giovedì 12 settembre 2024

URANIA n.6 - Jack Williamson: Legione Dello Spazio



«E allora, dottore, qual è il tuo verdetto?»
Sedette sul lettino d'osservazione con le lenzuola avvolte intorno al corpo
piegato ed elastico e ordinò all'infermiera, con decisione, di riportargli i
vestiti, Poi guardò me, gli occhi azzurri e brillanti che senz'altro esprimevano
curiosità, ma non paura: e questo era strano, perché sapevo che si aspettava
una sentenza di morte.
«Assoluzione, John» dissi onestamente. «Sei davvero indistruttibile. In forma
perfetta, per un uomo della tua età, a parte quel ginocchio. Sarai mio buon
paziente e avversario agli scacchi per altri vent'anni.»
Ma il vecchio John Delmar scosse la testa abbronzata.
«No, dottore.» Parlava con voce calma e priva d'eccitazione, come se avesse
voluto dire che oggi era martedì. «No, dottore, mi restano meno di tre
settimane. Da parecchi anni, ormai, so che morirò alle undici e sette mattutine
del 23 marzo 1945.»
«Sciocchezze» risposi. «Non c'è la minima probabilità, a meno che non ti
butti sotto un camion. Il ginocchio è un po' rigido, e forse resterà così per
sempre, ma non c'è altro...»
«Conosco la data.» La voce antica, sottile, esprimeva una convinzione
semplice e assoluta: «Vedi, l'ho letta sulla mia tomba». Non gli sembrava
un'affermazione straordinaria. «Stamattina sono venuto per vedere se riuscivi
a dirmi di che cosa sarei morto.»
Mi sembrava troppo equilibrato e padrone di sé per cadere vittima di strane
superstizioni.
«Te ne puoi scordare» gli assicurai calorosamente. «Sei più sano di tanti che
hanno vent'anni di meno. A parte il ginocchio e qualche cicatrice assortita...»
«Non credere che metta in dubbio la tua diagnosi: ma sono sicuro del fatto
mio.» Sembrava che volesse scusarsi ed era stranamente esitante. «Vedi,
dottore, ho un curioso... dono, chiamiamolo così. A volte ho pensato di
parlartene. Cioè, sempre che ti interessi...»
Fece una pausa, diffidente.
Il vecchio John Delmar mi aveva sempre incuriosito. Un uomo magro, dritto,
sbiadito, con sottili capelli grigi e un paio d'occhi azzurri stranamente
luminosi, stranamente giovani; ancora agile e vitale, nonostante gli anni,
zoppicava un po' a causa della ferita al ginocchio, ma conservava un passo
leggero.
Ci eravamo conosciuti quando era rimpatriato dalla Spagna, alla fine della
guerra civile: mi aveva cercato per portarmi la notizia della morte di un
amico, che non aveva un terzo dei suoi anni e che aveva combattuto come lui
contro i franchisti. Mi era sembrato un vecchio soldato solitario, taciturno per
quanto riguardava le sue imprese ma come me appassionato di scacchi e tutto
sommato di buona compagnia. Possedeva una giovinezza di cuore, una
vitalità instancabile e rara in un uomo della sua età; e il mio interesse
professionale era stimolato dall'eccezionalità del suo corpo.
Perché aveva sopportato molte prove.
Era sempre stato reticente, anche se in quegli ultimi anni - pacifici suo
malgrado - fui l'amico più intimo che avesse. Della sua vita lunga e
movimentata mi aveva parlato solo per allusioni: era cresciuto, disse, nel
West della frontiera; quando era solo un ragazzo aveva impugnato la sua
prima pistola in una faida per il bestiame, e in seguito era riuscito, non si sa
come, ad arruolarsi nei Ranger del Texas senza aver compiuto l'età legale.
Più tardi aveva prestato servizio nel famoso reggimento dei Rough Riders,
poi aveva combattuto nella guerra boera e sotto Porfirio Díaz. Nel 1914 si era
arruolato nell'esercito inglese: per farsi perdonare, diceva lui, di aver
combattuto contro di loro in Sud Africa. Quindi era stato in Cina e nel Rif,
nel Gran Chaco e in Spagna. Era stata la permanenza in un campo di
prigionia spagnolo a peggiorare le condizioni del ginocchio più debole; il
corpo temprato da una vita avventurosa aveva cominciato a dare i primi segni
di stanchezza e quand'era rimpatriato era troppo vecchio per combattere
ancora. Lo avevo conosciuto appunto allora.

 

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