia a risolvere faccende delicate e mondane. 

La scrittura di Chesterton è perfetta nel renderci gli ambienti e l’acume dei ragionamenti di Padre Brown. È una scrittura avvincente e ricca, capace però di lasciar spazio anche all’ironia. I racconti si leggono piacevolmente e la loro forte matrice cattolica (Chesterton modellò il personaggio di Padre Brown sulla figura del prete che lo convertì al cattolicesimo) non sfocia mai in intenti moralistici o, peggio, di indottrinamento.


Scrittore inglese che dalla Chiesa anglicana passò a quella cattolica ("per amore della salute, dell'allegria e dell'immaginazione" disse, evidentemente equivocando assai), che creò questa singolarissima figura di detective proprio quando trionfavano tutt'altri personaggi: l'iperrazionalista S. H., l'infernale Fantômas, Lupin bon vivant, il vulcanico Vidocq, e tanti altri romantici avventurieri.
Scrittore estremamente prolifico e versatile, scrisse un centinaio di libri, contributi per altri duecento, centinaia di poesie, un poema epico, cinque drammi, cinque romanzi e circa duecento racconti, tra cui la popolare serie con protagonista la figura di padre Brown. Fu autore inoltre di più di quattromila saggi per giornali. Amò molto il paradosso e la polemica, contribuendo inoltre alla teoria economica del distributismo.


La memoria



Ci hanno prelevati da casa
di notte con le armi in pugno
Ci hanno stipati in vagoni merci
uno accanto all’altro tutti in piedi
Ci hanno trasportato per giorni interi
senza tregua senza cibo senza acqua
Ci hanno spinto a forza su vecchi camion
senza riposo senza garbo senza tutto
Ci hanno radunati in mezzo al fango
baracche di dietro filo spinato davanti
Ci hanno denudati senza ritegno
uno contro l’altro per riscaldarci
Ci hanno sfruttati fino allo stremo
anche i vecchi e i bambini
Ci hanno trattati come bestie
e peggio di bestie si sono comportati
Ci hanno decimati col lavoro
e terminati nelle camere a gas
Ci hanno fatti sparire incenerendoci
ma la memoria li perseguiterà per sempre

lunedì 24 gennaio 2022

Benjamin Britten


(Lowestoft, 22 novembre 1913 – Aldeburgh, 4 dicembre 1976)

Allievo di Ireland e Benjamin al Royal College of Music di Londra, fu precocissimo come compositore, imponendosi ben presto all'attenzione dei pubblici inglesi come uno dei piu dotati musicisti della giovane generazione.
Dopo un soggiorno di tre anni (dal 1939 al '42) negli Stati Uniti, riprese la sua attività in Inghilterra acquistandosi fama internazionale nel 1945 con l'opera - la prima da lui scritta per il teatro - Peter Grimes.
Intensamente dedito alla composizione, ha tenuto anche numerose tournées come accompagnatore pianistico del tenore Peter Pears; ha fondato l'English Opera Group, una piccola compagnia d'opera che ha portato in molti centri britannici i lavori di Britten, particolarmente pensati per un pubblico popolare o giovanile ed eseguibili anche con mezzi di fortuna, secondo i principi della "Gebrauchsmusik."
Compositore assai fecondo, Britten è stato considerato per oltre due decenni il maggior autore inglese del suo secolo. Di fatto, in un certo periodo della sua attività è riuscito ad assorbire genialmente i succhi che gli venivano dalle esperienze musicali dei musicisti europei, da Hindemith, a Stravinski, a Bartok. Egli ha saputo fondere le esperienze più diverse in un linguaggio eclettico, che ha personalizzato gradualmente grazie a un forte istinto e a una profonda coscienza della necessità di valorizzare la ricca tradizione musicale inglese. Ha ottenuto i risultati piu brillanti in campo teatrale: 'Peter Grimes' e 'Il Giro di vite' rimangono le opere migliori che siano state prodotte in Inghilterra secolo scorso, e forse dal tempo di Purcell. 
La produzione sinfonica è invece indubbiamente in sott'ordine rispetto a quella teatrale (che comprende una decina di lavori, dall'opera da camera e per bambini alla sacra rappresentazione): anche qui si denota una tendenza eclettica, l'assorbimento di influssi provenienti soprattutto da Stravinski e dalla tradizione dell'impressionismo francese. Tuttavia Britten ha saputo creare anche in questo campo qualche opera viva, piena di humour e di fantasia. A metà del secolo la musa britteniana sembra peraltro languire, tanto che non è forse azzardato dire che la sua produzione più convincente si arresta al 1954 col Giro di vite: si tratta di una crisi momentanea o di un definitivo inaridimento della sua ispirazione? Ecco una domanda a cui solo Britten avrà potuto rispondere, con la sua opera di compositore. Tra le sue piu fortunate composizioni va citato il Requiem di guerra (1961).


Sono quattro brani strumentali tratti dal capolavoro teatrale di Britten, il Peter Grimes. L'atmosfera marina, delle romantiche e aspre coste dell'Inghilterra orientale, vi viene riprodotta esemplarmente, con un procedimento timbrico che a volte richiama quello dell'impressionismo, ma che è nutrito di una sensibilità sonora tutta personale e inconfondibile.
I quattro brevi brani rappresentano "L'alba," "Domenica mattina," "Chiaro di luna" e "Tempesta," e vanno considerati tra quanto di meglio Britten abbia concepito per la sola orchestra.

giovedì 20 gennaio 2022

L'ora dei gentiluomini di Don Winslow

 


I surfisti di San Diego sono la sua vera famiglia. Una comunità che però rischia di andare in pezzi quando uno di loro viene ucciso e Boone accetta di difendere l'unico sospetto. È rabbia vera, quella che l'ex poliziotto si ritrova ad affrontare da parte di coloro che considerava dei fratelli.


Don Winslow (New York, 31 ottobre 1953), scrittore e regista teatrale e televisivo, nonché diverse volte attore e guida di safari, Winslow è stato anche un investigatore privato e consulente di studi legali ed assicurazioni. Come spiega lo stesso scrittore, ha scritto ben sei romanzi prima di lasciare quel lavoro. Vive in California, a San Diego, località in cui sono ambientati diversi suoi romanzi. Ha esordito con il romanzo A Cool Breeze on the Underground (edito in Italia da Einaudi, nella collana Stile libero, nell'aprile 2016, con il titolo London Underground) Da The Death and Life of Bobby Z è stato tratto nel 2007 il film omonimo (uscito in Italia come Bobby Z - Il signore della droga), diretto da John Herzfeld e interpretato da Paul Walker e Laurence Fishburne. Ha inoltre co-sceneggiato l'adattamento del suo romanzo Le belve, diretto da Oliver Stone. I diritti de L'inverno di Frankie Machine sono stati acquistati da Robert De Niro che ne trarrà un film, impersonandone il protagonista.


lunedì 17 gennaio 2022

Johannes Brahms



(Amburgo, 7 maggio 1833 – Vienna, 3 aprile 1897)

Figlio di un contrabbassista, già a dieci anni suonava il pianoforte in pubblico, e a tredici si guadagnava la vita in orchestrine del porto amburghese. Continuava però lo studio della composizione e nel 1853 il violinista Reményi lo conduceva seco in un giro di concerti. Conobbe allora Liszt e Joachim, ma soprattutto importante fu per lui l'incontro con Clara e Robert Schumann a Düsseldorf: nello stesso anno Schumann scriveva su di lui un articolo che lo "lanciava" come una delle migliori promesse della giovane generazione. Dal 1857 al '59 - aveva ormai un editore ed era stimato da molti musicisti, tra cui lo stesso Berlioz - fu alla corte di Detmold, poi visse fino al 1862 ad Amburgo, per stabilirsi infine a Vienna, dove entrò in subitanea amicizia con il grande critico musicale Eduard Hanslick (1825-1904), che divenne da allora suo deciso sostenitore.
Direttore dal 1863 al '64 della Singakademie di Vienna, si dedica poi interamente alla composizione, eleggendo a suo domicilio la capitale austriaca che trovava congeniale al suo spirito piu delle nordiche città tedesche.
La sua dimora viennese è interrotta da allora solo per periodici viaggi e tournées concertistiche in Germania e in Svizzera, mentre stringe amicizia con i maggiori musicisti e poeti dell'epoca, da Hans von Bülow, a J. Strauss e Gottfried Keller: per Clara Schumann, rimasta vedova nel 1856, continua a nutrire un'amicizia e un affetto che confinano con l'adorazione. Del 1878 è il primo viaggio in Italia, poi lo troveremo in Cecoslovacchia e a Budapest dove esegue il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra. Negli ultimi anni di vita si chiude maggiormente in se stesso e viene spesso colto da momenti di cupo pessimismo e da presentimenti sinistri, rattristato dalla graduale scomparsa degli amici piu cari.
Muore per un cancro al fegato che aveva cominciato a roderlo fin dal 1891: la sua morte fu un lutto di portata internazionale, e tutta Vienna si può dire accorse ai suoi funerali. 
Brahms conclude la grandiosa parabola del romanticismo musicale tedesco. Lontano dai fervori della "scuola neo tedesca," rappresentata da Liszt, Wagner e in certa misura da Bruckner, egli risale alle origini, ritorna a Haydn, Mozart e soprattutto a Beethoven, di cui vorrebbe essere il legittimo erede. Dichiaratamente conservatore, non si avvede che gli impulsi della sua personalità tutta romantica lo pongono ormai, agli occhi di chi - come noi - può osservarlo alla distanza, sullo stesso piano del suo avversario piu accanito, Richard Wagner, di cui tutto sommato può essere considerato l'equivalente in sede sinfonica.
Questo non vale certo per il suo linguaggio armonico, che è controllato e severamente mantenuto nei limiti tradizionali, laddove Wagner straripa additando alla musica nuove mete; ma vale per la colossale concezione delle sue opere sinfoniche e sinfonico-corali, per il tormentato lirismo che lo pervade e che egli cerca, spesso invano, di costringere tra le barriere della forma. La sua orchestra, densa e a volte pletorica, ha piu in comune con quella di Wagner che con quella di Beethoven; e il flusso del suo lirismo fa pensare assai più a Schubert che ai "classici" di Vienna. In altre parole, Brahms è intimamente, costituzionalmente un romantico che cerca di evadere in un mondo di forme grandiose che non è più il suo. Per questo a volte nelle sue composizioni sinfoniche si notano squilibri tra l'ispirazione e la vastità della realizzazione, tra la bellezza a volte incantatrice dei temi e certa debolezza degli sviluppi (ma non mancano eccezioni di rilievo, soprattutto nella Sinfonia n. 4).
Indubbiamente egli fu e resta un costruttore mirabile, e impresse a sua volta alla musica il segno di una personalità che per anni dominò l'evoluzione musicale soprattutto in Germania; tuttavia le sue cose più felici sono forse nella produzione da camera, nei Lieder come nei quartetti e nei pezzi per coro e per pianoforte.
D'altronde Brahms prese da Beethoven, portandolo agli sviluppi più straordinari, il principio dell'elaborazione tematica: le sue pagine migliori sono strutturate fino nelle cellule più minute attraverso un duro lavoro di plastica elaborazione degli incisi, che si risolve poi in una costruzione complessa, densa eppure pienamente rispondente alle esigenze dell'espressione. In questo egli fu molto più moderno di molti suoi contemporanei, piu moderno dello stesso Wagner: non si dimentichi che
Schönberg imparò da lui questo fondamentale principio, non si dimentichi che proprio su questa via egli arrivò poi alla concezione della dodecafonia. Wagner e Brahms stanno fianco a fianco alle prime origini delle più ardite conquiste della musica di oggi.
Oltre alla produzione sinfonica, di cui si dirà, il catalogo delle opere di Brahms comprende una gran quantità di musica vocale con orchestra, di pezzi per coro a cappella o accompagnato, di musica da camera: sono tutte pagine in cui si rispecchia l'animo vibrante e sensibile di un uomo che amò mascherarsi nella veste del burbero solitario.

Sono rari nella storia della musica i casi di opere che abbiano avuto una gestazione altrettanto lunga e faticosa di questa Prima Sinfonia. 
Brahms infatti non era ancora trentenne quando terminava il primo tempo: ma prima di porre la parola "fine" al grande edificio, dovevano passare ancora quattordici anni. Quasi tre lustri di maturazione dunque, che videro nascere tante opere significative di Brahms come il Requiem tedesco, le due serenate, le Variazioni su un tema di Haydn e il Primo Concerto per pianoforte e orchestra, per non parlare della musica da camera e corale composta nello stesso periodo. Formatosi nello studio severo di Beethoven, egli voleva ricollegarsi direttamente alla tradizione sinfonica di quel grande maestro: forse per questo, forse perché era conscio della immane difficoltà di realizzare questo ideale, si trascinò dietro per tanto tempo questo lavoro, concludendolo solo quando sentì che le sue forze erano ormai abbastanza mature per affrontare un compito tanto ambizioso. E bisogna dire che già con la Prima Sinfonia Brahms fu considerato dai contemporanei come il piu degno continuatore della tradizione beethoveniana, se è vero che Hans von Bülow ebbe a chiamare questa sinfonia la "Decima," come a indicare in essa la degna continuatrice delle nove sinfonie del maestro di Bonn, e se è vero che anche Hanslick fin dalla sua prima recensione dell'opera tracciò un ardito parallelo tra il sinfonismo di Brahms e quello di Beethoven. Oggi per noi è già più difficile scoprire questa immediata continuità nell'opera dei due musicisti: se è vero che Brahms fa propri molti procedimenti beethoveniani, soprattutto dal punto di vista costruttivo, bisogna dire anche che il suo empito è tutto romantico, spesso estenuato da cromatismi, calato in una dimensione che è più spesso lirica che drammatica.


Il primo tempo è già un miracolo d'equilibrio costruttivo e di ispirazione  melodica, col suo primo tema che - attaccando immediatamente e quindi senza introduzione lenta - ascende arditamente nei violini abbandonandosi poi a un vago ondeggiare tipicamente brahmsiano, mentre il secondo tema ha carattere più teneramente melodico, ed è anch'esso impostato su armonie nettamente cromatiche. Il primo tempo fu considerato come uno dei brani migliori della Sinfonia fin dalla prima esecuzione, mentre il secondo tempo "Andante sostenuto" in mi maggiore che lo segue (si noti il forte sbalzo di tonalità) non è all'altezza delle migliori pagine di Brahms, nonostante il suo disteso andamento lirico.
Segue il terzo tempo "Un poco allegretto e grazioso" (si noti come questo pezzo non abbia nulla del carattere dello Scherzo, che si trova di solito in questo punto ed ha una funzione assai caratteristica specie nelle sinfonie di Beethoven): esso fa da degna introduzione all'ultimo tempo, un "Adagio-Allegro" che è il culmine espressivo di tutta la Sinfonia. Si badi, poco dopo l'inizio, al nobile tema dei corni, si ammiri la spontaneità popolaresca del tema con cui attacca la parte in "Allegro," si seguano le evoluzioni di questi e di un nuovo tema cantabile nel corso della successiva elaborazione, e si avrà già tutta la misura della genialità sinfonica brahmsiana, che egli stesso solo raramente supererà nelle prossime tre sinfonie. 


giovedì 13 gennaio 2022

Nero Wolfe vs Rex Stout

 


Di origini montenegrine il famoso detective Nero Wolfe nasce il 17 aprile 1893. Sebbene sia così anziano non ha una data di morte, perché Nero Wolfe è un personaggio nato dalla fantasia del suo autore, lo scrittore americano Rex Stout. La sua nascita nel mondo reale - il debutto letterario - risale all'anno 1934. E' affidato ad Archie Goodwin, assistente privato di Wolfe, il compito di documentare i gialli che il detective Wolfe risolve puntualmente: e lo fa in ben 33 romanzi e 39 romanzi brevi. I gialli di Rex Stout che vedono Wolfe protagonista coprono un arco temporale che va dagli anni Trenta agli anni Settanta; la maggior parte dei racconti sono ambientati a New York City.

A rendere longevo il successo di questo personaggio sono stati negli anni i tanti adattamenti prima radiofonici, poi televisivi e cinematografici. Il primo film dal titolo "Meet Nero Wolfe", risale al 1936. In Italia viene prodotta dalla Rai una miniserie per la tv nel 1969 che vede protagonista Tino Buazzelli. L'ultima in ordine di produzione è l'omonima serie "Nero Wolfe", prodotta in Itali nel 2012 e trasmessa sulla Rai, che vede Francesco Pannofino vestire i panni di Nero Wolfe (nella foto) e Pietro Sermonti quelli di Archie Goodwin.

Nero Wolfe è specializzato nella risoluzione di intricati casi di omicidio che spesso scioglie solamente stando seduto a rimuginare sull'ampia comoda poltrona del suo studio, se non beatamente occupato nella cura delle adorate piantine. Wolfe non lascia quasi mai la sua casa. Stout descrive con grande cura la disposizione dei vani dell'abitazione dell'investigatore, dei suoi arredi e delle suppellettili, così come le abitudini, le regole che disciplinano casa Wolfe e gli orari.

Anche l'aspetto fisico e quello caratteriale sono ricchi di dettagli: Nero Wolfe pesa intorno ai 150 kg ("un settimo di tonnellata"), è un raffinato buongustaio, assai pignolo, e considera il lavoro alla stregua di un indispensabile fastidio che gli consente di tenere un alto tenore di vita; è moderatamente iroso, non parla di lavoro a tavola e, pur avendo una vasta clientela femminile, è fortemente misogino; coltiva rare orchidee nel giardino pensile della sua casa (un elegante palazzo in arenaria) situata al numero 918 della 35a strada ovest di New York. Conduce orari di lavoro rigidissimi, senza dedicare al lavoro un minuto in più del previsto, che verrebbe altrimenti sottratto alle altre attività, la coltivazione delle orchidee e il buon cibo.

È Archie Goodwin che si reca sui luoghi del delitto per interrogare testimoni e parenti della vittima di turno, pedinare persone sospette e svolgere in generale tutte le funzioni operative del suo superiore.

Altri personaggi che compaiono abitualmente nelle storie di Nero Wolfe - e che come Goodwin vivono nella sua casa - sono il giardiniere Theodore Horstmann, che aiuta il detective nel mantenere curate le belle orchidee, Fritz Brenner, il fidatissimo cuoco svizzero. Tra i collaboratori occasionali compaiono saltuariamente gli investigatori Orrie Cather, Saul Panzer e Fred Durkin.

Dopo la morte di Rex Stout (1975), il personaggio di Wolfe è stato ripreso da Robert Goldsborough in sette romanzi. 


Rex Todhunter Stout (Noblesville, 1º dicembre 1886 – Danbury, 27 ottobre 1975), scrittore statunitense, capace di unificare due fra i generi - tradizionalmente separati - della narrativa poliziesca: il giallo d'azione americano (hard boiled) e il giallo all'inglese, più intellettuale (giallo deduttivo). Questi due aspetti si incarnano nei suoi personaggi più famosi, Archie Goodwin e Nero Wolfe.
Il padre di Stout - John Wallace, di professione insegnante - e la madre - Lucetta Elizabeth Todhunter - erano quaccheri dell'Indiana. La famiglia - con il piccolo Rex e i suoi sette fratelli - si trasferì nel Kansas a Topeka. Qui, il futuro scrittore frequentò le scuole pubbliche e, successivamente, la Kansas University.
Stout si dimostrò subito un piccolo genio: a tre anni aveva già letto la Bibbia, a dieci tutti i testi del padre su filosofia, storia, scienza, poesia. A tredici anni fu campione di ortografia del Kansas. A diciotto anni, e fino al 1908, servì nella Marina degli Stati Uniti a bordo del Mayflower, lo yacht del presidente Theodore Roosevelt, con la mansione di sottufficiale addetto al servizio amministrativo.
Finito il servizio, girò per quattro anni l'America da una città all'altra, lavorando come contabile ambulante, come venditore di sigari a Cleveland, di souvenir indiani ad Albuquerque, guida turistica a Santa Fe, invogliò i turisti ai tour in pullman a Colorado Springs, e vendette libri a Chicago, Indianapolis e Milwaukee. Fece pure lo stalliere a New York.
Nel 1912 cominciò a scrivere, inizialmente per le riviste e i settimanali. Guadagnava bene, ma spendeva altrettanto bene. Progettò quindi un particolare sistema bancario dedicato agli scolari, che venne adottato in 400 città degli Stati Uniti. Ciò gli fornì negli anni venti un introito regolare e sufficiente a pagarsi molti viaggi anche in Europa, mentre continuò a lavorare arrivando a fare anche il direttore d'albergo.
Nel 1916 sposò Fay Kennedy; divorziò nel 1933, per sposarsi una seconda volta, con Pola Hoffman. Ebbe da lei due figlie, Barbara e Rebecca. Nel 1929 incorse nel tracollo del martedì nero di Wall Street, perdendo molto del suo denaro.
Subito dopo esordì con un romanzo, non giallo, intitolato How Like a God; ebbe un modesto successo, quindi si volse del tutto al genere giallo, più in forza del successo ottenuto, che per scelta. Infatti nel 1934, pubblicò Fer de Lance (tradotto in italiano "La traccia del serpente") dove fa il suo esordio la splendida accoppiata Wolfe-Goodwin.
Il successo si ripeté regolarmente per tutti i 42 successivi volumi, sfornati pressappoco al ritmo di uno all'anno.
Rex Stout presenta numerosi punti di contatto e anche di distacco da Nero Wolfe. Da un punto di vista fisico, Rex era longilineo, agile, energico; Wolfe tutto il contrario, obeso, pigro, sedentario, abitudinario. Wolfe curato e pulito, Rex spesso con barba lunga e trasandato. Wolfe è misogino, Rex era molto innamorato della seconda moglie. Le somiglianze si accentuano quando si esaminano le idee e i gusti: entrambi amanti della buona cucina, delle orchidee, della lettura e accesi discorritori. Entrambi odiano i politici, i maneggioni, gli ottusi, il cinema e la televisione.


martedì 11 gennaio 2022

CSS 1, Mauro Sighicelli, Stanze di un mezzofondista

Il primo numero della collana è stato scritto dallo stesso ideatore, Mauro Sighicelli, e ha per titolo “Stanze di un mezzofondista”. E’ un racconto lungo ambientato nel mondo dell’atletica leggera. Racconta le vicissitudini di un giovane appassionato di questo sport che vive in un remoto e imprecisato piccolo paese isolano lontano dal capoluogo più vicino. Racconta i dubbi sul futuro, le incertezze, il contrasto interiore che attanaglia il ragazzo, peraltro alle prese con l’incombente problema del servizio militare. E’ uno spaccato dell’Italia nei primi anni ottanta, senza l’ausilio della telefonia mobile, dei computer, quando ancora erano in auge le cabine telefoniche con i gettoni e gli spostamenti avvenivano rigorosamente con il mezzo ferroviario o con le corriere di linea. Il racconto è impreziosito da una retrospettiva fotografica interamente a colori con immagini di volti nomi di campioni di atletica leggera quali i primatisti mondiali Pietro Mennea e Marcello Fiasconaro, unite ad altre foto di atleti modenesi che arricchiscono il volume grazie ad aneddoti vari.



"... Il ritmo stava però visibilmente calando e tutti se ne accorsero. Non che Carmelo si illudesse di essere già fisicamente preparato, che questo già lo sapeva bene, ma gli scocciava terribilmente non ottenere un buon responso cronometrico proprio davanti a quella gente che era lì proprio per giudicarlo. ...

... Tornarono in città il giorno dopo per la gara dei metri 3.000 siepi e ancora una volta Carmelo Macaluso mostrò di essere in forma classificandosi al quinto posto in questa che non era la sua specialità con il tempo di 9:28:00, una prestazione per lui molto lusinghiera...

... Il giorno dopo Mauro scese in pista per i 100 metri e fu subito un exploit, perché entrò facilmente in finale, realizzando anche un ottimo responso cronometrico. Più tardi corse anche la sua frazione in staffetta, contribuendo al successo della sua squadra; ciò servì da stimolo a Carmelo, che era impegnato la mattina dopo... "

lunedì 10 gennaio 2022

Ezio Bosso

 

(Torino, 13 settembre 1971 – Bologna, 14 maggio 2020)

Direttore d’orchestra, compositore, contrabbassista e pianista all’occorrenza, come amava definirsi, Ezio Bosso nasce a Torino il 13 settembre 1971 in una famiglia operaia.
Sin dai precoci esordi dimostra quella bramosia di superare i confini nazionali che ha caratterizzato tutta la sua lunga carriera. Debutta a 16 anni in Francia come solista a Lyon, compie gli studi di contrabbasso, composizione e direzione d’orchestra all’Accademia di Vienna e collabora con diverse orchestre europee.

Eclettismo, versatilità e generosità sono i tratti distintivi del suo percorso artistico ed è ricca la lista delle collaborazioni con prestigiose istituzioni musicali e con stagioni concertistiche dove si è esibito come compositore o esecutore, come direttore d’orchestra o membro di formazioni cameristiche.

Nel 2005 un incidente alla mano sinistra lo spinge a concentrarsi principalmente su direzione e composizione. Nello stesso anno fonda con elementi del Quartetto di Torino, dell’ex Quartetto Borciani e giovani musicisti europei, il Buxusconsort.
Sempre nel 2005 durante l’incisione del suo quartetto per sassofoni e la colonna sonora del film “Quo Vadis Baby?” a New York, incontra Philip Glass che lo inviterà presso i suoi studi per collaborare con produttori e tecnici di fama mondiale.

Negli anni seguenti, la curiosità nei confronti delle diverse forme di espressione musicale e artistica, nonché la sua ben nota ossessione verso la comprensione delle modalità di espressione dell’essere umano, lo hanno portato a collaborare con i musicisti e gli artisti più svariati. L’impegno sociale diventa una costante della sua produzione e negli anni collabora e dedica composizioni ad associazioni.

Nel 2009 gli viene commissionata dal Festival Suoni delle Dolomiti la sua seconda sinfonia dal titolo “Under The Tree’s Voices”, dedicata agli Abeti di risonanza della Val di Fiemme. Dopo la prima esecuzione al Festival Suoni delle Dolomiti nel luglio 2010, la comunità gli dedica un Albero all’interno del Bosco che Suona, onorificenza data a musicisti di spicco del panorama mondiale.


Nel 2010 per la chiusura della stagione sinfonica del Teatro Regio di Torino, dirige la prima mondiale della sua Prima Sinfonia “Oceans”: un successo enorme con un tutto esaurito, standing ovation e quindici minuti di applausi. Sempre nel 2010 dirige anche la prima Italiana di “Icarus on The Edge of time”, un evento di Philip Glass e Bryan Green al Teatro Carlo Felice di Genova, alla testa dell’orchestra Filarmonica ‘900, di cui è “consulente per i progetti speciali” e a cui è legato da un affetto e una stima particolari.
Nel Marzo 2011 viene nominato Direttore Principale e Direttore Artistico dell'orchestra inglese The London Strings. Nello stesso anno subì un intervento per l'asportazione di una neoplasia cerebrale e fu anche colpito da una sindrome autoimmune neuropatica. Le patologie inizialmente non gli impedirono di continuare a suonare, comporre e dirigere. Successivamente, il peggioramento della malattia neurodegenerativa, verificatasi in quello stesso anno e all'inizio erroneamente indicata dai media come SLA, lo costrinse nel settembre 2019 alla cessazione dell'attività di pianista, avendo compromesso l'uso delle mani.

Il 2016 è l’anno che ha consacrato Bosso fra gli artisti più attivi in Italia e di maggior successo: il suo primo disco di piano solo “The 12th Room” viene premiato Disco D’oro con oltre 50.000 copie vendute e la relativa tournee conta oltre 100.000 spettatori: un unanime plauso di critica e un entusiasmo sempre caloroso anche a fronte di programmi “colti”, pensati appositamente per coinvolgere lo spettatore in un percorso conoscitivo ed emotivo attraverso alcune fra le massime espressioni della musica.


A ottobre 2016, dopo 6 anni di assenza dal podio, Ezio Bosso è tornato ad uno dei capisaldi della sua visione musicale: la direzione d’orchestra, con un clamoroso e attesissimo debutto al Teatro La Fenice di Venezia in qualità di direttore, con l’impegnativo programma impaginato con il terzo concerto Brandeburghese di Bach, la sinfonia n.4 “Italiana” di Mendelssohn e il virtuosistico quanto affascinante Concerto per violino “Esoconcerto”, composto da Bosso e con la partecipazione Sergej Krylov funambolico solista.

I suoi ultimi anni di carriera lo vedono calcare i podi di molte delle orchestre più importanti d’Europa. Il 20 gennaio 2019 ha diretto a Bologna l’evento di Associazione Mozart14 “Grazie Claudio!” 

Si spegne a soli 48 anni nella sua casa di Bologna, il 14 maggio 2020 a causa dell'aggravarsi della malattia.  I funerali si sono svolti in forma strettamente privata, per volere dei familiari; il suo corpo venne cremato e le ceneri, dopo un anno, sono state tumulate nel Cimitero Monumentale di Torino.

La Sinfonia Oceans da cui trae origine il Concerto per violoncello e orchestra Oceani si componeva di cinque movimenti, ognuno dedicato a uno degli oceani del globo; già nella sinfonia spiccava il ruolo del violoncello concertante, affidato anche allora all’amico Relja Lukic, e quindi in essa vi era in nuce il futuro sviluppo in forma di concerto che ridà oggi corpo e respiro a un lavoro scritto da Bosso a 40 anni, nel pieno della sua vita londinese ed errante, tanto che divenne presto un lodatissimo balletto della Sydney Dance Company, We Unfold. Dedicata ai migranti o meglio alla condizione ontologica di migrante insita in ogni uomo, anche nella persona più stanziale, il testo che Bosso scrisse anni fa a presentazione del suo lavoro, dimostra oggi un’attualità stringente e rivela i solidi legami tra il direttore d’orchestra di oggi e il compositore del 2010, nei contenuti, nelle relazioni artistiche, nel rapporto obbligato con la musica come esigenza esistenziale prima ancora che mestiere da onorare. 

Vale dunque la pena di leggere i ricordi di Ezio Bosso, in un illuminante salto nel passato rivisto per l’occasione dall’artista:
«A proposito di oceani…
La prima immagine è stata l’oceano. O meglio, un uomo seduto di fronte a un oceano che cresce. Le onde che si infrangono violentemente sugli scogli, la schiuma. La relazione tra l’uomo e il mare. Avevo appena finito un ciclo di brani dedicati all’uomo e al mare intitolati Sea-songs 1-8, ed evidentemente l’oceano doveva chiudere un periodo della mia vita di compositore. A quel tempo soffrivo di più di sinestesia, quando cioè ogni immagine o colore diventava un suono (e viceversa), che diventa a sua volta un’ossessione, che non mi abbandona fino a che non la “incido” sul pentagramma. E quell’immagine, e dolore, che occupavano così tanto spazio, mi hanno spinto ad approfondire come sempre anche l’aspetto scientifico e quindi a farmi diventare oceanografo per un po’, ma ad indagare anche tutto il principio di metafora che deriva dal significato della parola, a partire dall’etimo stesso. Ed è così che è iniziato il mio “viaggio” di scrittore di musica. La mia trance, come la chiamo.
Gran parte degli oceanografi classificano cinque oceani che governano la terra: Atlantico, Pacifico, Indiano, Artico e Antartico. Ogni movimento della sinfonia è dedicato a uno di essi, ma allo stesso tempo quella prima immagine imponeva il percorso che dovevo seguire. Anche per questo c’è la presenza atipica di un violoncello concertante con un’orchestra di grandi proporzioni. L’uomo e l’oceano… L’oceano è anche un pretesto. Una metafora. È il viaggio per eccellenza, il passaggio da uno stato umano a un altro, gli alti e i bassi del viaggio e della vita, le speranze, il confronto tra l’uomo e gli eventi. Quindi ecco che quell’uomo, che osserva l’oceano, decide di buttarsi, come io mi butto nelle note, nelle partiture, nella storia degli scrittori di musica per “bucare le onde”, come dicono gli inglesi.
E iniziare un nuovo percorso. 
E oggi, a 10 anni dalla scrittura di questo brano, mi rendo conto che era preludio di un altro oceano da attraversare. Che persino l’immensità di una partitura da affrontare parte proprio da quell’esigenza, appunto, di bucare le onde. Che è un misto di accettazione dell’imponenza della vita, della musica e di tutte le sue sfumature, dalla bellezza alla forza, e del bisogno che abbiamo per vivere di essere immersi in ogni istante e di assaporarlo. Di cercare un posto nuovo e nuovi oceani da cercare e attraversare. In quella continua mutazione che è la vita, così simile al migrare. Un musicista, poi, migrante lo è per natura. Migriamo da bambini a giovani, da giovani ad adulti, da adulti ad anziani. Migriamo da amori e lavori.
Tutti alla ricerca di un approdo migliore, di una vita migliore di un suono che ci appartenga. Perché infine ti rendi conto che l’oceano siamo noi. 
Ma queste sono opinioni, sono le cose che ci sono dietro allo scrittore di musica, alle sue esigenze di uomo. Stasera ascolterete “solo” della musica. La musica tra le altre cose ha un potere meraviglioso: è in grado di far vivere storie senza raccontarle. Me lo ha ricordato Čajkovskij. Noi scrittori di musica possiamo suggerire, dare indizi attraverso i titoli. O parlarvi dei colori che vediamo. Ma sarete voi, se volete, a vivere la storia, a vedere i vostri, di colori, e a compiere così il vostro viaggio.
I musicisti di questa sera, i miei fratelli di musica, mi hanno fatto il grande
onore di suonarla con me dopo 8 anni dalla prima in Italia e 10 dalla sua nascita. E tra loro un solista meraviglioso come Relja Lukic. È una partitura difficile da governare, dove ogni membro è fondamentale come in un vascello che appunto deve attraversare un oceano, ed è tutta la suaforza, con insidie e bellezze. Ecco, stasera loro saranno il vostro equipaggio. Potete fidarvi, sono il migliore equipaggio che esista, sono veri capitani coraggiosi e di lungo corso.
Ci vediamo all’approdo».
Ezio Bosso

martedì 4 gennaio 2022

Mauro Sighicelli: Maciste contro i Proci - Capitolo 10


Riassunto delle puntate precedenti:
 
1) Il commissario Bertini, assieme al fido scudiero Peppino, si recano a Itaca in vacanza e si trovano invischiati, loro malgrado, in una indagine poliziesca per risolvere un delitto. Scoprono infatti il cadavere di un procio morto sulla spiaggia di Itaca, in Grecia, mentre sono in vacanza. Bertini accetta di collaborare con l’ispettore greco Van Fakoulis per lo svolgimento delle indagini di rito.
2) Per identificare il Procio morto sulla spiaggia Bertini e Van Fakoulis si avvalgono della collaborazione del noto scrittore Roberto Roganti, in arte Grog, autore della trilogia di romanzi “Morte al Villaggio Giardino”, “Morte al Lido delle Nazioni”, “Morte al Palamolza” e in odore di premio Pulitzer 2018 in quanto esperto beccamorto. Quindi si recano alla reggia dove alloggiano i Proci per identificare il cadavere.
3) Grazie a una fotografia scattata con il nuovo cellulare del commissario Bertini, Penelope, regina di Itaca, risale all’identità del Procio morto, Ctisippo. Il nostro eroe e l’ispettore greco decidono di appostarsi per tutta la notte dietro a un divano nella sala della reggia per ricavare ulteriori elementi utili all’indagine. Nel frattempo, “Morte al Lido delle Nazioni” va a ruba in tutte le librerie greche.
4) Durante a lunga notte Bertini e Van Fakoulis scoprono un Procio, Anfinomo, intento a aiutare Penelope a disfare la tela. Dubitano quindi che possa essere anche un assassino e decidono di partecipare alla presentazione del libro “Morte al Lido delle Nazioni” di Roberto Roganti, ora richiesto da tutte le librerie bulgare, onde ottenere altri elementi utili all’indagine. 
5) Alla presentazione del libro “Morte al Lido delle Nazioni” di Roberto Roganti sono presenti numerosi personaggi anche se uno solo sarà l’assassino. Ma chi? Intanto Bertini ne approfitta per acquisire ulteriori informazioni su tale Mekistos, in arte Maciste, personaggio potenzialmente implicato nell’omicidio. Nel frattempo una copia autografata del libro di Roberto Roganti è contesa da Donald Trump, Putin e Al Bano. La spunta quest’ultimo con un bieco accorgimento.
6) Durante la presentazione del libro “Morte al Lido delle Nazioni” di Roberto Roganti, il Procio Antinoo beve direttamente dalla caraffa del rinfresco e muore avvelenato. Dopo aver constatato il decesso Bertini, Van Fakoulis e Grog concertano su questioni filosofiche inerenti la morale della vita prima di procedere celermente con l’indagine in corso.
7) Un maggiordomo in livrea confessa di essere l’autore dei due omicidi. Come movente, adduce la tesi di voler proteggere Penelope dai Proci. Bertini sventa prontamente un tentativo di suicidio di massa da parte degli spettatori presenti in segno di solidarietà con Antinoo mentre Van Fakoulis promette protezione a Penelope, preoccupata per le possibili angherie da parte dei Proci superstiti.
8) Bertini si reca a casa di Maciste e lo convince a aiutare Penelope contro i Proci superstiti. Nel frattempo il libro “Morte al Lido delle Nazioni” scala tutte le classifiche mondiali di vendita assestandosi al primo posto di tutte le Hit Parade. L’autore Roberto Roganti vince il premio Pulitzer quale penna d’oro dell’anno 2018.
9) Maciste si reca alla reggia di Penelope e uccide quasi tutti i Proci. Quelli che sopravvivono li ucciderà nel prossimo capitolo. Intanto Bertini e Van Fakoulis sospettano che Anfinomo, ancora vivo, nasconda tendenze omosessuali, forte della sua autodeterminazione e  del proprio orgoglio gay. Ma non è tutto oro quello che riluce… un dubbio pervade i lettori: ma tornerà  Ulisse, re di Itaca?


10° CAPITOLO
Bertini torna a casa

All’improvviso il suono fastidioso delle sirene della polizia interruppe la battaglia finale. L’ispettore Van Fakoulis piombò dentro alla reggia, seguito dai suoi sgherri. “Ho un mandato di arresto a carico di tutti i proci per vagabondaggio, esproprio proletario di reggia reale, stupro di ancelle, tentata violenza su regina, furto di cibo e bevande alcoliche di proprietà reale, lettura in visione di libri vari di Roberto Roganti senza averli pagati. Arrendetevi o vi stermineremo.” Van Fakoulis e i suoi uomini fiancheggiarono Maciste con spirito di solidarietà e con loro si unirono anche il commissario Bertini e il fido assistente Peppino. Giunse anche in aiuto Telemaco, figlio di Ulisse, armato con arco e frecce. I proci rimasero costernati. In più arrivarono altri soccorritori direttamente dalla pensione Hellas, in stretto ordine di apparizione prima Grog, detto ‘il becchino’, poi numerosi turisti italiani più due danesi, due dalmati, qualche russo e un macedone armato di machete. Decisamente troppi. Inoltre comparve anche Ulisse, accompagnato da Calipso, finalmente tornato dall’odissea. Dopo un rapido consulto, i proci decisero di arrendersi. “Troppo tardi!” commentò Maciste “il tempo della resa è scaduto, ora è il tempo di vendetta!” Ulisse scoccò la prima freccia e uccise Demoptoleno, Telemaco tirò il secondo dardo e uccise Euriade, Van Fakoulis sparò con la pistola di ordinanza uccidendo Elato, riconoscibile perché era l’unico pelato. Maciste si avventò su Eurinomo e lo strangolò. Leode, che era un indovino, pronunziò una tremenda profezia: “Noi proci moriremo tutti!” Polibo si grattò. “Porti sfortuna. Se devi vaticinare simili nefaste previsioni, è meglio che tu taccia.” Ma Leode preferì inginocchiarsi ai piedi di Ulisse, implorando pietà. Il re rimase insensibile, anzi chiese il machete al macedone e gli tagliò la testa. I proci erano disperati, si resero conto che sarebbero stati sterminati. Pisandro, pur di sopravvivere, cominciò a frugare nelle tasche e trovato l’oggetto di ricerca si piegò al cospetto della regina e glielo offrì: “Dolce Penelope, donna di virtù, accetta questo umile regalo e concedimi in cambio di avere salva la vita!” La regina accettò uno splendido diadema d’oro luccicante incastonato con diamanti e pietre preziose quali non aveva mai visto. “Grazie, sporco procio, per l’omaggio che mi hai donato che accetto volentieri. Ti faccio dono di sopravvivere e perorerò la tua richiesta presso i miei giustizieri.” Maciste confermò: “Se questo è il tuo volere, Penelope, sarai accontentata. Non ucciderò Pisandro, dunque, e neanche Anfinomo per rispetto verso l’orgoglio gay. Presumo che oramai la vittoria sia nostra. Anche stavolta ho protetto la ragazza di turno.” “Se tu sei soddisfatto, io no. Voglio uccidere un altro procio prima che la sete di vendetta sia placata!” Tuonò Ulisse, si guardò intorno e individuato un procio vivo, Euridamonte, lo trafisse con la spada. Il buon Peppino chiese a Bertini: “E lei, commissario, cosa fa? Non uccide nessuno?” il commissario si schernì: “Non sono un assassino. Non è questo il compito della giustizia. Aiutiamo invece il collega greco ad arrestare i proci superstiti.” Van Fakoulis ammanettò Polibo e Leocrito e ordinò ai suoi uomini di trasferirli in carcere. Finalmente Ulisse potè pronunciare il discorso di bentornato: “Sono tornato e sono di nuovo il re di Itaca!” poi si rivolse a Penelope: “Dolce sposa, sul mio letto riposa! Rimarrai regina ma al mio fianco dormirà la dea Calipso, immagine della bellezza e della gioventù con cui ho convissuto per ben sette anni. Devi accettare questa mia scelta.” La regina acconsentì. “Ti ho tanto atteso e ora che sei tornato preferisci un’altra donna a me! Ma lasciami togliere almeno un sassolino dalla scarpa, sappi che Anfinomo, il più bello e il più assennato tra i proci, è stato l’unico capace di consolarmi in tutti questi anni di solitudine e se tu mi tradirai ancora con la bella Calipso ti ripagherò con ugual moneta con Anfinomo.” “Ma Anfinomo è recchione!” Sbottò Maciste, che intervenne troppo a sproposito in una lite tra familiari. “Stai zitto tu, ignorante, che continui a usare termini volgari per definire il mio orgoglio gay utilizzando  un becero linguaggio da bar. Tra le mie doti c’è la prudenza e spesso non è tutto oro quel che riluce e niente è come sembra.” “Bravo Anfinomo!” ribadì Penelope “guarda bene, Ulisse, che anch’io sono una donna, non sono una santa e non sono rimasta tanti anni sessualmente inattiva ad aspettare il tuo ritorno. Batti e ribatti si piega anche il ferro e la prudenza di Anfinomo lo ha indotto a comportarsi da omosessuale per evitare sospetti o illazioni sulla mia castità.” Intervenne nella diatriba anche Telemaco: “Dunque Anfinomo non è frocio? Ma è incredibile, ero proprio convinto del contrario. Mai fidarsi delle apparenze!” Maciste, contrariato per non aver potuto esprimere una disamina nella controversia familiare, preferì congedarsi ebbro del suo trionfo. “Se Ulisse starà con Calipso e Penelope godrà con Anfinomo, io pretendo la mia parte di merito portando via con me l’ancella infedele perché lei deve questa fama per la sua straordinaria bellezza!” L’ispettore Van Fakoulis chiese allora a Bertini: “E lei, commissario, con chi si congederà?” “Ma naturalmente con il mio fido agente Peppino! Questa indagine è stata sin troppo impegnativa e ha fagocitato quasi tutte le mie vacanze. Non mi rimane che salutarvi perché anche il mio soggiorno sta volgendo al termine.” Così, in un clima ancora euforico per la battaglia appena vinta, i protagonisti della vicenda si salutarono caramente e lo stesso Bertini calò il sipario sulle vacanze 2018 trascorse nell’incantevole isola di Itaca. L’indagine poteva davvero ritenersi conclusa.