giovedì 29 dicembre 2022

Luigi Dallapiccola



(Pisino 3 febbraio 1904-Firenze, 19 febbraio 1975)

Internato con la famiglia a Graz durante la prima guerra mondiale, vi iniziò gli studi musicali, che continuò in seguito a Trieste e a Firenze con Frazzi. Nel 1930 formò col violinista Materassi un duo dedito alla esecuzione di musica moderna, e nel 1934 venne nominato insegnante al Conservatorio di Firenze, dove risiede tuttora. È stato per breve tempo attivo anche come critico musicale e dal 1951 ha tenuto corsi estivi di composizione a Tanglewood negli Stati Uniti. Dal 1956 ha insegnato anche al Queen's College di New York.
Dallapiccola iniziò la sua attività di compositore con un linguaggio a carattere diatonico, in quel clima tipicamente italiano degli anni tra il '20 e il '30 che vedevano un'entusiastica rivalutazione dell'antica musica strumentale e vocale italiana e una salutare rivolta contro il melodramma verista. Dallapiccola appartiene insomma, con Goffredo Petrassi e altri compositori italiani, a quella generazione di musicisti che - sull'esempio di Malipiero e di Casella - sentirono il bisogno di inserire l'Italia nel vivo contesto dell'evoluzione attuale della musica, rifacendosi peraltro a una tradizione squisitamente nostra. Nacque così quel fenomeno che è stato chiamato "neomadrigalismo," nacque quel gusto strumentale che risente del benefico influsso della nostra migliore tradizione del '600 e del '700. Non a caso anche Dallapiccola, come Petrassi e Ghedini,
incominciò la sua attività con una Partita, forma tipica del '600 italiano, e dedicò gran parte della sua produzione alla musica vocale, con opere che rimangono fondamentali per la comprensione dell'evoluzione della musica in Italia in questi ultimi decenni.
Intorno al 1940 Dallapiccola fu il primo musicista italiano che sentì la necessità di studiare la tecnica dodecafonica e seppe servirsene calandola in una sensibilità formatasi allo studio della migliore tradizione italiana: è proprio per questo che da tutti è sempre stato messo in rilievo il sapore affatto particolare che nella sua opera ha acquistato l'uso della tecnica schonberghiana.


Rimane tipica delle sue opere dodecafoniche la cantabilità distesa, la serenità contenuta dell'espressione, un gusto contrappuntistico baroccheggiante ma sempre terso e lineare. Nelle ultime composizioni Dallapiccola ha risentito, non sappiamo con quanta utilità, delle più recenti conquiste tecniche della giovane generazione seriale.
Dallapiccola è autore di tre opere teatrali (Volo di notte, Il Prigioniero e Ulisse), del balletto Marsia e di molta musica corale e vocale che resta indubbiamente la parte migliore della sua produzione.

Partita per orchestra (con una voce di soprano) (1932)
Al pari di Petrassi e Ghedini, anche Dallapiccola esordì con una Partita. Questo omaggio alla tradizione italiana è reso ancor di più dall'adozione di un terso diatonismo, di un linguaggio di evidente impostazione "neoclassica." Si notano comunque già alcune peculiarità proprie del più personale stile dallapiccoliano: la predilezione per certi timbri rarefatti e raffinati, un lirismo freddo ma sempre avvincente, un piglio drammatico che a tratti conquista l'ascoltatore.

La Partita comprende: "Passacaglia," "Burlesca," "Recitativo e Fanfara" e "Naenia Beatae Mariae Virginis" (quest'ultimo brano con la voce di soprano solista).


martedì 27 dicembre 2022

Moreno


Ieri sera ti ho nominato,
mentre parlavo con mio padre
e mi è venuto da piangere.
Tutte le volte che 
penso a te piango.
Non mi è piaciuto 
il modo in cui
ci hai lasciati.
Lo so che tu ora 
sei sereno,
ma il tuo ricordo 
è ancora vivo
nei nostri cuori.
Mi è fin difficile
scrivere così,
sto piangendo, 
copiosamente.
A me manchi molto,
Moreno,
tu sei stato
il mio migliore amico,
di sempre.
E purtroppo
quel maledetto cancro
ti ha portato via a noi,
a tua moglie,
ai tuoi figli,
a me.
Troppo giovani
loro,
troppo giovane
tua moglie,
maledetto destino
che ha falcidiato
la tua famiglia.
Tanti i ricordi,
tante le risate,
tante le chiacchiere.....
eppure, nonostante tutto,
la tua essenza
è ancora viva in noi....
E poi dicono
che c'è una giustizia divina,
speriamo,
perchè …
...“sono sempre 
i migliori
che se ne vanno.......”

 

Peter Ilic Ciaikovski


(Votkinsk 7 maggio 1840 - Pietroburgo 6 novembre 1893)

Avviato agli studi di diritto, si interessò alla musica fin da fanciullo. Nel 1859 si impiega a Pietroburgo al Ministero della Giustizia, ma continua gli studi musicali in Conservatorio con A. Rubinstein e Saremba, lasciando il Ministero nel 1862. Dal 1866 al '77 insegna armonia al Conservatorio di Mosca diretto da Rubinstein: suoi allievi saranno qui RimskiKorsakov e Taneiev tra gli altri. Un matrimonio infelice con Antonina Ivanovna Miliukova, che dura solo poche settimane, lo porta sull'orlo del suicidio, finché in Nadidda Filaretovna von Meck egli trova la generosa mecenate che gli permetterà di dedicarsi alla composizione per il resto dell'esistenza.
Abbandonato il Conservatorio, la sua vita scorre tranquilla e senza preoccupazioni di sorta. Ormai noto e stimato in patria e all'estero, compie lunghi viaggi e dirige in molte città le proprie composizioni. Nel 1891 viene invitato anche in America, e vi dirige sei concerti: ma dopo due anni, nel momento piu sfolgorante della sua carriera artistica, viene stroncato da un'epidemia di colera. Erano pochi giorni che aveva diretto la prima esecuzione assoluta della "Patetica. "
Di formazione sostanzialmente occidentale, Ciaikovski si orientò nelle sue preferenze musicali verso i francesi (Bizet, Delibes), e verso Grieg, Mendelssohn e Schumann; ammirò moltissimo Mascagni ma il suo idolo era Mozart, al cui esempio si rifece sempre con profonda venerazione. Non amava invece Bach, Brahms, Beethoven e tanto meno Wagner e Handel, dal cui tipo di costruttiva monumentalità istintivamente rifuggiva. 
Soprattutto fu assai lontano dalle tendenze della scuola nazionale russa: la sua produzione è caratterizzata da un cosmopolitismo eclettico che fa di lui il tipico rappresentante della tradizione musicale occidentale in Russia, laddove il "Gruppo dei Cinque " cercava di definirsi in senso nazionale, in polemica col cosmopolitismo che allora imperava. Certo anche in Ciaikovski si trovano spesso tracce notevoli del canto popolare russo: ma egli cala questi dati in una sensibilità occidentalizzata, ne smorza le punte e ne modifica le linee, in obbedienza a una coscienza formale tipica della musica occidentale.


Concerto n.1 in si bemolle minore per pianoforte e orchestra op. 23 (1875)
Anton Rubinstein, a cui il Concerto era inizialmente dedicato, criticò l'opera con tale severità da indurre l'autore a "girare" la dedica a Hans von Biilow, che ne fu entusiasta e lanciò il brano in molti paesi d'Europa e d'America: esso divenne ben presto assai popolare, Ciaikovski vi introdusse qualche miglioramento nella parte pianistica (giudicata prima ineseguibile da Rubinstein), e da allora il Concerto rimase uno dei cavalli di battaglia dei pianisti di tutto il mondo.
Ciaikovski si abbandona qui a una magniloquenza non priva di momenti di felice ispirazione. La tecnica del solista vi è trascendentale e non si può certo dire che questa sia un'opera priva di presa sul pubblico: forse la qualità delle idee non è sempre nobile come si vorrebbe, forse in qualche punto l'istanza retorica supera la necessità espressiva, ma nel suo complesso il Primo Concerto merita la sua fama, rimane una pagina caratteristica per la comprensione del mondo musicale del suo autore.

L'introduzione "Allegro non troppo e molto maestoso," di efficacia grandiosa, prelude solennemente all'" Allegro con spirito" in forma di sonata, in cui il solista tende ad acquistare un predominio pressoché assoluto. Il secondo tempo è una romanza in tempo "Andantino semplice," che sfocia in un "Prestissimo" in cui il pianoforte balza virtuosisticamente in primo piano prima di ritornare al movimento lento iniziale. Il finale è un "Allegro con fuoco" dal primo tema vigoroso e leggiadro insieme, con carattere di danza russa.


lunedì 26 dicembre 2022

Capitolo 34: Il dettato, Modena, aprile 1964

Sono pronto, calamaio pieno, penna e pennino nuovi, carta assorbente a portata di mano.
Osservo il quaderno con le pagine linde, le righe sfasate, quelle di terza elementare, il nostro maestro, Antonio Alfieri, chiede silenzio, comincia il dettato.
Tutto va liscio, il maestro si aggira fra i banchi e ci controlla, detta a voce alta non frasi ma parole, vuole saggiare la nostra bravura: "Balcone  Motocicletta  Tetto  Gianduia..."             
Poi, dopo una breve pausa, scandisce l'ultima parola: "Abbondantemente"...

Mi piace scrivere con inchiostro e pennino, qui a scuola abbiamo i banchi con il calamaio incorporato, scriviamo con cannuccia e pennino, ognuno si compra quelli che preferisce e la carta assorbente a fogli, la scuola ci fornisce solo l'inchiostro nero. Io uso il Perry, quello dorato a forma di picche, per fare le maiuscole belle con le curve marcate, oppure la torre Eiffel argentata, che va bene per i numeri, o il Gillott, quello blu scuro, ideale per i disegni.

Contemplo la parola che ho scritto, è venuta bene, con le curve ben marcate che risaltano e occupa tutta la riga, sono fiero di me...

Di colpo vedo tutto nero e la nuca e il naso mi dolgono, mi ritrovo con la faccia spiccicata sul foglio, sopra di me il maestro che con voce gracchiante e rauca mi perfora i timpani “Abbondantemente ignoranteeee!”
 


Guastalla a Garibaldi, 23 sett 1888





giovedì 22 dicembre 2022

Arcangelo Corelli


(Fusignano 17 febbraio 1653 - Roma 8 gennaio 1713)

Si perfezionò nella musica a Bologna, ma ben presto lo troviamo a Roma, come violinista in orchestre di chiesa e di teatro. Dal 1682 al 1708 è direttore dei violini a S. Luigi dei Francesi e dal 1687 anche maestro di cappella del cardinale Benedetto Pamphili, passando tre anni dopo al servizio del cardinale Pietro Ottoboni: qui rimarrà fino alla morte, godendo i favori del cardinale, ammirato per la sua produzione musicale in tutta l'Italia. Venne sepolto nel Pantheon.
Corelli è il maggior rappresentante del barocco strumentale italiano. La sua opera, esclusivamente concepita per strumenti ad arco, raggiunge un respiro e una perfezione formale ignota prima di allora ai maestri italiani. Le sue principali innovazioni ebbero inizio nel campo della sonata a tre, di cui stabilì in quattro il numero dei tempi, per trasferirsi poi anche in campo orchestrale nei 12 Concerti grossi, che sono le sue uniche composizioni per orchestra. Qui il numero dei tempi varia da quattro a otto: da notarsi la distinzione netta tra strumenti soli - "concertino" - e " tutti" orchestrale, un principio formale che resterà fondamentale per tutta la produzione barocca, da Vivaldi ad Albinoni a Tartini a J. S. Bach e Handel.
In qualche tempo dei suoi concerti grossi, si trova un solo violino in opposizione all'orchestra d'archi: ed è ragionevole ritenere che da questi primi modelli abbia preso le mosse la graduale individualizzazione del concerto per violino e orchestra.
L'importanza di Corelli è grandissima anche per l'evoluzione della tecnica degli archi, specie del violino. La sua scuola ebbe seguaci in ogni parte d'Europa: G. B. Somis la rappresentò in Piemonte e, attraverso i suoi allievi, in Francia, Geminiani e altri recarono in Inghilterra, Locatelli in Olanda e Gasparini a Venezia, le innovazioni corelliane. Nelle sue composizioni egli stabilisce le funzioni dei singoli strumenti del quartetto d'archi, tende a mettere in rilievo il violino, introduce una cantabilità e un'arcata espressiva che attingono altezze sublimi e fanno capire quanto la produzione strumentale europea del '700 sia debitrice a lui, grandissimo caposcuola di intere generazioni di musicisti.


Concerto grosso in sol minore ("Fatto per la notte di Natale) op. 6 n. 8
Come dice il titolo, l'occasione è qui particolarmente solenne ed impegnativa: anzi, fu forse proprio questo fatto che spinse il maestro romano a mettere tutta la sua fantasia in questa composizione, che costituisce indubbiamente il punto culminante nella parabola della sua produzione concertistica, e rimane l'esempio più splendido della forma barocca del concerto grosso italiano, definitosi intorno alla fine '600 proprio per merito di Corelli. Il maestro romano raggiunge qui veramente un perfetto equilibrio espressivo: le singole parti del Concerto sono in rapporto armonico tra loro, e il trattamento dei tre strumenti solisti ("concertino" formato da due violini e violoncello) rispetto alla massa degli archi è ispirato a una distesa cantabilità, a una libertà e scioltezza di eloquio tipica della musica barocca italiana e ammirevole per la sua nobiltà espressiva.


Il Concerto comprende: "Vivace-Grave-Allegro," un "Adagio" pervaso di un'espressione tutta interiore, "Allegro," "Vivace," "Allegro" e una "Pastorale" ('Largo,' ad libitum), che costituisce il primo esempio strumentale di questo genere ed è un vero gioiello di perfezione formale ed espressiva.


martedì 20 dicembre 2022

Il Gualdi


Eccolo lì
fare bella mostra
di se stesso.
Lo vedo,
lo osservo,
lo tengo d'occhio.
È appeso alla parete
e sta lì, immobile.
Ma a guardarlo
a modo
sembra vivo, 
quasi quasi 
si percepiscono
gli scoppi, i botti,
i sibili...
i fuochi artificiali  
illuminano i tetti
di una Modena
prebellica, 
ancora felice.
Una Modena che
non sa ancora
che di lí a poco
udirà gli stessi sibili,
gli stessi botti,
gli stessi scoppi,
ma saranno fuochi
di morte e 
di distruzione.
Mi sembra di sentire
le risate di mio nonno
e di Gualdi, il pittore
che sta immortalando
la scena dal terrazzino 
di casa nostra in via Torre,
perdersi in quella notte di festa
che non ritornerà mai più. 

 

Fryderyk Chopin


(Zelazowa-Wola 1 marzo 1810 - Parigi 17 ottobre 1849)

Allievo di Jòzef Elsner al Conservatorio di Varsavia, iniziò giovanissimo a comporre, facendosi altresì conoscere fin dal 1829 come concertista in patria e all'estero. Nel 1830 si stabilì a Vienna e nel 1831 a Parigi, che diverrà la sua patria adottiva. Qui conobbe i maggiori musicisti dell'epoca (Rossini, Cherubini, Liszt, Berlioz, Meyerbeer e tanti altri), e fu molto richiesto come insegnante, concertista e compositore. Un infelice amore con Maria Wodzinska minò ulteriormente la sua salute già provata, ma nel 1837 trovò in George Sand la donna ideale.
Gli attacchi di etisia si fanno tuttavia sempre piu frequenti, e nel 1838 si reca con l'amante a Maiorca. Ritornato a Parigi, riprende nel 1839 l'intensa vita mondana, sempre più ricercato dall'alta società e dagli editori. Nel 1847 si separò dalla Sand, ma il male già lo stava conducendo alla tomba. Tenne l'ultimo concerto parigino nel 1848, poi fu ancora acclamato a Londra e in Scozia, ma rientrò a Parigi esausto, non più in grado di lavorare e di provvedere al proprio sostentamento. Negli ultimi mesi di vita provvidero ad aiutarlo gli amici, fedeli e numerosi, che si era fatto nei momenti più sfolgoranti della sua carriera.
Chopin è il compositore per pianoforte per antonomasia: si può dire che con Liszt egli sia stato se non l'iniziatore almeno il maggiore rappresentante della scuola pianistica romantica. Il meglio di sé lo diede pertanto nei pezzi per il solo pianoforte: studi, notturni, polacche, mazurke, valzer, sonate, scherzi, improvvisi e cosi via. Si avvicinò all'orchestra solo di rado, e anche allora la trattò solo come uno strumento di accompagnamento al pianoforte, che resta sempre il protagonista, lo strumento più adatto a dar voce all'intima espressività che è propria di questo insigne musicista. La grande forma sinfonica non Io attira, ed è per questo che egli si esprime pienamente solo nei pezzi pianistici in forma di danza o di canzone; tant'è vero che le due sole sonate che scrisse per pianoforte, dove l'impegno formale è incomparabilmente superiore che negli altri pezzi, presentano qualche debolezza proprio dal punto di vista della costruzione ed elaborazione tematica. Anche nei pezzi con orchestra non bisognerà dunque cercare lo slancio sinfonico che caratterizza, poniamo, i concerti di un Beethoven o di un Brahms, ma solo il lirismo appassionato di un musicista che ebbe spontaneo il dono del canto.


Concerto n.1 in mi minore per pianoforte e orchestra op. 11 (1830)
Dedicato al grande concertista Friedrich Kalkbrenner, questo Concerto (che nonostante rechi un numero d'opus inferiore, fu composto poco dopo il Secondo) è nato nel segno di un virtuosismo brillante e insieme pieno di fervore melodico. Come sempre in Chopin, il pianoforte è il solo e il vero protagonista, e l'orchestra si limita a esporre i temi o ad accompagnare discretamente i voli poetici del solista. Ma il musicista ha anche la capacità di concentrare intorno allo strumento il vero interesse dello svolgimento musicale e dell'invenzione melodica, così che riesce anche qui a un'opera di alta poesia e di pregnante espressione.

Il primo tempo presenta un primo tema in mi minore e un secondo in mi maggiore, lanciando poi il pianoforte, durante gli sviluppi, in un virtuosismo sempre sorretto da una viva ispirazione melodica.
Il secondo tempo è una "Romanza" in mi maggiore. Anche qui il solista si distende in episodi ora sognanti ora incalzanti, con un carattere che sta tra il notturno e lo studio.
Conclude un "Rondò" in mi maggiore basato su un ritmo elastico di krakowiak, che è una danza popolare polacca in 2/4 dal carattere grazioso: qui ancor più che nei due tempi precedenti il pianoforte è trattato con brillante virtuosità, degna delle opere più mature e più grandiose del maestro polacco che, quando metteva la parola fine a questo Concerto, aveva solo vent'anni. 

lunedì 19 dicembre 2022

Capitolo 33: Modena-Milan 0-1, Modena, 15 Marzo 1964

Per fortuna il mio papà riesce a portarci anche oggi, allo stadio. 
C’è il Milan, la mia squadra del cuore.
Quest’anno il Modena perde quasi sempre, a scuola i ragazzi più grandi dicono che andrà sicuramente in Serie B, e chissà quando ritornerà in A. 
I modenesi sono vestiti come al solito, casacca gialla su calzoncini blu, i milanisti hanno la casacca a righe rossonere e calzoncini bianchi.
L’altoparlante recita le formazioni.
Nel Modena ricordo Barucco, Aguzzoli, Goldoni, Brighenti I, Merighi I, manca solo Jorge Toro, quello che fa gol direttamente da calcio d’angolo.
Nel Milan Trapattoni, Maldini, Mora, Altafini, Lodetti, Amarildo, e capitan Rivera, il mio idolo...
I milanisti fanno un gioco diverso rispetto agli interisti, sembra ragionino di più, sono un po’ più lenti e attaccano al centro.
Altafini e Amarildo non perdono quasi mai il pallone, e Rivera? Un Lord in campo, tutto il gioco passa da lui, e lui, preciso, mette la palla dove vuole, anche da trenta metri ti pesca la testa del compagno in mezzo all’area zeppa di avversari.
Uno spettacolo nello spettacolo.
Oggi però il terreno sembra pantano, è piovuto tutta la notte, noi per fortuna in tribuna siamo al coperto e stiamo bene.
In campo faticano a stare in piedi.
L’arbitro non ha nemmeno fischiato l’inizio delle ostilità che dopo appena 4 minuti una palla quasi innocua arriva a Rivera che tutto solo in mezzo all’area centra il bersaglio... Dopo è stato tutto un assalto gialloblu, ma un superbo Ghezzi ha parato l’inverosimile.
Oggi ho perso e ho vinto e sono contento lo stesso.
 


L'imbianchino modenese, 22 dicembre 1895





giovedì 15 dicembre 2022

Luigi Cherubini


(Firenze 14 settembre 1760 - Parigi 15 marzo 1842)

Studiò a Firenze, iniziando fanciullo a comporre e perfezionandosi a Bologna con G. Sarti, che nel 1779 lo conduceva a Milano e poi a Firenze, dandogli modo di mettersi in luce con le prime opere teatrali. Nel 1784 si reca a Londra, dove qualche sua opera viene ben accolta dal pubblico, e poi a Parigi, dove si lega d'amicizia con Viotti entrando nella cerchia di Maria Antonietta. Nel 1788 si stabilisce definitivamente nella capitale francese, dove continua un'intensa pratica teatrale diventando, dopo la rivoluzione, ispettore e compositore della Banda Repubblicana.
Con la trasformazione di questa in Conservatorio, Cherubini vi diventa insegnante e acquista ben presto notorietà come esponente di un gruppo di musicisti formato da Méhul, Grétry, Gossec e Lesueur. Con l'ascesa al potere di Napoleone, Cherubini fu ostacolato nella sua attività per ben quindici anni, ma la sua fama era ormai saldamente radicata in tutto il mondo musicale: si reca a Vienna dove conosce Haydn, e intanto continua instancabile a produrre per il teatro. Nel 1815 Clementi lo invita a Londra, dove presenta una serie di composizioni nuove, e finalmente, con l'allontanamento di Napoleone, ottiene nuovamente nel 1816 la cattedra al Conservatorio, entrando anche a far parte della direzione della cappella reale. Dall'estero giungono a rendergli omaggio Liszt, Mendelssohn, Weber e numerosi altri musicisti; nel 1822 viene nominato direttore del Conservatorio, rimanendo in questa carica fino alla morte.
Più che dal pubblico del suo tempo Cherubini fu ammirato, per non dire idolatrato, da tutti i maggiori musicisti, a cominciare da Beethoven fino a Spohr, Rossini, Mendelssohn e Wagner.
Nello stile teatrale seppe fondere le peculiarità della riforma gluckiana con un senso solido e imponente dell'architettura, introducendo nell'opera un respiro sinfonico che fin'allora le era ignoto. Nella musica strumentale seppe creare un proprio stile, immune da influenze tedesche eppure pervaso di geniali anticipazioni, anche se la sua misura e il suo controllo corsero talora il pericolo di sconfinare nell'accademismo. La maggior parte della sua produzione è teatrale (una quarantina di opere), sacra (molte messe, requiem, Te Deum ecc.) e comunque vocale (cantate, inni, odi, canzoni).


Sinfonia in re maggiore per archi (1815)
È l'unica sinfonia del maestro fiorentino, composta per la Società Filarmonica di Londra. Egli la ritirò dopo l'esecuzione, rielaborandola più tardi in un quartetto: ma resta un'opera degna di essere ascoltata nella veste originale, ed è particolarmente ricca di quel lirico pathos che Cherubini seppe profondere soprattutto nelle sue migliori opere teatrali e religiose. Il carattere
di questa composizione è peraltro piuttosto tenue, e l'ispirazione, ricca di slancio, è volentieri mantenuta in una struttura quasi cameristica (il che spiega come più tardi l'autore l'abbia potuta trascrivere con vantaggio per un quartetto d'archi).
Vi si risente netta l'influenza del classicismo viennese, ma anche di certa cantabilità tipicamente italiana, ben controllata e guidata dal severo gusto cherubiniano.

Si compone di un "Allegro" iniziale, di un " Larghetto" che predilige le tinte drammatiche, di un "Minuetto" alla Haydn con un bel " trio" in re minore, e di un "Finale" in tempo rapido, ricco d'humour e pervaso di spiriti classici, anche se non cosi profondo nell'espressione come certi finali di Haydn, Mozart o Beethoven.


martedì 13 dicembre 2022

Giornata stupenda


Giornata stupenda,
il cielo è lindo,
nessuna nuvola
osa sporcare
questo azzurro
da cartolina.

L'aria è scevra
da qualsiasi
odore,
profumo,
olezzo.

Nessun solco di aereo,
nessun uccello in volo...

...solo i caldi raggi
del sole a riscaldare
i nostri cuori
in questo inizio
d'inverno. 


Carlos Chavez


(Città del Messico 13 giugno 1899-Coyoacán 2 agosto1978)

Sostanzialmente autodidatta, viaggiò in Europa e negli Stati Uniti svolgendo intensa attività come direttore d'orchestra, conferenziere e organizzatore di concerti di musica nuova, tanto da acquistare ben presto una posizione di assoluta preminenza nel quadro della vita musicale del suo paese. Dal 1926 al '28 visse a New York e in seguito fondò a Città del Messico l'Orchestra Sinfonica Messicana che diresse fino al 1948. Diresse altresì l'Istituto Nazionale di Belle Arti ed si dedicò esclusivamente alla composizione.
Sua madre era india, ed egli sentì vivissimo il richiamo della musica americana primitiva. Nello stesso tempo si rivolse con interesse appassionato ai problemi della nuova musica, e fu tra i più battaglieri assertori della necessità di un rinnovamento, di una "musica del futuro " che si servisse anche di strumenti appositamente creati. Di qui il suo interessamento per tutte le novità tecniche, per gli strumenti a percussione meno conosciuti; titoli come Energia, Spirale, Esagono, Poligono, abbondano nella sua produzione e stanno a indicare un radicale allontanamento dalle forme tradizionali. Chavez ha sempre strettamente collegato questa sua sorta di "futurismo" musicale con una salda fede socialista, che traspare in opere come la Sinfonia proletaria o il balletto H.P. dov'è rappresentata la lotta degli operai contro lo sfruttamento capitalista e la vittoria finale.
Oltre che di un libro sulla musica contemporanea, Chavez è autore di un'opera teatrale, di 5 sinfonie e altri pezzi orchestrali, di concerti e numerosa musica corale e da camera.


Toccata per strumenti a percussione (1942)
È una delle composizioni più tipiche del compositore messicano, e anche delle più eseguite, in quanto rivela gli interessi innovatori, l'insaziabile ricerca di nuove fonti di timbro e di sonorità che Chavez aveva del resto sentito vivamente già nella produzione giovanile. Gli strumenti impiegati prevedono sei esecutori, e ve ne sono molti che derivano dall'armamentario percussivo
proprio degli indios: vi sono tamburi, piatti, campane, uno xilofono, gong, timpani, raganelle, gran cassa e cosi via, e in ognuno dei tre tempi della Toccata l'autore mette in rilievo una classe di tali strumenti: in quello d'inizio ("Allegro sempre giusto") balzano in primo piano i diversi tipi di tamburi, nel secondo ("Largo") le campane, i piatti e gli altri strumenti di metallo, nel terzo ("Allegro un poco marziale") predominano gli strumenti di legno. Ne scaturisce una notevole varietà di colori e di timbri, che giustamente fa di questo pezzo uno dei prodotti più tipici della musica americana contemporanea.



lunedì 12 dicembre 2022

Capitolo 32: Purim, Modena, 27 febbraio 1964

Oggi c'è movimento in casa, la mamma ci sta vestendo bene, dobbiamo andare a trovare le zie. Le zie abitano vicino a noi, in Piazza Mazzini, a un palazzo di distanza praticamente. Chiedo alla mamma come mai ci andiamo proprio oggi che è giovedì, di solito le andiamo a trovare di domenica. Lei mi risponde che oggi è la Festa di Purim e loro la festeggiano. Loro? Loro chi? 
Vado dal nonno, lui sa tutto, e gli chiedo cosa è questo Purim. Lui con calma mi dice che è una festa ebraica, dove ebraico sta per una religione diversa dalla mia, che è la sua però. Io lo guardo strano, capisco poco ma mi adeguo. Mi spiega che la festa di Purim cade il giorno 14 del mese ebraico di Adar, che il giorno prima si fa digiuno e quello dopo si legge una cosa strana con un nome strano. Fatto sta che oggi è quel fantomatico quattordicesimo giorno del mese di Adar, quindi gli ebrei possono mangiare e si mangiano cose particolari, noi siamo invitati e dobbiamo andare là. Allora gli chiedo cos'è questo Adar e lui mi spiega che i mesi nel calendario ebraico sono diversi dai nostri, durano ventinove o trenta giorni l'uno e non coincidono con i nostri, e anche l'anno è diverso, noi cristiani siamo nel 1964 perchè abbiamo iniziato a contare gli anni dal primo anno dopo la nascita di Cristo, mentre il calendario degli ebrei, che sono ancora lì ad aspettare Cristo, è calcolato sia sulla base solare sia sulla base lunare, l'anno è composto da 12 o 13 mesi a loro volta composti da 29 o 30 giorni, per cui la conta inizia negli anni a partire dalla presunta data della creazione, che in base alle indicazioni della Bibbia è stata calcolata dalla tradizione rabbinica al 3760 a.C., precisamente l'anno 1 inizia il 6 ottobre 3761 a.C., per cui adesso gli ebrei sono nel 5724. 
Sono talmente perplesso da questa cosa che torno di là senza chiedergli che cosa vuol dire Purim. 
Usciamo di casa e ci incamminiamo verso casa delle zie, io Giorgio e il nonno, Gabriella è nata lo scorso anno e la mamma resta a casa con lei. Usciamo sulla sinistra e raggiungiamo il passaggio tra le case che ci porterà direttamente da Via Torre a Piazza Mazzini, appena sbuchiamo giriamo a destra e al primo portone il nonno suona. Su non ci sono solo le zie, ma anche degli zii che conosco tutti di vista ma che non so come si chiamano. Ci portano in sala e sulla tavola apparecchiata fanno bella presenza vassoi pieni di tante cose da mangiare. I grandi si servono e bevono vino e liquori, il nonno mi ha detto che queste bevande devono essere tassativamente kosher, fatte apposta per gli ebrei... A noi invece preparano dei piattini e ci danno la limonata fatta in casa. Poi la zia più grassoccia arriva con un tagliere con sopra una specie di gnocco non troppo alto, lucido e alla vista molto friabile. Il nonno ci spiega che quelle sono le buricche, con la ricetta della sua famiglia, è una specie di gnocco non lievitato, una specie di pasta sfoglia con molto burro, verrà tagliato a quadretti, in ogni quadretto c'è un pezzettino di carne ma solo in uno c'è un'altra cosa, una monetina da 5 lire. Chi la trova merita un premio, un altro pezzo di buricca, perchè i quadretti sono contati come il numero degli ospiti più uno, il premio appunto. La scelta del pezzo da mangiare viene effettuata con cura, a turno i commensali scrutano i quadretti cercando di indovinare dove possa essere la monetina, quindi mangiano pian piano e quando trovano il pezzo di carne battono il palmo della mano sul tavolo.  E' il mio turno. Io non ci vedo niente di strano sui quei quadrati, per cui vado al centro e ne prendo uno, comincio a mangiarlo a piccoli bocconi con mille occhi puntati su di me. Il sapore è incredibile, non è il solito gnocco, ma una cosa stranissima e buonissima. E' unto e sa di burro ma non è unto, la pasta si sfalda sotto i denti e si sbriciola in bocca... Clunk! Ma cosa c'è qui? Metto le dita in bocca, sempre sotto lo sguardo di tutti, ed estraggo lo strano boccone, la monetina da 5 lire! Tutti applaudono, poi una zia mi mette nel piatto il quadrato premio che è molto più grande di quello degli altri mentre gli altri adesso possono godersi le buricche in santa pace e smettere di battere i palmi sul tavolo.

 


La sciarpa di Iride, 23/24 giugno 1897





giovedì 8 dicembre 2022

Ernest Chausson


(Parigi 21-01-1855 - Limay 10-06-1899)

Allievo di Massenet ma soprattutto di Franck al Conservatorio di Parigi, fu per dieci anni segretario della Société Nationale, a cui diede notevole impulso programmando numerose opere di compositori francesi contemporanei. La sua produzione sta sotto l'influsso di Franck e di Wagner, tanto che egli può essere considerato uno dei più significativi post-romantici francesi. Trovò però accenti personali nelle melodie, che lo accostano sotto molti aspetti a Fauré e Massenet, facendone in taluni casi un precursore di Debussy.
Compose tre opere teatrali (ma solo una fu rappresentata), musica di scena e molta musica vocale, che costituisce forse la parte migliore della sua produzione. È autore anche di musica da carnera e di alcuni poemi sinfonici oggi pochissimo eseguiti fuori di Francia. Più noti invece anche all'estero la Sinfonia e il Poema per violino e orchestra.


Sinfonia in si bemolle maggiore op. 20 (1890)
Composizione rigogliosa, ricca di effetti strumentali, generosa di idee melodiche e armoniche, questa Sinfonia conserva ancor oggi un suo inconfondibile sapore nonostante vi appaiano evidenti alcune lungaggini. Si noti l'allacciamento e il rincorrersi dei temi nei tre tempi, si notino le atmosfere trasognate, dove il musicista mette abilmente in rilievo uno strumento o un gruppo di strumenti su uno sfondo armonico e timbrico vago, che sembra anticipare talune atmosfere debussiane. Non mancano naturalmente gli effettoni, le sonorità quasi bandistiche, e sono proprio queste che costituiscono la parte più caduca della Sinfonia.

Composta di tre invece dei quattro tempi tradizionali, la Sinfonia si articola nel modo seguente: "Lento-Allegro vivo," "Molto lento " (una sorta di lamento funebre) e "Animato. "

martedì 6 dicembre 2022

A mia madre


Guardo mia madre, 
sorride, felice,
ha in braccio un frugoletto,
un pacottino bianco
da cui sbuca una testolina,
addormentata,
sorniona.

La rivedo dimagrita,
più apprensiva,
più invecchiata,
più nervosa.
E' cambiata da allora,
non sta ferma un attimo,
una trottola.

Guardo mia madre,
rivedo me appena nato
e penso che ora
potrei essere io
a tenerla in braccio...

...grazie mamma,
di avermi dato la vita...

 


Emmanuel Chabrier


(Ambert 18-01-1841 - Parigi 13-09-1894)

Studiò legge e pianoforte a Parigi, iniziando qui anche gli studi di composizione. Dal 1861 al '79 lavorò come impiegato al Ministero degli Interni, ma lasciò questo posto per dedicarsi interamente alla musica, e dal 1881 diresse il coro dei Concerti Lamoureux. È uno dei più interessanti musicisti francesi di fine '800. Entusiastico ammiratore di Wagner, fu instancabile animatore della "prima" parigina di Tristano ed entrò a far parte del "Petit Bayreuth," circolo wagneriano costituito a Parigi dagli ammiratori del rivoluzionario musicista tedesco. Nonostante l'ammirazione per Wagner, di cui risenti l'influsso, raggiunse nella sua produzione un'espressione personale, che ce lo mostra oggi come uno dei musicisti più significativi per la formazione della moderna scuola francese. Il suo gusto armonico e ritmico, la sua sensibilità per il timbro sono eminentemente francesi, e costituiscono un esempio sicuro a cui si atterranno Dukas, D'Indy e anche il primo Debussy. Oggi ancora le sue composizioni si ascoltano volentieri, testimonianza viva di un'epoca in cui si venivano maturando fermenti decisivi per tutta la musica del nostro secolo.
Oltre ad alcune opere teatrali, Chabrier compose pagine vocali con orchestra, musica sinfonica, molti pezzi per pianoforte e una quantità di liriche, deliziose per freschezza ed eleganza di invenzione.


Espana, rapsodia per orchestra (1883)
La suggestione della Spagna ha operato su molti musicisti da oltre un secolo a questa parte: da Glinka a Debussy, da Saint-Saens a RimskiKorsakov, la letteratura musicale è ricca di pagine rievocative del folclore iberico, che con la vivezza dei suoi ritmi e la peculiarità delle sue melodie non ha mai mancato di impressionare vivamente gli animi sensibili. Chabrier, con Espana, è un rappresentante tipico di questo fenomeno: egli coglie indubbiamente, del folclore spagnolo, gli aspetti piu esteriori, e in fondo bisognerà attendere l'opera di un De Falla per individuare gli elementi della musica popolare spagnola a un alto livello di trasfigurazione artistica. Questo non toglie peraltro alla partitura di Chabrier la sua eleganza di fattura, quella forza rievocativa dei trascinanti ritmi iberici che è un poco vacua ma anche avvincente, colorita e festosa, ravvivata da una sensibilità sottile per la luce e i colori della Spagna. I ritmi che stanno alla base di questa composizione sono quelli della jota e della malaguena: ed essi si fondono in una danza vorticosa, dall'inesauribile piacere sonoro, dando luogo a un affresco sinfonico fresco e pieno di vita. Il gusto francese di un'orchestrazione rutilante e ricca d'effetti si sposa felicemente con i pulsanti ritmi spagnoleschi, realizzando un quadro dalle tinte scintillanti.


Tutta la partitura, in libera forma rapsodica, si svolge in tempo "Allegro con fuoco " ed è costantemente in 3/8.

lunedì 5 dicembre 2022

Capitolo 31: Modena-Inter 0-1, Modena, 12 febbraio 1964

Anche oggi si va allo stadio, il papà dice che le squadre importanti vanno viste, quindi finché il Modena è in serie A bisogna approfittarne.
Oggi c’è anche Giorgio, il mio fratellino, che ha solo 5 anni, ma tifa Inter, e oggi il Modena gioca proprio con l'Internazionale, ma che tutti chiamano Inter...
I nostri sono sempre in gialloblu, gli avversari invece hanno casacca a righe neroazzurro scuro.
Nel Modena manca Jorge Toro, infortunato, ma ci sono Aguzzoli, Merighi, Brighenti, Goldoni e Bruelles.
L’Inter schiera Sarti tra i pali, poi Burgnich, Facchetti, Picchi, Luisito Suarez e il mito di mio fratello, Mazzola!
Sugli spalti il solito tifo familiare, i soliti versi e il solito “arbitro cornuto” che continuo a non sapere cosa vuol dire.
Inizia la partita e le squadre si studiano.
Dopo poco più di un quarto d’ora, dall’angolo, la palla piove in area canarina, i modenesi vengono chiamati così, arriva sulla testa di Facchetti che segna il gol partita!
Ma che cavolo ci faceva Facchetti nell’area sbagliata? Non poteva restarsene a difendere la sua come fa sempre?
E così perdiamo anche questa volta e il Modena è sempre più in caduta libera verso la serie B...



Goliardo, anno III n.4 - 8 marzo 1925





giovedì 1 dicembre 2022

Alfredo Casella


(Torino 25-07-1883 · Roma 5-03-1947)

Allievo della madre e dal 1896 del Conservatorio di Parigi , visse qui per molti anni facendosi conoscere e apprezzare come compositore e concertista e presentando al pubblico francese le opere piu significative dei musicisti italiani dell'ultima generazione. Stabilitosi nel 1915 a Roma fu attivo come pianista, direttore d'orchestra, insegnante e organizzatore, fondando nel 1917 la Società Italiana di Musica Moderna divenuta nel 1923 la Corporazione delle Nuove Musiche.
Insegnante di pianoforte a S. Cecilia dal 1915, dal 1937 diresse il Festival veneziano di musica contemporanea, sempre operando attivamente nel campo dell'organizzazione della vita musicale e per la diffusione della musica moderna, italiana ed estera. Fu altresi attivo come scrittore, critico e conferenziere. Venne prematuramente stroncato da un cancro.
La figura di Casella resta nella musica italiana soprattutto per la sua attività di animatore instancabile: egli fu tra i primi ad avvertire in Italia l'esigenza di un rinnovamento della musica strumentale, a rifarsi allo studio degli antichi compositori italiani e nello stesso tempo a tener conto di quanto si faceva fuori del nostro paese. Svolse così un suo ruolo nella sprovincializzazione della vita musicale italiana, e la campagna che condusse contro la degenerazione del melodramma verista diede buoni frutti per la posteriore evoluzione della musica. D'altro canto, l'appoggio da lui dato al regime fascista e la sua concezione di una musica "mediterranea" adeguata alle caratteristiche della razza latina, lo indussero a un apriorismo teorico che non gli permise di portare avanti con reale coerenza quell'esigenza di rinnovamento della musica che egli stesso aveva vivamente sentito in gioventu e che aveva trovato altrove insignì rappresentanti.


Partita per pianoforte e orchestra op. 42 (1925) 
Dopo il 1920 Casella manifestò, come si è detto, un vivo interesse per le forme della tradizione strumentale italiana: cosi nacque questa Partita, forma tipica della musica strumentale italiana del '600; ed è significativo notare che poco dopo Casella anche musicisti italiani di generazioni piu giovani, come Ghedini, Petrassi e Dallapiccola, scrissero delle partite. La Partita di Casella è scritta in uno stile diatonico semplice e scorrevole, e senza essere una delle sue composizioni piu felici rimane un brano di abile fattura, in cui Io spirito dell'antica musica italiana rivive in un discorso sereno, sorretto da un ritmo vigoroso in cui è sempre possibile notare qualche influsso stravinskiano. 


I tempi della Partita sono: "Sinfonia " ('Allegro un poco maestoso-Vivacissimo'), "Passacaglia" (un tema 'Andante mosso, ma grave,' 12 variazioni e coda) e "Burlesca" ('Allegro vivacissimo e con brio').

martedì 29 novembre 2022

Agenzia delle Entrate


"Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente ...

... Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".

entrare là è come morire.
se ti convocano sei
quasi fregato.
oltrepasso la porta 
e il mondo cambia,
c'è un brusio strano,
ogni tanto una voce metallica
recita un numero.
persone in preda 
ad evidente stato di agitazione
si aggirano per la sala,
ora stanno sedute,
ora vagano con gli occhi 
persi nel vuoto.

tutto è misterioso,
anche se so benissimo
dove sono.
per i piani alti
devo consegnare un documento.
mi sento a disagio.
l'ascensore panoramico
è l'ultimo contatto

con il mondo vivente,
una volta dentro
si viene spogliati
della propria vita privata,
e incomincia un incubo
che pare interminabile.

si apre la porta 
e mi aspetto si vedere
un cerbero pronto a divorarmi.
occhi di un blu profondissimo,
criniera folta e lunga e riccia,
fisico atletico dalle forme sinuose,
sorriso incantevole,
un viso angelico ...
... l'angelo della morte.
non mi aggredisce,
non latra, ma la sua suadente voce
mi incanta.
mi fissa negli occhi quando parla,
mi sciolgo come neve al sole.

e comincia così la 
mia discesa negli inferi,
lotto con tutte le mie forze
per difendere la mia vita,
ma alla fine dovrò cedere
ad una legge superiore.
oramai sono stremato.
ho ancora un'ultima speranza,
prima di alzare bandiera bianca
e prostrarmi davanti al boia 
che sta già affilando la mannaia.
con uno scatto d'orgoglio
acconsento ai suoi desideri,
pronto a cogliere l'attimo
in cui si distrarrà,
per colpirlo mortalmente
e fuggire ...

... nudo ...

... ma ancora vivo.


lunedì 28 novembre 2022

Capitolo 30: Il verme blu, Modena, febbraio 1964

 Mi guardo allo specchio terrorizzato e inorridito, quell'essere abominevole ... sono io!
Mi osservo, mi scruto, ho indosso un banale grembiulino, ma quello che mi turba è il verme blu ricamato sul davanti!
Corro dalla mamma piangendo.
Il grembiulino non mi piace!
Lei mi spiega sorridendo che quando non sapevo ancora camminare, venivo messo nel box mentre i grandi avevano da fare, e indossavo una tuta blu senza gambe...
Se dopo un po' di tempo venivano a vedere come stavo, non mi trovavano più lì dentro, perché io evadevo e strisciavo come un verme in giro per la casa, da allora mi hanno soprannominato "il verme blu" e me lo avevano ricamato sul grembiulino...



Festa delle stelle, numero ricordo, 28 gen 1893





giovedì 24 novembre 2022

Alla Pavlova


(Vinnycja, 13 luglio 1952)

La famiglia Pavlova si trasferì a Mosca nel 1961 e Alla studiò musica all'Accademia musicale di Gnessin di Mosca. È stata allieva di Armen Shakhbagyan, un compositore di solida reputazione nel 1970, prestando particolare attenzione alle opere di Anna Achmatova, che ha influenzato buona parte della sua produzione musicale fino al 1990.
Dopo essersi diplomata nel 1983, Pavlova si trasferì nella capitale bulgara Sofia, dove lavorò all'Unione dei Compositori Bulgari e all'Opera nazionale bulgara. Tornò a Mosca tre anni dopo.
Dal 1986, Pavlova ha lavorato per il consiglio della Russian Musical Society di Mosca, prima di trasferirsi a New York nel 1990.

Dopo il suo arrivo a New York, Pavlova scrisse per sua figlia Irene una raccolta composta da semplici pezzi per pianoforte ispirati alle fiabe di Hans Christian Andersen. Durante la prima metà del 1990 le sue composizioni si alternavano tra lieder e pezzi minori per pianoforte. Nel 1994, Pavlova compose il suo primo lavoro importante, la Sinfonia nº 1 "Addio Russia", che intende esprimere la malinconia e le sensazioni dolorose provate dalla compositrice nel lasciare il suo paese d'origine. Il lavoro è articolato in un unico movimento, e costituito da un ensemble di due violini, un violoncello, un pianoforte, un flauto, e un ottavino, che è stato eseguito in Russia da solisti dell'Orchestra filarmonica di Mosca appena due giorni dopo la sua apertura.
Pavlova ha atteso per quattro anni a comporre il suo primo lavoro sinfonico, di soli quattro minuti per pianoforte e archi, ispirato dalla morte di Shakhbagyan. Poi tornò a rifugiarsi nei lieder, componendo brani come "Mi manchi... ma lasciami andare" all'inizio di settembre 2001. Come Cristóbal Halffter modificò la sua composizione Adagio in forma di Rondo in seguito agli attacchi terroristici dell'11 settembre; Pavlova è rimasta sconvolta da questi attacchi, in particolare perché ha vissuto molto vicino a ground zero, così decise di ridedicare il brano alla memoria delle vittime.


La sua prima opera sinfonica che seguì l'Elegia, la Sinfonia nº 2 "per il nuovo millennio" (1998), è stato probabilmente il suo lavoro più ambizioso: dopo essere stata riveduta i quattro anni successivi, fu incisa su CD da Vladimir Fedoseev, che in seguito sarebbe diventato uno degli interpreti più rappresentativi di Pavlova in Russia eseguendo e incidendo la sua quarta sinfonia, e contribuendo a rafforzare la reputazione di Pavlova nel suo paese natale. Oltre a consolidare il suo prestigio, la seconda sinfonia rappresenta un importante punto di svolta nella carriera di Pavlova, in quanto nelle opere successive ha abbandonato la musica da camera a favore delle composizioni per grandi orchestre. Nel 2000, ha suggellato questo cambiamento di orientamento con la monumentale Sinfonia nº 3; questo lavoro, ispirato ad un monumento di New York a Giovanna d'Arco, si caratterizza per la sua intensa portata espressiva ed è considerato il suo capolavoro. Fedele alla sua politica di revisione, Pavlova ha continuato a modificare questa composizione, aggiungendovi una chitarra quale elemento decorativo.


La messa a punto di questa sinfonia è proseguita nel 2002, anno in cui Pavlova ha composto un secondo concerto, un monologo con violino solista in cui ha nuovamente impiegato un'orchestra d'archi. Pavlova ha elaborato nei due anni successivi la sua prima realizzazione incidentale, quella della danza Sulamith, che porta in scena un racconto di Aleksandr Kuprin di ispirazione biblica, ne deriva una suite sinfonica lunga tre quarti d'ora.
Le più recenti composizioni di Pavlova annoverano una Quinta sinfonia (2006), una Sesta sinfonia (2008) e una Thumbelina Ballet Suite (2008/2009), che sono state pubblicate da Naxos.

La sua musica si ispira ai grandi maestri russi del ventesimo secolo (Prokofiev, Shostakovich, Rachmaninov, ecc.), e ciascuna delle sue opere sembra attraversata dal tema dello sradicamento e dell'esilio. 

martedì 22 novembre 2022

Realtà



La realtà è dentro di noi.




 

Alice Mary Smith


da sposata Alice Mary Meadows White
(Londra 19 May 1839 – 4 December 1884)

La Smith è nata a Londra, terzo figlio di una famiglia relativamente agiata. Ha mostrato attitudine per la musica fin dai suoi primi anni e ha preso lezioni private da William Sterndale Bennett e George Alexander Macfarren, pubblicando la sua prima canzone nel 1857. Nel novembre 1867, anno del suo matrimonio con un avvocato, Frederick Meadows White, fu eletta Donna Associato professionale della Royal Philharmonic Society. Nel 1884 fu eletta membro onorario della Royal Academy of Music. Lo stesso anno, dopo un periodo di malattia in cui si recò all'estero per cercare di riprendersi, morì di febbre tifoide a Londra.
Tra le sue composizioni da camera ci sono quattro quartetti per pianoforte, tre quartetti d'archi e una sonata per clarinetto (1870). Le sue composizioni orchestrali comprendono sei ouverture da concerto e due sinfonie. La sua prima sinfonia, in do minore, fu scritta all'età di 24 anni ed eseguita dalla Musical Society di Londra nel 1863; la seconda, in la minore, fu scritto per il concorso di Alexandra Palace del 1876, ma non fu mai presentata.
Smith compose due grandi brani per il palcoscenico: un'operetta, Gisela of Rüdesheim per coro, orchestra e solisti, eseguita nel 1865 alla Fitzwilliam Music Society, Cambridge, e The Masque of Pandora (1875), per la quale l'orchestrazione non fu mai completata.

L'opera di Smith comprende una delle più grandi raccolte di musica corale sacra di una compositrice e comprende sei inni, tre cantici (e l'inizio di un quarto), oltre a una breve Cantata Sacra dell'esilio, basata su episodi di Esther di Jean Racine. I suoi inni Chi ha i beni di questo mondo e Dalle acque di Babilonia furono eseguiti in un contesto liturgico a St. Andrew's, Wells Street da Sir Joseph Barnby nel febbraio 1864, rendendoli il primo esempio registrato di musica di una compositrice ad essere utilizzato per il liturgie della Chiesa d'Inghilterra.
Nel 1880 rivolse la sua attenzione alla scrittura di cantate su larga scala, tutte pubblicate da Novello and Co. Questi includevano Ode to the North-East Wind per coro e orchestra, Ode to The Passions (1882), la sua opera più lunga, eseguita all'Hereford Festival in quell'anno, e due cantate per voci maschili negli ultimi due anni della sua vita. Nel suo necrologio, suo marito afferma che stava lavorando a un'ambientazione della poesia The Valley of Remorse di Louisa Sarah Bevington per coro, solisti e orchestra, tuttavia, non esiste alcun manoscritto a sostegno di questa affermazione. Delle sue quaranta canzoni, il suo lavoro più popolare è stato il duetto vocale O che stavamo cantando noi due.
Secondo un necrologio in The Athenaeum del 13 dicembre 1884: "La sua musica è caratterizzata da eleganza e grazia ... potenza ed energia. Le sue forme erano sempre chiare e le sue idee libere da eccentricità; le sue simpatie erano evidentemente per il classico piuttosto che per la scuola romantica".


La Sinfonia in do minore è composta da fiati in coppia, due corni, due trombe, tre tromboni, timpani e archi. È in quattro movimenti:

I. Grave - Allegro ma non troppo - Smith ha usato le sinfonie di Mendelssohn come modelli. Il movimento inizia con un'introduzione malinconica seguita da un aumento del tempo e un ingresso di 4 battute al primo tema suonato dalle viole.
Questo breve motivo in do minore viene passato attraverso le corde prima di essere ampliato. Altri strumenti lo riprendono fino a quando una sezione di transizione fa emergere il secondo tema in mi bemolle maggiore suonato nei primi violini.
Il motivo viene ripetuto e ampliato prima di condurre direttamente a un altro tema ancora, un motivo suonato dai corni e risposto dai legni: questo tema viene anche ampliato e ripetuto fino a quando non conduce direttamente al primo tema che appare brevemente in maggiore fino a quando l'introduzione iniziale del movimento annuncia la ripetizione dell'esposizione. La sezione di sviluppo inizia con il primo tema e Smith subisce molti cambiamenti chiave quando vengono enfatizzati alcuni frammenti del tema. Anche il secondo tema passa attraverso un'elaborazione che è invasa da segmenti del primo tema. Una sezione di transizione porta la ricapitolazione dei temi. Il primo tema ritorna nella coda e porta a un aumento del tempo e alla fine enfatica del movimento.

II. Allegretto amorevole - Il secondo movimento elimina trombe e timpani, in musica simile alle opere per pianoforte del signorile salotto vittoriano. La Smith usa il modificatore di tempo amorevole, un termine usato da Mendelssohn per la musica di un sentimento simile.

III. Allegro ma non troppo - Poco meno mosso - La Smith non usa ripetizioni in questo breve movimento simile a uno scherzo. La qualità della scrittura per i fiati in questo movimento, così come gli altri tre, mostrano che la Smith aveva una buona sensazione per il colore dell'orchestra.

IV. Allegro maestoso - Un rondò con il tema principale in do maggiore. Ci sono fugaci momenti di dramma e circa nel mezzo del movimento un assolo per oboe che ritorna su un tema nel primo movimento. Gli archi entrano e suonano un pizzicato accompagnamento alla sezione cadenzata, c'è una chiusura parziale e ritorna il tema principale. Una coda avvolge il movimento nella buona tradizione mendelssohniana.

La Smith ha continuato a comporre molte altre opere per orchestra, inclusa un'altra Sinfonia in la minore. Nel 1883 fu eletta membro onorario della Royal Academy Of Music, un premio che veniva conferito solo ai compositori più illustri e affermati. Ha continuato a comporre le opere più orchestrali di qualsiasi compositrice inglese nel 19° secolo.
Non era conosciuta solo in Inghilterra, poiché la sua fama era tale che negli Stati Uniti il ​​New York Times pubblicò un lungo necrologio quando morì nel 1884 di febbre tifoide all'età di 45 anni.