lunedì 15 novembre 2021

Hector Berlioz


(La Côte-Saint-André, 11 dicembre 1803 – Parigi, 8 marzo 1869)

Figlio di un medico, era tanto dotato musicalmente che a dodici anni scriveva le prime composizioni. Recatosi nel 1822 a Parigi, dove per volontà del padre avrebbe dovuto seguire gli studi di medicina, si dedicò interamente alla musica, perfezionandosi dal 1826 al '28 con Reicha e Lesueur al Conservatorio.
Nel 1831 è a Roma, dove conosce Mendelssohn e forse Glinka, e nel 1832 è di nuovo a Parigi, dove deve lottare contro ristrettezze finanziarie e contro disavventure familiari. Inizia allora l'attività critica, e dal 1835 al '63 scrive per il "Journal cles débats"; intanto organizza concerti di proprie musiche e viene notato da Paganini. 
Nel 1838 entra al Conservatorio come vice-bibliotecario, e nel 1839 conosce il primo incontrastato successo di pubblico con Roméo et Juliette.
Nel 1854, morta la prima moglie, si risposa con una cantante, e con lei continua le tournées, già iniziate nel 1843, in tutti i paesi d'Europa come acclamato e conteso direttore d'orchestra. Ma le sue composizioni a Parigi non incontrano ancora uno stabile favore, mentre l'affezionato amico Liszt arriva a organizzargli a Weimar nel 1855 un "Festival Berlioz."
Negli ultimi anni è nuovamente perseguitato dalle sventure familiari: gli muoiono l'affezionata sorella e la seconda moglie, e nel '68 scompare il suo amico carissimo Humbert Ferrand. Si attenua così anche l'attività compositiva, proprio mentre il suo genio incomincia ad essere finalmente riconosciuto in Francia e fuori. Nel 1867-68 si reca in Russia (dov'era già stato nel 1847), e ancora una volta è accolto trionfalmente: ma la sua fibra è minata dalle fatiche e dal dolore, e tre mesi dopo il ritorno muore in un sonno letargico.

Genio multiforme, letterato di vaglia oltre che musicista nato, temperamento originale se non bizzarro, passionale ed estroso come pochi altri, battagliero e ottimista ma incline anche a subiti, improvvisi tracolli psichici, Berlioz è una delle figure piu pittoresche e anche uno dei talenti piu ammirevoli che abbia avuto la musica. I contemporanei lo giudicarono nei modi piu diversi e contrastanti: Mendelssohn, Saint-Saens e altri ancora negarono che egli avesse un valore come creatore; Schumann, Heine, Liszt, invece, lo esaltarono come un autentico genio, e qualcuno sostenne addirittura che egli fosse il più grande musicista mai esistito.
Questa disparità di giudizi trova in verità una sua giustificazione nella musica di Berlioz. Sinfonista nato, egli si ricollega da un lato a Beethoven e conserva della scuola classica il gusto, anzi il bisogno imperioso dello sviluppo tematico, del respiro sinfonico nel senso più vasto. Tuttavia la sua fantasia accesa, l'incostanza della personalità, il suo forte gusto letterario, lo portano a correggere sensibilmente questo indirizzo. Egli squassa la forma sinfonica con la passionale violenza delle idee, la rimpolpa e la fa rivivere attraverso l'esigenza programmatica, che in lui fu viva come in pochi altri musicisti e che ce lo indica addirittura come l'iniziatore di una tendenza che culminerà nella forma del poema sinfonico. Tuttavia resta musicista non descrittivo, e il suo esser saldamente radicato nella migliore tradizione classica dà alla sua produzione una sostanza espressiva che nelle pagine piu felici attinge notevoli altezze. La sua ispirazione resta disuguale, ed egli può, improvvisamente quanto inaspettatamente, passare da episodi di meravigliosa effusione lirica o drammatica a momenti di banalità che era comprensibile facessero storcere il naso a un compositore raffinato ed equilibrato come Mendelssohn (che definì "incredibilmente disgustosa" la Sinfonia fantastica).
Per poter dare degna veste musicale ai parti della sua fantasia, Berlioz si indusse ad ampliare, arricchire e insomma rivoluzionare l'orchestra, studiando di ogni singolo strumento le caratteristiche piu peculiari per sfruttarle al servizio delle sue idee: fu cosi il primo "strumentatore" nel senso virtuosistico e moderno del termine, diretto predecessore di Rimski e di Strauss e di tutto il sinfonismo descrittivo e coloristico del tardo Ottocento. Egli strappa agli strumenti i suoni più inconsueti e insospettati, li costringe a cantare in registri insoliti, li spinge ad evoluzioni tecniche inimmaginabili prima d'allora. Non solo, ma introduce strumenti poco usati, retaggio delle bande o di certe formazioni orchestrali particolari (come il clarinetto piccolo, le campane, i flicorni e il flauto contralto), raddoppia o moltiplica occasionalmente le sezioni dei corni, degli ottoni e della percussione, introduce e crea ex nova una serie di nuovi equilibri tra le varie parti dell'orchestra dando vita a un complesso di opere che per decenni diventeranno testi insostituibili per lo studio della strumentazione (del resto egli stesso sistematizzò la sua scienza di orchestratore in un trattato ancor oggi assai pregevole). Per dare una idea della singolarità della sua personalità di musicista, citiamo l'organico del "Tuba mirum" del Requiem: sono circa 60 strumenti a fiato (tra cui 8 fagotti, 8 corni e 16 tromboni), ben 16 timpani e una quantità stragrande di strumenti ad arco, tra cui 18 contrabbassi. 
Oltre a diverse opere teatrali e a una gran quantità di musica vocale (per lo più per coro e per soli e orchestra), Berlioz lasciò 6 ouvertures, pezzi per strumento solista e orchestra e la famosa Sinfonia fantastica, archetipo di tutta la moderna musica a programma.

Composta a soli 27 anni questa Sinfonia, che ha per sottotitolo "Episodi della vita d'un artista" ed è dedicata allo Zar Nicola I, spinse decisamente il suo autore alla ribalta musicale internazionale. Essa era nata come sfogo appassionato di un dolore profondo che all'artista aveva procurato la bionda attrice Harriett Smithson, sua futura moglie: senza rendersene conto, Berlioz dava vita al primo esempio di musica a programma che si conosca, prototipo di tanta parte del sinfonismo ottocentesco, in particolare dei "poemi sinfonici" degli autori posteriori. Riversando la sua passione in questa imponente partitura, Berlioz tracciò infatti un vero e proprio programma, attribuendo a ogni pezzo della composizione un preciso contenuto narrativo. Nonostante tutto siamo però dal punto di vista formale nel campo della sinfonia, e il modello di Berlioz è qui ancora Beethoven: rispetto allo schema della sinfonia classica vi è infatti solo l'aggiunta di un brano, mentre la disposizione dei tempi rimane più o meno ancora quella stabilita dal classicismo viennese.
L'organico, senza scostarsi eccessivamente da quello della grande orchestra beethoveniana, presenta alcune novità: tra l'altro il clarinetto piccolo (che compare qui probabilmente per la prima volta nell'orchestra sinfonica), due tube, campane, ben quattro timpani e una folta schiera di archi (almeno 60 in tutto). Ed ecco il "programma" del pezzo: un giovane musicista, avvelenatosi per amore con l'oppio, cade in un sonno profondo, in cui le sue sensazioni e i suoi ricordi si traducono in immagini musicali. La sua amata si trasforma in una melodia, che ritorna continuamente nel corso della Sinfonia: è la famosa "idée fixe" della Sinfonia.

Nel primo tempo - intitolato "Sogni, passioni" e costituito
da un 'Largo' introduttivo e da un 'Allegro agitato e appassionato assai' - il giovane ricorda la situazione del suo animo prima e dopo aver conosciuto la donna amata, con le sue melanconie e poi con le angosce deliranti e i furori di gelosia.
Il secondo tempo è "Un ballo" (valzer): il protagonista incontra l'amata durante una festa brillante, nel corso di un ballo.
La terza parte è una "Scena campestre" ('Adagio'): una dolce atmosfera pastorale acquieta l'animo esacerbato del giovane, interrotta solo per un momento dall'apparizione dell'amata, che ridesta nel suo cuore le apprensioni più disperate.
Ed ecco la "Marcia al supplizio" ('Allegretto non troppo'): il giovane sogna di aver ucciso l'amata, di essere condannato a morte e condotto al supplizio. Il brano descrive il corteo lugubre e solenne, e alla fine ricompare per un momento l'amata, in una breve visione.
L'ultimo tempo s'intitola "Sogno di una notte del Sabba"
('Larghetto-Allegro'). L'amante si trova in mezzo a una folla d'ombre e di stregoni; l'"idée fixe" ricompare, in veste ormai di una danza triviale e grottesca (si noti l'uso parodistico del clarinetto piccolo): è l'amata che viene al Sabba, mescolandosi all'orgia. Le campane rintoccano a morto parodiando il Dies irae e il Sabba si conclude con una ridda infernale.
Dopo aver letto questo programma l'ascoltatore può anche
dimenticarselo tranquillamente: la ricchezza della musica, la varietà delle atmosfere, la genialità di certe intuizioni melodiche e timbriche e la solidità della struttura formale è tale, che la Sinfonia fantastica resta un pezzo di musica pura, turgida ed espressiva come poche altre pagine del grande compositore francese.

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