giovedì 23 gennaio 2025

URANIA n.20 - Isaac Asimov: Paria Dei Cieli



Due minuti prima di scomparire dal mondo che conosceva, Joseph
Schwartz passeggiava per le piacevoli strade dei sobborghi di Chicago
recitando dei versi di Browning.
In un certo senso era strano, perché Schwartz sarebbe difficilmente
passato, agli occhi della gente, per il tipo che recita i classici a memoria.
Sembrava esattamente quello che era: un sarto in pensione privo di ciò che
oggi si definisce, con linguaggio sofisticato, una “educazione formale”, ma
che aveva soddisfatto la naturale curiosità del suo carattere con abbondanti
letture a caso. Grazie a un’indiscriminata voracità si era dato una verniciata in
tutti i settori dello scibile, e aiutato da una memoria fuori del comune era
riuscito a tenere in testa tutto quanto.
Tanto per fare un esempio, da giovane aveva letto due volte Il rabbino Ben
Ezra di Browning e come risultato lo sapeva a memoria. Gran parte del testo
gli era oscura, ma negli ultimi anni i tre versi iniziali si erano impressi così
profondamente nel suo animo che gli venivano spontanei come i battiti del
cuore. In quel luminoso e assolato giorno d’inizio estate 1949, li ripeté ancora
una volta nella fortezza silenziosa della sua mente: 
 
Invecchia con me!
Il meglio deve ancora venire,
quell’ultima parte della vita
di cui la giovinezza è solo il preludio... 
 
Schwartz la pensava esattamente così. Dopo aver lottato in Europa da
ragazzo e negli Stati Uniti quando era diventato uomo, la prospettiva di una
serena vecchiaia gli sembrava particolarmente piacevole. Con una casa
propria e un gruzzoletto di risparmi poteva tranquillamente mettersi in
pensione, cosa che aveva fatto. Con una moglie in buona salute, due figlie
sposate e un nipotino che gli avrebbe rallegrato gli ultimi anni felici, di cosa
mai poteva preoccuparsi?
C’era la bomba atomica, certo, ma Schwartz credeva nella bontà della
natura umana: non pensava che ci sarebbero state altre guerre e che la Terra
avrebbe assistito al sorgere del sole nucleare, all’esplosione della sua furia.
Quindi sorrise con tolleranza ai bambini che gli passavano davanti e augurò
loro un rapido e non troppo difficile percorso fino alla pace degli ultimi anni,
i migliori.
Alzò un piede per non schiacciare una bamboletta di pezza che qualcuno
aveva dimenticato e non ancora ritrovato. Non l’aveva riabbassato del tutto,
che...
In un’altra zona di Chicago sorgeva l’Istituto per le Ricerche Nucleari.
Probabilmente i suoi dipendenti avevano una teoria sul valore della natura
umana, ma in segreto se ne vergognavano perché nessuno aveva inventato lo
strumento che la misurasse quantitativamente. Quando ci pensavano, era più
che altro per augurarsi che un fulmine calato dal cielo impedisse a detta
natura (e alla dannata ingegnosità della nostra specie) di trasformare qualsiasi
innocente scoperta in un’arma micidiale.
Eppure, il ricercatore che non sapeva frenare il proprio entusiasmo davanti
alle scienze nucleari - grazie alle quali, ormai, si era in grado di distruggere
metà della Terra - era lo stesso uomo che avrebbe rischiato la vita per salvare
quella di qualsiasi concittadino.
Fu il bagliore azzurro alle spalle del chimico ad attrarre l’attenzione del
dottor Smith.
Lo vide mentre passava davanti alla porta socchiusa. Il chimico, un
giovanotto allegro, fischiava e armeggiava con una fiasca volumetrica la cui
soluzione era già a buon punto. Una polverina bianca scese in fondo al
liquido e si sciolse in poco tempo. Per un attimo fu tutto, poi l’istinto del
dottor Smith - che l’aveva indotto a bloccarsi davanti alla porta - lo spinse a
passare all’azione.

 

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